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Articolo 24 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 25/09/2024]

Recesso ed esclusione degli associati

Dispositivo dell'art. 24 Codice Civile

La qualità di associato non è trasmissibile, salvo che la trasmissione sia consentita dall'atto costitutivo o dallo statuto.

L'associato può sempre recedere dall'associazione se non ha assunto l'obbligo di farne parte per un tempo determinato. La dichiarazione di recesso deve essere comunicata per iscritto agli amministratori e ha effetto con lo scadere dell'anno in corso, purché sia fatta almeno tre mesi prima [2285].

L'esclusione d'un associato non può essere deliberata dall'assemblea che per gravi motivi; l'associato può ricorrere all'autorità giudiziaria entro sei mesi dal giorno in cui gli è stata notificata la deliberazione [2286].

Gli associati, che abbiano receduto o siano stati esclusi o che comunque abbiano cessato di appartenere all'associazione, non possono ripetere i contributi versati, né hanno alcun diritto sul patrimonio dell'associazione [37].

Spiegazione dell'art. 24 Codice Civile

Implicandosi una stretta connessione tra tra l'associato e gli altri soggetti, la qualità rivestita da uno di essi non può essere trasmessa per atto tra vivi o mortis causa, salvo che non sia espressamente previsto dallo statuto o dall'atto costitutivo.

La libertà di recesso per l'associato è una libertà negativa, nel senso che essa concerne tanto la facoltà di aderire, quanto quella di non farne parte (in linea con l'art. 18 Cost.) ; eventuali clausole difformi nello statuto sarebbero nulle. Una minima deroga è concessa allorchè l'associato si sia impegnato a farne parte per un tempo determinato: in tal caso, la comunicazione scritta produrrà il suo effetto dall'1 gennaio dell'anno successivo a quello in cui avviene il recesso, onde non comprimerne troppo la libertà di cui all'art. 21 Cost. nel caso la sua volontà non si identifichi più con l'interesse dell'associazione.

Corrispondentemente al profilo testè analizzato, non sussiste analogo potere di esclusione ad nutum da parte dell'ente; vi è però un correttivo, limitato alla sussistenza di gravi motivi (tipicamente, l'inosservanza di determinati obblighi statutari, come il mancato pagamento del contributo associativo). Necessaria è inoltre la motivazione della delibera di esclusione, ben potendo l'associato dedurne (nel termine di 6 mesi) eventuali profili di illegittimità innanzi al giudice onde ottenerne l'annullamento o il risarcimento dei danni subiti.

Relazione al Codice Civile

(Relazione del Ministro Guardasigilli Dino Grandi al Codice Civile del 4 aprile 1942)

51 E' stata accolta nel primo comma dell'art. 24 del testo la proposta di fare salva la trasmissibilità della qualità di associato quando sia consentita dall'atto costitutivo. La stessa regola deve logicamente valere nell'ipotesi che la trasmissibilità sia permessa dallo statuto. Non si è creduto invece di ammettere che tale trasmissibilità possa desumersi dalla natura dell'associazione, perché una formulazione siffatta potrebbe in pratica prestarsi ad abusi. E' stata soppressa la parola "personale", che trovavasi nel progetto, siccome inutile. Infatto il suo significato è insito nel concetto che la qualità di associato è intrasmissibile. E' stato mantenuto, invece, il secondo comma dell'articolo, il quale, affermando la facoltà di recesso, contiene una disposizione di carattere essenziale, che non può trovare sede opportuna nelle norme di attuazione.

Massime relative all'art. 24 Codice Civile

Cass. civ. n. 25319/2021

Ai fini della validità della delibera di esclusione dell'associato da un'associazione non riconosciuta, come per quella di esclusione da un'associazione riconosciuta, non è necessaria la preventiva contestazione dell'addebito, atteso che tale contestazione non è richiesta da alcuna disposizione di legge, salvo che non vi sia una previsione di statuto in tal senso.

Cass. civ. n. 22605/2021

La validità di una delibera di esclusione dell'associato da una associazione, non presuppone necessariamente la preventiva contestazione dell'addebito all'associato, atteso che essa non è prevista da alcuna disposizione di legge (né, nella specie, dello statuto) e che la fase conteziosa non ha carattere preventivo, ma segue in sede di opposizione; né, ai fini del decorso del termine per proporre l'opposizione medesima, è necessaria la comunicazione di addebiti rigorosamente enunciati, dovendo l'esigenza di specificità della contestazione ritenersi soddisfatta allorquando le indicazioni fornite consentano di individuare le ragioni dell'esclusione, così da porre l'associato in condizione di predisporre la difesa.

Cass. civ. n. 22986/2019

La norma dettata dall'art. 24 c.c., secondo cui gli organi associativi possono deliberare l'esclusione dell'associato per gravi motivi, è applicabile anche alle associazioni non riconosciute, ed implica che il giudice davanti al quale sia proposta l'impugnazione della deliberazione di esclusione abbia il potere-dovere di valutare se si tratti di fatti gravi e non di scarsa importanza, cioè se si sia avverata in concreto una delle ipotesi previste dalla legge e dall'atto costitutivo per la risoluzione del singolo rapporto associativo, prescindendo dall'opportunità intrinseca della deliberazione stessa. (Nella specie la S.C. ha ritenuto contraddittoria e perciò meramente apparente la decisione della corte di merito, che aveva annullato la delibera di esclusione dell'associato a causa della genericità delle contestazioni mossegli, pur riportando che esse consistevano, tra l'altro, nell'aver amministrato, in qualità di legale rappresentante dell'associazione, con contrarietà all'interesse generale, omettendo di fornire chiarimenti sulla tenuta dei conti, e nell'aver trascurato, malgrado i richiami del Presidente, i propri doveri di procuratore dell'associazione, non fornendo alcuna relazione scritta in ordine all'attività svolta, trattandosi di contestazioni da qualificarsi come specifiche e sostanzialmente corrispondenti alle cause di esclusione previste dallo statuto dell'associazione).

In tema di associazioni, la norma dettata dall'art. 24 c.c., secondo cui gli organi associativi possono deliberare l'esclusione dell'associato per gravi motivi, è applicabile anche alle associazioni non riconosciute ed implica che il giudice davanti al quale sia proposta l'impugnazione della deliberazione di esclusione abbia il potere-dovere di valutare se si tratti di fatti gravi e non di scarsa importanza, cioè se si sia avverata in concreto una delle ipotesi previste dalla legge e dall'atto costitutivo per la risoluzione del singolo rapporto associativo, prescindendo dall'opportunità intrinseca della deliberazione stessa.

Cass. civ. n. 9568/2017

I consorzi di urbanizzazione - consistenti in aggregazioni di persone fisiche o giuridiche, preordinate alla sistemazione o al miglior godimento di uno specifico comprensorio mediante la realizzazione e la fornitura di opere e servizi - sono figure atipiche, nelle quali i connotati delle associazioni non riconosciute si coniugano con un forte profilo di realità, sicché il giudice, nell'individuare la disciplina applicabile, deve avere riguardo, in primo luogo, alla volontà manifestata nello statuto e, solo ove questo non disponga, alla normativa delle associazioni o della comunione; ne consegue che, qualora lo statuto preveda la cessazione dell'appartenenza al consorzio per l'intervenuta alienazione del diritto reale ed il subingresso dell'acquirente nei diritti e negli obblighi dell'alienante, il nuovo proprietario subentra nel debito per le quote consortili, che è obbligazione "propter rem", senza necessità della dichiarazione di recesso o della delibera di esclusione prescritte dall'art. 24 c.c. in materia di associazioni.

Cass. civ. n. 15784/2016

In materia di associazioni riconosciute, l'associato illegittimamente escluso può conseguire il risarcimento del danno da fatto illecito a condizione di dimostrare che il comportamento degli organi associativi sia stato improntato a dolo o colpa, potendosi ipotizzare quest'ultima, in relazione alle circostanze del caso concreto con apprezzamento riservato al giudice di merito, allorché il provvedimento di esclusione adottato in assenza di gravi motivi si ponga in contrasto con i principi di correttezza, di parità di trattamento ed uguaglianza dei soci, di rispetto della loro dignità e della libertà di associazione, che devono improntare la vita dell'associazione e l'operato dei suoi organi, secondo la Costituzione e le leggi dello Stato, nonché secondo le regole interne date dagli associati medesimi.

Cass. civ. n. 18186/2004

La norma dettata dall'art. 24 c.c. — secondo cui gli organi associativi possono deliberare l'esclusione dell'associato per gravi motivi — è applicabile anche alle associazioni non riconosciute, ed implica che il giudice davanti al quale sia proposta l'impugnazione della deliberazione di esclusione abbia il potere-dovere di valutare se si tratti di fatti gravi e non di scarsa importanza, cioè se si sia avverata in concreto una delle ipotesi previste dalla legge e dall'atto costitutivo per la risoluzione del singolo rapporto associativo, prescindendo dall'opportunità intrinseca della deliberazione stessa.

Cass. civ. n. 17907/2004

La norma dettata dall'art. 24 c.c., nel condizionare l'esclusione dell'associato all'esistenza di gravi motivi, e nel prevedere, in caso di contestazione, il controllo dell'autorità giudiziaria, implica per il giudice, davanti al quale sia proposta l'impugnazione della deliberazione di esclusione, il potere non solo di accertare che l'esclusione sia stata deliberata nel rispetto delle regole procedurali al riguardo stabilite dalla legge o dall'atto costitutivo dell'ente, ma anche di verificarne la legittimità sostanziale, e quindi di stabilire se sussistono le condizioni legali e statutarie in presenza delle quali un siffatto provvedimento può essere legittimamente adottato. In particolare, la gravità dei motivi, che possono giustificare l'esclusione di un associato, è un concetto relativo, la cui valutazione non può prescindere dal modo in cui gli associati medesimi lo hanno inteso nella loro autonomia associativa; di tal che, ove l'atto costitutivo dell'associazione contenga già una ben specifica descrizione dei motivi ritenuti così gravi da provocare l'esclusione dell'associato, la verifica giudiziale è destinata ad arrestarsi al mero accertamento della puntuale ricorrenza o meno, nel caso di specie, di quei fatti che l'atto costitutivo contempla come causa di esclusione; quando, invece, nessuna indicazione specifica sia contenuta nel medesimo atto costitutivo, o quando si sia in presenza di formule generali ed elastiche, destinate ad essere riempite di volta in volta di contenuto in relazione a ciascun singolo caso, o comunque in qualsiasi altra situazione nella quale la prefigurata causa di esclusione implichi un giudizio di gravità di singoli atti o comportamenti, da operarsi necessariamente post factum il vaglio giurisdizionale si estende necessariamente anche a quest'ultimo aspetto (giacché, altrimenti, si svuoterebbe di senso la suindicata disposizione dell'art. 24 c.c.) e si esprime attraverso una valutazione di proporzionalità tra le conseguenze del comportamento addebitato all'associato e l'entità della lesione da lui arrecata agli altrui interessi, da un lato, e la radicalita del provvedimento espulsivo, che definitivamente elide l'interesse del singolo a permanere nell'associazione, dall'altro. (Principio espresso in fattispecie nella quale la delibera di espulsione era stata adottata a carico di un associato che, nel corso di un'assemblea, aveva pronunciato espressioni ritenute gravemente lesive del prestigio degli organi dell'associazione; enunciando il principio di cui in massima, la S.C. ha confermato la sentenza d'appello, la quale aveva annullato il provvedimento di espulsione).

Cass. civ. n. 6554/2001

Nelle associazioni non riconosciute, le modalità di recesso dell'associato non corrispondono necessariamente alla disciplina dettata al riguardo, per le associazioni riconosciute dall'art. 24 c.c., trattandosi di norma derogabile dalla privata autonomia senza l'adozione di particolari forme. (Nella specie l'avvenuta manifestazione di recesso, espressa verbalmente, dall'associato e solo successivamente formalizzata con lettera raccomandata, risultava da una dichiarazione scritta rilasciata all'interessato dal presidente dell'associazione non riconosciuta anteriormente al ricevimento della raccomandata, dichiarazione nella quale era menzionata la qualità di «socio uscente a tutti gli effetti»).

Cass. civ. n. 2739/2000

Il Fondo assistenza sanitaria per i dirigenti di aziende commerciali (Fasdac) è un'associazione «di secondo livello» rispetto alle associazioni rappresentative della categoria (Fendac, Confcommercio, Confetra), sl che, ai singoli beneficiari delle prestazioni erogate, non può in alcun modo riconoscersi la qualità di «associato». Ne consegue che l'associato stesso non può legittimamente invocare l'applicazione dell'art. 24, terzo comma, c.c. — in tema di esclusione degli associati dall'associazione di cui essi fanno parte — per valutare la legittimità di una delibera di esclusione adottata nei suoi confronti dall'ente.

Cass. civ. n. 6393/1998

La costituzione di un nuovo partito politico da parte di taluni membri dell'originaria formazione, nella permanenza di quest'ultima, non impedita da una eventuale nuova denominazione, si configura giuridicamente come esercizio del diritto di recesso da un'associazione non riconosciuta, che, non comportando per il recedente alcun diritto alla liquidazione di quota, rende del tutto estranei a tale vicenda profili successori fra la vecchia e la nuova associazione. Ne consegue che, evocata la prima del giudizio di primo grado, il contraddittorio in appello non deve essere integrato nei confronti della seconda, sorta nell'intervallo fra i due giudizi.

Cass. civ. n. 4244/1997

L'adesione ad un'associazione non riconosciuta, presupponendo l'accordo delle parti anche in ordine allo scopo dell'associazione stessa ed alle regole del suo ordinamento interno, comporta — come espressione del libero estrinsecarsi dell'autonomia privata in ragione dell'espressa previsione dell'art. 24, comma 2, c.c., applicabile analogicamente anche alle associazioni non riconosciute, che consente l'assunzione da parte dell'associato dell'obbligo di far parte dell'associazione per un tempo determinato — l'assoggettamento dell'aderente a siffatte regole nel loro complesso e può legittimamente comportare — senza che risulti violata la libertà negativa di associazione, tutelata, al pari della libertà (positiva) di associazione, dall'art. 18 Cost. — il differimento, per un periodo di tempo determinato negozialmente o statutariamente stabilito, dell'efficacia dall'atto di recesso dell'associato e quindi la permanenza dell'associato nell'associazione per tale periodo con conseguente persistenza di tutti gli obblighi associativi (e non solo di quelli di natura finanziaria) anche in presenza del dissenso sopravvenuto dell'associato dagli scopi e dalle modalità operative dell'associazione Rimane però salva la facoltà di recesso per giusta causa con effetto immediato, come quando venga meno un requisito essenziale per la partecipazione all'associazione, ovvero — nel caso di organizzazioni di tendenza (associazioni su base ideologica, politica o religiosa) — allorché l'associato dissenta dalle finalità dell'associazione, dovendo in tal caso prevalere il diritto (costituzionalmente garantito ed assolutamente non comprimibile ex artt. 2 e 21 Cost.) di manifestare le proprie opinioni e di autodeterminarsi in ordine ad esse, con conseguente cessazione immediata del vincolo associativo, anche se possono persistere vincoli meramente finanziari.

Cass. civ. n. 2983/1990

Nel caso di associazione sindacale di livello più elevato, formata da associazioni minori, che ne divengano soci, il recesso della singola associazione minore non implica di per sé una modificazione statutaria, e la sua legittimità deve essere riscontrata sulla base delle norme interne della medesima recedente, stabilendo se esse contemplino come essenziale o meno, rispetto ai fini istituzionali, l'adesione all'associazione maggiore.

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Consulenze legali
relative all'articolo 24 Codice Civile

Seguono tutti i quesiti posti dagli utenti del sito che hanno ricevuto una risposta da parte della redazione giuridica di Brocardi.it usufruendo del servizio di consulenza legale. Si precisa che l'elenco non è completo, poiché non risultano pubblicati i pareri legali resi a tutti quei clienti che, per varie ragioni, hanno espressamente richiesto la riservatezza.

T. T. chiede
sabato 19/10/2024
“Nel 2014 sono entrata in contatto con una associazione no profit di psicologia che si occupa di diffusione e promozione di tematiche legate alla salute mentale (con scuola di specializzazione in psicoterapia riconosciuta dal MIUR). Avevo interesse a farne parte in quanto anche io ero studentessa di psicologia, e credevo così di potermi meglio inserire.

Mi hanno offerto di divenire socio ordinario e poi anche socio fondatore della medesima società. Per inserirmi formalmente come socio fondatore mi hanno chiesto una quota una tantum per accedere alla società di 50.000 euro. In seguito all'approvazione dell'assemblea del direttivo e al versamento da parte mia avvenuto a mezzo bonifico con causale ben indicata (quota socio fondatore) sono stata inserita nella società e nel direttivo.

Negli anni successivi ho riscontrato diverse problematiche all'interno di tale società che mi hanno fatto ricredere sulla mia scelta, rilevando diverse irregolarità nella gestione che ho provato a far presente anche tramite lettera legale da parte mia. Nel 2020 a seguito del persistere di tale situazione, che mi metteva fortemente a disagio, il mio legale ha inviato una comunicazione ufficiale in cui, a causa del persistere di tale situazione incresciosa, dichiarava la mia volontà di dimettermi come socio fondatore e la restituzione della mia quota di 50.000 euro versata. A questa comunicazione la società rispose che restava in attesa di una comunicazione formale della mia dimissione da socio fondatore, comunicazione che la sottoscritta non ha tuttavia mai inviato.

Sto cercando solo adesso di mettere ordine in questa complessa e intricata situazione.

MI rivolgo a voi ponendo le seguenti domande:

1) La modalità con le quali sono stata fatta associare nel 2014 possono considerarsi valide?
2) Allo stato attuale devo considerarmi ancora parte della società o no?

Cordialmente”
Consulenza legale i 07/11/2024
Le modalità di associazione possono considerarsi valide ed efficaci, poiché rispondenti alle previsioni dello statuto e non contrarie alla legge.
L’art. 4 dello statuto, infatti, dispone: “I soci ammessi (n.d.r. la cui domanda è stata in precedenza accettata dal Presidente del Consiglio direttivo o dall’assemblea dei soci fondatori) saranno tenuti a versare con modalità e termini stabiliti dal Consiglio Direttivo una quota associativa (quota di ammissione) che verrà determinata dal Consiglio Direttivo stesso.”
La quota è stata determinata dal consiglio direttivo e il versamento ha determinato, nella sostanza, l’assunzione della qualità di socio dell’associazione; in ossequio a quanto lo statuto dispone.

Per quanto concerne la seconda questione, nello scambio di mail allegato non si rinviene alcuna formale comunicazione della volontà di recedere dall’associazione (c.d. dimissioni); soltanto nella mail del 21.05.2021 si apprende che il Suo legale in data 01.12.2020 avrebbe inviato una comunicazione in cui dava notizia della Sua volontà dimissionaria.

Posto che non possiamo esprimerci sull’efficacia di una comunicazione di cui non disponiamo, segnaliamo soltanto che le “dimissioni” (n.d.r. recesso) dall’associazione devono essere presentate entro il 30 ottobre di ogni anno; in caso contrario, i soci saranno obbligati al pagamento della quota annuale di associazione dell’anno successivo (art. 4 dello statuto, così come integrato mediante assemblea del 26.01.2015).
Le dimissioni, peraltro, costituiscono proprio una delle modalità con le quali si perde la qualità di socio (art. 5 dello statuto).

Una comunicazione di tale contenuto deve essere inviata personalmente dalla parte, ovvero da soggetto munito di procura all’uopo conferita, non potendosi, al contrario, riconoscere efficacia giuridica ad un mero scambio di corrispondenza tenuta tra legali.
Se detta comunicazione non è stata inviata, non può ritenersi perfezionato il recesso dall’associazione ("dimissioni"), con la conseguenza che dovrà ancora considerarsi socia.
A tal fine, si consiglia di inviare una comunicazione formale, da Lei sottoscritta, di recesso/dimissioni dall'associazione, a mezzo PEC o raccomandata a/r.

Infine, vale la pena segnalare che, in forza del disposto di cui all'art. 24 del c.c., il socio receduto non ha diritto alla restituzione dei contributi versati.
Vieppiù, l’art. 37 del c.c. viete all'associato di pretendere la liquidazione della propria quota in caso di recesso; ciò fintantoché dura l'associazione.
Detta ultima disposizione viene ribadita dallo statuto, nonché ampliata nei suoi effetti.
L’art. 10 impedisce al socio dimissionario di pretendere la restituzione dei contributi e delle quote versate a qualsiasi titolo; inoltre, all’art. 14 è stabilito che, anche in caso di scioglimento, il patrimonio non possa essere distribuito tra i soci, ma debba essere devoluto ad altre associazioni con finalità analoghe.

Federica P. chiede
sabato 18/05/2019 - Piemonte
“Vorrei capire come posso oppormi e nel contempo comprendere i costi di una sospensione da socia oltre che da consigliere nazionale di una associazione professionale del a poco iscritta al MISE. Siamo in 4 persone e la motivazione secondo noi della sospensione va a ledere la nostra libertà di poter andare a parlare del nostro futuro professionale individuale (siamo andati a titolo personale e non a nome e per conto dell'associazione né come consiglieri). Posso inviarvi tutto il materiale via mail( statuto, codice etico, lettera di sospensione etc..) e inoltre il tutto et stato deciso in un consiglio dove noi eravamo assenti e senza possibilità di replica.”
Consulenza legale i 26/05/2019
In base all’art. 24 del codice civile “l'esclusione d'un associato non può essere deliberata dall'assemblea che per gravi motivi; l'associato può ricorrere all'autorità giudiziaria entro sei mesi dal giorno in cui gli è stata notificata la deliberazione.Gli associati, che abbiano receduto o siano stati esclusi o che comunque abbiano cessato di appartenere all'associazione, non possono ripetere i contributi versati, né hanno alcun diritto sul patrimonio dell'associazione”.
Tuttavia, nella presente vicenda, allo stato, non vi è stata una esclusione ma una sospensione della qualità di socio, come si legge nella comunicazione datata 29.04.19 inviata dal presidente dell’associazione.
Nella medesima comunicazione è altresì specificato che l’istruttoria è ancora in corso e che in tale ambito Lei “avrà l’opportunità di chiarire la Sua posizione”.
A tal proposito, l’art. 9 del Codice Etico e di Condotta prevede espressamente che il Collegio dei Revisori dei Conti nell’approfondire i fatti richiederà al socio coinvolto idonea memoria difensiva.

Ciò posto, non esiste nel codice civile un articolo analogo all’art. 24 che sia però relativo all’ipotesi della sospensione.

In tal caso, riteniamo dunque che l’unico strumento di tutela in astratto utilizzabile potrebbe essere forse l’azione residuale del ricorso d’urgenza ai sensi dell’art. 700 c.p.c. al fine di chiedere la sospensione cautelare della delibera di sospensione.
Tuttavia, questo tipo di tutela richiede l’esistenza in primo luogo di due requisiti: il fumus boni iuris ed il periculum in mora.
Il primo requisito consiste nell'apparenza del diritto a salvaguardia del quale si intende richiedere la tutela, la cui sussistenza deve apparire come verosimile e probabile ictu oculi.
Il secondo consiste invece nel possibile pregiudizio che possa derivare al predetto diritto se si debba attendere l’esito di un giudizio ordinario, pregiudizio che dovrebbe essere imminente ed irreparabile.

Nella presente vicenda, se da un lato appare poter sussistere questo secondo requisito, circa il primo requisito non abbiamo elementi sufficienti per poter dire se sia sussistente o meno. Inoltre, dal punto di vista meramente formale, la delibera di sospensione sembrerebbe essere stata assunta nel rispetto delle formalità previste dallo statuto e dal codice etico (per inciso, lo statuto sembra presentare tutti i requisiti richiesti dall’art. 16 del codice civile).

Inoltre, la circostanza che nella presente fase il collegio dei revisori dei conti non abbia ancora richiesto la presentazione della memoria difensiva non appare illegittimo dal momento che è ancora aperta la fase di istruttoria e nell’art. 9 del codice etico non è indicato a tal proposito alcun termine di decadenza.

Quindi, seppur costituente in astratto un rimedio esperibile, allo stato non possiamo affermare con certezza che il ricorso ai sensi dell’art. 700 c.p.c. non rischi di essere dichiarato inammissibile per carenza di uno dei due presupposti di legge.

Fermo quanto precede, una strada in alternativa percorribile appare essere quella della impugnazione della eventuale delibera di esclusione (laddove dovesse essere adottata a seguito di quella di sospensione) secondo le tempistiche indicate nel sopra citato art. 24 del codice civile (entro sei mesi da quando è stata notificata).


Flavio D. S. chiede
lunedì 17/09/2018 - Lazio
“Salve, sono socio di un'associazione non riconosciuta la quale, prevede nello statuto, l'impossibilità per i soci di svolgere alcune funzioni.
Alcuni soci stanno violando lo Statuto interno e pertanto, abbiamo provveduto ad effettuare il ricorso presso il collegio dei probiviri, il quale, da regolamento e da statuto, dovrebbe rispondere entro 60 giorni dal ricorso.
Trascorso detto tempo vorremmo procedere giurisdizionalmente avverso in primo luogo il collegio dei probiviri, per non aver risposto nelle tempistiche previste (esiste in tal caso una responsabilità del presidente del Colleggio dei probiviri) e contro l'associazione per violazione dello statuto e contro i soci che stanno violando lo statuto (anche in questo caso esiste una responsabilità, in tema di risarcimento del danno, per i soci che stanno violando lo statuto?”
Consulenza legale i 24/09/2018
Andrebbe preliminarmente chiarito quale sia lo scopo dell’azione giudiziaria: se l’eliminazione dei soggetti “colpevoli” dalla compagine associativa oppure semplicemente il ristoro di un danno.
Sarebbe poi altresì opportuno visionare il contenuto dello Statuto in merito, per capire se situazioni come quella di cui al quesito siano state preventivamente regolamentate o meno dagli associati.

Nel caso in esame, in mancanza di altri dati, non si potrà che ragionare sulla base delle norme di legge, partendo dall’ipotesi dell’esclusione dei soggetti che hanno violato lo Statuto.

Sotto questo profilo, è opinione pacifica che la disciplina valevole per le associazioni riconosciute sia quasi totalmente applicabile – per analogia - anche alle associazioni non riconosciute. Sicuramente può applicarsi a queste ultime l’art. 24 c.c. che regolamenta recesso ed esclusione dei soci.

Tale norma, al terzo comma, chiarisce che un associato può essere escluso dalla compagine associativa con delibera assembleare e solo per gravi motivi.

La deliberazione, in questo caso – avendo ad oggetto l’esclusione di uno o più associati – comporterebbe una modifica dello Statuto: trattandosi, poi, di associazione non riconosciuta ed essendo quindi la fonte del rapporto (Statuto) di natura contrattuale, ogni modifica richiederebbe l’unanimità dei consensi, salvo accordi diversi per una maggioranza qualificata o semplice.

Nel caso di specie, dunque, come già osservato, bisognerebbe leggere il contenuto dello Statuto per vedere cosa sia stato previsto in merito.

Anche per quel che riguarda i gravi motivi che giustificano l’esclusione dell’associato, essi dipendono dal caso concreto: gli associati possono già preventivamente aver individuato ed elencato nello Statuto le condotte che legittimano l’esclusione; in caso contrario, l’assemblea dovrà operare, di volta in volta, una valutazione di proporzionalità tra la gravità della violazione (nel quesito non si specifica in cosa siano consistite le lamentate violazioni) e la gravità della sanzione irrogata.

Contro la delibera, poi, l’associato colpito dall’esclusione (e solo lui, si noti bene) ha diritto di ricorrere avanti all’Autorità Giudiziaria.

Qualora lo scopo di chi pone il quesito sia quello, invece, di ottenere il risarcimento di un danno, è bene chiarire che un’azione risarcitoria è sempre possibile avanti all’Autorità Giudiziaria, basta sapere che chi agisce in responsabilità ha l’onere, evidentemente, di provare il danno e che quest’ultimo non è dovuto in automatico – ovvero per il solo fatto che si è verificata una violazione statutaria – ma andrà dimostrato un pregiudizio effettivo ai danni dell’associazione causalmente riconducibile alla condotta degli associati.
Ciò per quanto riguarda gli associati.

Per quanto riguarda, invece, il Collegio dei Probiviri, è opportuno sottolineare come quest’ultimo non sia un organo “necessario”, ovvero obbligatorio per legge: anzi, la legge neppure ne fa menzione nella disciplina sulle associazioni.
Non è infrequente, tuttavia, che nella realtà gli statuti delle società cooperative o delle associazioni prevedano l’istituzione di tale organo, che assume in effetti il compito di risolvere eventuali controversie tra associati/soci ed associazione/società, riguardanti il rapporto sociale (ammissione di nuovi soggetti, esclusione, recesso) o la gestione dell’ente.
La giurisprudenza lo definisce (con riferimento, nella fattispecie, alle società) come un “sistema di tutela non arbitrale, ma endosocietario, cioè diretto non a decidere la controversia, ma a prevenirla” (Cass. civ. Sez. I Sent., 28/05/2012, n. 8429).

Qualora lo Statuto lo abbia previsto, dunque, il Collegio dei Probiviri sarà un soggetto che opererà e risponderà secondo le regole interne che gli associati si sono dati.
Per capire, allora – tornando al quesito - se esistono delle responsabilità del Collegio per il mancato rispetto delle tempistiche di procedura oppure in capo nello specifico al Presidente, occorrerà, lo si ripete, leggere lo Statuto e vedere se qualcosa sia stato previsto in merito.
In caso negativo, e quindi in difetto di sanzioni statutarie ad hoc per ipotesi come quelle evidenziate nel quesito, si potrà sicuramente ricorrere all’Autorità Giudiziaria ordinaria.
Più precisamente, si potrà impugnare la decisione del Collegio avanti al Giudice, se si vuole contestare l’esito della medesima per invalidarla e/o il mancato rispetto del termine dei 60 giorni.
Oppure ancora, se non è in contestazione il contenuto della delibera ma solo la condotta non rispettosa delle regole statutarie, si potrà agire in ogni caso avanti al Giudice per far valere una responsabilità, avendo tuttavia sempre ben chiaro prima lo scopo dell’azione.
Vale, qui, a tal proposito, lo stesso ragionamento sopra condotto per l’associato:
  1. se l’obiettivo è sciogliere il Collegio, si tratterà di una modifica statutaria e come tale andrà deliberata con i quorum necessari;
  2. se l’obiettivo è solamente quello di ottenere un risarcimento, si dovrà provare che c’è stato un danno ed il nesso di causalità rispetto alla condotta del Collegio.