Cass. civ. n. 25319/2021
Ai fini della validità della delibera di esclusione dell'associato da un'associazione non riconosciuta, come per quella di esclusione da un'associazione riconosciuta, non è necessaria la preventiva contestazione dell'addebito, atteso che tale contestazione non è richiesta da alcuna disposizione di legge, salvo che non vi sia una previsione di statuto in tal senso.
Cass. civ. n. 22605/2021
La validità di una delibera di esclusione dell'associato da una associazione, non presuppone necessariamente la preventiva contestazione dell'addebito all'associato, atteso che essa non è prevista da alcuna disposizione di legge (né, nella specie, dello statuto) e che la fase conteziosa non ha carattere preventivo, ma segue in sede di opposizione; né, ai fini del decorso del termine per proporre l'opposizione medesima, è necessaria la comunicazione di addebiti rigorosamente enunciati, dovendo l'esigenza di specificità della contestazione ritenersi soddisfatta allorquando le indicazioni fornite consentano di individuare le ragioni dell'esclusione, così da porre l'associato in condizione di predisporre la difesa.
Cass. civ. n. 22986/2019
La norma dettata dall'art. 24 c.c., secondo cui gli organi associativi possono deliberare l'esclusione dell'associato per gravi motivi, è applicabile anche alle associazioni non riconosciute, ed implica che il giudice davanti al quale sia proposta l'impugnazione della deliberazione di esclusione abbia il potere-dovere di valutare se si tratti di fatti gravi e non di scarsa importanza, cioè se si sia avverata in concreto una delle ipotesi previste dalla legge e dall'atto costitutivo per la risoluzione del singolo rapporto associativo, prescindendo dall'opportunità intrinseca della deliberazione stessa. (Nella specie la S.C. ha ritenuto contraddittoria e perciò meramente apparente la decisione della corte di merito, che aveva annullato la delibera di esclusione dell'associato a causa della genericità delle contestazioni mossegli, pur riportando che esse consistevano, tra l'altro, nell'aver amministrato, in qualità di legale rappresentante dell'associazione, con contrarietà all'interesse generale, omettendo di fornire chiarimenti sulla tenuta dei conti, e nell'aver trascurato, malgrado i richiami del Presidente, i propri doveri di procuratore dell'associazione, non fornendo alcuna relazione scritta in ordine all'attività svolta, trattandosi di contestazioni da qualificarsi come specifiche e sostanzialmente corrispondenti alle cause di esclusione previste dallo statuto dell'associazione).
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In tema di associazioni, la norma dettata dall'art. 24 c.c., secondo cui gli organi associativi possono deliberare l'esclusione dell'associato per gravi motivi, è applicabile anche alle associazioni non riconosciute ed implica che il giudice davanti al quale sia proposta l'impugnazione della deliberazione di esclusione abbia il potere-dovere di valutare se si tratti di fatti gravi e non di scarsa importanza, cioè se si sia avverata in concreto una delle ipotesi previste dalla legge e dall'atto costitutivo per la risoluzione del singolo rapporto associativo, prescindendo dall'opportunità intrinseca della deliberazione stessa.
Cass. civ. n. 9568/2017
I consorzi di urbanizzazione - consistenti in aggregazioni di persone fisiche o giuridiche, preordinate alla sistemazione o al miglior godimento di uno specifico comprensorio mediante la realizzazione e la fornitura di opere e servizi - sono figure atipiche, nelle quali i connotati delle associazioni non riconosciute si coniugano con un forte profilo di realità, sicché il giudice, nell'individuare la disciplina applicabile, deve avere riguardo, in primo luogo, alla volontà manifestata nello statuto e, solo ove questo non disponga, alla normativa delle associazioni o della comunione; ne consegue che, qualora lo statuto preveda la cessazione dell'appartenenza al consorzio per l'intervenuta alienazione del diritto reale ed il subingresso dell'acquirente nei diritti e negli obblighi dell'alienante, il nuovo proprietario subentra nel debito per le quote consortili, che è obbligazione "propter rem", senza necessità della dichiarazione di recesso o della delibera di esclusione prescritte dall'art. 24 c.c. in materia di associazioni.
Cass. civ. n. 15784/2016
In materia di associazioni riconosciute, l'associato illegittimamente escluso può conseguire il risarcimento del danno da fatto illecito a condizione di dimostrare che il comportamento degli organi associativi sia stato improntato a dolo o colpa, potendosi ipotizzare quest'ultima, in relazione alle circostanze del caso concreto con apprezzamento riservato al giudice di merito, allorché il provvedimento di esclusione adottato in assenza di gravi motivi si ponga in contrasto con i principi di correttezza, di parità di trattamento ed uguaglianza dei soci, di rispetto della loro dignità e della libertà di associazione, che devono improntare la vita dell'associazione e l'operato dei suoi organi, secondo la Costituzione e le leggi dello Stato, nonché secondo le regole interne date dagli associati medesimi.
Cass. civ. n. 18186/2004
La norma dettata dall'art. 24 c.c. — secondo cui gli organi associativi possono deliberare l'esclusione dell'associato per gravi motivi — è applicabile anche alle associazioni non riconosciute, ed implica che il giudice davanti al quale sia proposta l'impugnazione della deliberazione di esclusione abbia il potere-dovere di valutare se si tratti di fatti gravi e non di scarsa importanza, cioè se si sia avverata in concreto una delle ipotesi previste dalla legge e dall'atto costitutivo per la risoluzione del singolo rapporto associativo, prescindendo dall'opportunità intrinseca della deliberazione stessa.
Cass. civ. n. 17907/2004
La norma dettata dall'art. 24 c.c., nel condizionare l'esclusione dell'associato all'esistenza di gravi motivi, e nel prevedere, in caso di contestazione, il controllo dell'autorità giudiziaria, implica per il giudice, davanti al quale sia proposta l'impugnazione della deliberazione di esclusione, il potere non solo di accertare che l'esclusione sia stata deliberata nel rispetto delle regole procedurali al riguardo stabilite dalla legge o dall'atto costitutivo dell'ente, ma anche di verificarne la legittimità sostanziale, e quindi di stabilire se sussistono le condizioni legali e statutarie in presenza delle quali un siffatto provvedimento può essere legittimamente adottato. In particolare, la gravità dei motivi, che possono giustificare l'esclusione di un associato, è un concetto relativo, la cui valutazione non può prescindere dal modo in cui gli associati medesimi lo hanno inteso nella loro autonomia associativa; di tal che, ove l'atto costitutivo dell'associazione contenga già una ben specifica descrizione dei motivi ritenuti così gravi da provocare l'esclusione dell'associato, la verifica giudiziale è destinata ad arrestarsi al mero accertamento della puntuale ricorrenza o meno, nel caso di specie, di quei fatti che l'atto costitutivo contempla come causa di esclusione; quando, invece, nessuna indicazione specifica sia contenuta nel medesimo atto costitutivo, o quando si sia in presenza di formule generali ed elastiche, destinate ad essere riempite di volta in volta di contenuto in relazione a ciascun singolo caso, o comunque in qualsiasi altra situazione nella quale la prefigurata causa di esclusione implichi un giudizio di gravità di singoli atti o comportamenti, da operarsi necessariamente
post factum il vaglio giurisdizionale si estende necessariamente anche a quest'ultimo aspetto (giacché, altrimenti, si svuoterebbe di senso la suindicata disposizione dell'art. 24 c.c.) e si esprime attraverso una valutazione di proporzionalità tra le conseguenze del comportamento addebitato all'associato e l'entità della lesione da lui arrecata agli altrui interessi, da un lato, e la radicalita del provvedimento espulsivo, che definitivamente elide l'interesse del singolo a permanere nell'associazione, dall'altro. (Principio espresso in fattispecie nella quale la delibera di espulsione era stata adottata a carico di un associato che, nel corso di un'assemblea, aveva pronunciato espressioni ritenute gravemente lesive del prestigio degli organi dell'associazione; enunciando il principio di cui in massima, la S.C. ha confermato la sentenza d'appello, la quale aveva annullato il provvedimento di espulsione).
Cass. civ. n. 6554/2001
Nelle associazioni non riconosciute, le modalità di recesso dell'associato non corrispondono necessariamente alla disciplina dettata al riguardo, per le associazioni riconosciute dall'art. 24 c.c., trattandosi di norma derogabile dalla privata autonomia senza l'adozione di particolari forme. (Nella specie l'avvenuta manifestazione di recesso, espressa verbalmente, dall'associato e solo successivamente formalizzata con lettera raccomandata, risultava da una dichiarazione scritta rilasciata all'interessato dal presidente dell'associazione non riconosciuta anteriormente al ricevimento della raccomandata, dichiarazione nella quale era menzionata la qualità di «socio uscente a tutti gli effetti»).
Cass. civ. n. 2739/2000
Il Fondo assistenza sanitaria per i dirigenti di aziende commerciali (Fasdac) è un'associazione «di secondo livello» rispetto alle associazioni rappresentative della categoria (Fendac, Confcommercio, Confetra), sl che, ai singoli beneficiari delle prestazioni erogate, non può in alcun modo riconoscersi la qualità di «associato». Ne consegue che l'associato stesso non può legittimamente invocare l'applicazione dell'art. 24, terzo comma, c.c. — in tema di esclusione degli associati dall'associazione di cui essi fanno parte — per valutare la legittimità di una delibera di esclusione adottata nei suoi confronti dall'ente.
Cass. civ. n. 6393/1998
La costituzione di un nuovo partito politico da parte di taluni membri dell'originaria formazione, nella permanenza di quest'ultima, non impedita da una eventuale nuova denominazione, si configura giuridicamente come esercizio del diritto di recesso da un'associazione non riconosciuta, che, non comportando per il recedente alcun diritto alla liquidazione di quota, rende del tutto estranei a tale vicenda profili successori fra la vecchia e la nuova associazione. Ne consegue che, evocata la prima del giudizio di primo grado, il contraddittorio in appello non deve essere integrato nei confronti della seconda, sorta nell'intervallo fra i due giudizi.
Cass. civ. n. 4244/1997
L'adesione ad un'associazione non riconosciuta, presupponendo l'accordo delle parti anche in ordine allo scopo dell'associazione stessa ed alle regole del suo ordinamento interno, comporta — come espressione del libero estrinsecarsi dell'autonomia privata in ragione dell'espressa previsione dell'art. 24, comma 2, c.c., applicabile analogicamente anche alle associazioni non riconosciute, che consente l'assunzione da parte dell'associato dell'obbligo di far parte dell'associazione per un tempo determinato — l'assoggettamento dell'aderente a siffatte regole nel loro complesso e può legittimamente comportare — senza che risulti violata la libertà negativa di associazione, tutelata, al pari della libertà (positiva) di associazione, dall'art. 18 Cost. — il differimento, per un periodo di tempo determinato negozialmente o statutariamente stabilito, dell'efficacia dall'atto di recesso dell'associato e quindi la permanenza dell'associato nell'associazione per tale periodo con conseguente persistenza di tutti gli obblighi associativi (e non solo di quelli di natura finanziaria) anche in presenza del dissenso sopravvenuto dell'associato dagli scopi e dalle modalità operative dell'associazione Rimane però salva la facoltà di recesso per giusta causa con effetto immediato, come quando venga meno un requisito essenziale per la partecipazione all'associazione, ovvero — nel caso di organizzazioni di tendenza (associazioni su base ideologica, politica o religiosa) — allorché l'associato dissenta dalle finalità dell'associazione, dovendo in tal caso prevalere il diritto (costituzionalmente garantito ed assolutamente non comprimibile
ex artt. 2 e 21 Cost.) di manifestare le proprie opinioni e di autodeterminarsi in ordine ad esse, con conseguente cessazione immediata del vincolo associativo, anche se possono persistere vincoli meramente finanziari.
Cass. civ. n. 2983/1990
Nel caso di associazione sindacale di livello più elevato, formata da associazioni minori, che ne divengano soci, il recesso della singola associazione minore non implica di per sé una modificazione statutaria, e la sua legittimità deve essere riscontrata sulla base delle norme interne della medesima recedente, stabilendo se esse contemplino come essenziale o meno, rispetto ai fini istituzionali, l'adesione all'associazione maggiore.