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Articolo 2288 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 26/11/2024]

Esclusione di diritto

Dispositivo dell'art. 2288 Codice Civile

È escluso di diritto il socio nei confronti del quale sia stata aperta o estesa la procedura di liquidazione giudiziale secondo il Codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza(2).

Parimenti è escluso di diritto il socio nei cui confronti un suo creditore particolare abbia ottenuto la liquidazione della quota a norma dell'articolo 2270.

Note

(1) Così modificato dall'art. 382, co. 2 del D.Lgs. 12 gennaio 2019, n. 14.

Ratio Legis

A differenza dell'art. 2286, la disposizione individua le fattispecie che danno luogo, ex lege, all'esclusione del socio.

Spiegazione dell'art. 2288 Codice Civile

Oltre alle ipotesi di esclusione facoltativa di cui all'art. 2286, la legge disciplina due ipotesi di esclusione di diritto, nelle quali lo scioglimento del rapporto partecipativo si verifica al ricorrere dei presupposti individuati dalla norma ed a prescindere dalla volontà della compagine sociale.

La prima ipotesi è quella in cui nei confronti del socio sia stata dichiarata l’apertura della liquidazione giudiziale (in proprio o per estensione), in quanto la legge intende preservare la società dagli effetti negativi dell'insolvenza del socio.

La seconda ipotesi si verifica allorquando il creditore particolare del socio abbia ottenuto la liquidazione della quota del socio debitore.

Massime relative all'art. 2288 Codice Civile

Cass. civ. n. 5449/2015

La dichiarazione di fallimento del socio illimitatamente responsabile di società di persone determina la sua esclusione di diritto dalla società, ai sensi dell'art. 2288 cod. civ. - applicabile, come nella specie, ex art. 2293 cod. civ., alla società in nome collettivo - ed il bilanciamento tra la tutela della società e la massa creditoria del fallimento del socio si realizza, da un lato, evitando alla società l'eventualità pregiudizievole di avere il fallimento nella compagine e precludendo al fallimento di vendere la quota in via esecutiva; dall'altro, nel rendere oggetto della massa attiva fallimentare il credito di liquidazione della quota.

Cass. civ. n. 6734/2011

La dichiarazione di fallimento del socio illimitatamente responsabile di società di persone determina la sua esclusione di diritto dalla società, ai sensi dell'art. 2288 c.c. - applicabile, come nella specie, ex art. 2293 c.c. alla società in nome collettivo - e tuttavia la revoca di tale dichiarazione di fallimento produce la reviviscenza della predetta qualità con effetti "ex tunc", quando lo scioglimento del vincolo sociale particolare, pur riferibile al momento dell'originaria dichiarazione di fallimento, non sia seguito dal completo esaurimento, ex art. 72 legge fallim., del rapporto societario pendente mediante la liquidazione della quota societaria stessa ovvero, per la società costituita da due soci, come nella specie, mediante la liquidazione della società, ex art. 2272, n. 4, c.c.; ne consegue che, non verificandosi alcuno dei predetti eventi, il socio risponde anche dei debiti della società sorti durante il periodo in cui egli è restato assoggettato al fallimento poi revocato.

Cass. civ. n. 17953/2008

Il fallimento delle società di persone non determina lo scioglimento del vincolo sociale, poiché l'esclusione di diritto del socio che sia dichiarato fallito, prevista dall'art. 2288 c.c., applicabile alle società di fatto in virtù del disposto dell'art. 2297 c.c., tende a preservare la società in bonis dagli effetti dell'insolvenza personale del socio e non opera, quindi, nell'ipotesi in cui il fallimento del socio sia effetto di quello della società, in forza della responsabilità illimitata del primo per le obbligazioni della seconda. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata, la quale aveva escluso che il decorso di un anno dalla dichiarazione di fallimento della società impedisse la dichiarazione di fallimento del socio ai sensi dell'art. 147 legge fall.).

Cass. civ. n. 8091/2003

In tema di Irpef e con riguardo ai redditi prodotti in forma associata, il fallimento (conseguente ad un'attività esercitata in proprio dal medesimo) del socio accomandante di una società in accomandita semplice produce l'effetto dell'esclusione di diritto del socio stesso dalla società, con conseguente venir meno dell'imputazione automatica del reddito sociale ex art. 5 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 597 (applicabile ratione temporis, ora art. 5 del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917). Tale conclusione deriva dalla mancanza, per le società in accomandita semplice, di ima norma specifica di deroga alla disciplina dettata dall'art. 228 c.c. — il quale prevede il prodursi di detto effetto per i soci, dichiarati falliti, delle società semplici ed è applicabile alle società in accomandita semplice in base ai richiami contenuti negli artt. 2293 e 2315 dello stesso codice — dalla assimilazione dello status di socio accomandante a quello di socio di società semplice, dell'applicabilità al socio di società in accomandita semplice dell'istituto della esclusione di cui all'art. 2287 c.c., nonché, infine, dalla «equiparazione» delle società di persone effettuata, ai fieni fiscali, dalla suddetta normativa in tema di redditi prodotti in forma associata.

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