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Articolo 2116 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 26/11/2024]

Prestazioni

Dispositivo dell'art. 2116 Codice Civile

Le prestazioni indicate nell'articolo 2114 sono dovute al prestatore di lavoro, anche quando l'imprenditore non ha versato regolarmente i contributi dovuti alle istituzioni di previdenza e di assistenza, salvo diverse disposizioni delle leggi speciali [o delle norme corporative](1) [2115].

Nei casi in cui, secondo tali disposizioni, le istituzioni di previdenza e di assistenza, per mancata o irregolare contribuzione, non sono tenute a corrispondere in tutto o in parte le prestazioni dovute, l'imprenditore è responsabile del danno che ne deriva al prestatore di lavoro [1218, 2246, 2751 bis, n. 1](2).

Note

(1) Le norme corporative sono state abrogate quali fonti di diritto per effetto della soppressione dell'ordinamento corporativo disposta con R.D.L. 9 agosto 1943, n. 721.
(2) Il diritto del lavoratore alle prestazioni previdenziali spetta indipendentemente dal fatto che il datore abbia o meno versato i contributi dovuti e ciò in applicazione del principio generale di automatismo delle prestazioni previdenziali.

Ratio Legis

L'omissione della contribuzione produce un pregiudizio patrimoniale a carico del lavoratore che si distingue in due:
a) perdita, totale o parziale, della prestazione previdenziale pensionistica che si verifica quando il prestatore raggiunge l'età pensionabile;
b) necessità di costituire la provvista necessaria ad ottenere un beneficio economico corrispondente alla pensione.

Massime relative all'art. 2116 Codice Civile

Cass. civ. n. 15947/2021

In tema di omissioni contributive, l'azione attribuita al lavoratore dall'art. 2116 c.c. per il conseguimento del risarcimento del danno patrimoniale - consistente nella perdita totale del trattamento pensionistico ovvero nella percezione di un trattamento inferiore a quello altrimenti spettante - presuppone che siano maturati i requisiti per l'accesso alla prestazione previdenziale e postula l'intervenuta prescrizione del credito contributivo; ne consegue che prima del perfezionamento dell'età pensionabile, in presenza di diritti non ancora entrati nel patrimonio del creditore, sussiste l'impossibilità di disporre validamente della posizione giuridica soggettiva inerente al diritto al risarcimento del danno pensionistico.

Cass. civ. n. 27427/2020

Il principio dell'automatismo delle prestazioni previdenziali, di cui all'art. 2116 c.c., così come interpretato dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 374 del 1997, trova applicazione, con riguardo ai vari sistemi di previdenza e assistenza obbligatorie, come regola generale e può essere derogato solo in base a specifiche disposizioni di legge, le quali devono espressamente prevedere anche la eventuale limitazione dell'automatismo al solo caso in cui non sia prescritto il diritto dell'ente previdenziale alla percezione dei contributi.

Cass. civ. n. 27660/2018

In tema di omissioni contributive, il presupposto dell'azione risarcitoria attribuita al lavoratore dall'art. 2116 c.c. è costituito dall'intervenuta prescrizione del credito contributivo, poiché, una volta che si siano realizzati i requisiti per l'accesso alla prestazione previdenziale, tale situazione determina l'attualizzarsi per il lavoratore del danno patrimoniale risarcibile, consistente nella perdita totale del trattamento pensionistico ovvero nella percezione di un trattamento inferiore a quello altrimenti spettante.

Cass. civ. n. 20827/2013

Il danno subito dal lavoratore per la perdita della pensione, derivata dall'omessa contribuzione previdenziale da parte del datore di lavoro ex art. 2116 c.c., si verifica al raggiungimento dell'anzianità pensionabile, con la conseguenza che da tale momento decorre il termine decennale di prescrizione del diritto al risarcimento, fermo restando, peraltro, che - completata la fattispecie produttiva del danno - il lavoratore è tenuto a provare di aver chiesto vanamente al datore di lavoro la costituzione della rendita vitalizia di cui all'art. 13, legge 12 agosto 1962, n. 1338, dovendosi ritenere, diversamente, che abbia concorso con la propria negligenza a cagionare il danno medesimo, che può essere, conseguentemente, ridotto od escluso ai sensi dell'art. 1227 c.c..

Cass. civ. n. 10119/2012

Il principio di automaticità ex art. 2116 c.c., per il quale le prestazioni previdenziali spettano anche in relazione ai contributi dovuti e non versati, nei limiti della prescrizione contributiva, vale non soltanto ai fini dell'insorgenza del diritto alla pensione, ma anche per la relativa quantificazione, essendo onere del lavoratore provare l'esistenza del rapporto di lavoro e l'entità delle retribuzioni percepite.

Cass. civ. n. 13930/2006

Attesa la natura previdenziale dell'obbligazione a carico del Fondo di garanzia, in caso di insolvenza del, datore di lavoro, ricondotta l'attività svolta dai lavoratore nel regime del rapporto di lavoro subordinato, deve farsi applicazione del principio di automaticità delle prestazioni, per cui il requisito di contribuzione si deve intendere verificato anche quando in concreto i contributi non siano stati versati, purché risultino dovuti nei limiti della prescrizione.

Cass. civ. n. 26990/2005

L'omissione della contribuzione produce un pregiudizio patrimoniale a carico del prestatore di lavoro, distinguendosi due tipi di danno: l'uno, dato dalla perdita, totale o parziale, della prestazione previdenziale pensionistica, che si verifica al momento in cui il lavoratore raggiunge l'età pensionabile; l'altro, dato dalla necessità di costituire la provvista necessaria ad ottenere un beneficio economico corrispondente alla pensione, attraverso una previdenza sostitutiva, eventualmente pagando quanto occorre a costituire la rendita di cui all'art. 13 della legge n. 1338 del 1962. Ne consegue che le situazioni giuridiche soggettive di cui può essere titolare il lavoratore, nei confronti del datore di lavoro, consistono: una volta raggiunta l'età pensionabile, nella perdita totale o parziale della pensione che dà luogo al danno risarcibile ex art. 2116 c.c.; prima del raggiungimento dell'età pensionabile e del compimento della prescrizione de] diritto ai contributi, nel danno da irregola¬rità contributiva a fronte del quale il lavoratore può esperire un'azione di condanna generica al risarcimento del danno ex art. 2116 c.c. ovvero di mero accertamento dell'omissione contributiva quale comportamento potenzialmente dannoso. (Nella specie, la S.C. ha confermato la decisione di merito che aveva condannato la società datrice di lavoro al risarcimento del danno e a regolarizzare la posizione contributiva, reputando infondata la doglianza del ricorrente in ordine alla pretesa illegittimità di una condanna generica di regolarizzazione contributiva).

Cass. civ. n. 16300/2004

Il principio generale dell'automatismo delle prestazioni previdenziali, ai sensi dell'art. 2116 c.c., confermato, per l'assicurazione generale obbligatoria per invalidità, vecchiaia e superstiti, dall'art. 27, comma secondo, del R.D.L. 14 aprile 1939, n. 636, nel testo sostituito dall'art. 23 ter del decreto legge 30 giugno 1972, n. 267, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 agosto 1972, n. 485, e rafforzato dall'art. 3 D.L.vo 27 gennaio 1992, n. 80, in forza del quale le prestazioni previdenziali spettano al lavoratore anche quando i contributi dovuti non siano stati effettivamente versati, deve essere interpretato, alla luce della sentenza della Corte costituzionale n. 374 del 1997, nel senso che esso trova applicazione, con riguardo ai vari sistemi di previdenza e assistenza obbligatorie, come regola generale rispetto alla quale possono esservi deroghe solo se espressamente previste dal legislatore e non solo in relazione al raggiungimento del requisito minimo necessario per il conseguimento del diritto alle prestazioni, ma anche ai fini dell'incremento delle prestazioni già spettanti.

Cass. civ. n. 7139/2003

Colui che intende far accertare la natura subordinata del proprio rapporto di lavoro, al fine di poter usufruire delle relative prestazioni previdenziali e assicurative, ha l'onere di provare in modo certo l'elemento tipico qualificante del requisito della subordinazione, mentre non è configurabile, in capo all'istituto di previdenza, un onere di dimostrare l'insussistenza dei requisiti prescritti per le erogazioni richieste dal lavoratore, in quanto la contestazione di tali requisiti da parte dell'ente, risolvendosi nella contestazione di uno degli elementi costitutivi della altrui pretesa, non integra una eccezione in senso stretto ma una mera difesa.

Cass. civ. n. 7459/2002

Ove il lavoratore abbia dato comunicazione dell'omissione contributiva del datore di lavoro al competente ente previdenziale e quest'ultimo non abbia provveduto a conseguire i contributi omessi, lo stesso ente, in quanto obbligato, nell'ambito del rapporto giuridico con l'interessato (anche ex art. 1175 e 1176 c.c.), alla diligente riscossione di un credito che, ancorché proprio, vale a soddisfare il diritto costituzionalmente protetto del lavoratore, è tenuto a provvedere alla regolarizzazione della posizione assicurativa del lavoratore medesimo, ove a quest ultimo sia precluso di ricorrere alla costituzione della rendita ex art. 13 legge n. 1338 del 1962 o all'azione di risarcimento danni ex art. 2116 c.c.

Cass. civ. n. 6409/2002

In tema di prestazioni di previdenza obbligatoria, va riconosciuto il diritto del lavoratore di agire per far accertare la computabilità dei contributi dovuti e non versati dal datore di lavoro, ancorché non venga ancora rivendicato il diritto alla relativa prestazione, atteso che l'interesse ad agire deriva in tali ipotesi dalla contestazione dell'ente previdenziale in ordine alla computabilità dei contributi medesimi.

Cass. civ. n. 5767/2002

In difetto di normative speciali derogatorie, il principio di automatismo delle prestazioni previdenziali, di cui all'art. 2116 c.c., comportando l'effetto di rendere indipendente il rapporto contributivo intercorrente tra ente previdenziale e datore di lavoro rispetto all'altro, di tipo prestazionale, tra l'ente e l'assicurato, opera non soltanto alla maturazione del diritto a pensione, ma già nel corso del rapporto previdenziale, dovendosi quindi configurare l'esistenza di un diritto del lavoratore alla integrità della posizione assicurativa, esercitabile anche quando l'assicurato, avvalendosi della facoltà riconosciutagli dall'art. 2 della legge n. 29 del 1979, intenda trasferire la propria posizione assicurativa presso altra gestione. Ne consegue che, essendo l'ente previdenziale, al quale, per effetto di quel principio, fa carico il rischio derivante da eventuali inadempimenti del datore di lavoro ai propri obblighi contributivi, e nei limiti della prescrizione, tenuto a garantire l'integrità della posizione assicurativa, il trasferimento di quest'ultima, richiesto dal lavoratore per la ricongiunzione in un'unica gestione dei periodi assicurativi esistenti in gestioni diverse, deve comprendere anche la contribuzione ancora non recuperata dall'ente previdenziale nei confronti del datore di lavoro tenuto a versarla. (Nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza impugnata, che aveva respinto — sul presupposto della applicabilità dell'art. 39 della legge n. 153 del 1969 soltanto alle omissioni contributive correlate al fallimento e non anche a quelle verificatesi per le imprese sottoposte alle procedure di ammini¬strazione straordinaria — la domanda di alcuni lavoratori volta ad ottenere la condanna dell'INPS ad accreditare nelle singole posizioni contributive di ciascuno di essi i contributi previdenziali non versati da una società ammessa alla procedura di amministrazione straordinaria e a trasferire i contributi medesimi presso le gestioni assicurative nelle quali essi risultavano iscritti alla data della domanda di ricongiunzione).

Cass. civ. n. 14680/1999

In caso di prescrizione del credito dell'Inps nei confronti del datore di lavoro per contributi previdenziali e di successiva costituzione di rendita vitalizia a norma dell'art. 13 L. n. 1338 del 1962 con versamento della relativa riserva matematica all'Inps da parte del lavoratore interessato, compete a quest'ultimo — nel termine prescrizionale decorrente dalla perdita (totale o parziale) del trattamento previdenziale — l'ordinaria azione risarcitoria prevista dall'art. 2116, secondo comma, c.c., anche nel caso in cui non sia più esercitabile l'azione per la restituzione di quanto versato per la costituzione della rendita vitalizia, mancando il necessario presupposto della perdurante azionabilità (sotto il profilo della prescrizione) della pretesa del lavoratore nei confronti del datore di lavoro di vedersi costituire, a spese di quest'ultimo, la suddetta rendita vitalizia, il cui termine prescrizionale decorre già a partire dalla data di prescrizione del credito contributivo dell'Inps. Né alla qualificazione quale risarcitoria dell'azione proposta dal lavoratore conto il datore di lavoro, e quindi alla decorrenza della prescrizione solo dalla perdita del trattamento previdenziale, osta la circostanza che ai fini della quantificazione del danno si faccia riferimento alla riserva matematica ex art. 13 cit.

Cass. civ. n. 10945/1998

Nel caso di omissione contributiva sussiste l'interesse del lavoratore ad agire per il risarcimento del danno (ex art. 2116 c.c.) ancor prima del verificarsi degli eventi condizionanti l'erogazione delle prestazioni previdenziali, avvalendosi, a tale fine, della domanda di condanna generica al risarcimento dei danni, volta ad accertare la potenzialità dell'omissione contributiva a provocare danno.

Cass. civ. n. 486/1994

Con riguardo a lavoratore il quale, essendosi prescritti i contributi non versati dal datore di lavoro, abbia proposto contro il medesimo azione di risarcimento dei danni ai sensi dell'ari. 2116 c.c. facendo riferimento all'art. 13 della legge 12 agosto 1962, n. 1338 per la sola quantificazione delle somme richieste a titolo risarcitorio, è irrilevante l'indagine in ordine alla sussistenza delle particolari condizioni richieste dal detto art. 13; restando peraltro legíttíma la determinazione del pregiudizio sulla base della somma necessaria alla costituzione della rendita in base alla normativa vigente al tempo della domanda risarcitoria, pur successiva alla cessazione del rapporto di lavoro, ed essendo da escludere - ai fini della riduzione dell'obbligo risarcitorio ai sensi dell'art. 1227, secondo comma, c.c. - che nell'ordinaria diligenza considerata da tale norma rientri un onere del lavoratore di richiedere al datore di lavoro l'esercizio (prima della cessazione del rapporto) della facoltà di cui al citato art. 13 della legge n. 1338 del 1962 o di provvedere egli direttamente, ove non possa ottenerla dal datore di lavoro, alla costituzione della rendita.

Cass. civ. n. 1434/1993

In tema di rapporto di agenzia, la responsabilità del preponente per i danni derivanti dal mancato versamento dei contributi Enasarco, soggiace alla disciplina degli artt. 1218 e segg. c.c., non trovando al riguardo applicazione l'art. 2116 c.c., che è dettato con esplicito ed esclusivo riferimento al rapporto di lavoro subordinato.

Cass. civ. n. 4236/1992

Il principio di automatismo delle prestazioni previdenziali, enunciato in via generale dall'art. 2116 c.c., trova applicazione solo in quanto il sistema delle leggi speciali vi si adegui, disponendo espressamente in proposito e provvedendo in ordine alla relativa provvista finanziaria; pertanto, in tema di pensioni, detto principio opera, a norma dell'art. 27, secondo comma, del R.D.L. 14 aprile 1939, n. 636 (come successivamente modificato), solo in relazione alle pensioni ordinarie, facenti capo all'assicurazione generale obbligatoria, ma non si applica ai fondi di previdenza speciali regolati da diversa ed autonoma disciplina, come il Fondo di previdenza per gli impiegati dipendenti dalle esattorie e ricevitorie delle imposte dirette, il quale, ai sensi dell'art. 49, secondo comma, della L. 2 aprile 1958, n. 377 (che, non menzionandole, esclude le prestazioni pensionistiche), è tenuto solo ad una prestazione di capitale.

Cass. civ. n. 6092/1991

Ai fini del risarcimento del danno da omissione contributiva ex art. 2116 c.c. l'inerzia dell'assicurato che non abbia provveduto per lungo tempo a chiedere all'istituto previdenziale il controllo sulla propria posizione assicurativa non può essere valutata come fatto colposo del creditore, tale da determinare la diminuzione del risarcimento stesso ai sensi dell'art. 1227 secondo comma c.c., in quanto non sussiste in proposito alcun dovere di attività del lavoratore subordinato, e il principio posto da detta norma non richiede da parte del creditore o danneggiato un'attività più onerosa di quel che comporta l'uso di un'ordinaria diligenza.

Cass. civ. n. 6568/1979

Il diritto al risarcimento del danno per omessa od irregolare contribuzione assicurativa, di cui al secondo comma dell'art. 2116 cod. civ., sorge nel momento in cui si verifica il duplice presupposto dell'inadempienza contributiva del datore di lavoro e della perdita totale o parziale della prestazione previdenziale; da tale momento, pertanto, e non da quello in cui sia maturata la prescrizione dei contributi dovuti, decorre la prescrizione di tale diritto, restando irrilevante, a questo effetto, l'emanazione del provvedimento definitivo di rifiuto della prestazione assicurativa da parte dell'istituto previdenziale a causa della constatata deficienza (o insufficienza) contributiva, trattandosi di un atto meramente dichiarativo, riferito ad un'obbligazione che deriva unicamente dalla legge in presenza di determinati presupposti

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relative all'articolo 2116 Codice Civile

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Zuiani P. chiede
lunedì 04/05/2020 - Friuli-Venezia
“Sono stato assunto in banca nel 1978.
In base al regolamento contrattuale (fondo pensioni aziendale sostitutivo ed integrativo delle prestazioni INPS) la banca doveva versare – da regolamento - il 13% della base imponibile INPS.
Con la legge Amato nel 1998 veniva riorganizzato il settore trasformando tutti i sistemi pensionistici aziendali privati in fondi pensione regolamentati dal legislatore (cd. Riforma Amato) riconducendo la mia pensione integrativa nei c.d. “fondi pensione a contribuzione definita”.
Va precisato altresì che fino al 1998 La banca, invece di accantonare gli importi in base alle disposizioni contrattuali del fondo pensioni aziendale (13%), accantonava un importo di poco superiore al necessario a pagare le pensioni dei colleghi cessati.
A seguito di accordo sindacale le risorse del fondo venivano divise fra tutti i dipendenti aventi diritto, tanto che nel 1999 mi veniva riconosciuto uno “zainetto” di poco più di 14 milioni di lire (circa 7.400 euro), anziché – come da me oggi calcolato - di 46 mila euro storici (91 con la rivalutazione monetaria!).
Nel dicembre 2010 sono stato posto in quiescenza.
Ora, sulla base delle rappresentate informazioni, sono a chiedervi:
1) posso vantare un qualche diritto su quelle somme?
2) non essendo trascorsi i dieci anni dal pensionamento gli eventuali crediti sono prescritti?
Cordiali saluti.”
Consulenza legale i 10/05/2020
In caso di omesso o insufficiente versamento dei contributi previdenziali ed assistenziali, spettano al lavoratore due differenti azioni legali:
  • richiesta di condanna del datore di lavoro al pagamento dei contributi omessi;
  • risarcimento del danno (ai sensi dell’art. 2116, comma 2, c.c.), qualora dalla inadempienza contributiva sia conseguita la perdita totale o parziale del diritto alla prestazione assicurativa: in questo caso, la determinazione del danno risulta dalla differenza tra quanto percepito dal lavoratore a titolo di pensione e quanto lo stesso avrebbe dovuto percepire se i contributi fossero stati regolarmente versati.
Per quanto riguarda la prima azione, la riforma Dini del 1995 ha dimezzato i termini prescrizionali - originariamente fissati nella misura di 10 anni dall’art. 55, r.d.l. 1827/1935 - prevedendo che le contribuzioni di previdenza e di assistenza sociale obbligatoria si prescrivono nel termine di cinque anni, salvi i casi di denuncia del lavoratore o dei suoi superstiti, grazie alla quale torna a trovare applicazione il termine di durata decennale (3, comma 9, L. n. 335/1995).
La prescrizione inizia a decorrere dalla data di scadenza del pagamento dei contributi, poiché da tale termine l'Ente creditore può fare valere il proprio diritto.
La giurisprudenza ha chiarito che la denuncia del lavoratore, per essere idonea a determinare l’allungamento del termine prescrizionale ai sensi dell’art. 3, comma 9, L. n. 335/1995, deve intervenire entro il termine quinquennale di prescrizione del credito contributivo.
Nel caso di specie, in ogni caso, è evidente che siano ormai decorsi i termini prescrizionali per l’azione di condanna del datore di lavoro al pagamento dei contributi omessi.

Tuttavia, una volta raggiunta l’età pensionabile, il lavoratore che abbia subito un danno a causa della mancata o irregolare contribuzione versata dal datore di lavoro ha diritto al risarcimento del danno nei confronti di quest’ultimo ai sensi del secondo comma dell’art. 2116 c.c., a mente del quale nei casi in cui non trova applicazione il principio di automaticità delle prestazioni sancito dal primo comma, per intervenuta prescrizione del credito contributivo, l’imprenditore è responsabile del danno che ne deriva al prestatore di lavoro.
L’azione di risarcimento del danno da omissione contributiva verso il datore di lavoro si prescrive in dieci anni.
La prescrizione decorre dal momento in cui il trattamento pensionistico viene liquidato in misura inferiore a quella spettante o non viene liquidata.
Dal momento che il diritto al risarcimento del danno ex art. 2116, comma 2, c.c., sorge solo al momento della perdita totale o parziale della prestazione, il datore di lavoro può trovarsi esposto alle pretese risarcitorie del lavoratore anche a distanza di moltissimo tempo dall’omissione contributiva.
Per tale ragione, la giurisprudenza ha elaborato una sorta di contemperamento, affermando che - una volta completata la fattispecie produttiva del danno - il lavoratore è tenuto a provare di aver chiesto vanamente al datore di lavoro la costituzione della rendita vitalizia di cui all’art. 13, l. 1338/1962 (rimedio di cui si dirà nel prosieguo), dovendosi ritenere, diversamente, che abbia concorso con la propria negligenza a cagionare il danno medesimo, che potrà essere, conseguentemente, ridotto od escluso ai sensi dell’art. 1227 c.c. (Cass., Sez. lav., 11 settembre 2013, n. 20827; Trib. Milano 2 novembre 2016, n. 2839; App. Napoli 18 luglio 2014, n. 3294).
La costituzione di una rendita vitalizia, che integri o sostituisca il trattamento pensionistico è previsto dall’art. 13, L. n. 1338/1962. La disposizione citata prevede che “il datore di lavoro che abbia omesso di versare contributi per l’assicurazione obbligatoria invalidità, vecchiaia e superstiti e che non possa più versarli per sopravvenuta prescrizione ai sensi dell’art. 55 del R.D.L. 4 ottobre 1935, n. 1827 [v. oggi l’art. 3, comma 9, L. n. 335/1995], può chiedere all’Istituto nazionale della previdenza sociale di costituire, nei casi previsti dal successivo quarto comma, una rendita vitalizia riversibile pari alla pensione o quota di pensione adeguata dell’assicurazione obbligatoria che spetterebbe al lavoratore dipendente in relazione ai contributi omessi”. Per la costituzione della rendita, il datore di lavoro deve versare all’INPS la riserva matematica calcolata in base alle tariffe determinate con decreto del Ministro del lavoro.

Secondo l’orientamento maggioritario in giurisprudenza, il diritto del lavoratore alla costituzione, a spese del datore di lavoro, della rendita vitalizia di cui all’art. 13, L. n. 1338/1962, per effetto del mancato versamento da parte di quest’ultimo dei contributi previdenziali, è soggetto al termine ordinario di prescrizione che decorre dalla data di prescrizione del credito contributivo dell’Inps, senza che rilevi la conoscenza o meno, da parte del lavoratore, dell’omissione contributiva, atteso che il principio di certezza del diritto impone di considerare che sussiste un termine finale entro il quale lavoratore interessato possa esercitare il diritto potestativo a vedersi costituire la rendita e che tale prescrizione non può essere che quella ordinaria decennale (Cass., SS.UU., 14 settembre 2017, n. 21302,; Cass. 20 gennaio 2016, n. 983; Cass., Sez. lav., 3 luglio 2004, n. 12213; Cass., Sez. lav., 13 marzo 2003, n. 3756; Cass., Sez. lav., 4 dicembre 1984, n. 6361).
Secondo un orientamento minoritario, al contrario, in assenza di una norma che ne stabilisca il regime prescrizionale - e in presenza di rigorosi requisiti probatori che condizionano la costituzione della rendita - il diritto in questione dovrebbe considerarsi imprescrittibile, sia perché riconducibile al novero dei diritti potestativi sia perché la posizione soggettiva del lavoratore risulta sorretta da una costante attualità della situazione legittimante fino al momento del pensionamento, dal ché dovrebbero applicarsi le previsioni relative alla facoltà di riscatto pensionistico (si pensi al riscatto degli anni di laurea), che è esercitabile fino al pensionamento (Cass., Sez. lav., 19 maggio 2003, n. 7853, Trib. Viterbo 9 luglio 2008, n. 724; App. Firenze 9 febbraio 2004, n. 96).

Se si dovesse applicare l’orientamento maggioritario, nel caso di specie dovrebbe intendersi prescritto anche il diritto alla costituzione della rendita vitalizia. Pertanto, sembrerebbe non ancora prescritta solamente l’azione di risarcimento del danno da omissione contributiva, con le limitazioni di cui sopra, ovvero che l’ingiustificata mancanza di esercizio del diritto alla costituzione della rendita vitalizia potrebbe essere considerato fatto colposo del lavoratore, che concorre ad aggravare il danno da omessa contribuzione, oppure difetto dell’ordinaria diligenza idonea ad elidere il danno stesso. Questi fatti possono diminuire il risarcimento oppure escluderlo, secondo una gravità della colpa ed un’entità delle conseguenze la cui valutazione è riservata al giudice di merito (art. 1227 c.c.).

Vi è peraltro da considerare che, secondo quanto riferito, nel 1999 è intervenuto un accordo sindacale sul punto, per mezzo del quale il lavoratore potrebbe aver rinunciato anche al diritto al risarcimento del danno da omissione contributiva.

In tal caso, nessuno dei rimedi anzidetti sarebbe esperibile in quanto prescritti o oggetto di rinuncia.