Che cosa significa "Opposizione all'esecuzione forzata"?
Consiste nella contestazione da parte del debitore o del terzo del diritto del creditore istante a procedere ad esecuzione forzata, in quanto gli opponenti ritengono di ver subito la lesione di un loro diritto in conseguenza di un atto di esecuzione che ritengono ingiusto.
Quando viene proposta, l'opposizione dà luogo ad un ordinario processo di cognizione, che si inserisce nell'ambito del processo di esecuzione come un incidente. Si tratta di un processo di cognizione in quanto è diretto ad un accertamento pieno ma autonomo da quello esecutivo perché esige un atto introduttivo del giudizio, ad iniziativa della parte che deduce la pretesa illegittimità della procedura esecutiva stessa. Il processo di opposizione è caratterizzato da un lato da un'autonomia autonomia strutturale rispetto al processo esecutivo ma dall'altro da un coordinamento funzionale con quest'ultimo. Infatti, l'opposizione può scaturire da un processo esecutivo preannunciato con la notificazione del titolo esecutivo o del precetto. Inoltre, deve poter influire, sia pure indirettamente, sul processo esecutivo.
Le opposizioni possono essere proposte dall'esecutato (debitore o terzo sottoposto all'esecuzione) e si distinguono in:
1) opposizione all'esecuzione (artt. 615 e 616 c.p.c.) quale rimedio esperibile dal debitore o dal terzo nel caso in cui vogliano contestare la legittimità del titolo esecutivo, la legittimazione all'esecuzione o la pignorabilità dei beni oggetto dell'esecuzione, ovvero le condizioni dell'azione esecutiva.
2) opposizione agli atti esecutivi (artt. 617 e 618 c.p.c.) che consiste nella contestazione da parte del debitore della regolarità formale del titolo esecutivo, del precetto o degli altri atti del procedimento di esecuzione, e deve proporsi entro il termine perentorio di venti giorni dal momento in cui è stato compiuto l'atto contro il quale essa si dirige.
3) Oppure possono essere proposte da terzi, estranei all'esecuzione, che vantino diritti sui beni esecutati (artt. 619 a 622 c.p.c.).
Colui che assume l'iniziativa, proponendo l'opposizione, sia esso debitore o terzo, assume la veste di opponente e, come tale, ha la qualità di vero e proprio attore; convenuto è, invece, il creditore o colui che ha assunto l'iniziativa di promuovere o preannunciare il processo esecutivo.
In tale ambito è bene ricordare che, con l'entrata in vigore dell'art. 282 c.p.c. (come novellato dalla l. 353/1990), tutte le sentenze di primo grado sono provvisoriamente esecutive, per cui si potrà dare inizio all'esecuzione forzata. Questa previsione da un lato amplia di numero le ipotesi di efficacia incondizionata del titolo esecutivo e dall'altro attribuisce maggiore rilevanza al rimedio dell'opposizione all'esecuzione.
Quando viene proposta, l'opposizione dà luogo ad un ordinario processo di cognizione, che si inserisce nell'ambito del processo di esecuzione come un incidente. Si tratta di un processo di cognizione in quanto è diretto ad un accertamento pieno ma autonomo da quello esecutivo perché esige un atto introduttivo del giudizio, ad iniziativa della parte che deduce la pretesa illegittimità della procedura esecutiva stessa. Il processo di opposizione è caratterizzato da un lato da un'autonomia autonomia strutturale rispetto al processo esecutivo ma dall'altro da un coordinamento funzionale con quest'ultimo. Infatti, l'opposizione può scaturire da un processo esecutivo preannunciato con la notificazione del titolo esecutivo o del precetto. Inoltre, deve poter influire, sia pure indirettamente, sul processo esecutivo.
Le opposizioni possono essere proposte dall'esecutato (debitore o terzo sottoposto all'esecuzione) e si distinguono in:
1) opposizione all'esecuzione (artt. 615 e 616 c.p.c.) quale rimedio esperibile dal debitore o dal terzo nel caso in cui vogliano contestare la legittimità del titolo esecutivo, la legittimazione all'esecuzione o la pignorabilità dei beni oggetto dell'esecuzione, ovvero le condizioni dell'azione esecutiva.
2) opposizione agli atti esecutivi (artt. 617 e 618 c.p.c.) che consiste nella contestazione da parte del debitore della regolarità formale del titolo esecutivo, del precetto o degli altri atti del procedimento di esecuzione, e deve proporsi entro il termine perentorio di venti giorni dal momento in cui è stato compiuto l'atto contro il quale essa si dirige.
3) Oppure possono essere proposte da terzi, estranei all'esecuzione, che vantino diritti sui beni esecutati (artt. 619 a 622 c.p.c.).
Colui che assume l'iniziativa, proponendo l'opposizione, sia esso debitore o terzo, assume la veste di opponente e, come tale, ha la qualità di vero e proprio attore; convenuto è, invece, il creditore o colui che ha assunto l'iniziativa di promuovere o preannunciare il processo esecutivo.
In tale ambito è bene ricordare che, con l'entrata in vigore dell'art. 282 c.p.c. (come novellato dalla l. 353/1990), tutte le sentenze di primo grado sono provvisoriamente esecutive, per cui si potrà dare inizio all'esecuzione forzata. Questa previsione da un lato amplia di numero le ipotesi di efficacia incondizionata del titolo esecutivo e dall'altro attribuisce maggiore rilevanza al rimedio dell'opposizione all'esecuzione.