La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 26850 del 14 novembre 2017, si è occupata proprio di questa questione, fornendo alcune interessanti precisazioni sul punto.
Nel caso esaminato dalla Cassazione, una donna aveva agito in giudizio nei confronti di un altro soggetto, al fine di ottenere il risarcimento dei danni subiti a seguito di un sinistro stradale, nel quale la stessa era stata terza trasportata.
Il Tribunale di primo grado aveva accolto la domanda risarcitoria ma la sentenza era stata parzialmente riformata dalla Corte d’appello, la quale aveva ridotto l’ammontare del risarcimento riconosciuto alla vittima del sinistro.
Secondo la Corte d’appello, infatti, alla danneggiata non spettava il “danno patrimoniale”, in quanto la stessa non aveva dimostrato di svolgere “un'attività lavorativa produttiva di reddito” e non erano nemmeno ravvisabili i presupposti per il riconoscimento del “danno da perdita di chance”, dal momento che la vittima “non aveva dimostrato che, pur non avendo potuto sostenere l'esame di Stato per l'iscrizione all'albo dei geometri, avrebbe continuato ad essere impedita dai postumi invalidanti permanenti ad intraprendere la carriera di geometra”.
Ritenendo la decisione ingiusta, la donna aveva deciso di rivolgersi alla Corte di Cassazione, nella speranza di ottenere l’annullamento della sentenza sfavorevole.
Rilevava la ricorrente, a sostegno delle proprie ragioni, che “la circostanza che il soggetto danneggiato non svolgesse alcuna attività lavorativa non autorizzava l'esclusione di un danno futuro, dovendo il giudice al riguardo svolgere una complessa valutazione di tipo prognostico”.
Osservava la danneggiata, inoltre, che il giudice d’appello avrebbe dovuto tenere in considerazione la circostanza (accertata in sede di consulenza tecnica espletata in corso di causa) “dell'impedimento ad intraprendere l'attività di geometra a causa delle gravissime lesioni”.
Secondo la danneggiata, dunque, la Corte d’appello, nel ridurre l’ammontare del risarcimento, non avrebbe dato corretta applicazione agli artt. 1226, 2043, 2056 e 2729 c.c.
La Corte di Cassazione riteneva, in effetti, di dover dar ragione alla danneggiata, accogliendo il relativo ricorso, in quanto “manifestamente fondato”.
Precisava la Cassazione, in proposito, “l'invalidità di gravità tale (nella specie, del 25 per cento) da non consentire alla vittima la possibilità di attendere neppure a lavori diversi da quello specificamente prestato al momento del sinistro, e comunque confacenti alle sue attitudini e condizioni personali ed ambientali”, integra un “danno patrimoniale attuale in proiezione futura da perdita di chance, ulteriore e distinto rispetto al danno da incapacità lavorativa specifica”, che deriva “dalla riduzione della capacità lavorativa generica” del soggetto in questione.
Precisava la Cassazione, inoltre, che la liquidazione di tale danno può avvenire attraverso il ricorso alla prova per presunzioni, laddove “possa ritenersi ragionevolmente probabile che in futuro la vittima percepirà un reddito inferiore a quello che avrebbe altrimenti conseguito in assenza dell'infortunio”.
Secondo la Cassazione, dunque, nel caso di specie, la Corte d’appello, “escludendo in partenza il danno patrimoniale per il sol fatto della mancata prova di uno svolgimento dell'attività lavorativa”, non aveva adeguatamente compiuto tale “accertamento presuntivo” circa la “riduzione della perdita di guadagno nella sua proiezione futura, imposto dall'entità dei postumi, anche in termini di perdita di chance”.
Alla luce di tali considerazioni, la Corte di Cassazione accoglieva il ricorso proposto dalla danneggiata, annullando la sentenza impugnata e rinviando la causa alla Corte d’appello, affinchè la medesima decidesse nuovamente sulla questione, sulla base dei principi sopra enunciati.