Brocardi.it - L'avvocato in un click! CHI SIAMO   CONSULENZA LEGALE

Articolo 380 Codice Penale

(R.D. 19 ottobre 1930, n. 1398)

[Aggiornato al 02/10/2024]

Patrocinio o consulenza infedele

Dispositivo dell'art. 380 Codice Penale

Il patrocinatore [82; c.p.p. 96, 100, 102] o il consulente tecnico [201; c.p.p. 225](1), che, rendendosi infedele ai suoi doveri professionali, arreca nocumento agli interessi della parte da lui difesa, assistita o rappresentata dinanzi all'Autorità giudiziaria o alla Corte penale internazionale(2), è punito con la reclusione da uno a tre anni e con la multa non inferiore a euro 516.

La pena è aumentata [64]:

  1. 1) se il colpevole ha commesso il fatto, colludendo con la parte avversaria;
  2. 2) se il fatto è stato commesso a danno di un imputato.

Si applicano la reclusione da tre a dieci anni e la multa non inferiore a euro 1.032, se il fatto è commesso a danno di persona imputata di un delitto per il quale la legge commina [la pena di morte o](3) l'ergastolo ovvero la reclusione superiore a cinque anni [383](4).

Note

(1) E' richiesta quale presupposto del reato l'esistenza dell'incarico professionale in forza del quale l'agente è tenuto a difendere, assistere o rappresentare una parte. Per parte della dottrina è necessario anche che sia pendente un procedimento giudiziario, se no si avrebbe lesione del principio della tipicità della norma penale.
(2) L'art. 10, comma 10 della l. 20 dicembre 2012, n. 237 ha inserito il riferimento alla Corte penale internazionale.
(3) La pena di morte è stata abrogata e conseguentemente sostituita con la pena all'ergastolo (art. 17).
(4) Si tratta di circostanze aggravanti oggettivi e quindi applicabili anche ai concorrenti nel reato.

Ratio Legis

Il buon funzionamento della giustizia viene qui tutelato sotto il profilo della garanzia di un leale svolgimento delle funzioni di difesa e assistenza delle parti. Alcuni autori ritengono che invece sia qui tutelato l'interesse della parte stessa a ricevere una corretta difesa o assistenza tecnica.

Spiegazione dell'art. 380 Codice Penale

La disposizione in esame configura un'ipotesi di reato plurioffensivo, in quanto diretta a tutelare sia la deontologia professionale dell'avvocato o del consulente tecnico, sia la persona da egli assistita, in quanto lesa dalla condotta infedele.

Oggetto del reato è il fatto di rendersi infedele ai propri doveri professionali, arrecando nel contempo nocumento. Trattasi infatti di reato di danno, in quanto è necessario un effettivo nocumento nei confronti del patrocinato, il quale, tuttavia, non deve avere per forza natura patrimoniale, ben potendo consistere anche soltanto nell'adozione di comportamenti imprudenti.

Per integrare l'elemento soggettivo è sufficiente il dolo generico consistente nella volontà consapevole della insolvenza dei doveri professionali di diligenza, lealtà correttezza, mentre non è necessario il dolo specifico, consistente nell'intento di recare danno alla posizione del cliente, posto che il nocumento agli interessi della parte integra l'evento del reato medesimo.

La pena è oggetto di aumento qualora il fatto sia commesso colludendo con la parte avversaria o se il fatto è commesso a danno di un imputato in un processo penale e, in quest'ultimo caso, vi è una ulteriore aggravante qualora il delitto per cui si procede preveda edittalmente una pena superiore ai cinque anni di reclusione o l'ergastolo.

Massime relative all'art. 380 Codice Penale

Cass. pen. n. 8617/2020

Il delitto di patrocinio infedele, di cui all'art. 380, comma 1, cod. proc. pen., non è integrato dalla sola violazione dei doveri professionali, occorrendo anche la verificazione di un nocumento agli interessi della parte, che può essere costituito dal mancato conseguimento di risultati favorevoli, ovvero da situazioni processuali pregiudizievoli, ancorché verificatesi in una fase intermedia del procedimento, che ne ritardino o impediscano la prosecuzione. (Fattispecie di nocumento individuato nella sentenza che ha dichiarato l'inefficacia del precetto per effetto della falsificazione della firma apposta dal difensore del creditore procedente, sicché il termine di prescrizione del reato è stato computato a far data dalla sentenza e non dalla condotta di infedele patrocinio).

Cass. pen. n. 12222/2019

Integra il reato di infedele patrocinio la condotta del difensore che, in violazione dei suoi doveri professionali, arrechi nocumento alla parte assistita con riferimento agli interessi di quest'ultima azionati in un procedimento instaurato dinanzi all'autorità giudiziaria, essendo irrilevante che la condotta pregiudizievole sia posta in essere dopo l'irrevocabilità della sentenza. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto la sussistenza del reato in relazione alla condotta tenuta dal difensore che, mediante false deleghe alla riscossione, chiedeva ed otteneva la restituzione di denaro precedentemente sequestrato ai suoi assistiti).

Cass. pen. n. 29783/2017

Il reato di patrocinio o consulenza infedele di cui all'art. 380 cod. pen. sanziona la condotta del patrocinatore che, infedele ai suoi doveri professionali, arrechi nocumento agli interessi della parte da lui difesa (assistita o rappresentata) dinanzi all'autorità giudiziaria per cui essa non può trovare applicazione qualora la condotta si riferisca ad attività poste in essere prima dell'instaurazione del procedimento e ad esso prodromiche. (Fattispecie in cui la Corte ha escluso la sussistenza del reato con riferimento alla condotta tenuta dal legale nel corso della procedura di conciliazione davanti all'Ispettorato del lavoro).

Cass. pen. n. 22978/2017

Ai fini della integrazione del delitto di patrocinio o consulenza infedele (art. 380 cod. pen.) è necessario che si verifichi un nocumento agli interessi della parte, che, quale conseguenza della violazione dei doveri professionali, rappresenta l'evento del reato, inteso non necessariamente in senso civilistico quale danno patrimoniale, ma anche nel senso di mancato conseguimento di beni giuridici o di benefici, anche solo di ordine morale, che avrebbero potuto conseguire al corretto e leale esercizio del patrocinio legale. (Fattispecie in cui la condotta del professionista aveva determinato un allungamento dei tempi del processo penale, conclusosi con esito negativo per la persona offesa patrocinata).

Cass. pen. n. 45059/2014

Il delitto di patrocinio infedele di cui all'art. 380 c.p. ha natura di reato plurioffensivo in quanto, oltre a ledere l'amministrazione della giustizia e il regolare funzionamento dell'attività giudiziaria, che impone di rispettare i principi minimi di correttezza e lealtà, richiede la realizzazione di un evento implicante un nocumento concreto agli interessi della parte processuale difesa dal patrocinatore che si rende inadempiente ai suoi doveri professionali.

Cass. pen. n. 6703/2012

Per la configurabilità del delitto di infedele patrocinio è irrilevante il consenso prestato dalla parte al suo patrocinatore, quando l'attività di quest'ultimo si traduca nel consigliare al proprio cliente un comportamento contrario alla legge (nel caso di specie, la presentazione di una dichiarazione IVA non veritiera, sanzionata dall'art. 2 del D.L.vo n. 74/2000), poiché il criterio di valutazione della condotta del professionista non riguarda l'incarico ricevuto, ma il corretto adempimento dei suoi doveri professionali.

Cass. pen. n. 17106/2011

Non integra il reato di patrocinio infedele l'avvocato che assuma l'incarico di dare inizio ad una controversia giudiziale e, ricevuta l'anticipazione sui compensi, non dia corso al contenzioso contravvenendo al dovere assunto con l'accettazione del mandato, in quanto la condotta di infedeltà professionale assume tipicità a condizione che risulti pendente un procedimento.

Cass. pen. n. 41370/2006

Per la sussistenza del reato di patrocinio infedele è necessaria, quale elemento costitutivo del reato, la pendenza di un procedimento nell'ambito del quale deve realizzarsi la violazione degli obblighi assunti con il mandato, che peraltro non deve necessariamente estrinsecarsi in atti o comportamenti processuali. (In applicazione di tale principio, la Corte ha ravvisato il reato di cui all'art. 380 c.p. nella condotta del difensore, il quale avendo assunto l'incarico di patrocinare una parte per la revocatoria di una donazione, aveva costituito con la parte avversaria rapporti societari aventi ad oggetto il trasferimento di beni immobili, arrecando un nocumento al suo cliente, consistito nel fargli perdere le garanzie sul patrimonio immobiliare della controparte).

Cass. pen. n. 39924/2005

Nell'accertamento del reato di infedele patrocinio il giudice non può limitarsi alla valutazione di singoli atti o di scelte avulsi dal contesto nel quale sono inseriti, ma deve collocare l'attività professionale svolta nel quadro della linea difensiva e della strategia di conduzione del processo adottata per il conseguimento del risultato voluto dalla parte, al fine di valutare se il patrocinatore si sia reso volontariamente infedele all'obbligo di curare gli interessi della parte assistita o rappresentata nel processo, alla stregua del mandato ricevuto e di quanto le regole professionali e le incombenze processuali richiedono per l'adempimento di tale obbligo. (Fattispecie in cui il difensore non aveva promosso la procedura esecutiva di rilascio dell'immobile sulla base del dispositivo della sentenza).

Cass. pen. n. 11951/2005

Integra il reato di infedele patrocinio la condotta del difensore che si appropri di somme ottenute in via transattiva per conto della parte assistita in un giudizio in corso. (Fattispecie nella quale l'imputato, nei confronti del quale il proprio assistito — P.C. in un processo per omicidio colposo — aveva provveduto alla liquidazione degli onorari di difensore, aveva consegnato al cliente soltanto una parte della somma ricevuta in via transattiva dalla compagnia assicuratrice, trattenendo per sè il resto, in attesa che il giudice civile si pronunciasse sulla liquidazione definitiva del danno).

Cass. pen. n. 1410/1999

Presupposto del reato di cui all'art. 380 c.p. è l'esercizio della difesa, rappresentanza e assistenza davanti all'autorità giudiziaria, intese come oggetto del rapporto di partecipazione professionale e non come estrinsecazione effettiva di attività processuale. Basta che il patrocinatore si renda infedele ai doveri correlativi all'accettazione dell'incarico di difendere, assistere, rappresentare taluno dinanzi all'autorità giudiziaria, indipendentemente dall'attualità di svolgimento di un'attività processuale e financo di pendenza della lite; il nocumento per la parte può concretarsi nella dolosa astensione del patrocinatore dalla doverosa attività processuale.

Cass. pen. n. 9758/1998

Per la configurazione del reato di patrocinio infedele, di cui all'art. 380 c.p. — che è reato proprio, nel senso che soggetto attivo deve essere il «patrocinatore» — non è sufficiente che l'avvocato si renda genericamente infedele nell'adempimento dei doveri scaturenti dall'accettazione dell'incarico affidatogli, essendo necessaria, al contrario, quale elemento costitutivo del reato, la pendenza di un procedimento nell'ambito del quale deve realizzarsi la violazione degli obblighi assunti con il mandato: la valenza penale dell'attività del patrono deve ricondursi, infatti, al momento effettivo dell'esercizio della giurisdizione. Tuttavia, neppure è sufficiente che il comportamento produca esclusivamente la lesione dell'interesse concernente il normale funzionamento della giustizia, richiedendo anche la legge, ai fini della consumazione del reato, che sia arrecato un nocumento al soggetto privato. (Nella specie è stata esclusa la sussistenza del reato nel comportamento del patrocinatore il quale, assuntosi l'incarico di dare corso all'offerta di una somma per il rilascio di un terreno agricolo e, in caso di mancata accettazione, di intimare il precetto per l'esecuzione del rilascio, aveva omesso il compimento di tali atti — ritenuti dalla Corte entrambi extragiudiziali — assicurando, falsamente di avervi provveduto).

Cass. pen. n. 8420/1997

Perché si abbia il reato di patrocinio infedele punito dall'art. 380 c.p., occorre una attuale e effettiva pendenza del procedimento avanti all'autorità giudiziaria e l'infedeltà del patrocinio non può essere riferita alle attività prodromiche alla sua instaurazione. (Nell'affermare il principio di cui in massima la Corte ha escluso che potesse integrare il reato di patrocinio infedele la omessa presentazione di un ricorso per sequestro giudiziario e di un ricorso possessorio).

Cass. pen. n. 2689/1996

Bene è ipotizzabile il concorso materiale dei reati di patrocinio infedele e di truffa nell'ipotesi in cui il patrocinatore, con la sua condotta infedele, occultando notizie o comunicando notizie false sul corso del processo, oltre a recare danno alla parte assistita procuri dolosamente a sé stesso un ingiusto profitto.

Il delitto di cui all'art. 380, comma 1, c.p. (patrocinio infedele) è un reato che richiede per il suo perfezionamento, in primo luogo, una condotta del patrocinatore irrispettosa dei doveri professionali stabiliti per fini di giustizia a tutela della parte assistita ed, in secondo luogo, un evento che implichi un nocumento agli interessi di quest'ultimo, inteso questo non necessariamente in senso civilistico di danno patrimoniale, ma anche nel senso di mancato conseguimento dei beni giuridici o dei benefici di ordine anche solo morale che alla stessa parte sarebbero potuti derivare dal corretto e leale esercizio del patrocinio legale. D'altro canto la condotta illecita può consistere anche nell'occultamento di notizie o nella comunicazione di notizie false e fuorvianti nel corso del processo; a sua volta l'evento può essere rappresentato anche dal mancato conseguimento di vantaggi formanti oggetto di decisioni assunte dal giudice nelle fasi intermedie o incidentali di una procedura. (Principi affermati con riguardo a fattispecie nella quale il difensore, in una causa civile, aveva nascosto al cliente il reale ammontare della provvisionale accordato dal giudice istruttore).

Cass. pen. n. 3785/1992

L'evento del reato di patrocinio infedele va identificato con il nocumento arrecato al patrocinato (senza che, peraltro, sul piano soggettivo, assuma rilievo la volontà specifica di nuocere alla parte).

Notizie giuridiche correlate all'articolo

Tesi di laurea correlate all'articolo

Hai un dubbio o un problema su questo argomento?

Scrivi alla nostra redazione giuridica

e ricevi la tua risposta entro 5 giorni a soli 29,90 €

Nel caso si necessiti di allegare documentazione o altro materiale informativo relativo al quesito posto, basterà seguire le indicazioni che verranno fornite via email una volta effettuato il pagamento.

Consulenze legali
relative all'articolo 380 Codice Penale

Seguono tutti i quesiti posti dagli utenti del sito che hanno ricevuto una risposta da parte della redazione giuridica di Brocardi.it usufruendo del servizio di consulenza legale. Si precisa che l'elenco non è completo, poiché non risultano pubblicati i pareri legali resi a tutti quei clienti che, per varie ragioni, hanno espressamente richiesto la riservatezza.

A. C. chiede
lunedì 22/04/2024
“In procedimento civile per un caso di malasanità, viene stipulato un contratto con l'avv.to, che prevede per lo stesso il compenso del 15% del risultato ottenuto. in primo grado il giudice riconosce solo un danno da consenso informato errato di 20.000 euro, richiedendo per tale somma una conciliazione, a fronte di un danno alla salute quantificato dal legale in 900.000,00. L'avv.to insiste per accettare la conciliazione proposta, mentre la parte lesa gli rappresenta la sua volontà di ricorrere in appello. L'avvocato informa l'assistito che non era sua intenzione proseguire in appello, per tale motivo lo invitava a ricercare altro legale e a mezzo mail confermava che la sua parcella sarebbe stata parametrata sui 20.000 euro da lui ottenuti, come da contratto anche se non accettati dalla parte lesa. A fronte di questa sua comunicazione, a pochi giorni di distanza, con processo ancora da concludersi, lo stesso ci comunicava la sua rinuncia all' incarico, a suo dire per giusta causa, inoltrando una parcella da pagare entro 10 gg, pari a euro 37000,00 ed in merito ad una importante prova esclusa per colpa sua, lo stesso ci certificava che questa non era stata ammessa a priori dal giudice per la tempistica di presentazione (cosa non veritiera) . A nostra tutela ci rivolgevamo ad altro legale, che rifiutava il subentro nel procedimento civile, ma accettava d'assisterci nel contenzioso insorto con il primo legale; in seguito al suo intervento il primo avvocato accettava il pagamento parametrato a contratto, ma solo in cambio della sottoscrizione di una liberatoria, la parte lesa accettava per poter così continuare la causa civile in appello. Dopo che l'intento di proseguire la causa era stato indicato al nuovo legale, lo stesso ci spiegava che a suo dire il primo avvocato avrebbe accettato questo compromesso, solo se la parte lesa avrebbe anche accettato la conciliazione proposta dal giudice, altrimenti gli avrebbe dovuto comunque pagare l'intero importo di 37000,00 euro richiesti. Dunque quanto veniva propinato dal nuovo legale era non solo la sottoscrizione di una liberatoria ma bensì in sunto " se accetti quanto disposto dal giudice paghi al primo legale, quanto previsto a contratto e sottoscrivi la sua liberatoria, se non accetti, paghi al primo legale i 37000,00 e ti trovi un nuovo avvocato per il proseguo del processo". La parte lesa a fronte di queste gravose condizioni ha accettato quanto richiesto. Il fatto che il legale pretenda una sottoscrizione di una liberatoria per rinunciare al suo oneroso compenso, anche se mai accordato può essere anche comprensibile, ma vorrei capire se si ravvisa l'estorsione nel fatto che si sia pretesa l'accettazione anche di quanto disposto dal giudice, che nulla centrava con il contenzioso insorto con il primo legale; in fine vorrei capire se si ravvisa il reato di infedele patrocinio o quant'altro. Tutto quanto descritto è documentato dalle mail di comunicazione con il secondo legale incaricato. in attesa di vostro riscontro porgo cordiali saluti”
Consulenza legale i 29/04/2024
Prima di rispondere al quesito va fatta una premessa.
La scelta di come gestire un qualsiasi contenzioso spetta al cliente. E’ il cliente (e quindi il protagonista della controversia) soprattutto a decidere se continuare o far cessare una causa. Certo, l’avvocato può – anzi, deve – dare dei consigli anche per meglio prospettare i diversi scenari da un punto di vista giuridico, ma non può intromettersi nelle scelte del cliente medesimo, essendo il professionista sempre libero di rinunciare al mandato laddove lo stesso dovesse confliggere in modo irrimediabile col suo punto di vista o con quello che ritiene essere un giusto patrocinio.
Ciò per dire che la condotta del professionista che “obbliga” o comunque forza il cliente a accettare una transazione è errata e può essere anche foriera di conseguenze disciplinari.

Ciò detto, va capito se la condotta di cui alla richiesta di parere può integrare il reato di estorsione o di infedele patrocinio.

L’art. 629 c.p., punisce la condotta di chi, tramite violenza o minaccia, consegue un ingiusto profitto susseguente alla condotta della persona offesa dal reato che viene costretta a fare o omettere qualcosa.

Si noti che la persona offesa viene posta in una condizione di parziale immobilismo e costrizione, nel senso che questa, pur essendo fortemente coartata nella sua volontà, ha comunque la possibilità di scegliere se cedere o meno alla minaccia.

Ora, visto il tendenziale connotato di intrinseca illegalità che sembra denotare la condotta che dovrebbe porre il soggetto agente (la minaccia e la costrizione, di fatto, evocano di per se stesse condotte illecite), si è posto il problema di capire se la minaccia possa consistere in un male non oggettivamente ingiusto ma anche nell’esercizio di una facoltà riconosciuta dalla legge.

In via generale è possibile affermare che la giurisprudenza ha dato un riscontro positivo a questa domanda pur affermando che l’esercizio di una facoltà riconosciuta dalla legge, onde integrare in via implicita il requisito della costrizione o della minaccia, deve essere effettivamente piegata verso uno scopo illecito.
E’, questo, un tema di prova molto arduo in quanto, nella maggior parte dei casi, non è molto agevole distinguere il caso in cui l’esercizio di una facoltà sia legittimo e altri in cui tale esercizio abbia quel quid pluris affinché lo stesso venga identificato come uno strumento illegittimo.

Problema, questo, che chiaramente sussiste nel caso di specie. Appurato che la condotta del legale è quantomeno anomala e scorretta dal punto di vista deontologico, è molto difficile ritenere che l’ultimatum (o accetti la conciliazione oppure io ti chiedo la parcella più alta) abbia una connotazione intrinsecamente illecita perché non si ben comprende il vantaggio che il legale avrebbe dall’accettazione della conciliazione.

Il reato, dunque, non pare sussistere.

Idem si dica nel caso dell’infedele patrocinio. L’ art. 380 del c.p. punisce una condotta estremamente ampia e dai connotati alquanto generici che consiste nell’ “arrecare nocumento alla parte da lui assistita rendendosi infedele sui doveri professionali”. La casistica, come ben si può immaginare, può essere davvero ampia ma, in via generale, quasi sempre i casi di patrocinio infedele sono il prodotto della collusione del difensore con la parte avversaria (non è un caso che tale ipotesi è espressamente prevista come aggravante dal punto 1 dell’articolo in parola).
Il caso di specie non sembra essere sussumibile nell’alveo di tale fattispecie per una semplice ragione: l’art. 380 c.p. punisce condotte infedeli poste in essere nell’ambito di un giudizio, non in ambiti extragiudiziari come quello di specie.

Ragionando sulla vicenda, tuttavia, una riflessione può essere sollecitata.

Nel caso di specie la condotta del difensore è apparentemente senza senso; diciamo apparentemente perché laddove si dovesse ipotizzare che il difensore fosse, in realtà, in combutta con l’azienda ospedaliera, allora tutto acquisterebbe senso, ivi compresa la “minaccia” riguardante l’accettazione della conciliazione.
Ove mai fosse acclarata tale circostanza, allora potrebbe sussistere tanto l’estorsione quanto l’infedele patrocinio

Resta, comunque, un problema di prova e se non si posseggono elementi quantomeno indiziari su una collusione tra avvocato e azienda sanitaria, la scelta di agire per vie penali tramite denuncia - querela appare alquanto azzardata e tale da porre il querelante a rischio di calunnia.

Allo stato attuale, quindi, con questo scarso scenario probatorio, si suggerisce di aggredire il legale sul fronte civile (facendo valere le pattuizioni contrattuali per limitare il compenso) e su quello disciplinare lasciando perdere, almeno per ora, il fronte penale.

L. D. B. chiede
lunedì 21/06/2021 - Puglia
“Scaduto il termine per appellare senza avvisare il cliente, é pacifico che il reato ex art. 380 deve ritenersi consumato?

Nell'atto di costituzione e risposta controparte accusa l'attore di mala fede processuale.
Il fatto integra il reato di diffamazione per aver ingiustamente, incontestabilmente dimostrabile, offeso l'onorabilità e rispettabilità dell'attore avanti ad un Giudice?
Nell'atto di Costituzione controparte informa di aver chiamato in causa la propria Società di assicurazione.
Grazie”
Consulenza legale i 09/07/2021
1- In diritto non vi è nulla di “pacifico” poiché ogni questione deve essere ben analizzata e ponderata.
La fattispecie di cui all’art. 380 c.p. presuppone la pendenza di un procedimento nel quale deve verificarsi la violazione degli obblighi assunti con il mandato fiduciario da parte del “patrocinatore”.
L’elemento soggettivo è dato dal dolo generico, inteso come consapevolezza dell’infedeltà dei propri doveri professionali, e la condotta del delitto in oggetto può consistere anche nell’occultamento di notizie da parte del difensore.
Ai fini della configurabilità del reato, tuttavia, non è sufficiente la mera violazione della previsione deontologica in quanto, in relazione alla prova dell’elemento soggettivo, occorre fare riferimento anche alla strategia processuale adottata e alle modalità con cui la medesima viene condotta dal difensore.
Viene in rilievo anche il rapporto con la parte assistita in relazione agli obblighi di informativa e trasparenza professionale che caratterizzano l’attività dell’avvocato.
Inoltre il delitto in questione presuppone che si verifichi un nocumento agli interessi della persona offesa quale conseguenza della violazione dei propri doveri personali da parte del difensore (v. Cass. pen., sent. 22978/2017; Cass. pen., sent. 12222/2019).
Il danno non va necessariamente inteso in senso patrimoniale, bensì anche come mancato conseguimento di beni giuridici o benefici, anche di ordine morale, che si sarebbero conseguiti con l’esercizio del patrocinio legale.
In questo senso, pur essendo astrattamente configurabile il reato nel caso di specie, è però necessario circostanziare gli elementi di fatto e verificare preliminarmente il contenuto della sentenza di primo grado citata nonché i relativi atti processuali.
Per quanto concerne il profilo deontologico, è parimenti possibile, qualora ne sussistano i presupposti, interessare il Consiglio dell’Ordine di appartenenza in relazione al comportamento del difensore.
L’esposto darà eventualmente avvio ad un procedimento disciplinare a carico del difensore medesimo.

2- Il secondo quesito posto, in virtù anche della previsione di cui all’art. 598 c.p. recante “Offese in scritti e discorsi pronunciati dinanzi alle Autorità giudiziarie o amministrative”, presuppone l’esame specifico del contenuto gli atti processuali.



Antonio S. L. R. chiede
domenica 09/07/2017 - Lazio
“Gradirei sapere se nel comportamento del legale indicato nel file-inviato a parte- sussiste il reato di patrocinio infedele e truffa.
Antonio S. L. R.”
Consulenza legale i 04/08/2017
Il quesito proposto si basa su una complessa vicenda giudiziaria di natura civile.

Innanzitutto, chi scrive ritiene che non possa configurarsi nei fatti narrati il delitto di truffa previsto dall’art. art. 640 del c.p. del c.p. per la ragione che non paiono sussistere “gli artifizi e raggiri” richiesti dalla norma quali elementi essenziali del reato.

Diverso il discorso per il delitto previsto e punito dall’art. 380 del c.p.
Nel caso di specie, infatti, vi è stato senza dubbio un nocumento, inteso quale danno (non necessariamente) economico.

La giurisprudenza ha chiarito che la ratio della norma è quella di tutelare l’interesse pubblico al buon andamento della giustizia. In tal senso Cassazione Penale, sezione VI, n. 26542 del 16 giugno 2015 ha statuito che “La condotta infedele è quella che impedisce alla parte di ottenere ì risultati attesi con l'esplicazione di un'attività professionale che risponda ai requisiti della correttezza e della lealtà e che sia affidabile, sì da garantire, più in generale, la tutela dell'interesse pubblico al buon funzionamento della giustizia”.

L’aspetto che merita di essere approfondito è “l’infedeltà ai doveri professionali”.

Innanzitutto questo elemento implica che l’avvocato debba per prima cosa orientare la propria attività al rispetto delle regole deontologiche.

La sentenza della Cassazione Penale, sezione VI n. 6703 del 3 novembre 2011 ha definito con precisione tale concetto: “per la configurabilità del delitto di infedele patrocinio è irrilevante il consenso prestato dalla parte al suo patrocinatore, quando l'attività di quest'ultimo si traduca nel consigliare al proprio cliente un comportamento contrario alla legge (nel caso di specie, la presentazione di una dichiarazione i.v.a. non veritiera, sanzionata dall'art. 2 del d.lg. n. 74/2000), poiché il criterio di valutazione della condotta del professionista non riguarda l'incarico ricevuto, ma il corretto adempimento dei suoi doveri professionali”.

Non basta però la violazione deontologica per integrare l'infedele patrocinio. La giurisprudenza dominante ritiene infatti che non siano assimilabili l'art. 1261 del c.c. e l'art. 380 del c.p.: perché possa configurarsi il reato occorre un quid pluris (qualcosa in più). La violazione della previsione deontologica integra soltanto, senza completare il reato, per la configurabilità del quale occorre invece verificare la sussistenza di un danno e del dolo generico dell'agente/difensore, in relazione non al singolo atto in presunta violazione deontologica, bensì alla dimensione più generalmente contestuale dell'agire professionale, cioè
- alla strategia difensiva adottata,
- al modo della conduzione processuale e
- al rapporto professionale incardinato con la parte assistita,
tenuti conto gli obblighi di informativa e di trasparenza professionale che accompagnano l'adozione di specifiche opzioni processuali o stragiudiziali.

Alla luce di queste considerazioni, e in base unicamente agli elementi che ci sono stati forniti nel quesito posto, nel caso di specie appare integrato il reato di patrocinio infedele. Per un parere definitivo, però, occorrerebbe visionare atti e documenti.

Giuseppe R. chiede
venerdì 30/12/2016 - Campania
“Circa 16 anni fa 1 parente acquistò appartamento x € 82.000, dei quali furono corrisposti, in corso di ultimazione lavori, € 36.000 e, successivamente al deposito della sentenza di fallimento ( che ignoravamo, eravamo in altra Regione ), altri € 17.000 non ammessi al passivo per il recupero dei quali fu avviato giudizio ex se, seguito dallo stesso avv. affidatario del fallimento. Dopo il fallimento per gli altri condomini sarebbe intervenuto provvedimento di sgombero impugnato con esiti favorevoli, per l'appartamento in parola invece si susseguivano autorizzazioni semestrali, con impegno a sgomberarlo all'occorrenza, che appariva remota! Nel corso di un incontro l'avv. riferì che il magistrato avrebbe chiesto la consegna di 1 chiave a fronte del riferito trattamento di favore ( mai da noi richiesto!) ed apparve doveroso ottemperare alla consegna di 1 delle 3 chiavi al curatore ( il quale formalizzò il tt in busta chiusa con firma mia e della parente ). Intanto si erano susseguite varie aste, sempre deserte, nei cui avvisi l'appartamento figurava - x quanto riferito - *occupato* e recante il nome della sorella e dalla regione di lavoro telefonavo al curatore per conoscere gli esiti, che apparivano rassicuranti; si sperava che il prezzo a base d'asta diminuisse ( il curatore a tel. aveva detto che,alla successiva asta, il prezzo sarebbe stato ridotto del 10%), invece nell'ottobre di 14 anni fa lo stesso riferì che all'asta del mese precedente ( della quale eravamo all*'oscuro*! ) l'appartamento era stato aggiudicato ed era stata spedita racc. all'avv. di sgombero entro la metà del mese, in mancanza, avrebbe proceduto alla nomina del custode con aggravio di spese. Nel corso della telef. precisava " voi mi avete portato le chiavi "! Nel corso di altra concesse proroga allo sgombero e concluse " poi passate per il mio studio? "; al momento al " cortese " invito, per la delusione, sorvolai! Da altre precisazioni successive, del tipo: mi avete consegnato *le* chiavi, non ero presente all'asta altrimenti vi avrei telefonato, avete un avv. che vi doveva seguire, non potevate pretendere che un 3° vi informasse, di appartamenti ce ne sono altri, incominciò a prendere corpo qualche dubbio. Ed infatti da condomini appresi che all'asta di aggiudicazione l'appartamento risultava nella piena disponibilità del fallimento; così come dalle affermazioni del curatore ( a differenza della succitata tesi dell'avv. ) appariva probabile che l'omessa citazione di "occupato" sarebbe da ricondurre alla consegna della chiave ( 2 erano rimaste in n/s possesso ) anche se il curatore preferiva esprimersi al plurale, chissà perchè! Quando gli telefonai per comunicargli l'avvenuto sgombero si offrì, sua sponde, di farmi pervenire nella Regione di lavoro gli avvisi d'asta per la presentazione di offerta per altro appartamento, mai pervenuti; pervennero invece, tramite l'avv. inaspettati, 2 assegni di circa € 4.000,00 ognuno, forse anche agli altri condomini, se di diversa entità non si sa. Della causa di recupero dei 17.000 € dalla società fallita non mi sono più interessato perché avevo intuito la conclusione; nel 2009 pervenne però racc. dell'A. d. E. x il pagamento di € 214,00 per spese di registraz, bollo, etc della sentenza persa (nov.2007), alla quale si dovette ottemperare, pertanto all' intuita soccombenza, subentrò anche la beffa della registrazione! Dopo l'aggiudicazione volevamo capirne di più e conferimmo incarico a 2 avvocati - in fasi ravvicinate - affinchè venisse acquisita la relativa *documentazione*; volevamo accertare l'esistenza di eventuale proposta del curatore ( o altro ) al giudice di presentare, nel relativo avviso, come libero l'appartamento all'asta di aggiudicazione, ma ancor della *motivazione*, eventualmente da ricondurre all'adesione all'invito della consegna della chiave, che non comportava implicita rinuncia allo stesso, come lascerebbe intendere il curatore. Questa documentazione non è stata mai acquisita, nonostante le promesse degli incaricati; il 1° aveva assicurato che l'arrivo era addirittura imminente! Il 2° invece fece pervenire racc. x riferire: " gli incanti hanno avuto regolare esecuzione...La pubblicità è stata regolarmente eseguita....dalla documentazione...non ho ritrovato tracce....della consegna delle chiavi ...come da Lei indicatomi....Ritengo ...che gli adempimenti...siano avvenuti...nel pieno rispetto delle formalità prescritte....debbo dire, anzi, che ...il curatore...ha gestito il fallimento con grande professionalità e precisione...nel riservarmi di farLe avere notula "( mai pervenuta!)... Un inno alla procedura, non "commissionata "! A mio avviso si sono imbattuti contro un muro di gomma!
Sintetizzando all'asta di aggiudicazione l'appartamento risultava nella esclusiva disponibilità del fallimento e non si è potuto mai sapere il motivo, il curatore invita a passare per il suo studio dopo lo sgombero sottacendone la finalità e s'impegna ad inviarmi avvisi d'asta mai pervenuti, 2 avvocati assumono l'incarico di acquisire documentazione* mai vista*; uno dei due va ultra petitum evidenziando correttezza dell'iter procedimentale non richiesta e il n/s avv. m'invita - a suo dire a richiesta del magistrato - alla consegna di 1 chiave al curatore, il quale parla a tel. di consegna delle chiavi! Dopo il patatrac affiorò qlc sospetto x il plurale ricorrente nel curatore e per la scusante dell'avv. secondo il quale invece il riferito trattamento di favore poteva comportare in qualsiasi momento la decisione del magistrato di considerare libero l'appartamento ( insomma c'erano ipotesi contrarie e l'1 sembrava accusare l'altro, a mio avviso solo di facciata!). Sta di fatto che *nessuno ha comunicato la data dell'asta e relativa aggiudicazione* privandoci della possibilità di presentare offerta di aumento nel termine di 10 gg. e l'avv., dopo anni di silenzio, con recente racc.a.r. ha comunicato che la curatela ( con racc. avevamo chiesto al curatore che ogni comunicazione venisse fornita direttamente all'interessata ) gli ha fatto pervenire ass. circ. di circa 2.500 € a seguito di riparto finale, con invito a passare x lo studio x il ritiro dello stesso e " provvedere al saldo delle mie competenze"!
Si vorrebbe sapere se dalla descritta vicenda:
- emergono risvolti penali ( art. 380 c.p.?) e, in caso affermativo, quali, nonché se prescritti ( trattasi di reato permanente- se si x quali considerazioni- per cui il recente riparto li rende ancora perseguibili nella sede competente? );
- non è da attribuire al comportamento a dir poco °negligente* dell'avv.( perseguibile in sede penale e civile? ) la perdita dell'appartamento che ha comportato notevole esborso di soldi lasciati dai genitori alla parente nubile? In caso affermativo cosa fare;
- come comportarsi con la riferita racc.a.r., personalmente sono tentato di non rispondere, aspettando le sue successive mosse e/o inviare racc. al G.D., all'Avv. e p.c. al P.d.R. del capoluogo di Prov. con la quale, previa sintesi della vicenda, si precisa che non procediamo al ritiro dell'assegno fino a quando non ci vengono chiariti gli esposti dubbi.”
Consulenza legale i 09/01/2017
La ricostruzione della vicenda appare piuttosto confusa.
Si deve innanzitutto sottolineare come la Corte di Cassazione (in un caso diverso poiché si trattava di locazione, ma analogo per alcuni passaggi) abbia affermato come l'obbligazione di restituzione della cosa locata possa ritenersi correttamente adempiuta anche mediante la semplice restituzione delle chiavi dell'immobile (C. Cass., sez. III, 17/1/2012 n. 550). In altre parole, la consegna delle chiavi equivale ad una messa a disposizione dell’immobile.

Fatta questa necessaria premessa, si rende opportuno ancora sottolineare come, per ciò che concerne gli avvisi d’asta (vale a dire, l’avviso di una vendita all’incanto), questi avvengono obbligatoriamente mediante una adeguata pubblicità (addirittura su giornali locali) ai sensi dell’art. 490 c.p.c. Non si possono pertanto ravvisare negligenze del legale sotto questo profilo: le vendite all’incanto sono di pubblico dominio, non vi è obbligo di comunicazione personale.

Ai sensi dell’art. 380 c.p., il delitto di patrocinio infedele può configurarsi solo in presenza di un incarico formale e solo laddove, in mancanza del rispetto dei doveri professionali, il patrocinatore arrechi un qualche nocumento alla parte assistita (così C. Cass., n. 2689/1996; n. 9758/1998), non tale da configurare un danno patrimoniale o non patrimoniale ma tale anche solo da far perdere alla stessa il “bene della vita” per cui era in causa (cfr. C. Cass., sez. VI, 17/6/2016 n. 28309).

Nel caso di specie, non appare configurabile questo delitto: non appaiono, infatti, palesi la negligenza e la violazione dei doveri professionali sì come “codificati” nella legge professionale forense in modo tanto grave da configurare questa tipologia di delitto, anche considerando il fatto che il legale vi ha comunque avvisato in ordine all’assegno emesso a vostro favore alla chiusura della procedura di fallimento.

Infatti, posto che altri due legali, a cui avete affidato l’incarico di ravvisare un qualche profilo di responsabilità del vostro avvocato di fiducia, non hanno trovato nulla dall’esame delle carte, sembra quantomeno difficile raggiungere una prova che possa sostenere la tesi in sede di giudizio, tanto civile quanto penale. Sotto il profilo penale, la proposizione di una denuncia – querela, laddove non fondata su prove stringenti, potrebbe addirittura esporvi ad una controquerela per calunnia (art. 368. c.p.), mentre, dal punto di vista civilistico, potreste finire con il dover sborsare ulteriore denaro rispetto a quello già sborsato.
In altre parole, la prova della perdita dell’appartamento “per causa” dell’avvocato negligente non è così facilmente raggiungibile, né dimostrabile.

Alla luce delle confuse informazioni contenute nel quesito, ciò che vi consigliamo di fare è di chiedere ad un legale, esperto di procedure concorsuali, di esaminare l’intera procedura, ivi compresi questi “trattamenti di favore” e “inviti del magistrato” alla consegna delle chiavi al curatore: ove infatti risultassero profili di negligenza e/o omissioni da parte del vostro legale, sarebbe possibile intentare una causa in sede civile per responsabilità professionale e chiedere il risarcimento del danno patrimoniale ai sensi dell’art. 2043 c.c. ed eventualmente del danno non patrimoniale (inerente la perdita della casa).

Per ciò che concerne la raccomandata, posto che avevate intimato al curatore di riferire direttamente a Voi e non al vostro legale, ciò che possiamo consigliarvi è di chiedere al curatore di ritirare l’assegno inviato al legale e farlo pervenire a voi. Si badi però che, dal momento che l’onorario del legale ancora non è stato saldato, potreste andare incontro a procedure di recupero forzato del credito professionale.

Carlo G. chiede
martedì 20/09/2016 - Emilia-Romagna
“Oggetto ; art.84 CPC
Spettabile Brocardi , il mio quesito è il seguente . Si può configurare il delitto di cui all'art. 380 CP , per le seguenti ragioni . L'art. 84 c.p.c. è una norma rigidissima che vieta addirittura la parola alle parti se non autorizzate dal giudice , e non concede più di due pagine di verbalizzazione , purché autorizzate .
A me è successo che , mi è stata fatta una nota spese di migliaia di euro , per presentare deduzioni scritte fuori da ogni schema prossimale e come detto vietate categoricamente .
Alla udienza le stesse sono state verbalizzate autorizzate dal giudice , e sono state per filo , per segno e come punteggiatura , le stesse della istanza scritta , che il giudice ha rigettato severamente .
Non si può fare questo a un patrocinato e sono giorni che mi documento . Umilmente non c'è neppure giurisprudenza della Corte su questo articolo , vista la sua immanenza e chiarezza assoluta .
Chiaramente parlo di verifiche fatte con i miei mezzi , ma Brocardi dispone ben di altri , e come criterio allega ai pareri delle massime della Corte , cosa che vi chiedo anche oggi. Siate chiari come sempre e per favore prediligete la collettività , anche perché Brocardi sarà per me un ottimo punto di partenza , ma non definitivo , e nel passato la vostra consulenza è stata mutuata e apprezzata anche da parte avversa .

Consulenza legale i 30/09/2016
Ai sensi del D.M. n. 55/2014 il pagamento delle attività professionali svolte da un avvocato devono rientrare tra i parametri individuati dal Ministero, che, per l’attività in sede civile, si calcolano in base allo scaglione di valore della controversia.

Il delitto di cui all'art. 380 c.p. è un reato proprio, in quanto può essere commesso esclusivamente da un patrocinatore (avvocato, praticante abilitato al patrocinio, avvocato della Stato) o da un consulente tecnico, e tanto dottrina quanto giurisprudenza sono unanimi nel ritenere che la consumazione del reato avviene nel momento nel quale si verifica il nocumento agli interessi della parte.

Ciò premesso, la condotta di un legale che fattura – in maniera spropositata, a quanto scritto nel quesito – la proposizione di un’istanza rigettata successivamente dal Giudice competente non parrebbe dare luogo alla configurabilità del delitto di cui all’art. 380 c.p.

Infatti, la giurisprudenza è unanime nel ritenere che i requisiti per aversi il delitto di patrocinio infedele sono: un processo in corso; una condotta irrispettosa dei diritti e doveri professionali stabiliti dalla legge professionale per i fini di giustizia e il porre in essere, con tale condotta, un evento che costituisca un nocumento per la parte assistita. Nocumento che non si traduce necessariamente in un danno (patrimoniale o non patrimoniale), ma che può configurarsi anche nel mancato conseguimento del “bene della vita” di cui in causa o dei benefici di ordine anche solo morale che alla stessa parte sarebbero potuti derivare dal corretto e leale esercizio del patrocinio legale (cfr. ex multis, C. Cass., sez. VI, 17/6/2016 n. 28309; C. Cass., 28/10/2015 n. 43467; sez. VI, 30/10/2014 n. 45049).
La Cassazione precisa altresì che laprocura alle liti conferita al difensore in sede civile fa sì che egli possa scegliere la linea difensiva più consona al merito della controversia, senza poter disporre del diritto in contesa (a meno che sia stata conferita procura speciale, con la quale di fatto si autorizza il difensore a disporre del diritto, ad esempio rinunciando agli atti o conciliando la controversia) – C. Cass., n. 5905/2006.
Interessante è la pronuncia della Cassazione (sez. VI, 25/7/2011 n. 29653), che afferma come sia correttamente configurabile il delitto di cui all’art. 380 c.p. solo qualora si dimostri un danno effettivo subito dalla parte, anche riferito al beneficio di natura morale che questa avrebbe potuto conseguire se il legale si fosse attenuto ad un comportamento leale. L’astensione da un comportamento (deposito di una memoria, ad esempio), non è di per sé solo idoneo a configurare il delitto, poiché deve essere comunque verificato se quella omissione sia stata dolosa (quindi intenzionale) e tale da causare un nocumento alla parte.
In altre parole, il pagamento di un’istanza disattesa dal Giudice non dà luogo al reato di patrocinio infedele, posto che non si è creato – di fatto – alcun nocumento alla parte assistita.

Recente è una pronuncia della Cassazione che afferma come “gli estremi della truffa (art. 640 c.p.) si ravvedono nell’induzione in errore del cliente, attraverso la redazione di una parcella in cui vengono inserite attività professionali mai svolte e nell’ingiusto profitto derivante dal pagamento di competenze non spettanti” (C. Cass., 16/8/2016 n. 34887).

Il caso di specie è però ancora diverso rispetto a quello risolto dalla Cassazione: qui infatti un’attività è comunque stata svolta, nel caso risolto dalla Suprema Corte invece l’attività fatturata non è mai stata svolta.

Resta naturalmente fermo un eventuale illecito disciplinare del Suo legale.

In altre parole, ciò che le suggeriamo è di recarsi al Consiglio dell’Ordine degli Avvocati presso il cui albo il suo legale risulta iscritto e presentare un esposto, evidenziando le sue ragioni e contestando in toto la parcella, vista l’attività svolta in modo non conforme ai doveri professionali. A quel punto il Consiglio dell’Ordine avvierà le indagini del caso e – se lo riterrà – invierà gli atti al Consiglio Distrettuale di disciplina che si pronuncierà sull’illecito disciplinare così posto in essere.

Per dovere di completezza, si precisa che l’art. 84 c.p.c. non vieta in nessun modo di effettuare oltre due pagine di verbalizzazione, bensì si limita ad affermare quanto ribadito dalla Corte di Cassazione con la citata sentenza n. 5905/2006 (vale a dire, esplicitare i poteri del difensore munito di procura alle liti e di procura speciale).

Hai un dubbio o un problema su questo argomento?

Scrivi alla nostra redazione giuridica

e ricevi la tua risposta entro 5 giorni a soli 29,90 €

Nel caso si necessiti di allegare documentazione o altro materiale informativo relativo al quesito posto, basterà seguire le indicazioni che verranno fornite via email una volta effettuato il pagamento.