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Articolo 1261 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 26/11/2024]

Divieti di cessione

Dispositivo dell'art. 1261 Codice Civile

I magistrati dell'ordine giudiziario(1), i funzionari delle cancellerie e segreterie giudiziarie, gli ufficiali giudiziari, gli avvocati,i procuratori(2), i patrocinatori e i notai non possono, neppure per interposta persona(3), rendersi cessionari di diritti sui quali è sorta contestazione(4) davanti l'autorità giudiziaria di cui fanno parte o nella cui giurisdizione esercitano le loro funzioni, sotto pena di nullità e dei danni.

La disposizione del comma precedente non si applica alle cessioni di azioni ereditarie tra coeredi(5), né a quelle fatte in pagamento di debiti [1198] o per difesa di beni posseduti dal cessionario(6).

Note

(1) La ratio sottesa alla norma ne giustifica un'applicazione estesa ai magistrati di ogni giurisdizione.
(2) La legge 24 febbraio 1997, n. 27 ha soppresso la figura del procuratore legale e, pertanto, il riferimento non ha più rilevanza.
(3) La norma sanziona anche le violazioni indirette del divieto (v. 1344 c.c.).
(4) La norma non specifica se la lite, oltre che già sorta, deve anche essere ancora pendente o meno.
(5) Purché la lite sia tra i coeredi.
(6) Ad esempio Tizio concede a Caio un mutuo (v. 1813 c.c.), che Sempronio, amico di Caio, garantisce con un'ipoteca sulla propria casa (v. 2808 c.c.). Sempronio potrà ricevere il credito cedutogli da Tizio, anche in deroga ai divieti dell'art. 1261 del c.c., perché così difenderà la propria casa dall'espropriazione che potrebbe farne Tizio.

Ratio Legis

La norma vuole garantire l'imparzialità cui i soggetti elencati sono tenuti, a causa della propria professione, e che potrebbe venire meno se si rendessero cessionari di un credito relativo a una vertenza pendente davanti il loro ufficio.

Spiegazione dell'art. 1261 Codice Civile

La nuova norma sulla cedibilità dei crediti. La normale indifferenza della volontà del debitore. Raffronto tra cessione e delegazione attiva

Tutte nuove sono le norme di questo articolo che riguardano la cedibilità dei crediti. Nel vecchio codice non ve ne era il minimo accenno, e la dottrina aveva dovuto lavorare sui principi e sulla analogia.

II primo comma contiene una affermazione di principio che non è ovvia e superflua come parrebbe a prima vista. L'affermata cedibilità di ogni credito trova la sua giustificazione non tanto nel superato ricordo storico del principio contrario, quanto nella contrapposta situazione che segue immediatamente; la incedibilità eccezionale dei crediti che abbiano carattere strettamente personale o che rientrano in un divieto della legge. Dato, poi, che il vecchio codice regolava la sola cessione-vendita, la indicazione dei titoli vari ed alternativi, per cui il negozio può trovare la causa giuridica, serviva appunto ad ampliarne il concetto ed a spiegare la collocazione nella parte generale.

L'altro concetto che deriva da questa specie di definizione è quello della normale indifferenza della volontà del debitore sulla perfezione del negozio. Il vecchio codice, lo esprimeva implicitamente nell'art. #1538# con una affermazione non più riprodotta; che cioè la cessione si perfezionasse con i due soli consensi del cedente creditore e del cessionario. Nella nuova formula questo implicito concetto si traduce nell'altro più preciso ed è integrato da altri che servono a scolpire la sostanza e la forma del negozio bilatero. La sostanza, nel senso che sia l'identico credito, con le eccezioni causali e con le eventuali garanzie, che passa in testa al cessionario. Onde la ragione per cui non è stato mantenuto i1 nuovo art. 265 del progetto 1936, in cui si diceva superfluamente che il debitore fosse obbligato verso il cessionario nel modo stesso che verso il cedente. La forma, per spiegare che la volontà negoziale del debitore, pur potendo egli avere un interesse apprezzabile alla permanenza dello stesso creditore designato originariamente dalla legge, e più ancora dal contratto, non è necessaria per la trasmissione del diritto. Quella prevista come eventuale nei successivi articoli 1264 e 1265, all'effetto di rendere efficace il negozio di fronte ai terzi, non è quindi una dichiarazione di volontà, ma una dichiarazione di scienza («accettazione»). Il fatto, poi, che nella formula è detto «anche» senza il consenso del debitore, vuol significare che una cessione stipulata eventualmente con il consenso del debitore contiene un elemento contrattuale abbondante e riesce a confondere il negozio con quello trilatero di delegazione attiva non novativa. Infatti, come si vedrà nel commento del capo immediatamente successivo, il nuovo codice non prevede più espressamente la delegazione attiva del vecchio art. #1267#,n. 3; quella, cioè, per cui il creditore assegna, al proprio debitore consenziente, altro creditore pur consenziente (negozio trilatero secondo la consolidata dottrina). Nel sistema del codice abrogato questo negozio, purché fosse dimostrato l'animus novandi («in forza di una nuova obbligazione» diceva la citata disposizione) produceva novazione; e quindi, tra l'altro, il debitore non poteva opporre al nuovo creditore le eccezioni causali che avrebbe potuto opporre a quello originario. Nel nuovo sistema questa specie di delegazione, data la non soppressa atipicità delle categorie contrattuali, trova egualmente ingresso quando il consenso trilatero prende quel non equivoco indirizzo concentrico. Sarà solo questione di vedere se, nel silenzio delle parti, si producono sostanzialmente quegli effetti novativi che il nuovo art. 1270, 3° comma, prevede espressamente per la delegazione passiva. Superata, comunque, tale questione, ed ammesso che la delegazione attiva può attuarsi in modo che siano conservate le eccezioni del credito trasmesso, se ne deve concludere che in tal caso essa è un doppione ingombrante della cessione bilatera; alla quale le parti ricorreranno con maggior prontezza e facilità, anche perché mentre per la delegazione attiva sorgerebbe la questione sulla permanenza delle garanzie (arg. art. 1275), essa non avrebbe luogo in tema di cessione (art. 1263).


Le eccezioni alla cedibilità. Nozione ed esemplificazione dei crediti strettamente personali

La seconda parte del primo comma contrappone, alla normale cedibilità le due ipotesi di incedibilità che finora la dottrina aveva dovuto ricostruire sui principi e con la analogia, in base alle varie norme sparse nel codice e nelle leggi speciali circa i particolari divieti assoluti o relativi, ed alla norma limitatrice dell'art. #1234#, la quale escludeva dalla surrogatoria i diritti che fossero esclusivamente inerenti alla per­sona del debitore (a sua volta creditore surrogando). Il contenuto e l'ambito dei due campi non poteva completamente coincidere, perché nella surrogatoria si tratta di contenere l'invasione del creditore nella attività patrimoniale del proprio debitore, mentre qui si tratta di limitare la disponibilità del titolare. Nondimeno, tra le escogitabili formule, il nuovo codice non ha qui trovato di meglio che riprodurre nella sostanza quella del vecchio art. #1234#, sostituendo l'avverbio «strettamente» a quello «esclusivamente» ed aggiungendo l'altra ovvia ipotesi del divieto speciale di legge. Restano perciò fermi i risultati della precedente elaborazione dottrinale.

Strettamente personali sono da considerarsi quei crediti che derivano o sono occasionati da un rapporto personale già di per sè intrasmissibile per legge, come quello familiare; o per originaria volontà contrattuale delle parti, come in alcuni casi, il rapporto sociale. Esempi di questa categoria sono i crediti alimentari, quelli della vedova durante l'anno del lutto, i frutti della dote spettanti al marito, quelli del socio contro la società e via dicendo. A questa categoria più emergente si sogliono aggiungere i crediti nei quali la persona del creditore è stata elevata a momento essenziale del vincolo, come quelli che hanno per oggetto un facere. Inoltre, per la impossibilità giuridica di separare l'accessorio dal principale, non sarebbe possibile, ad esempio, la cessione separata del credito contro il fideiussore. Alla suddetta ipotesi di incedibilità per la natura del credito sono da contrapporre quelle in cui l'ostacolo sorge per un espresso divieto della legge; o assoluto come quello degli appaltatori statali o per gli stipendi; o relativo (cioè, nei rapporti di determinati soggetti), come quello per i crediti di persone soggette alla altrui potestà verso coloro che tale potestà esercitano (tutore da un lato, e minore o interdetto dall'altro). Tale ultimo ordine di divieti tendono alla protezione contro i più agevoli abusi del cessionario verso il debitore.


Il divieto dell’art. 1261

A tutti questi divieti va aggiunto quello particolare del successivo art. 1261, la cui disposizione corrispondente al vecchio art. #1458#, è stata qui trasferita dal titolo della vendita, come riferentisi esclusivamente alla cessione. La ragione del divieto risiede qui nella dignità e nel rispetto da cui deve essere integralmente circondata l'amministrazione della giustizia, e quindi nell'intento di sottrarre quel rapporto di altissimo interesse pubblico ad ogni possibilità di contaminazione per motivi di interesse. Così, nell'ambito del territorio dove esercitano le loro funzioni, le persone indicatevi (dell'ordine giudiziario e assimilati) non possono rendersi cessionari di diritti litigiosi compresi nella competenza stessa territoriale. Nel vecchio art. #1458# si parlava di liti, ragioni ed azioni litigiose. Eliminati ora gli equivoci e le tautologie, il nuovo testo sostituisce la precisa definizione del diritto litigioso come quello per cui è già insorta la contestazione giudiziaria. La definizione, quasi identica, era già contenuta nel vecchio art. #1457# che integrava le ora abolite norme sul retratto litigioso. Le eccezioni già contemplate nel vecchio art. #1458# vengono mantenute nel secondo al comma dello stesso art. 1260, poiché, con discutibile criterio, si è ritenuto ancora che in tema di cessioni ereditarie, od in pagamento, o per la difesa di beni posseduti, non ricorressero le ragioni ostative normali del comma precedente. Ma l'ultimo comma del ripetuto art. #1458# non è stato qui riprodotto poiché il divieto riguardante la così detta quota lite fra difensore e cliente non rientrava nell'argomento della cessione.


Il patto di incedibilità

Il secondo comma dell'art. 1260 risolve affermativamente, ma con le dovute cautele, la grave e dibattuta questione sulla efficacia, di fronte al terzo cessionario, del patto di incedibilità tra debitore e creditore. La dottrina prevalente nel silenzio della legge, non ravvisava alcun principio ostativo o cogente contro una simile restrizione alla normale ma non essenziale circolazione di questa speciale categoria di beni. Altri aveva obiettato che il principio insuperabile derivasse dalla indiscussa nullità di ogni patto per cui si stabilisce la illimitata inalienabilità della cosa definitivamente trasmessa all'acquirente. Senonché, l'obiezione non aveva pregio data la particolarità dell'oggetto. Essa, infatti, consiste in uno stato permanente di soggezione patrimoniale da parte del debitore; il quale, nel costituirlo con la sua volontà negoziale, deve potervi apporre quelle limitazioni che rispondono ad un suo apprezzabile interesse. Ora l'interesse di avere per creditore quella determinata persona designata dal contratto, e non, ad esempio, un successore esoso o mortale nemico, pur non preso in considerazione dalle legislazioni evolute ai fini della normale cedibilità del credito, può venire in funzione per volontà espressa di chi proprio per sua volontà viene a dar vita alla obbligazione. Altra cosa è la essenziale circolazione dei crediti così detti cartolari, cioè incorporati nel documento formale ove le clausole apponibili sono tassativamente designate dalla legge di circolazione. Così la clausola di non girabilità apposta nella cambiale (art. 15, 2° comma, legge 5 dicembre 1933, n. 1669) non vieta il trasferimento della titolarità ad un giratario qualunque, perché ciò sarebbe contro l'essenza del titolo di credito, ma permette di girarla soltanto con gli effetti di una cessione di fronte a chi l'ha apposta; cioè a dire, rende opponibili le eccezioni personali del rapporto fondamentale. In tema di cessione, invece, dove tale opponibilità è elemento naturale del trasferimento, la clausola di incedibilità non può avere se non l'effetto di ostacolare il trasferimento medesimo e di offrire al debitore l'eccezione perentoria e negativa contro la domanda personale del cessionario. Unica e non lieve condizione è la prova che l'acquirente abbia avuto precisa conoscenza del patto al momento della cessione. In una prima redazione del progetto ministeriale era detto che il patto per essere opponibile, dovesse risultare dal documento costitutivo; ma nel testo definitivo, scartato quel presupposto non necessario nè sufficiente, si è sostituita la qualsiasi conoscenza originaria con l'onere probatorio a carico del debitore.

Relazione al Codice Civile

(Relazione del Ministro Guardasigilli Dino Grandi al Codice Civile del 4 aprile 1942)

Massime relative all'art. 1261 Codice Civile

Cass. civ. n. 28914/2022

Il patto di quota lite, stipulato dopo la riformulazione dell'art. 2233 c.c. (operata dal d.l. n. 223 del 2006, conv. con modif. dalla l. n. 248 del 2006) e prima dell'entrata in vigore dell'art. 13, comma 4, della l. n. 247 del 2012, che non violi il divieto di cessione dei crediti litigiosi di cui all'art. 1261 c.c., è valido a meno che, valutato sotto un profilo causale nonché sotto il profilo dell'equità, alla stregua della regola integrativa di cui all'art. 45 del codice deontologico forense, nel testo deliberato il 18 gennaio 2007, il rapporto tra il compenso pattuito e il risultato conseguito, stabilito dalle parti all'epoca della conclusione del contratto, risulti sproporzionato per eccesso rispetto alla tariffa di mercato.

Cass. civ. n. 14705/2022

In tema di divieto di cessione a favore di determinate persone di crediti e diritti litigiosi, il dato testuale e la "ratio" dell'art. 1261 c.c., diretta ad impedire speculazioni sulle liti da parte dei pubblici ufficiali e degli esercenti le professioni legali che svolgono la loro funzione nell'ambito della giurisdizione dell'ufficio giudiziario dinanzi al quale sia sorta la controversia, consentono di affermare che il divieto stesso non trova applicazione riguardo a un credito la cui controversia sia stata definita con sentenza passata in giudicato.

Cass. civ. n. 29834/2018

Sussiste violazione del divieto di cessione di cui all'art. 1261 c.c. nell'ipotesi in cui un avvocato, oltre a rendersi cessionario di un credito, abbia avuto dal cedente anche uno specifico mandato professionale per avviarne l'azione di recupero presso il debitore moroso, atteso che è coerente con la "ratio" della norma - la quale è diretta ad impedire la speculazione sulle liti da parte dei soggetti in essa contemplati - la sua interpretazione estensiva che sia volta ad attribuire un significato ampio al sintagma "diritti sui quali è sorta contestazione".

Cass. civ. n. 11144/2003

In tema di divieto di cessione di crediti litigiosi a favore di soggetti esercenti determinate attività (nella specie, un avvocato), il dato testuale dell'art. 1261 c.c. (che fa espresso riferimento ad una «sorta controversia» avanti all'autorità giudiziaria), nonché la ratio di detta norma (diretta ad impedire speculazione sulle liti da parte dei soggetti in essa contemplati) comportano che il divieto stesso non trova applicazione riguardo a crediti per i quali non sia ancora sorta una controversia giudiziaria.

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