Per comprendere il significato di questa pronuncia, è necessario però premettere, in sintesi, che:
- il reato di patrocinio infedele è previsto dall’art. 380 c.p., il quale punisce con la reclusione e con la multa il patrocinatore o il consulente tecnico che, rendendosi infedele ai suoi doveri professionali, arreca nocumento agli interessi della parte da lui difesa, assistita o rappresentata dinanzi all'Autorità giudiziaria: si tratta, in particolare, di un'ipotesi di reato plurioffensivo, in quanto diretta a tutelare sia la deontologia professionale dell'avvocato o del consulente, sia la persona da egli assistita, in quanto lesa dalla condotta infedele;
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il reato di esercizio abusivo di una professione è invece disciplinato dall’ art. 348 c.p., che prevede la pena della reclusione e della multa per chiunque abusivamente esercita una professione per la quale è richiesta una speciale abilitazione dello Stato. Nello specifico, questa norma tutela l'interesse pubblico acché determinate attività delicate, socialmente rilevanti, vengano svolte solamente da chi possegga gli accertati requisiti morali e professionali.
I due reati, cioè, sono ontologicamente compatibili?
Ebbene, la Suprema Corte di recente ha affrontato un caso simile e, con la pronuncia citata, si è espressa a favore della compatibilità dei reati.
Il caso di specie, segnatamente, riguardava un soggetto imputato di esercizio abusivo della professione di avvocato e di patrocinio infedele in quanto aveva seguito una causa di separazione pur essendo stato sospeso dall’esercizio della professione, rendendosi peraltro infedele ai suoi doveri professionali a causa del mancato deposito di vari atti processuali in danno della sua assistita: il Tribunale, alla luce di tali fatti, aveva dunque condannato l’imputato per i reati riuniti di cui agli artt. 348 e 380 c.p.
La pronuncia della responsabilità penale, poi, era stata confermata in sede di appello.
Avverso la sentenza di secondo grado, aveva pertanto proposto ricorso il difensore dell’imputato, dolendosi – per quanto qui di rilievo – della contraddittorietà della sentenza in ordine alla ritenuta sussistenza di entrambi i reati contestati.
La Cassazione, dunque, ha rilevato l’inammissibilità del ricorso per genericità dei motivi, meramente reiterativi di censure già vagliate e disattese, evidenziando che ben possono essere integrati entrambi reati qualora le condotte contestate siano più d’una e di diversa natura: nel caso di specie, in particolare, all’esercizio abusivo della professione era stata ricondotta la partecipazione dell’avvocato sospeso all’udienza di precisazione delle conclusione; mentre al patrocinio infedele era stata ricondotta la violazione degli accordi con la cliente nonché del dovere di lealtà e correttezza professionale atteso il mancato deposito di importanti atti processuali.