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Articolo 510 Codice di procedura civile

(R.D. 28 ottobre 1940, n. 1443)

[Aggiornato al 02/03/2024]

Distribuzione della somma ricavata

Dispositivo dell'art. 510 Codice di procedura civile

Se vi è un solo creditore pignorante senza intervento di altri creditori, il giudice dell'esecuzione, sentito il debitore, dispone a favore del creditore pignorante il pagamento di quanto gli spetta per capitale, interessi e spese [95] (1).

In caso diverso la somma ricavata è dal giudice distribuita tra i creditori a norma delle disposizioni contenute nei capi seguenti, con riguardo cause legittime di prelazione [527 2, 541 ss., 596 ss., 686; c.c. 2741, 2916] (2) e previo accantonamento delle somme che spetterebbero ai creditori intervenuti privi di titolo esecutivo i cui crediti non siano stati in tutto o in parte riconosciuti dal debitore.

L'accantonamento è disposto dal giudice dell'esecuzione per il tempo ritenuto necessario affinché i predetti creditori possano munirsi di titolo esecutivo e, in ogni caso, per un periodo di tempo non superiore a tre anni. Decorso il termine fissato, su istanza di una delle parti o anche d'ufficio, il giudice dispone la comparizione davanti a se' del debitore, del creditore procedente e dei creditori intervenuti, con l'eccezione di coloro che siano già stati integralmente soddisfatti, e dà luogo alla distribuzione della somma accantonata tenuto conto anche dei creditori intervenuti che si siano nel frattempo muniti di titolo esecutivo. La comparizione delle parti per la distribuzione della somma accantonata è disposta anche prima che sia decorso il termine fissato se vi è istanza di uno dei predetti creditori e non ve ne siano altri che ancora debbano munirsi di titolo esecutivo(3).

Il residuo della somma ricavata, dopo l'ulteriore distribuzione di cui al terzo comma ovvero dopo che sia decorso il termine nello stesso previsto, è consegnato al debitore o al terzo che ha subito l'espropriazione (4).

Note

(1) E' bene precisare che il capitale indicato dalla norma in esame comprende, oltre al credito, anche gli interessi scaduti anteriormente al precetto o all'intervento e le spese legali antecedenti a tali atti; per interessi si intendono quelli successivi al precetto ed all'intervento; le spese, infine, riguardano solo quelle sostenute per il processo esecutivo. Relativamente all'imputazione dei pagamenti, è necessario distinguere: se vi è un solo credito, allora il pagamento si imputerà prima alle spese, poi agli interessi ed infine al capitale (v. c.c. 1194); se il creditore, invece, ha più crediti l'imputazione avverrà secondo il disposto dell'art. 1193 c.c..
(2) Il comma in esame disciplina il caso dell'esistenza di più creditori che determina diverse conseguenze a seconda della tipologia di espropriazione. Nell'ipotesi di quella mobiliare la legge dà la possibilità ai creditori di accordarsi su un piano di riparto, nel qual caso il giudice provvederà alla distribuzione in conformità al piano concordato, denominata distribuzione amichevole; nel caso in cui non venga raggiunto tale accordo il giudice, in seguito alla richiesta di uno o più creditori, provvederà alla distribuzione con riguardo dapprima ai diritti di prelazione e poi al criterio di proporzionalità, c.d. distribuzione giudiziale. Diversamente, nell'espropriazione immobiliare la distribuzione può essere solo giudiziale, le cui modalità sono fissate dagli artt. 596 e ss..
(3) In ordine ai creditori non muniti di titolo esecutivo è necessario distinguere se il debitore ha riconosciuto in tutti o in parte i crediti o il caso in cui li abbia contestati.
Nel primo caso il giudice provvede all'assegnazione anche in loro favore; nella seconda ipotesi il creditore deve avviare il giudizio per munirsi di titolo esecutivo e in sede di distribuzione del ricavato il giudice dell'esecuzione disporrà l'accantonamento delle somme a lui spettanti. L'accantonamento è disposto per il tempo necessario affinché i creditori privi di titolo possano armarsi di titolo esecutivo, e in ogni caso per un periodo non superiore di tre anni. Decorso il termine fissato, il giudice dell'esecuzione, previa istanza di una delle parti o anche d'ufficio, dispone la comparizione del debitore, del creditore procedente e dei creditori intervenuti, con l'eccezione di coloro che siano già stati integralmente soddisfatti, per poi procedere alla distribuzione delle somme residue, escludendo i creditori che non si sono muniti di titolo esecutivo.
(4) Si dà inizio alla distribuzione della massa attiva con la prededuzione delle spese di giudizio su ogni altro credito. In seguito vengono soddisfatti prima i creditori con diritto di prelazione e poi i creditori chirografari tempestivamente intervenuti. Come indicato dal comma in analisi, l'eventuale residuo, se non occorre per soddisfare eventuali creditori chirografari tardivi, è consegnato al debitore o al terzo che ha subito l'espropriazione. Nel caso in cui i creditori, dopo la completa distribuzione della massa attiva, non siano totalmente soddisfatti potranno promuovere un nuovo processo esecutivo contro lo stesso debitore.

Ratio Legis

La norma disciplina la distribuzione del ricavato in seguito alla vendita o all'assegnazione, istituto che ha subito una profonda modifica ad opera delle leggi n.80 e n.263 del 2005. In dottrina è assai controversa la natura giuridica della distribuzione: secondo un primo orientamento, che però non ha trovato alcun riscontro giurisprudenziale, la distribuzione avrebbe natura cognitiva di accertamento del fondamento dei crediti ed il riparto acquisterebbe carattere di cosa giudicata. Diversamente, un altro orientamento, avallato dalla giurisprudenza, attribuisce alla distribuzione natura esecutiva e, di conseguenza, escludendosi ogni forma di accertamento della sussistenza delle pretese, il provvedimento di riparto potrebbe essere messo in discussione tanto dai creditori quanto dal debitore con lo strumento dell'opposizione all'esecuzione ex art.615 c.p.c..

Spiegazione dell'art. 510 Codice di procedura civile

Se la procedura esecutiva viene portata avanti da un solo creditore e non intervengono altri creditori, il giudice dell'esecuzione, sentito il debitore, dispone a favore del creditore pignorante il pagamento di quanto gli spetta per capitale, interessi e spese, dopo aver sentito il debitore (la necessità di sentire il debitore è volta a consentire a quest'ultimo di sollevare contestazioni circa l'esistenza e l'ammontare del credito).

E’ stato evidenziato che, nel caso di unico creditore, il legislatore usa l'espressione “pagamento”, mentre, qualora vi sia un residuo da restituire al debitore esecutato o al terzo che ha subito l'espropriazione, viene utilizzato il termine “consegna”, a dimostrazione che si tratta di una somma in proprietà del medesimo, come si ricava dalla circostanza che anche nell'ipotesi di estinzione del processo di espropriazione, ex art. 632 del c.p.c. comma 2, la somma ricavata va consegnata al debitore.

Nella voce capitale devono intendersi ricompresi, oltre al credito, anche gli interessi scaduti prima della notificazione del precetto o dell’intervento e le spese legali antecedenti a tali atti.

Gli interessi, invece, sono quelli successivi al precetto ed all'intervento.

Per spese, infine, si intendono quelle sostenute per portare avanti lo stesso processo esecutivo.

L'imputazione dell'attribuzione del ricavato deve avvenire ai sensi dell'art. 1194 del c.c., cioè prima alle spese, quindi agli interessi ed, infine, al capitale. Qualora vi sia un creditore unico che abbia più crediti, si ritiene in giurisprudenza che i criteri di imputazione stabiliti dagli artt. 1193 e 1194 c.c. siano applicabili esclusivamente ai pagamenti volontari e non anche a quelli coattivi.

Ipotesi non espressamente presa in esame dalla norma, ma a cui si ritiene applicabile anche quanto dettato dal primo comma, è quella in cui vi sia soltanto un creditore intervenuto, per avere il creditore procedente rinunciato all'azione esecutiva.

Nel caso in cui siano intervenuti diversi creditori, la somma ricavata è distribuita dal giudice come segue:

  1. nel caso di espropriazione mobiliare i creditori hanno possibilità di accordarsi su un piano di riparto ed il giudice provvederà alla distribuzione in conformità al piano concordato (c.d. distribuzione amichevole).
In mancanza di accordo il giudice, in seguito alla richiesta di uno o più creditori, provvederà alla distribuzione con riguardo dapprima ai diritti di prelazione e poi al criterio di proporzionalità, c.d. distribuzione giudiziale.

  1. nell'espropriazione immobiliare la distribuzione può essere solo giudiziale, secondo le modalità fissate dagli artt. 596 e ss..

In ogni caso deve essere disposto l’accantonamento delle somme che spetterebbero ai creditori intervenuti privi di titolo esecutivo, i cui crediti non siano stati in tutto o in parte riconosciuti dal debitore.

Tale accantonamento deve essere disposto dal giudice dell'esecuzione per il tempo ritenuto necessario affinché i predetti creditori possano munirsi di titolo esecutivo e, in ogni caso, per un periodo di tempo non superiore a tre anni.

Trascorso il termine fissato, il giudice, previa istanza di una delle parti o anche d'ufficio, dispone la comparizione davanti a sé di debitore, creditore procedente e creditori intervenuti (non sono invitati a comparire coloro che siano già stati integralmente soddisfatti), e provvede alla distribuzione della somma accantonata, tenuto conto anche dei creditori intervenuti che si siano nel frattempo muniti di titolo esecutivo.

Tuttavia, se viene avanzata espressa istanza da parte di uno dei creditori in favore dei quali era stato disposto l’accantonamento, il quale si sia già munito di titolo esecutivo e non ve ne siano altri che ancora debbano munirsi di tale titolo, la comparizione delle parti per la distribuzione della somma accantonata può essere disposta anche prima che sia decorso il termine fissato.

Il mancato conseguimento da parte di alcuni dei creditori di un efficace titolo esecutivo comporta l'impossibilità di partecipare al riparto, con conseguente accrescimento della percentuale di soddisfazione degli altri creditori ovvero della somma da restituire al debitore esecutato o al terzo che ha subito l'espropriazione.

Occorre ovviamente precisare che la mancata assegnazione della somma ai creditori concorrenti, che non siano riusciti a munirsi del titolo esecutivo entro l'udienza in esame, non estingue il diritto di credito, cosicché ove gli stessi si muniscano di un titolo esecutivo, potranno promuovere un nuovo e distinto processo di espropriazione.

Il residuo della somma ricavata, dopo l'ulteriore distribuzione anche delle somme accantonate ovvero dopo che sia decorso il termine per consentire ai creditori senza titolo di munirsi del titolo esecutivo, è consegnato al debitore o al terzo che ha subito l'espropriazione.
Nel caso in cui i creditori, dopo la completa distribuzione della massa attiva, non siano totalmente soddisfatti potranno promuovere un nuovo processo esecutivo contro lo stesso debitore.

Come si evince dall’analisi di questa norma, dunque, vengono disciplinate tre differenti fattispecie, ossia:
  1. l'ipotesi in cui vi sia un unico creditore;
  2. l’ipotesi in cui non sia possibile procedere immediatamente alla distribuzione dell'intero ricavato, ma si debba provvedere ad accantonarne una parte;
  3. il procedimento da seguire per distribuire effettivamente il ricavato.


Le ordinanze che il giudice dell’esecuzione emette in attuazione della norma in esame, anche nelle parti in cui dispongono l'attribuzione o l’assegnazione delle somme di denaro ai creditori concorrenti o, eventualmente, la restituzione del residuo al debitore o al terzo che ha subito l'esecuzione, non hanno efficacia esecutiva ex art. 474 del c.p.c.; le stesse, infatti, contengono soltanto l'ordine al cancelliere di emettere i mandati di pagamento, i quali vanno poi esibiti all'ufficio postale tenuto a provvedere al pagamento del relativo importo, prelevandolo dal deposito.

Massime relative all'art. 510 Codice di procedura civile

Cass. civ. n. 12127/2020

In tema di esecuzione forzata, il provvedimento che chiude il procedimento esecutivo, pur non avendo, per la mancanza di contenuto decisorio, efficacia di giudicato, è, tuttavia, caratterizzato da una definitività insita nella chiusura di un procedimento esplicato col rispetto delle forme atte a salvaguardare gli interessi delle parti ed incompatibile con qualsiasi sua revocabilità, in presenza di un sistema di garanzie di legalità per la soluzione di eventuali contrasti, all'interno del processo esecutivo; ne consegue che il soggetto espropriato non può esperire, dopo la chiusura del procedimento di esecuzione forzata e sul presupposto dell'illegittimità per motivi sostanziali dell'esecuzione forzata, l'azione di ripetizione di indebito contro il creditore per ottenere la restituzione di quanto costui abbia riscosso, ma l'irretrattabilità del progetto di distribuzione della somma ricavata attiene al rapporto tra l'esecutato e il creditore e non già al diverso rapporto tra il creditore ed il suo difensore antistatario. (Nella specie, la S.C. ha cassato la decisione di merito che aveva respinto la domanda del creditore volta alla restituzione dei compensi del suo difensore, percepiti, con distrazione a suo favore, in un processo esecutivo conclusosi con l'approvazione del piano di riparto in cui le spettanze professionali erano state quantificate e liquidate). (Cassa con rinvio, TRIBUNALE TORRE ANNUNZIATA, 13/11/2018).

Cass. civ. n. 24571/2018

Il giudice dell'esecuzione, quando provvede alla distribuzione o assegnazione del ricavato o del pignorato al creditore procedente e ai creditori intervenuti, determinando la parte a ciascuno spettante per capitale, interessi e spese, effettua accertamenti funzionali alla soddisfazione coattiva dei diritti fatti valere nel processo esecutivo e, conseguentemente, il provvedimento di liquidazione delle spese dell'esecuzione, in tal caso ammissibile, implica un accertamento meramente strumentale alla distribuzione o assegnazione stessa, privo di forza esecutiva e di giudicato al di fuori del processo in cui è stato adottato, sicché le suddette spese, quando e nella misura in cui restino insoddisfatte, sono irripetibili.

Cass. civ. n. 3786/2014

In tema di espropriazione forzata, l'ordinanza con cui il giudice dell'esecuzione disponga il pagamento della somma ricavata a favore del solo creditore pignorante, in assenza di intervento di altri creditori, ai sensi dell'art. 510, primo comma, cod. proc. civ., concedendo erroneamente termine per la proposizione dell'opposizione ex art. 512 cod. proc. civ., costituisce, anche per il profilo relativo al computo dei termini per impugnare, atto esecutivo, contro cui è esperibile, nel relativo termine perentorio, l'opposizione prevista dall'art. 617, secondo comma, cod. proc. civ.

Cass. civ. n. 10126/2003

In tema di esecuzione forzata e nell'ipotesi di un solo creditore, emessa l'ordinanza per la distribuzione della somma ricavata ai sensi dell'art. 510, primo comma c.p.c., l'unico rimedio che possa ovviare al risultato di una eventuale distribuzione non conforme a diritto è costituito dall'opposizione agli atti esecutivi, cui l'ordinanza medesima è soggetta in quanto atto esecutivo.

Cass. civ. n. 5580/2003

In tema di esecuzione forzata, è manifestamente infondata la dedotta illegittimità costituzionale – in riferimento agli artt. 42, secondo e terzo comma, e 111, secondo comma, Cost. – dell'art. 510 c.p.c., così come da questa Corte interpretato nel senso che il provvedimento di distribuzione del giudice dell'esecuzione ha effetto preclusivo, se non contestato con l'opposizione di cui all'art. 512 c.p.c. in ordine alla proposizione in separato giudizio di azione da parte dell'esecutato (nel caso, per il terzo acquirente di bene ipotecato) volta alla tutela del proprio diritto a conseguire le somme ricavate dall'esecuzione eccedenti la somma attribuita al singolo creditore rispetto a quanto ad esso spettante per sorte, interessi e spese (nel caso, le ipoteche iscritte), in quanto tale effetto preclusivo consegue al comportamento inerte dell'esecutato medesimo, per non essersi tempestivamente avvalso degli specifici rimedi giurisdizionali interni al processo esecutivo, costituiti dall'opposizione distributiva ex art. 512 c.p.c. o dalle opposizioni esecutive ex artt. 615, secondo comma, e 611 c.p.c., mediante le quali far valere, davanti al giudice dell'esecuzione, le proprie contestazioni di merito o di forma.

Cass. civ. n. 1145/1999

Le somme versate dal debitore in sede di conversione del pignoramento, divenendo esse stesse assoggettate al vincolo esecutivo, devono, in caso di residuo attivo, essere in parte qua riconsegnate al debitore stesso secondo le forme di cui all'art. 510 comma terzo c.p.c., senza che a diverse conclusioni possa indurre la circostanza che la conversione del pignoramento sia stata (come nella specie) irritualmente attuata attraverso il deposito di due libretti nominativi vincolati all'ordine del giudice ed intestati al debitore, anziché mediante versamento di una somma di danaro da depositarsi a cura del cancelliere (art. 495 c.p.c.), ovvero deposito di libretto bancario intestato al creditore (arg. ex art. 495, comma sesto nel testo anteriore alla novella del 1990), costituendo, in tal caso, il deposito dei libretti nominativi una mera irregolarità formale (non ostativa al raggiungimento dello scopo della conversione, per essere stati, da un lato, i beni pignorati liberati dal vincolo, per essere stato, dall'altro, il creditore interamente soddisfatto con parte delle somme depositate sui detti libretti). L'iniziale deviazione dallo schema tipico del procedimento non esclude, in ogni caso, la necessità di ripristinarne le forme legali, attraverso l'ordine di restituzione delle somme residue al debitore esecutato da eseguirsi a cura della cancelleria mediante richiesta all'istituto di credito dell'emissione di un assegno circolare intestato al debitore stesso, con la conseguenza che, prima dell'esaurimento di tale procedura, con correlata consegna del residuo al debitore, l'istituto di credito depositario delle somme, se a sua volta creditore dell'esecutato, non può legittimamente trattenere le somme residue a titolo di compensazione.

Cass. civ. n. 2355/1978

La prelazione del creditore ipotecario, ritualmente ammesso al passivo fallimentare, si estende automaticamente, e, quindi, anche in difetto di un'espressa istanza in tal senso del creditore medesimo, ai frutti civili prodotti dall'immobile ipotecato dopo la dichiarazione di fallimento (nella specie, canoni di locazione), agli interessi eventualmente maturati su detti frutti, agli interessi maturati sulla somma realizzata dalla vendita del bene. Tale principio, il quale, nell'esecuzione individuale, è evincibile dal combinato disposto dagli artt. 2808, 2811, 2812 c.c., 509, 558, 559 e 594 c.p.c., deve infatti ritenersi operante, in difetto di contraria previsione, anche nell'ambito dell'esecuzione concorsuale, in quanto non incompatibile con le norme ed i caratteri peculiari della stessa.

Cass. civ. n. 2300/1970

L'art. 54 del R.D. 16 marzo 1942, n. 267 (legge fallimentare), stabilisce che i creditori garantiti da ipoteca, pegno o privilegio fanno valere il loro diritto di prelazione sul «prezzo» dei beni vincolati, per cui, dato il chiaro tenore della norma, il diritto stesso non può considerarsi estensibile anche agli accessori, ed in particolare agli interessi prodotti dalla somma ricavata dalla vendita dei suddetti beni. (Nella specie, la Corte Suprema ha ritenuto esatta la decisione con la quale i giudici del merito avevano negato l'attribuzione, ai creditori assistiti da privilegio automobilistico, delle somme costituite dagli interessi prodotti dal prezzo di vendita, depositato in banca, di alcuni autoveicoli).

Cass. civ. n. 735/1969

È legittima la collocazione contemporanea dello stesso credito in distinti riparti o ricavati da singole esecuzioni rivolte contro più debitori solidali sotto la condizione esplicita o implicita che non si ottenga (o non si possa ottenere) completa soddisfazione in una di esse, sicché ove sia accertato che il credito sia stato effettivamente soddisfatto in sede di distribuzione, in una delle procedure, viene meno senz'altro l'effetto di tutte le altre parallele collocazioni.

Cass. civ. n. 176/1966

Le norme fissate dall'art. 1193 c.c. per l'imputazione dei pagamenti, non possono trovare applicazione in sede di collocazione dei crediti sulla somma ricavata dall'esecuzione sui beni del debitore.

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Luca B. chiede
mercoledì 27/06/2018 - Emilia-Romagna
“Gent.mi,
di seguito la mia richiesta:

Un amministratore di condominio pignora l'immobile per spese condominiali inevase da due coniugi proprietari in separazione dei beni.
La cifra di quote condominiali inevase è pari a 12.000 euro.
L'avvocato del condominio esegue il pignoramento solo per la metà dell'immobile e nei confronti del marito e non della moglie che NON viene esecutata.
La causa si trasforma in un giudizio di divisione per cui il ricavato di metà dell'asta andrà alla moglie mentre al marito la metà defalcata
di 12.000 euro più le spese.
l'asta viene rinviata più volte.
Passano 3 anni dalla prima udienza in cui altre spese condominiali maturano e non vengono evase dai due coniugi.
Il totale di spese inevase a metà del 2018 ammonterà a 50.000 euro.
Nel frattempo a marzo 2018 il condominio emette un decreto ingiuntivo nei confronti della moglie NON esecutata per partecipare alla distribuzione delle somme anche per le quote condominiali inevase successive.
L'immobile Viene venduto all'asta al 10 aprile 2018 per 200.000 euro.
Il decreto di trasferimento verrà emesso il 1o luglio 2018.

Al netto delle spese processuali e/o altre spese, e considerando che le quote condominiali inevase relative agli ultimi 2 esercizi di gestione condominiale corrispondenti al 2017 fino al primo luglio 2018 ammontano a 10.000 euro:

1-è giusto pensare che il marito esecutato riceverà dalla vendita 88.000 euro (200.000/2 - 12.000)?

2-è giusto pensare (come da art. 63 c.p.c.) che il nuovo decreto ingiuntivo emesso a marzo 2018 contro la moglie debba essere al netto delle spese maturate dal 1 gennaio 2017 al 1 luglio 2018 (decreto di trasferimento) e al netto dei 12.000 euro del punto 1: 50.000 - 12.000 - 10.000 = 28.000

3-e quindi è giusto dedurre che dalla vendita la moglie ricaverà 72.000 euro (200.000/2 - 28.000)?

Ringrazio e Invio Distinti Saluti


Consulenza legale i 02/07/2018
In base agli elementi forniti nel quesito, senza avere a disposizione alcun documento, possiamo in linea teorica osservare quanto segue.
L’azione esecutiva presuppone l’esistenza di un titolo (giudiziale o stragiudiziale) nei confronti del soggetto destinatario dell’azione coattiva di recupero.
Nel caso di specie, non è specificato quale fosse il titolo (e se fosse stato emesso nei confronti di uno solo o di entrambi i coniugi comproprietari) con cui era stato eseguito il primo pignoramento.

Ad ogni modo, deduciamo che fosse un decreto ingiuntivo, probabilmente emesso soltanto nei confronti del marito (dato che l’azione esecutiva era stata diretta solo verso quest’ultimo).
Teniamo presente che i comproprietari di un appartamento in edificio condominiale sono debitori solidali verso il condominio per il pagamento delle spese condominiali: l'amministratore di condominio può infatti agire ed esigere da ciascuno di essi l'intero ammontare del debito.
Tale principio è confermato dalla giurisprudenza di legittimità. Ad esempio, con la pronuncia n. 21907/2011, la Corte di Cassazione ha statuito il seguente principio di diritto: “I comproprietari di una unità immobiliare sita in condominio sono tenuti in solido, nei confronti del condominio, al pagamento degli oneri condominiali, sia perché detto obbligo di contribuzione grava sui contitolari del piano o della porzione di piano inteso come cosa unica e i comunisti stessi rappresentano, nei confronti del condominio, un insieme, sia in virtù del principio generale dettato dall'art. 1294 cod. civ. (secondo il quale, nel caso di pluralità di debitori, la solidarietà si presume), alla cui applicabilità non è di ostacolo la circostanza che le quote dell'unità immobiliare siano pervenute ai comproprietari in forza di titoli diversi”.

Ciò posto, anche in ipotesi di pignoramento immobiliare, possiamo fare riferimento alla disciplina contenuta nel codice di rito in materia di esecuzione forzata in generale.
In particolare, in base all’art. 510 c.p.c. (peraltro, richiamato anche nell’art. 596 c.p.c. relativo al progetto di distribuzione) se vi è un solo creditore pignorante (in questo caso, il condominio) il giudice dell'esecuzione, sentito il debitore, dispone a favore del creditore pignorante il pagamento di quanto gli spetta per capitale, interessi e spese. Il residuo della somma ricavata è consegnato al debitore che ha subito l'espropriazione.

Occorre quindi andare ad individuare in primo luogo l’importo che dal ricavato andrà al condominio pignorante.
Ora, ci sembra di aver capito che la moglie non sia stata esecutata.
Pertanto, sicuramente ad essa andrà metà del ricavato della vendita (cioè euro centomila).
Sulla restante metà potrà soddisfarsi il creditore pignorante. Da questa, infatti, si detrae in primo luogo ciò che ad esso spetta. Tale importo è dato dalla somma del capitale (cioè le quote condominiali non pagate indicate nel titolo esecutivo) più gli interessi e spese (dei quali nel quesito non è indicato l’importo).
Tolta quindi tale somma dai predetti euro centomila, resta il residuo che deve essere consegnato al debitore esecutato.
A titolo di esempio, facendo finta che al creditore spettino euro 30000 (capitale+interessi+spese), al debitore (il marito) sarà consegnata la somma di euro 70.000.

Ipotizzando invece che la procedura esecutiva sia anche nei confronti della moglie (entrata nella procedura tramite- supponiamo- un atto di intervento) la ripartizione sarebbe allora la seguente:
Ricavato della vendita: euro 200.000;
Somma spettante al condominio: euro 200.000 meno capitale+interessi+ spese;
Somma spettante a ciascun coniuge: somma residua (il risultato della predetta sottrazione) diviso due.
Ciò in risposta alla prima ed alla terza domanda contenute nel quesito.

In risposta invece alla seconda domanda, si osserva quanto segue.
Non si comprende il richiamo all’art. 63 c.p.c. contenuto nel quesito, essendo una norma relativa alla astensione e ricusazione del CTU.
Probabilmente, si voleva far riferimento all’art. 63 disp.att. c.c. relativo alla riscossione dei contributi in base allo stato di ripartizione approvato dall'assemblea condominiale.
In base a tale articolo, l’amministratore può ottenere un decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo sulla base dello stato di ripartizione approvato dall'assemblea.
La norma non specifica se il decreto debba fondarsi solo sul bilancio consuntivo o anche su quello preventivo.
Sul punto, la Suprema Corte ha più volte affermato (cfr. Cass. 20 dicembre 2013 n. 28517) che il decreto ingiuntivo condominiale può essere emesso anche sulla base del preventivo con il relativo piano di riparto necessario per ottenere la provvisoria esecutività (sempre che non sia stato sostituito dal consuntivo successivo). Insomma, in sostanza, deve esserci a monte una deliberazione di spesa approvata e ripartita dall’assemblea condominiale.
Ciò posto, il decreto ingiuntivo copre le morosità fino al momento della sua emissione, non le successive. Quindi, nel caso in esame, se è stato emesso a marzo 2018, per sapere cosa comprenda occorrerebbe conoscere in base a quale bilancio sia stato emesso. In ogni caso, appare fondato ritenere che comunque esso sia al netto dell’importo già richiesto nel precedente titolo esecutivo.