Nel momento in cui il
consulente viene scelto tra coloro che risultano iscritti al relativo
albo, sullo stesso incombe l’obbligo di compiere gli atti per i quali gli viene conferito l’ incarico, a meno che egli non faccia presente al giudice che sussistono dei motivi per i quali preferirebbe astenersi.
Sarà il giudice a valutare l’esistenza e la gravità di tali motivi e così a decidere se acconsentire o meno all’
astensione.
Il secondo comma della norma prevede per il consulente la
ricusazione per gli stessi casi in cui è prevista per il giudice, essendo a tal fine richiamati gli stessi motivi di cui all’
art. 51 del c.p.c..
Il compito di valutare se sussiste o meno l’esigenza di ricusare il consulente viene affidato allo stesso giudice che lo ha nominato.
Entro il termine stabilito dalla legge (termine che secondo un costante orientamento della giurisprudenza di legittimità viene ritenuto
perentorio), le parti possono proporre istanza di ricusazione, depositando in
cancelleria il ricorso al
giudice istruttore (l'
art. 192 del c.p.c. dispone che sia l’istanza di astensione che quella di ricusazione debbono essere proposte almeno tre giorni prima dell’udienza di comparizione).
Trascorso tale termine, viene preclusa in modo definitivo la possibilità di far valere la situazione di incompatibilità, con la conseguenza che la consulenza rimane ritualmente acquisita al processo e le eventuali cause di incompatibilità del CTU non potranno essere dedotte neppure nel successivo giudizio di legittimità.
I motivi di ricusazione vengono prospettati al giudice al fine di porre lo stesso in condizione di valutare, ex
art. 196 del c.p.c., l’esistenza di gravi ragioni che giustifichino un provvedimento di sostituzione.
Tale valutazione va compiuta in concreto e, poiché rientra nell’apprezzamento del giudice del merito, è insindacabile in cassazione.
Con particolare riferimento all’ipotesi di ricusazione di cui al n. 4 dell’art. 51 cpc, è stato affermato in giurisprudenza che l’obbligo di astensione del consulente e la possibilità della sua ricusazione sussistono per il solo fatto che egli abbia già prestato assistenza in tale veste in altro grado del processo, indipendentemente dalla identità o meno dell’oggetto dell’indagine che gli è stata affidata, in quanto si intendono in questo modo creare le condizioni migliori affinchè il nuovo accertamento venga effettuato senza alcuna forma di condizionamento, anche soltanto indiretto.
E’ stato anche precisato che il consulente può essere ricusato soltanto nei casi in cui sarebbe obbligatoria la sua astensione, affermandosi che, sebbene il secondo comma della norma in esame richiami l’intero art. 51 c.p.c., il richiamo deve intendersi limitato soltanto ai motivi di ricusazione, ossia soltanto a quelli indicati al comma 1; ciò lo si può desumere anche argomentando dall’
art. 52 del c.p.c., che prevede come motivi di ricusazione del giudice gli stessi motivi in cui egli ha l’obbligo (e non la sola facoltà) di astenersi.
Occorre infine evidenziare che, anche nel caso in cui il CTU si avvalga della prestazione d’opera di altro ausiliario ex art. 56 comma 3 del DPR 115/2002, nei riguardi di quest’ultimo si applica il principio secondo cui, in caso di violazione dell’obbligo di astensione derivante dal combinato disposto degli artt. 51 e 63 c.p.c., la parte che ne ha interesse dovrà pur sempre proporre istanza di ricusazione entro il termine fissato dall’art. 192 c.p.c.; in difetto di ciò gli sarà preclusa la possibilità di far valere successivamente tale situazione di incompatibilità.