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Articolo 310 Codice di procedura civile

(R.D. 28 ottobre 1940, n. 1443)

[Aggiornato al 02/03/2024]

Effetti dell'estinzione del processo

Dispositivo dell'art. 310 Codice di procedura civile

L'estinzione del processo non estingue l'azione [2945 c.c.] (1).

L'estinzione rende inefficaci gli atti compiuti, ma non le sentenze di merito pronunciate nel corso del processo e le pronunce che regolano la competenza (2).

Le prove raccolte sono valutate dal giudice a norma dell'articolo 116 secondo comma (3).

Le spese del processo estinto stanno a carico delle parti che le hanno anticipate (4).

Note

(1) L'estinzione del processo e l'estinzione dell'azione sono due istituti profondamente differenti. Mentre con la seconda il soggetto titolare di un diritto sostanziale vi rinuncia, con la conseguenza che non potrà mai più riproporre la domanda, l'estinzione del giudizio ha effetti solamente processuali. In altre parole, la parte di un giudizio estinto vedrà fatta salva la possibilità di esercitare la medesima azione in un nuovo processo.
(2) Le parole "e quelle che regolano la competenza" sono state così sostituite con l. 18 giugno 2009, n. 69.
Oltre alle sentenze di merito (sentenze sulle questioni preliminari di merito e di condanna generica) e alle pronunce che regolano la competenza, sopravvivono anche le ordinanze anticipatorie di condanna (artt. 186 bis, 186 ter e 186 quater c.p.c.).
(3) Il codice prevede che il giudice possa trarre argomenti di prova dalle prove raccolte in un processo estinto, ma la giurisprudenza interpreta in modo estensivo la norma, ritenendo che il giudice dovrebbe tenere conto pienamente e completamente di prove assunte in un processo valido.
(4) Le spese stanno a carico delle parti che le hanno anticipate se il giudizio si estingue per inattività delle parti, mentre in caso di rinuncia agli atti si deve seguire la disciplina dettata dal quarto comma dell'art. 306 del c.p.c..
Se siano sorte controversie in ordine all'estinzione del processo, cui segua una decisione in forma di sentenza, il regime delle spese dovrà seguire il principio generale della soccombenza e non quanto previsto dall'ultimo comma dell'articolo 310.

Ratio Legis

La norma in commento ha lo scopo di applicare il principio della conservazione degli atti processuali, in quanto compatibile, all'istituto dell'estinzione.

Spiegazione dell'art. 310 Codice di procedura civile

L'art. 310, al pari dell’art. 308 del c.p.c. e dell’art. 309 del c.p.c., si applica sia nel caso di estinzione per rinuncia agli atti che nel caso di estinzione per inattività.
Il 1° co. dell'articolo sancisce il principio della completa autonomia tra azione e giudizio, con conseguente inidoneità dell'estinzione del processo ad estinguere l'azione o i diritti sostanziali di cui era stata chiesta tutela in quel giudizio.

L'estinzione, tuttavia, può svolgere un'efficacia indiretta sulla situazione sostanziale, in quanto, in mancanza di decisione nel merito, vengono meno gli effetti sostanziali della domanda giudiziale (conseguenza di ciò sarà, ad esempio, che la situazione dedotta nel giudizio estinto potrebbe risultare definitivamente pregiudicata dal maturarsi in quell’arco temporale di una prescrizione o di una decadenza).

Secondo quanto previsto al secondo comma, l'estinzione del processo determina:
  1. l'inefficacia di tutti gli atti compiuti nel processo: il venir meno della possibilità di una pronuncia nel merito non può non determinare il venir meno di tutti gli atti che ad essa erano preordinati.
  2. non determina l’inefficacia delle sentenze di merito: malgrado si faccia qui generico riferimento al concetto di sentenza di merito, è riconosciuta la sopravvivenza all'estinzione del processo anche di alcune ordinanze anticipatorie di condanna. Sopravvivono, inoltre, all'estinzione del giudizio a cognizione piena, il decreto ingiuntivo e l'ordinanza di rilascio.
  3. non determina l’inefficacia delle pronunce sulla competenza: da tale disposizione si ricava la regola secondo cui, nel nostro ordinamento, le sentenze di rito non mantengono efficacia qualora si estingua il processo nel quale sono pronunciate, e ciò per la stretta strumentalità di queste decisioni ad un processo non più in atto.

Il terzo comma dispone che le prove raccolte nel giudizio estinto, se riproposte in un successivo giudizio, devono essere valutate dal giudice ai sensi del secondo comma dell'art. 116 del c.p.c..
La norma, interpretata letteralmente, delinea un principio di degradazione ad argomento di prova di tutti i mezzi istruttori raccolti nel primo giudizio e invocati nel secondo.
Secondo altri, invece, il richiamo all'art. 116 esprimerebbe l'attribuzione al nuovo giudice del potere di apprezzare liberamente le prove, anche se legali, formate nel precedente processo.
Una terza tesi, infine, ritiene che le prove acquisite nel precedente giudizio manterrebbero nel nuovo processo la loro originaria efficacia.

L'ultimo comma si applica unicamente all'estinzione del processo per inattività delle parti.
Una deroga al principio qui dettato ricorre nell'ipotesi in cui fra le parti sia sorta contestazione circa l'avvenuto verificarsi della fattispecie estintiva.
In questo caso, infatti, il provvedimento, assunto in forma di sentenza, risolvendo la contestazione, deve liquidare le spese secondo l'ordinario criterio della soccombenza.
La statuizione sulle spese contenuta nell'ordinanza con cui il giudice dichiara l'estinzione è ricorribile per Cassazione ex art. 111 Cost..

Massime relative all'art. 310 Codice di procedura civile

Cass. civ. n. 20073/2021

Il principio fissato dall'art. 310, u.c., c.p.c. (secondo cui le spese del processo sono a carico delle parti che le hanno anticipate) non trova applicazione quando insorga controversia in ordine alla estinzione del processo stesso e tale controversia venga decisa con sentenza. In quest'ultima ipotesi riprendono vigore i principi posti dagli artt. 91 e 92 c.p.c., e, quindi, innanzitutto il criterio della soccombenza, limitatamente, però, alle spese causate dalla trattazione della questione relativa all'estinzione, non potendo detti principi estendersi anche alle spese della fase processuale precedente al verificarsi della estinzione, rispetto alla quale non può configurarsi la soccombenza. (Cassa con rinvio, CORTE D'APPELLO VENEZIA, 16/02/2016).

Cass. civ. n. 20308/2018

L'effetto interruttivo permanente della prescrizione si determina anche nel caso di proposizione di un giudizio successivamente estinto nel corso del quale sia stata pronunciata sentenza non definitiva di merito, dovendosi ritenere tale ogni decisione che abbia risolto talune questioni sollevate dalle parti in ordine all'oggetto della domanda. (Nella specie, la S.C., in un giudizio avente ad oggetto l'opposizione alla stima di indennità dovute per occupazione ed espropriazione immobiliare, ha ritenuto interrotto il termine di prescrizione dalla proposizione di una precedente domanda fino al passaggio in giudicato della sentenza non definitiva con la quale, in un giudizio in seguito estinto, era stata accertata la mancata emissione del decreto di espropriazione, afferendo tale presupposto non già alla mera proponibilità dell'azione, bensì al suo accoglimento e, quindi, alla sussistenza del diritto).

Cass. civ. n. 6230/2018

La domanda giudiziale è un evento idoneo ad impedire la decadenza di un diritto non in quanto costituisce la manifestazione di una volontà sostanziale, ma perché instaura un rapporto processuale diretto ad ottenere l'effettivo intervento del giudice, sicché l'esercizio dell'azione giudiziaria non vale a sottrarre il diritto alla decadenza, qualora il giudizio si estingua, facendo venire meno il rapporto processuale; infatti, l'inefficacia degli atti compiuti nel giudizio estinto, prevista dall'art. 310, comma 2, c.p.c., non può essere arbitrariamente limitata ai soli aspetti processuali, dovendo estendersi anche a quelli sostanziali, fatte salve le specifiche deroghe normative. La non estensione alla decadenza dell'effetto interruttivo della domanda giudiziale previsto dalle norme sulla prescrizione, ai sensi dell'art. 2964 c.c., è giustificata dalla non omogeneità della natura e della funzione dei due istituti, trovando la prescrizione fondamento nell'inerzia del titolare del diritto sintomatica, per il protrarsi del tempo, del venir meno di un concreto interesse alla tutela, e la decadenza nel fatto oggettivo del mancato esercizio del diritto entro un termine stabilito, nell'interesse generale o individuale, a garanzia della certezza di una determinata situazione giuridica. (Rigetta, CORTE D'APPELLO CAMPOBASSO, 31/03/2016).

Cass. civ. n. 26309/2017

La domanda giudiziale è un evento idoneo ad impedire la decadenza di un diritto, non in quanto costituisca la manifestazione di una volontà sostanziale, ma perché instaura un rapporto processuale diretto ad ottenere l'effettivo intervento del giudice, sicché l'esercizio dell'azione giudiziaria non vale a sottrarre il diritto alla decadenza, qualora il giudizio si estingua, facendo venire meno il rapporto processuale; infatti, l'inefficacia degli atti compiuti nel giudizio estinto, prevista dall'art. 310, comma 2, c.p.c., non può essere arbitrariamente limitata ai soli aspetti processuali, dovendo estendersi anche a quelli sostanziali, fatte salve le specifiche deroghe normative. La non estensione alla decadenza dell'effetto interruttivo della domanda giudiziale previsto dalle norme sulla prescrizione, secondo quanto stabilito dall'art. 2964 c.c., è giustificata dalla non omogeneità della natura e della funzione dei due istituti, trovando la prescrizione fondamento nell'inerzia del titolare del diritto, sintomatica per il protrarsi del tempo, del venir meno di un concreto interesse alla tutela, e, la decadenza nel fatto oggettivo del mancato esercizio del diritto entro un termine stabilito, nell'interesse generale o individuale, alla certezza di una determinata situazione giuridica.

Cass. civ. n. 13975/2013

In base al disposto dell'art. 310, secondo comma, cod. proc. civ., la pronuncia della Corte della cassazione che regola la competenza continua a spiegare i suoi effetti per il futuro, nonostante l'estinzione per mancata riassunzione del processo nel corso del quale la medesima statuizione sulla competenza sia stata emessa.

Cass. civ. n. 8720/2010

L'estinzione del processo (sia o meno dichiarata dal giudice) elimina l'effetto permanente dell'interruzione della prescrizione prodotto dalla domanda giudiziale ai sensi dell'art. 2945, comma 2, c.c., ma non incide sull'effetto interruttivo istantaneo della medesima, con la conseguenza che la prescrizione ricomincia a decorrere dalla data di detta domanda.

Cass. civ. n. 23408/2007

In conformità alla regola generale dettata dall'art. 310, ultimo comma, c.p.c., nel processo di esecuzione e, quindi, anche in quello di espropriazione forzata presso terzi, in mancanza di diverso accordo tra le parti, qualora il processo si estingue, le spese restano a carico delle parti che le hanno anticipate; pertanto quelle sostenute dal creditore procedente restano a suo carico se, a seguito della dichiarazione negativa del terzo e in assenza di contestazioni, il processo è dichiarato estinto e, conseguentemente, l'ordinanza con la quale il giudice dell'esecuzione, dichiarata l'estinzione del processo, provvede alla liquidazione ponendole a carico del debitore esecutato, avendo contenuto decisorio su diritti e non essendo altrimenti impugnabile, è ricorribile per cassazione ex art. 111 Cost.

Cass. civ. n. 17172/2007

In tema di risarcimento del danno conseguente a reato, fermo restando che l'azione legittimamente esercitata in sede civile può essere proseguita e decisa in tale sede, l'estinzione del giudizio, derivante dal trasferimento dell'azione civile nel processo penale ex art. 75 c.p.p., non si produce automaticamente, ma intanto opera in quanto l'effetto estintivo sia eccepito ai sensi dell'art. 307 c.p.c.

Cass. civ. n. 17156/2007

Nel sistema delineato dall'art. 2945 c.c., l'instaurazione del giudizio interrompe la prescrizione e ne sospende il decorso fino al passaggio in giudicato della sentenza (anche di rito) che definisce il giudizio. Quando il processo si estingue, invece, la prescrizione decorre dalla data dell'atto interruttivo. Non può, pertanto, prodursi l'effetto interruttivo sospensivo enunciato nel citato art. 2945, comma secondo, quando un processo, all'esito di una pronuncia declinatoria della competenza, non sia tempestivamente riassunto, non potendo più ravvisarsi l'unicità del processo. Tuttavia, nel diverso caso in cui prima della declaratoria d'incompetenza la stessa domanda con le stesse parti venga proposta davanti al giudice competente (e non venga dichiarata la litispendenza), l'assoluta identità del secondo giudizio consente di ritenere unico il processo e, conseguentemente, prodotto l'effetto interruttivo permanente dalla data dell'atto introduttivo del primo giudizio.

Cass. civ. n. 1090/2007

La domanda giudiziale è un evento idoneo ad impedire la decadenza di un diritto, non in quanto costituisca la manifestazione di una volontà sostanziale, ma perché instaura un rapporto processuale diretto ad ottenere l'effettivo intervento del giudice, sicché l'esercizio dell'azione giudiziaria non vale a sottrarre il diritto alla decadenza qualora il giudizio si estingua, facendo venire meno il rapporto processuale; infatti, l'inefficacia degli atti compiuti nel giudizio estinto, prevista dall'art. 310 secondo comma c.p.c., non può essere arbitrariamente limitata ai soli aspetti processuali, dovendo estendersi anche a quelli sostanziali, fatte salve le specifiche deroghe normative (come ad es. quella di cui all'art. 2954 terzo comma c.c.).D'altra parte, la non estensione alla decadenza dell'effetto interruttivo della domanda giudiziale previsto dalle norme sulla prescrizione, secondo quanto stabilito dall'art. 2964 cod. civ, è giustificata dalla non omogeneità della natura e della funzione dei due istituti, trovando la prescrizione fondamento nell'inerzia del titolare del diritto, sintomatica per il protrarsi del tempo, del venir meno di un concreto interesse alla tutela, e, la decadenza nel fatto oggettivo del mancato esercizio del diritto entro un termine stabilito, nell'interesse generale o individuale, alla certezza di una determinata situazione giuridica.

Cass. civ. n. 10760/1999

Le sentenze che, ai sensi dell'art. 310 c.p.c., non vengono travolte dalla pronuncia di estinzione del giudizio sono soltanto le sentenze non definitive (oltre che quelle sulla competenza) pronunziate prima che si perfezionasse la fattispecie estintiva. Tra queste non rientra pertanto la sentenza di appello, successivamente cassata, con la quale sia stata riformata la sentenza di estinzione pronunciata in primo grado. Ne consegue che qualora l'estinzione del processo sia affermata in primo grado, negata in grado di appello, e confermata nel giudizio di cassazione, la sentenza di appello non ha alcuna efficacia interruttiva della prescrizione, la quale ricomincia a decorrere dalla data della notifica dell'atto introduttivo del giudizio di primo grado, ai sensi dell'art. 2945, comma terzo, c.c.

Cass. civ. n. 11845/1993

La sentenza con la quale il giudice abbia dichiarato la propria incompetenza (chiudendo perciò il processo innanzi a sé) ed abbia rimesso la regolamentazione delle spese, in violazione dell'art. 91 comma primo c.p.c., al giudice dichiarato competente, può essere impugnata dalla parte che intenda dolersi della mancata pronuncia sulle spese esclusivamente con l'appello. Tuttavia, intervenuta l'estinzione del processo per mancata costituzione di entrambe le parti nel termine loro rispettivamente assegnato nella causa riassunta davanti al giudice dichiarato competente e divenuta, pertanto, inefficace la sentenza pronunciata in prime cure (art. 310 c.p.c.), l'appello deve essere dichiarato improcedibile, restando le spese del processo estinto a carico delle parti che le hanno anticipate (art. 310 cit., comma quarto).

Cass. civ. n. 10173/1993

Il principio fissato dall'art. 310, ultimo comma, c.p.c. (secondo cui le spese del processo stanno a carico delle parti che le hanno anticipate) non trova applicazione quando insorga controversia in ordine alla estinzione del processo e tale controversia venga decisa con sentenza. In quest'ultima ipotesi riprendono vigore i principi posti dagli artt. 91 e 92 c.p.c., e quindi innanzitutto il criterio della soccombenza, limitatamente però alle spese causate dalla trattazione della questione relativa alla estinzione, non potendo detti principi estendersi anche alle spese della fase processuale precedente al verificarsi dell'estinzione.

Cass. civ. n. 5063/1993

L'estinzione del processo dopo la sentenza non definitiva di accertamento del diritto al risarcimento del danno non preclude la proposizione di una nuova azione per la liquidazione di tale danno, atteso che, a meno che si siano verificate ipotesi di decadenza o di prescrizione, essa, ai sensi dell'art. 310 c.p.c., non estingue il diritto o l'azione, né quest'ultima si esaurisce solo perché è stata esercitata in un processo ove non abbia condotto ad un provvedimento sul merito.

Cass. civ. n. 4113/1985

L'estinzione del processo non rende inefficaci, a norma dell'art. 310, secondo comma, c.p.c., le sentenze che siano state in precedenza rese su questioni di merito, e che siano quindi idonee ad acquistare autorità di giudicato. Pertanto, qualora il giudice di secondo grado, con sentenza non definitiva, pronunci la separazione personale dei coniugi, e disponga ulteriore istruttoria in ordine al riconoscimento ed alla quantificazione dell'assegno di mantenimento, il successivo verificarsi dell'estinzione del processo non travolge tale sentenza, la quale resta impugnabile con ricorso per cassazione, indipendentemente dal fatto che sia stata oggetto di riserva di impugnazione differita unitamente alla sentenza definitiva (che non può più essere pronunciata).

Cass. civ. n. 6206/1982

Le sentenze che regolano la competenza, alle quali fa riferimento il secondo comma dell'art. 310 c.p.c. per conservarne l'efficacia pur dopo l'estinzione del processo durante il quale sono state pronunciate, sono soltanto quelle di cassazione emesse ai sensi degli artt. 42 e seguenti dello stesso codice, mentre le pronunce sulla competenza rese dal giudice del merito, anche se passate in cosa giudicata, perdono efficacia ove sopravvenga l'estinzione, con la conseguenza che il giudice successivamente adito può decidere autonomamente sulla propria competenza.

Cass. civ. n. 5021/1977

L'art. 310 c.p.c., secondo cui l'estinzione del processo rende inefficace gli atti compiuti, si riferisce agli atti del giudizio di cognizione ordinaria, ma non estende la sua efficacia al decreto ingiuntivo opposto. Quest'ultimo, infatti, acquista efficacia esecutiva, a norma dell'art. 653 c.p.c., qualora con ordinanza sia dichiarata l'estinzione del giudizio di opposizione.

Cass. civ. n. 766/1960

Mentre per la disposizione, contenuta nell'art. 310 c.p.c., relativa ad una fase del procedimento, l'estinzione del processo rende inefficaci gli atti compiuti, ma non le sentenze di merito pronunciate nel corso del processo, per l'art. 393 c.p.c., relativo al giudizio di rinvio, per effetto della mancata riassunzione nel termine di legge, tutta l'attività processuale svolta è travolta, onde cadono nel nulla anche le sentenze emesse nel corso del giudizio. Peraltro, il travolgimento di tutta l'attività processuale svolta trova un limite invalicabile nell'autorità di cosa giudicata che sia stata acquistata dalle pronunce emanate nel corso del giudizio. Su queste, siano esse definitive o non definitive e non impugnate, la estinzione non può avere alcun effetto, per la efficacia irrevocabile del giudicato. Inoltre, poiché la pronuncia di annullamento produce i suoi effetti soltanto sulle parti della sentenza impugnata in relazione alle quali essa è operante ossia soltanto sulle parti cassate, i capi di pronuncia non cassati non sono travolti ed acquistano autorità di cosa giudicata, tranne che siano dipendenti dai capi cassati. I capi della sentenza impugnata, non cassati e indipendenti dai capi cassati, non sono travolti, quindi, dalla estinzione del giudizio di rinvio. L'estinzione copre, cioè, tutta l'attività processuale relativa ai capi cassati della pronuncia impugnati ed a quelli da essa dipendenti, con la particolarità, connessa alla funzione istituzionale regolatrice della Corte di cassazione, che in caso di riproposizione della domanda (l'estinzione non impedisce la riproposizione, perché opera sul processo e non sull'azione) il principio di diritto, enunciato nella sentenza di annullamento, conserva la sua efficacia vincolante.

Cass. civ. n. 1867/1949

Benché l'art. 310, terzo comma, c.p.c. autorizzi il giudice a valutare le prove raccolte in un altro processo solo in caso di estinzione del processo in cui le prove vennero raccolte, non può tuttavia equipararsi ad una estensione dell'efficacia degli atti istruttori e non è pertanto vietato l'esame da parte del collegio di un semplice documento prodotto in un altro contemporaneo giudizio, che verta tra le stesse parti davanti al medesimo collegio nella stessa composizione, e per di più quando ciò sia avvenuto quasi nello stesso contestato, essendo le due cause deliberate nella stessa data.

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