Una volta conclusa la fase preparatoria del processo e qualora non sia intervenuta fra le parti alcuna conciliazione, si prospettano al giudice diverse eventualità.
La prima è che il giudice istruttore possa ritenere la causa matura per la decisione di merito, senza che occorra procedere all’assunzione di mezzi di prova, e dunque rimetta immediatamente la causa al collegio per la decisione di merito (art. 187, 1° co.).
Ciò può verificarsi nei seguenti casi:
1) se i fatti di causa non sono controversi e si debbono affrontare soltanto questioni di diritto;
2) se è possibile decidere la causa sulla base dei documenti prodotti in giudizio;
3) se nessuna delle parti ha richiesto l’ammissione di mezzi di prova negli atti introduttivi, né ha chiesto al giudice istruttore, durante la prima udienza di trattazione (ex
art. 183 del c.p.c.), la fissazione di un termine per produrre documenti e indicare mezzi di prova, né lo stesso giudice ritenga opportuno utilizzare i poteri istruttori d'ufficio;
4) se il giudice, malgrado siano state avanzate istanze istruttorie, ritenga i mezzi di prova richiesti inammissibili e irrilevanti ovvero superflui
ex art. 209 del c.p.c..
La seconda ipotesi è quella prevista dal secondo comma della norma, ossia l’ipotesi in cui il giudice istruttore decida di rimettere le parti al collegio per la presenza di questioni di merito aventi carattere preliminare e assorbente e che lo stesso istruttore ritenga idonee a definire il giudizio.
Si definisce questione di merito qualunque questione inerente al merito della controversia, la cui risoluzione pregiudica la decisione finale del giudizio in corso; esse sono introdotte da eccezioni in senso proprio, ed il loro accoglimento renderebbe inutile l'istruttoria e consentirebbe di risolvere la controversia (ne costituisce un chiaro esempio l'eccezione di prescrizione del diritto controverso).
Il legislatore affida al giudice il potere di effettuare una valutazione provvisoria ed implicita sulla questione preliminare, che gli consenta di stabilire se rimettere immediatamente la causa al collegio (ovvero trattenerla in decisione, se a lui spetti il potere di deciderla), oppure abbandonare temporaneamente la questione proseguendo l'istruzione (indubbiamente tale valutazione non vincola il collegio, il quale potrebbe non condividerla, e rimettere la causa in istruttoria).
Le questioni preliminari a cui fa riferimento la presente norma non vanno confuse con le questioni pregiudiziali di cui all'
art. 34 del c.p.c..
La terza eventualità è quella di cui al terzo comma della norma e ricorre in presenza di questioni attinenti alla giurisdizione o alla competenza o ad altre pregiudiziali; ne costituiscono un esempio le questioni di capacità o legittimità processuale, le questioni di nullità della citazione e, più in generale, di validità degli atti processuali.
In particolare, quando si parla di “altre pregiudiziali”, si intende fare riferimento a questioni meramente procedurali, di rito, la cui risoluzione condiziona necessariamente lo svolgimento del processo (es. la legittimità processuale delle parti costituite).
Se il giudice istruttore intende pronunziarsi separatamente sulla giurisdizione o sulla competenza, è tenuto ad invitare le parti a precisare le conclusioni ex
art. 189 del c.p.c.; conseguentemente, in mancanza della precisazione delle conclusioni delle parti, l'ordinanza che verrà emessa non potrà che avere natura meramente ordinatoria.
Si ritiene opportuno ricordare che, per effetto di quanto disposto dall’art. 80bisdispattcpc, la rimessione della causa al collegio può essere disposta anche nella prima udienza di trattazione, senza alcun rinvio ad una udienza successiva per la precisazione delle conclusioni.
Il legislatore del 1990 ha apportato significative modifiche alla norma in esame eliminando l'istituto della cosiddetta rimessione istruttoria, previsto prima dal quarto comma dell’art. 187; adesso, infatti, il giudice non può più rimettere la causa al collegio per la sola decisione della questione relativa all'ammissibilità o alla rilevanza dei mezzi di prova proposti dalle parti.
Il quarto comma di questa norma si pone a completamento delle attività istruttorie del giudice istruttore, come delineate dall'art.183 comma 4 (prima della Riforma Cartabia il rinvio era al comma 8); viene infatti previsto che qualora il collegio pronunci sentenza non definitiva e dia disposizioni per l'ulteriore istruzione della causa, le parti conservano il diritto di valersi dei termini previsti dall'art. 183 comma 4 per le deduzioni istruttorie.
Dunque, i termini perentori indicati dall'art. 183, 4° co., non concessi dall'istruttore prima della rimessione della causa al collegio, sono assegnati dal giudice, su istanza di parte, nella prima udienza dinanzi a lui, successiva all'ordinanza collegiale che dispone l'ulteriore istruzione della causa.
Occorre precisare che la rimessione della causa dal collegio al giudice istruttore non si verifica solo nel caso previsto dall'art.
279, 2° co., n. 4 c.p.c., in quanto la
ratio della norma si estende a tutte quelle ipotesi in cui il diritto delle parti alla prova può essere vanificato da una rimessione al collegio, in esito alla quale si debba comunque procedere ad una ulteriore istruzione della causa.
Pertanto, si può avere rimessione della causa dal collegio al giudice istruttore anche quando:
1) vengano decise solo alcune delle cause fino a quel momento riunite, e venga disposta con ordinanza la separazione delle altre cause e la loro ulteriore istruzione (art. 279, 2° co., n. 5);
2) la decisione venga limitata ad alcune soltanto delle domande proposte dalle parti, ed il giudice riconosca per le altre la necessità di una ulteriore istruzione (art.
277, 2° co.);
3) pronunciando sentenza di condanna generica, il giudice disponga che il processo prosegua per la liquidazione del
quantum debeatur.
Il 5° co. dell'art. in questione, infine, dispone che il giudice possa dare luogo ad ogni altra disposizione relativa al processo, rafforzando così quel potere d'impulso processuale che gli è stato attribuito dall'
art. 175 del c.p.c..