Con questa norma è stato introdotto nel procedimento davanti al tribunale in composizione monocratica la decisione a seguito di trattazione orale.
Il legislatore del 1998 ha previsto espressamente che la trattazione orale della causa debba essere preceduta dalla
precisazione delle conclusioni, riconoscendo alle parti la possibilità di chiedere al
giudice di differire la
discussione orale a un'udienza successiva (si è considerato irragionevole costringere le parti a discutere oralmente la causa nella stessa udienza in cui vengono precisate le
conclusioni).
Sono evidenti i vantaggi pratici che presenta questa disposizione, e precisamente:
a) possibilità di chiudere celermente il processo;
b) eliminazione di carteggi ridondanti e a volte anche inutili;
c) riduzione della durata complessiva del giudizio di quasi tre mesi;
d) risparmio di attività meramente redazionale da parte del giudice.
Questo modello decisorio, peraltro, favorisce la parte che ha ragione, in quanto quest'ultima potrà ottenere al termine dell'istruzione una sentenza provvisoriamente esecutiva, senza dover attendere la fase dello scambio delle comparse conclusionali e delle repliche.
Diversi sono i vantaggi anche per il giudice, sia perché gli si evita lo studio delle comparse conclusionali e memorie di replica, sia perchè la
motivazione della sentenza potrà essere particolarmente succinta.
La norma, tuttavia, è stata oggetto di particolari critiche da parte di una minoritaria ma autorevole dottrina, facendosi osservare che in questo modo ci si espone al grave rischio di decisioni affrettate ed ingiuste.
Presupposto per l'applicabilità della norma in esame è rappresentato dalla non complessità della causa, da non intendere come necessariamente collegata al valore economico.
Inoltre, essa si è rivelata particolarmente utile nei giudizi contumaciali, o nei casi in cui la stessa prospettazione attorea sia in grado di dimostrare la infondatezza
in iure della domanda.
Il ricorso alla trattazione orale risulta utile in tutte le ipotesi in cui la domanda debba essere rigettata per difetto di prova; in questi casi, infatti, la motivazione si riduce alla sola enunciazione dell'assenza di valida dimostrazione del fatto costitutivo della pretesa, o meglio alla indicazione dei motivi per i quali le prove raccolte non possono essere ritenute sufficienti.
Infine, può essere la semplicità del giudizio di diritto a spingere il giudice a scegliere il modello della trattazione orale (ad esempio, quando il giudizio può essere deciso risolvendo le questioni di diritto secondo il costante orientamento della Corte di Cassazione).
La discussione orale (con conseguente pronuncia della sentenza) può avere luogo nella stessa udienza nella quale le parti hanno precisato le conclusioni, anche se non è da escludere che le parti possano chiedere la fissazione di un'udienza successiva, onde evitare l'effetto sorpresa e la conseguente possibile lesione del
diritto di difesa derivante dalla mancata conoscenza dell'intento del giudice di decidere la causa a seguito di discussione orale.
Una volta chiesto da una delle parti il differimento dell'udienza, il giudice è obbligato a concederlo; la mancata concessione del rinvio determina la nullità della sentenza a causa della violazione del fondamentale diritto alla difesa.
La circostanza che ciascuna parte possa chiedere il rinvio della causa ad un'udienza successiva ha indotto parte della dottrina a ritenere che in tanto è possibile per il giudice avvalersi della trattazione orale se ed in quanto tutte le parti costituite siano presenti.
Occorre ad ogni modo evidenziare che, a differenza di quanto previsto dall'art. 281 quinquies, in cui la scelta tra il modello a trattazione scritta e quello a trattazione mista è rimessa alle parti, la trattazione orale della causa è affidata esclusivamente alla disponibilità del giudice.
Una volta optato per il modello decisorio di cui all'art. 281 sexies, il giudice non può avere un ripensamento circa le modalità di decisione, per cui, esaurita la discussione orale, ove ritenga di pronunciare sentenza, non può esimersi dall'osservanza delle forme semplificate.
Il giudice decide dando lettura del
dispositivo e della concisa esposizione delle ragioni di fatto o di diritto, anche se recentemente la Cassazione ha affermato che nella sentenza pronunciata ai sensi dell'art. 281 sexies è superflua l'esposizione dello svolgimento del processo e delle conclusioni delle parti.
La sentenza pronunciata al termine della discussione deve essere contenuta nel verbale d'udienza e non in un autonomo documento; in tal senso si argomenta dal combinato disposto degli artt. 281 sexies e dell'
art. 35 delle disp. att. c.p.c..
Il primo stabilisce che “
la sentenza si intende pubblicata con la sottoscrizione da parte del giudice del verbale che la contiene ed è immediatamente depositata in cancelleria”, mentre il secondo sancisce che nell'apposito volume in cui il
cancelliere annualmente riunisce i provvedimenti originali devono essere inserite “
le copie dei verbali contenenti le sentenze pronunciate a norma dell'art. 281 sexies”.
Per quanto concerne il contenuto della decisione, esso si ricava coordinando la nuova disposizione con le norme contenute nel Libro I relative al contenuto della sentenza; pertanto, essa dovrà essere redatta seguendo i requisiti di forma-contenuto di cui all'
art. 132 del c.p.c..
Proprio perché si trova inserita nel
processo verbale d'udienza, il giudice potrà omettere di indicare nella sentenza tutti quegli elementi già desumibili dal verbale medesimo, quali il nome delle parti e dei loro difensori, come pure le conclusioni che saranno precisate prima della discussione, nonché il nome dell'
ufficio giudiziario innanzi al quale si svolge il giudizio.
Il contenuto della sentenza che il giudice dovrà redigere è limitato all'essenziale, ovvero all'intestazione «Repubblica Italiana», alla pronuncia «in nome del popolo italiano», al dispositivo, alla motivazione (esposta in maniera concisa), alla data ed alla sua sottoscrizione.
La sentenza si considera pubblicata con la sottoscrizione del verbale, depositato lo stesso giorno in cancelleria.
Il successivo momento del deposito in cancelleria non avrà rilievo né per l'esistenza, né per l'efficacia della sentenza, acquistando la stessa giuridica esistenza e rilevanza quale dichiarazione orale resa direttamente dal giudice in udienza.
In senso contrario si pone parte della dottrina, la quale osserva che, se è vero che la sentenza si intende pubblicata con la sottoscrizione da parte del giudice, anziché mediante deposito nella cancelleria, ciò non toglie che il cancelliere debba dare atto dell'avvenuto deposito, apponendovi in calce la data e la firma, nonché debba darne notizia alle parti che si sono costituite mediante
biglietto di cancelleria.
Sia la scrittura che la sottoscrizione sono rimesse al giudice e non al cancelliere; pertanto, è ammissibile l'assenza del cancelliere all'udienza di
pubblicazione della sentenza.
Può anche verificarsi che il tribunale, anziché pronunciare sentenza al termine della discussione, depositi la sentenza in cancelleria nei modi ordinari; in tal caso, l'omissione dà luogo ad una nullità insanabile da dedurre come motivo di gravame, senza determinare però la rimessione della causa al primo giudice.
Per quanto concerne la decorrenza dei termini per l’impugnazione della sentenza orale, si afferma che il
dies a quo del termine lungo per l'impugnazione (così come il termine di trenta giorni per la proposizione dell'istanza di
regolamento di competenza ex
art. 47 del c.p.c. comma 2), inizia a decorrere dalla data sottoscrizione del verbale e non dal suo deposito, in quanto le parti hanno legale conoscenza dell'avvenuto deposito della sentenza nella stessa udienza di discussione, senza necessità che il cancelliere provveda alla comunicazione prevista dall'
art. 136 del c.p.c..
Altro problema che è stato affrontato è quello dei rapporti tra la sentenza incorporata nel verbale di udienza e l’ordinanza post istruttoria ex
art. 186 quater del c.p.c..
Si ritiene, a tal proposito, che una volta che sia stata proposta dalla parte istanza di emanazione dell'ordinanza di cui all'art. 186 quater, qualora il giudice decida di ordinare la discussione orale della causa, la pronuncia della sentenza assorba e renda superfluo l'esame di quest'ultima.
Nel caso in cui, invece, il giudice, su istanza di parte, differisca ad altra udienza la discussione e la contestuale pronuncia della sentenza, poiché sussiste l'interesse all'anticipazione della decisione di merito all'esito dell'esaurimento dell'istruzione, va ammessa la possibilità di emissione dell'ordinanza.
La Riforma Cartabia ha aggiunto un terzo comma all’articolo 281 sexies c.p.c. al fine di prevedere che il giudice, in alternativa alla lettura contestuale della sentenza e del dispositivo ai sensi dei primi due commi, possa riservare il deposito della sentenza nei successivi trenta giorni.