Dopo l’introduzione della causa, che ha termine con la
costituzione delle parti, ha inizio la fase istruttoria della stessa, nel corso della quale si acquisiscono gli elementi di fatto e si controllano gli aspetti giuridici necessari per definire il processo.
Mentre nella fase introduttiva sono le parti i veri protagonisti, in questa fase, invece, è l’autorità giudiziaria, in persona del
giudice istruttore, a svolgere funzioni di propulsore.
In essa si possono distinguere tre momenti fondamentali:
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quello della trattazione, nel corso del quale vengono individuate le parti, precisate o modificate le domande e discusse le questioni più importanti;
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quello dell’istruzione probatoria, volto all’acquisizione delle prove scritte ed orali;
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quello della rimessione della causa in decisione, a seguito della quale l’autorità giudiziaria si riserva la decisione finale sulla domanda.
Fatta questa breve premessa, la prima norma con la quale viene aperto il capo relativo all’istruzione della causa si occupa proprio della figura del giudice istruttore, evidenziando il suo ruolo di direzione del procedimento, nel cui ambito è chiamato a fissare le udienze successive alla prima ed i termini entro cui le parti debbono compiere gli atti processuali (ovviamente l’indicazione contenuta nel primo comma della norma in esame non esaurisce il novero dei poteri attribuiti al giudice istruttore nel corso del processo).
Sotto il profilo del potere di direzione, si ritiene che vi si possa far rientrare il potere del giudice di indicare alle parti i punti della controversia che andrebbero maggiormente sviluppati, mentre sotto il profilo del sollecito svolgimento del processo si ritiene che vi si possa far rientrare il potere dello stesso giudice di evitare e impedire comportamenti che siano di ostacolo a una sollecita definizione dello stesso, tra i quali rientrano quelli che si traducono in un inutile dispendio di attività processuali e formalità superflue perché non giustificate dalla struttura dialettica del processo.
In relazione a quanto previsto al secondo comma deve segnalarsi il disposto dell’
art. 80 bis delle disp. att. c.p.c., in forza del quale sin dalla prima udienza il giudice può disporre il rinvio al collegio ex
art. 187 del c.p.c. se ritiene che la causa sia matura per essere decisa o se debbano essere conosciute questioni di carattere preliminare, ritenute assorbenti.
In relazione alle udienze ed alla loro fissazione, è opportuno richiamare il disposto dell'
art. 82 delle disp. att. c.p.c. per il quale, qualora nel giorno designato il giudice istruttore non tenga udienza, questa, nell'ipotesi di prima comparizione, si intende rinviata d'ufficio alla
udienza di prima comparizione immediatamente successiva, assegnata allo stesso giudice.
Qualora si tratti di udienza di trattazione, la causa si intende rinviata alla prima udienza di istruzione immediatamente successiva.
Per ciò che attiene ai termini, nell'ipotesi di
termine perentorio, fissato dal giudice, ogni attività che sia stata effettuata dopo la scadenza non può essere considerata valida e, quindi, di essa non se ne può tenere conto nel giudizio.
Se, invece, si tratta di
termine ordinatorio, la giurisprudenza ha ritenuto che di tale termine si debba chiedere l'eventuale proroga, prima della scadenza, in difetto di che si verranno a determinare i medesimi effetti preclusivi del termine perentorio.
L'ultimo comma della norma richiama esplicitamente l’
art. 289 del c.p.c. ed ha lo scopo di colmare una lacuna discendente dall'omissione, da parte del giudice, di provvedere alla fissazione dei termini e delle udienze, come previste dal secondo comma di questa stessa norma.
In buona sostanza, la parte più diligente dovrà richiedere la fissazione dell'udienza o del termine entro sei mesi, a far data dall'udienza nella quale i provvedimenti furono pronunciati o dalla loro
notificazione o
comunicazione; in mancanza di ciò il processo si estingue, per come disposto dall’
art. 307 del c.p.c..