Cass. civ. n. 21701/2020
In tema di reddito d'impresa, la cessione a costo "zero", da una società all'altra, di contratto avente ad oggetto i diritti alle prestazioni sportive di calciatore professionista - fattispecie riconducibile allo schema dell'art. 1406 c.c. in riferimento all'art. 5 della l. n. 91 del 1981 - è operazione che, dal punto di vista fiscale, va considerata onerosa poiché determina vantaggi reciproci per entrambi i contraenti (acquisto senza versamento di corrispettivo per la parte cedente; liberazione dall'obbligo di ingaggio per la cessionaria); ne deriva, pertanto, l'applicabilità del combinato disposto degli artt. 86, comma 1, lett. a), e 101, comma 1, T.U.I.R. con conseguente deducibilità delle eventuali minusvalenze (nella specie riconosciute alla società contribuente anche se nell'operazione di cessione non era previsto alcun corrispettivo per la risoluzione anticipata del contratto di esclusiva tra cedente e calciatore).
Cass. civ. n. 16366/2020
In tema di determinazione del reddito d'impresa, ai fini del valore da attribuire alle partecipazioni sociali, lo scostamento dal cd. "valore normale" del prezzo di transazione di cui all'art.
9 T.U.I.R. assume rilievo quale parametro meramente indiziario dell'antieconomicità dell'operazione posta in essere, sì da giustificare l'accertamento con conseguente prova contraria a carico del contribuente. I principi regolatori desunti dall'art. 9 cit. costituiscono, infatti, espressioni concrete della regola "substance over form" enunciata anche nei principi contabili nazionali (OIC 11) ed internazionali ("Frameword 2", IASB/1989/35), nonché delle raccomandazioni dell'OCSE ("Base Erosion and ProfiT Shifting") e dell'UE (sulla cd. pianificazione fiscale aggressiva), a nulla rilevando, al riguardo, la norma di interpretazione autentica contenuta nell'art. 5, comma 2, del D.Lgs. n. 147 del 2015, che mira solo ad escludere l'applicazione dell'art.
110 T.U.I.R. al "trasfert pricing" interno, giammai a limitare la portata logico-giuridica dell'art. 9 cit. (Fattispecie relativa a plusvalenza, imputata a maggior reddito ai fini IRPEG, derivante da cessione a titolo oneroso di partecipazioni sociali in cui la S.C. ha rigettato il ricorso della società contribuente avverso la sentenza che aveva affermato l'antieconomicità dell'operazione per aver venduto a soggetto ad essa collegato da rapporti infragruppo societari, operando in perdita, ponendo a raffronto - con riguardo al prezzo di cessione delle quote - i valori riportati in bilancio ed il valore, di gran lunga inferiore, delle perizie di stima redatte ai sensi della l. n. 448 del 2001).
Cass. civ. n. 8715/2020
L'art. 61, comma 3-bis, del D.P.R. n. 917 del 1986, laddove prevede che le svalutazioni di partecipazioni estere, per perdite subite, di società con sede in Stati non appartenenti all'Unione europea sono deducibili dalle società residenti in Italia, sempre che siano in vigore accordi che consentano all'amministrazione finanziaria di acquisire le informazioni necessarie per l'accertamento delle condizioni ivi previste, va inteso, secondo una interpretazione costituzionalmente orientata, ispirata ai parametri di cui agli artt.
3 e
53 Cost., nel senso che è, comunque, sempre consentito al contribuente residente di fornire la prova contraria in ordine alla sussistenza dell'esistenza di tali componenti negativi di reddito, come del resto accade per la deducibilità dei costi da spese contratte con società site in Stati inclusi nelle "black list", ex art. 110 del D.P.R. n. 917 del 1986, per il regime PEX ("Participation exemption"), ex art. 87 del D.P.R. n. 917 del 1986, per le CFC ("Controlled Foreign Companies"), ex art. 167 del D.P.R. n. 917 del 1986, e in ogni ipotesi di elusione ai sensi dell'art. 10-bis della legge n. 212 del 2000.
Cass. civ. n. 8068/2020
In tema di reddito d'impresa, per effetto delle modifiche retroattive introdotte dall'art. 1, commi 301, 302 e 303, l. n. 296 del 2006 e prima di quelle di cui alla l. n. 208 del 2015 (applicabili a decorrere dal periodo d'imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2015), la separata indicazione nella dichiarazione annuale dei redditi delle spese e degli altri componenti negativi inerenti ad operazioni commerciali intercorse con fornitori aventi sede in Stati a fiscalità privilegiata (cd. paesi "black list") è un mero obbligo formale, che non ne condiziona la deducibilità, la cui violazione espone il contribuente unicamente alla sanzione amministrativa ex art. 8, comma 3 bis, d.lgs. n. 471 del 1997, ed esula dalla fattispecie di infedele dichiarazione, non incidendo più sul calcolo dei componenti di reddito, con conseguente esclusione delle sanzioni previste dall'art. 1, comma 2, del d.P.R. n. 471 del 1997.
Cass. civ. n. 5645/2020
Il tema di accertamento tributario, il requisito motivazionale, ai sensi dell'art. 42, comma 2, del d.P.R. n. 600 del 1973, esige, oltre alla puntualizzazione degli estremi soggettivi ed oggettivi della posizione creditoria dedotta, soltanto l'indicazione di fatti astrattamente giustificativi di essa, che consentano di delimitare l'ambito delle ragioni adducibili dall'Ufficio nell'eventuale successiva fase contenziosa, restando poi affidate al giudizio d'impugnazione dell'atto le questioni riguardanti l'effettivo verificarsi dei fatti stessi e la loro idoneità a dare sostegno alla pretesa impositiva.
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In tema di reddito di impresa, il valore "normale" della transazione commerciale infragruppo di cui all'art. 9, comma 3, T.U.I.R. va determinato in base al metodo del prezzo di rivendita ("Resale Price Method"), in aderenza ai criteri della circolare del n. 32/9/2267 del 1980 e del rapporto OCSE del 1995. (Fattispecie relativa a transazione infragruppo avente ad oggetto l'uso di diritti di licenza su marchi e "know how" in cui la S.C. ha confermato la decisione che aveva confrontato il prezzo stabilito per la transazione tra la società madre italiana e la società figlia olandese e quello, relativo alla subconcessione, tra quest'ultima e la controllata spagnola, evincendo una sproporzione priva di giustificazione).
Cass. civ. n. 32634/2019
In materia di IRES, in tema di valutazione dei crediti e dei debiti in valuta estera, a seguito della modifica del n. 8-bis) del comma 1 dell'art. 2426 c.c. operata - al fine di tenere conto delle precisazioni fornite dall'Organismo Italiano di Contabilità (OIC) - dall'art. 17 del d.lgs. n. 310 del 2004, tra le "attività e le passività in valuta", da computare al tasso di cambio a pronti alla data di chiusura dell'esercizio, rientrano i debiti a prescindere dalla loro durata ed i crediti indipendentemente dalla loro iscrizione tra le immobilizzazioni finanziarie, sicché, con riferimento ai commi 3 e 4 dell'art. 110 del d.P.R. n. 917 del 1986 (nel testo applicabile "ratione temporis" modificato dal d.lgs. n. 344 del 2003), nel periodo d'imposta 2004 i crediti potevano essere soggetti alla disciplina del comma 3 o comma 4 a seconda che fossero iscritti nell'attivo circolante o nelle immobilizzazioni finanziarie, i debiti (sia a breve che a medio-lunga scadenza) erano sempre riconducibili alla disciplina del comma 3, mentre gli utili e le perdite su cambi contabilizzati a conto economico rilevavano ai fini della determinazione del reddito. Inoltre, poiché la deducibilità degli accantonamenti per rischi di cambio - già disciplinata dall'art. 72 del d.P.R. n. 917 del 1986 (nel testo vigente "ratione temporis") - non è più prevista a decorrere dal 1° gennaio 2004, nel primo esercizio in cui si applicavano le nuove disposizioni civilistiche in tema di bilancio, le società dovevano annullare l'eventuale saldo ancora esistente del fondo rischi su cambio, mediante sua "girocontazione" al conto economico (segnatamente, alla voce C, n. 17-bis - Utili e perdite su cambi), con conseguente concorrenza dello stesso alla formazione del reddito complessivo.
Cass. civ. n. 23355/2019
In tema di determinazione del reddito d'impresa derivante da attività esercitate nel territorio dello Stato mediante stabili organizzazioni, la deducibilità dei componenti negativi deve avvenire nel rispetto del principio di libera concorrenza - del quale è attuativo l'art. 110, comma 7, del d.P.R. n. 917 del 1986 - il quale impone che i criteri di determinazione del reddito delle stabili organizzazioni siano omogenei rispetto a quelli operanti per le imprese residenti nello Stato. (Nella specie, in applicazione del principio, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata là dove aveva reputato la legittimità di un avviso di accertamento che, in presenza di una stabile organizzazione "sottocapitalizzata" di una società del Regno Unito esercente l'attività bancaria nel territorio dello Stato, adottando dei correttivi ai fini della salvaguardia del principio di libera concorrenza, aveva, per un verso, individuato un "fondo di dotazione figurativo" della stabile organizzazione e riconosciuto la deducibilità degli interessi passivi su finanziamenti della "casa madre" solo per quelli maturati sull'importo eccedente tale fondo e, per un altro, assunto l'esistenza, anch'essa figurativa e ipotetica, di un patrimonio di vigilanza, parametrato alle linee di credito concesse, e riconosciuto la deducibilità delle perdite su crediti nella misura corrispondente al profitto dichiarato dalla stabile organizzazione in Italia, con l'esclusione, invece, della quota parte di perdite riferibile alla "casa madre").
Cass. civ. n. 16948/2019
In tema di determinazione del reddito d'impresa, lo scostamento dal "valore normale" del prezzo di transazione ex art. 9 del d.P.R. n. 917 del 1986 può assumere rilievo, anche per operazioni infragruppo interne, quale elemento indiziario ai fini della valutazione di antieconomicità delle operazioni sotto il profilo della carenza di inerenza dei costi eccessivi, ovvero del possibile occultamento (parziale) del prezzo nel caso di profitti eccessivamente bassi.
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In tema di determinazione del reddito d'impresa, le transazioni tra società infragruppo residenti nel territorio nazionale effettuate ad un prezzo diverso dal "valore normale" indicato dall'art. 9 del D.P.R. n. 917 del 1986 non sono indice, di per sé, di una condotta elusiva, rappresentando l'eventuale alterazione rispetto al prezzo di mercato solo un elemento aggiuntivo, di eventuale conferma, della valutazione di elusività dell'operazione, senza che possa applicarsi, in via analogica, la disciplina del "transfer pricing" internazionale recata dall'art. 110, comma 7, del D.P.R. cit. (nel testo vigente "ratione temporis"), ostandovi il disposto - di interpretazione autentica - di cui all'art. 5, comma 2, del D.Lgs. n. 147 del 2015, donde l'estraneità all'ordinamento tributario della nozione di "transfer pricing" domestico.
Cass. civ. n. 8812/2019
In tema di reddito d'impresa, la disciplina di cui all'art. 110, commi 10 e 11, del d.P.R n. 917 del 1986 (nel testo in vigore "ratione temporis") - che subordina la deducibilità dei costi scaturenti da operazioni commerciali con soggetti residenti in Stati a fiscalità privilegiata alla prova, da parte del contribuente, dell'effettività dell'operazione - non contrasta con il principio di non discriminazione sancito dall'art. 24, par. 24, del modello OCSE di convenzione contro le doppie imposizioni, atteso che il peculiare regime probatorio previsto dalla norma interna opera solo sul piano della verifica dell'effettività dell'operazione, sicché, una volta fornita tale prova, i costi sono deducibili secondo le regole ordinarie.
Cass. civ. n. 5624/2019
Nella determinazione del reddito d'impresa l'abolizione del regime di indeducibilità dei costi relativi ad operazioni commerciali intercorse con soggetti domiciliati in Paesi a fiscalità privilegiata (cd. "black list"), prevista dall'art. 1, commi 301, 302, e 303, della l. n. 296 del 2006, ha carattere retroattivo, con conseguente deducibilità di tali costi subordinata alla prova dell'operatività dell'impresa estera contraente nonché della effettività della transazione commerciale, mentre il requisito dello svolgimento effettivo di attività commerciale non è più richiesto a decorrere dall'anno di imposta 2015, a seguito dell'entrata in vigore delle modifiche di cui al d.lgs. n. 417 del 2015.
Cass. civ. n. 2387/2019
In tema di reddito d'impresa, la disciplina del "transfer pricing" prevista dall'art. 110 del D.P.R. n. 917 del 1986 (nella formulazione applicabile "ratione temporis"), opera anche nell'ipotesi di prestito ad una società del gruppo, fattispecie nella quale, essendo il costo rappresentato dal saggio di interesse, questo deve essere determinato in relazione al prezzo normale di mercato, ossia al tasso mediamente praticato nel tempo e nel luogo dell'operazione.
Cass. civ. n. 898/2019
In materia di "transfer pricing" l'Amministrazione finanziaria ha l'onere di provare l'esistenza di transazioni economiche, tra imprese collegate, ad un prezzo apparentemente inferiore a quello normale, ma non anche quello di dimostrare la maggiore fiscalità nazionale o il concreto vantaggio fiscale conseguito dal contribuente, perché la normativa di riferimento non è una disciplina antielusiva in senso proprio, mentre spetta al contribuente provare che la transazione è avvenuta in conformità ai valori di mercato normali. (Nella specie, la S.C., in applicazione del principio, ha confermato la sentenza impugnata che aveva ritenuto che il prezzo praticato non doveva considerarsi superiore al valore normale, in quanto, se fosse stato applicato il prezzo indicato dall'Amministrazione, vi sarebbe stata una notevole perdita di bilancio per la controllata).
Cass. civ. n. 29306/2018
In tema di operazioni di cessione con società estere infragruppo (cd. "transfert pricing" internazionale), il ricarico estremamente modesto praticato dal cessionario per la successiva rivendita costituisce uno degli elementi indiziari della necessità di individuare il "valore normale" di mercato del bene ceduto ai sensi dell'art. 9, comma 3, del d.P.R. n. 917 del 1986.
Cass. civ. n. 28335/2018
L'avviso di accertamento è valido ove sia sottoscritto dal "reggente" (nella specie, il capo dell'area controllo), ossia dal soggetto chiamato, ai sensi dell'art. 20, comma 1, lett. a) e b), del d.P.R. n. 266 del 1987, a sostituire temporaneamente il dirigente assente per cause improvvise in tutte le funzioni svolte dallo stesso ai fini della direzione dell'Ufficio.
Cass. civ. n. 21809/2018
In tema di IVA, ai fini dell'applicazione dell'aliquota agevolata di cui alla voce 38, Tabella A, parte II, allegata al d.P.R. n. 633 del 1972 – nella formulazione applicabile "ratione temporis" – i distributori automatici di somministrazione di alimenti e bevande devono essere collocati in luoghi destinati alla collettività (quali, ad esempio, ospedali, case di cura, scuole e uffici), utilizzati da un numero indeterminato di individui, in quanto la "ratio" dell'agevolazione è la funzione sociale che caratterizza la somministrazione di tali beni in detti edifici.
Cass. civ. n. 21284/2018
In materia tributaria, l'effetto vincolante del giudicato esterno, in relazione alle imposte periodiche, è limitato ai soli casi in cui vengano in esame fatti che, per legge, hanno efficacia permanente o pluriennale, producendo effetti per un arco di tempo che comprende più periodi di imposta, o nei quali l'accertamento concerne la qualificazione di un rapporto ad esecuzione prolungata, sicché è esclusa l'efficacia espansiva del giudicato per le fattispecie "tendenzialmente permanenti" in quanto suscettibili di variazione annuale.
Cass. civ. n. 27018/2017
In tema di reddito d'impresa, l'art. 110, comma 7, del d.P.R. n. 917 del 1986, va inteso come attuativo del principio di libera concorrenza, esclusa ogni qualificazione dello stesso come norma antielusiva, sicché la valutazione del valore normale delle operazioni poste in essere postula l'esame della loro sostanza economica, in una prospettiva di comparazione con analoghe operazioni effettuate tra imprese indipendenti e in libera concorrenza, con la conseguenza che sono soggetti alla medesima disciplina i finanziamenti infruttiferi internazionali tra imprese controllate e controllanti attesa l'esigenza, in funzione dell'unitaria ratio dell'istituto, di oggettivare il valore delle operazioni ai soli fini fiscali, senza che ne siano alterati gli equilibri civilistici tra i contraenti.
Comm. Trib. Reg. Piemonte n. 1543/2017
Per quanto concerne la deducibilità dei cc.dd. costi black-list, ai fini della prova della seconda esimente di cui all’art. 110, comma 11, TUIR vigente ratione temporis (vale a dire la prova che le operazioni poste in essere rispondano ad un effettivo interesse economico e abbiano avuto concreta esecuzione), l’interesse economico non può ricondursi solo al prezzo della singola fornitura, ben potendo esservi circostanze diverse e ulteriori per cui, anche se a prezzo unitario maggiore, la fornitura può essere complessivamente più conveniente di altre e rispondere a un interesse economico effettivo dell’acquirente. Tra gli elementi da prendere in considerazione vi sono, ad esempio, la qualità dei prodotti e la certezza e la puntualità degli approvvigionamenti.
Comm. Trib. Reg. Piemonte n. 1266/2017
Come stabilito nelle Linee Guida del 2010 al paragrafo 4.8 “Poiché la fissazione di un prezzo di trasferimento non è una scienza esatta, non sarà sempre possibile determinare un unico prezzo di libera concorrenza corretto; invece, come è indicato nel capitolo III, bisognerà a volte valutare il prezzo corretto rispetto a una gamma di cifre accettabili”: in sostanza la valutazione finale del prezzo, in caso di vertenza, deve tener conto di più fattori non sempre accertabili con l’applicazione di uno solo dei metodi previsti.
Comm. Trib. Reg. Umbria n. 270/2017
Al fine di determinare il valore normale dei finanziamenti di una controllante in favore di una controllata ex art. 110, comma 7, TUIR, occorre far riferimento alle “Linee guida OCSE sui prezzi di trasferimento per le multinazionali e le Amministrazioni Fiscali del 22/7/2010. Tra i vari metodi utilizzabili l’Agenzia ha erroneamente applicato il metodo CUP che non permette l’emersione di significativi elementi di comparabilità, spettando infatti all’Agenzia delle Entrate dare prova della esistenza della pattuizione di un corrispettivo inferiore al valore normale di mercato nella operazione di finanziamento effettuata.
Cass. civ. n. 11855/2017
In tema di accertamento delle imposte sui redditi, le spese notarili per l'acquisto di un bene mobile registrato costituiscono oneri accessori che ne accrescono il costo, ex art. 110, comma 1, lett. a), del d.P.R. n. 917 del 1986, non rilevando la mancanza di obbligatorietà dell'atto notarile ma la sua inerenza al bene acquistato.
Cass. civ. n. 5392/2017
Gli interessi su somme erogate per finanziamenti a terzi, se conseguiti nell'esercizio di imprese commerciali nel territorio dello Stato, sono da considerare, ai sensi dell'art. 44 del d.P.R. n. 597 del 1973, non già redditi di capitale, bensì redditi d'impresa, con la conseguenza che nessuna ritenuta deve essere in tal caso operata, non essendo il regime delle ritenute, quale dettato dall'art. 26, comma 5, del d.P.R. n. 600 del 1973, applicabile ai redditi d'impresa.
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In tema di IRES, ai sensi degli artt. 48 e 81 del d.P.R. n. 917 del 1986, gli interessi su mutui, finanziamenti e simili, quando sono conseguiti da società o da enti esercenti attività commerciali residenti nel territorio dello Stato di cui all'art. 73, comma 1, lett. a) e b), del predetto decreto, non costituiscono reddito di capitale ma vanno qualificati come componenti attive rilevanti per la determinazione del reddito di impresa.
Cass. civ. n. 13387/2016
In tema di reddito d'impresa, la stipula di un mutuo gratuito tra una società controllante residente e una controllata estera soggiace all'art. 76, comma 5 (ora 110, comma 7), del d.P.R. n. 917 del 1986, finalizzato alla repressione del cd. "transfer pricing", che deve trovare applicazione non solo quando il prezzo pattuito sia inferiore a quello mediamente praticato nel comporto economico di riferimento, ma anche quando sia nullo, atteso che pure in tale ipotesi, peraltro maggiormente elusiva, si realizza un indebito trasferimento di ricchezza imponibile verso uno Stato estero, a cui l'ordinamento reagisce sostituendo il corrispettivo contrattuale nullo con il «valore normale» dell'operazione, costituito in caso di prestito di una somma di danaro dagli interessi al tasso di mercato. (cassa con rinvio, Comm. Trib. Reg. Lombardia, 17/06/2008).
Cass. civ. n. 27078/2014
In tema di notifica degli avvisi di accertamento tributario, a seguito della declaratoria di incostituzionalità dell'art. 60, ultimo comma, del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 (nel testo applicabile "ratione temporis"), trova applicazione la regola generale secondo cui l'effetto delle variazioni anagrafiche è immediato, in quanto il nuovo termine dilatorio di trenta giorni, introdotto dall'art. 37, comma 27, del d.l. 4 luglio 2006, n. 223, convertito in legge 4 agosto 2006, n. 248, non opera retroattivamente. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha ritenuto invalidamente eseguita la notifica dell'avviso di accertamento effettuata - in epoca antecedente all'entrata in vigore del d.l. n. 223 del 2006 - presso il precedente luogo di residenza del contribuente, che si era trasferito altrove appena cinque giorni prima). (cassa e decide nel merito, Comm. Trib. Reg. Lazio, 19/05/2009)
Cass. civ. n. 20081/2014
In tema di reddito di impresa, ai sensi dell'art. 110, commi 10 e 11, del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, come modificato dalla legge 27 dicembre 2006, n. 296, le spese e le altre componenti negative inerenti ad operazioni commerciali intercorse con fornitori aventi sede in Stati a fiscalità privilegiata (cosiddetta ipotesi di "black list"), sono ammesse in deduzione solo nel caso in cui venga fornita la prova che le imprese estere svolgano attività commerciale effettiva, ovvero che le operazioni poste in essere rispondono ad un effettivo interesse economico e che le stesse hanno avuto concreta esecuzione, mentre la separata indicazione nella dichiarazione del relativo ammontare non è più - nelle fattispecie successive all'entrata in vigore della nuova disciplina - fatto costitutivo della deducibilità, trattandosi di obbligo che esaurisce la sua portata precettiva nel dato formale dell'indicazione, ancorché il contribuente, che abbia omesso tale adempimento, non possa più ottemperare, mediante dichiarazione integrativa, dopo la contestazione della violazione tributaria, in questo modo eludendo le sanzioni previste per l'inosservanza della prescrizione. (cassa e decide nel merito, Comm. Trib. Reg. Emilia Romagna, 09/07/2008).
Cass. civ. n. 17955/2013
Nella valutazione a fini fiscali delle manovre sul trasferimento dei prezzi tra società facenti parte di uno stesso gruppo ed aventi tutte sede in Italia ("transfer pricing" domestico), va applicato il principio, avente valore generale e dunque non circoscritto ai soli rapporti internazionali di controllo, stabilito dall'art. 9 del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, che non ha mera portata contabile e che impone il riferimento al normale valore di mercato per corrispettivi e altri proventi presi in considerazione dal contribuente. Si tratta invero di clausola antielusiva, costituente esplicazione del generale divieto di abuso del diritto in materia tributaria, essendo precluso al contribuente conseguire vantaggi fiscali - come lo spostamento dell'imponibile presso le imprese associate che, nel territorio, godano di esenzioni o minor tassazione - mediante l'uso distorto, pur se non contrastante con alcuna specifica disposizione di legge, di strumenti giuridici idonei ad ottenere vantaggi in difetto di ragioni diverse dalla mera aspettativa di quei benefici. (Fattispecie di ricarico minimo, non altrimenti giustificato, nelle cessioni dalla controllante alla controllata, che godeva di agevolazioni per il territorio del Mezzogiorno). (cassa con rinvio, Comm. Trib. Reg. Milano, 19/09/2006)
Cass. civ. n. 27953/2012
In tema di determinazione del reddito d'impresa, la disciplina dettata dall'art. 76, comma quinto (ora art. 110, comma 7), del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, secondo cui i componenti di reddito derivanti da operazioni con società non residenti nel territorio dello Stato, che, direttamente o indirettamente, controllano l'impresa o ne sono controllate o sono controllate dalla stessa società, sono valutati in base al "valore normale" dei beni ceduti, dei servizi prestati e dei beni e servizi ricevuti, "se ne deriva un aumento del reddito", fissa un criterio legale, che prescinde dal corrispettivo effettivamente pattuito e che, ai fini della sua determinazione, fa rinvio all'art. 9 del medesimo d.P.R., il quale, in conformità con le linee guida fissate dall'O.C.S.E., stabilisce che per valore normale si intende il prezzo o corrispettivo mediamente praticato per i beni o servizi della stessa specie o similari, in condizioni di libera concorrenza e al medesimo stadio di commercializzazione, nel tempo e nel luogo in cui i beni o servizi sono stati acquisiti o prestati, e, in mancanza, nel tempo e nel luogo più prossimi, e che per la determinazione dello stesso si fa riferimento ai listini o alle tariffe del soggetto che ha fornito i beni o servizi, ovvero, in mancanza, alle mercuriali e ai listini delle camere di commercio e alle tariffe professionali, tenendo conto degli sconti d'uso. (In applicazione di questo principio, la S.C. ha annullato la decisione del giudice di merito che aveva ritenuto sussistente il fenomeno del "transfer pricing" per l'applicazione di identici prezzi di vendita alle consociate estere indipendentemente dalle quantità di beni cedute e determinato il valore normale sulla base di generici raffronti infrannuali e di asserite medie di periodo). (cassa con rinvio, Comm. Trib. Reg. Milano, 12/01/2006)
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Nel processo tributario la costituzione in giudizio della parte appellata e la proposizione dell'appello incidentale possono avvenire non solo tramite materiale deposito delle proprie controdeduzioni e dell'atto di impugnazione, ma anche mediante trasmissione degli stessi con plico raccomandato spedito nel termine di sessanta giorni dalla notifica dell'appello principale, poiché, sebbene l'art. 54 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, richiami l'art. 23 del medesimo d.lgs., il quale fa riferimento al solo deposito degli atti, una soluzione che escluda l'ammissibilità del gravame incidentale spedito per posta sarebbe irragionevolmente diversa rispetto a quella prevista dal combinato disposto degli artt. 53 e 22 del d.lgs. citato che consente di spiegare appello principale anche a mezzo di invio postale, e quindi in contrasto con gli artt. 3 e 24 Cost., tanto più che il processo tributario è ispirato al modello della semplificazione delle attività processuali e che l'uso dei mezzi di trasmissione è ampiamente ammesso nel sistema dei processi civili e amministrativi. (cassa con rinvio, Comm. Trib. Reg. Milano, 12/01/2006)
Cass. civ. n. 11949/2012
In tema di imposte sul reddito, l'art. 110, comma 7, del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, nel prevedere che i componenti derivanti da operazioni con società non residenti nel territorio dello Stato, le quali direttamente o indirettamente controllano l'impresa o ne sono controllate o sono controllate dalla stessa società controllante l'impresa nazionale, sono valutati in base al "valore normale" dei beni ceduti, dei servizi prestati e dei beni ricevuti, determinato ai sensi dell'art. 9 del medesimo d.P.R., fissa una clausola antielusiva finalizzata ad evitare trasferimenti di utili mediante l'applicazione di prezzi inferiori o superiori al valore dei beni scambiati, onde sottrarli all'imposizione fiscale in Italia a favore di tassazioni estere inferiori. Ne consegue che, in caso di rettifiche di costi, l'onere della prova grava sull'Amministrazione per quanto attiene allo scostamento tra il corrispettivo pattuito ed il valore normale dei beni o dei servizi scambiati, secondo le regole generali di cui all'art. 2697 cod. civ., e sul contribuente con riferimento all'esistenza e all'inerenza dei costi nonché ad ogni elemento che consenta all'ufficio di verificare il normale valore dei corrispettivi, in forza del principio di vicinanza della prova. (cassa con rinvio, Comm. Trib. Reg. Milano, 27/11/2009)
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In tema di imposte sui redditi, e con riferimento all'applicazione della disciplina di cui all'art. 110 d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (cd. "transfer pricing"), l'onere di fornire la dimostrazione dell'esistenza e dell'inerenza dei costi derivanti da servizi o beni prestati o ceduti da una società controllante estera ad una controllata italiana, nonché ogni elemento che consenta all'Amministrazione di verificare il normale valore dei relativi corrispettivi, incombente a carico del contribuente, non può ritenersi soddisfatto attraverso la produzione dello studio di un consulente, trattandosi di un mero parere, non vincolante, tanto più se di carattere generale e non riguardante la concreta operazione per cui è giudizio. (cassa con rinvio, Comm. Trib. Reg. Milano, 27/11/2009)
Cass. civ. n. 5398/2012
In tema di imposte sui redditi, costituisce causa ostativa alla presentazione della dichiarazione integrativa, di cui all'art. 2, comma 8, del d.P.R. 22 luglio 1998, n. 322, la notifica della contestazione di una violazione commessa nella redazione di precedente dichiarazione, in quanto se fosse possibile porre rimedio alle irregolarità anche dopo la contestazione delle stesse la correzione si risolverebbe in un inammissibile strumento di elusione delle sanzioni previste dal legislatore. (Nella specie, la S.C. ha escluso la possibilità del ricorso alla dichiarazione integrativa, dopo la notifica di apposito processo verbale di constatazione, in relazione all'omessa o lacunosa esposizione di componenti negative del reddito inerenti operazioni commerciali intercorse con imprese aventi sede in Stati aventi regimi fiscali privilegiati). (rigetta, Comm. Trib. Reg. Firenze, 04/12/2009)
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In tema di reddito d'impresa, le spese e le altre componenti negative inerenti ad operazioni commerciali intercorse con fornitori aventi sede in Stati a fiscalità privilegiata (cd. paesi "Black list") sono ammesse in deduzione solo se siano separatamente indicate nella dichiarazione annuale dei redditi e venga esibita la prova che le imprese estere svolgano attività commerciale effettiva, ovvero che le operazioni rispondano ad un effettivo interesse economico ed abbiano avuto concreta esecuzione, atteso quanto previsto dall'art. 76, commi 7 bis e 7 ter, del d.P.R 22 dicembre 1986, n. 917, e, poi, dall'art. 110, comma 11, del medesimo d.P.R., entrambi nel testo vigente "ratione temporis"; va escluso, pertanto, che sulla disciplina della deducibilità di tali oneri abbia inciso l'art. 1, commi 302 e 303, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, che si limita a modificare retroattivamente il regime sanzionatorio applicabile alle omesse o carenti indicazioni fornite. (rigetta, Comm. Trib. Reg. Firenze, 04/12/2009)
Cass. civ. n. 2845/2012
Al ricorso per cassazione avverso le sentenze delle commissioni tributarie regionali si applica la disposizione di cui all'art. 373, comma primo, secondo periodo, cod. proc. civ., secondo cui l'esecuzione della sentenza impugnata può, su istanza di parte e qualora dall'esecuzione possa derivare grave e irreparabile danno, essere sospesa dal giudice "a quo", dovendo peraltro evidenziarsi come la specialità della materia tributaria e l'esigenza che sia garantito il regolare pagamento delle imposte renda necessaria la rigorosa valutazione dei requisiti del "fumus boni iuris" e del "periculum in mora". (Principio affermato dalla Corte ex art. 363, terzo comma, cod. proc. civ.). (rigetta, Comm. Trib. Reg. Toscana Sez. Firenze, 19/03/2010)
Cass. civ. n. 7343/2010
L'omessa o inesatta indicazione del nome di una delle parti nell'intestazione della sentenza va considerata un mero errore materiale, emendabile con la procedura di cui agli artt. 287 e 288 c.p.c., quando dal contesto della sentenza risulti con sufficiente chiarezza l'esatta identità di tutte le parti; comporta, viceversa, la nullità della sentenza qualora da essa si deduca che non si è regolarmente costituito il contraddittorio, ai sensi dell'art. 101 c.p.c., e quando sussiste una situazione di incertezza, non eliminabile a mezzo della lettura dell'intera sentenza, in ordine ai soggetti cui la decisione si riferisce. (Nella specie, in riferimento ad un procedimento in cui era parte l'Agenzia delle Entrate, la S.C. ha stabilito che, benché non indicata nell'intestazione della sentenza, l'avvenuta partecipazione al giudizio dell'Agenzia fosse inequivocabilmente desumibile da suo contenuto, laddove si indicava la sua costituzione in giudizio già in primo grado e la proposizione dell'appello da parte della medesima).