(massima n. 1)
In tema di determinazione del reddito d'impresa, la disciplina dettata dall'art. 76, comma quinto (ora art. 110, comma 7), del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, secondo cui i componenti di reddito derivanti da operazioni con societą non residenti nel territorio dello Stato, che, direttamente o indirettamente, controllano l'impresa o ne sono controllate o sono controllate dalla stessa societą, sono valutati in base al "valore normale" dei beni ceduti, dei servizi prestati e dei beni e servizi ricevuti, "se ne deriva un aumento del reddito", fissa un criterio legale, che prescinde dal corrispettivo effettivamente pattuito e che, ai fini della sua determinazione, fa rinvio all'art. 9 del medesimo d.P.R., il quale, in conformitą con le linee guida fissate dall'O.C.S.E., stabilisce che per valore normale si intende il prezzo o corrispettivo mediamente praticato per i beni o servizi della stessa specie o similari, in condizioni di libera concorrenza e al medesimo stadio di commercializzazione, nel tempo e nel luogo in cui i beni o servizi sono stati acquisiti o prestati, e, in mancanza, nel tempo e nel luogo pił prossimi, e che per la determinazione dello stesso si fa riferimento ai listini o alle tariffe del soggetto che ha fornito i beni o servizi, ovvero, in mancanza, alle mercuriali e ai listini delle camere di commercio e alle tariffe professionali, tenendo conto degli sconti d'uso. (In applicazione di questo principio, la S.C. ha annullato la decisione del giudice di merito che aveva ritenuto sussistente il fenomeno del "transfer pricing" per l'applicazione di identici prezzi di vendita alle consociate estere indipendentemente dalle quantitą di beni cedute e determinato il valore normale sulla base di generici raffronti infrannuali e di asserite medie di periodo). (cassa con rinvio, Comm. Trib. Reg. Milano, 12/01/2006)