Cass. civ. n. 6242/2020
Ai fini della determinazione del reddito della stabile organizzazione imputabile ad una filiale italiana di banca estera, sottocapitalizzata o priva di capitale di rischio, la deducibilità dei componenti negativi postula la necessaria adozione di correttivi (nella specie individuati dall'Agenzia delle Entrate nel fondo di dotazione figurativo, rilevante ai fini della determinazione del "quantum" delle perdite dei crediti deducibili, per effetto della loro imputazione "pro-quota", rispettivamente, alla filiale italiana ed alla casa madre estera), anche mediante richiamo al par. 18.3. del Commentario Ocse contro le doppie imposizioni, che, pur non avendo valore normativo, costituisce una raccomandazione diretta ai Paesi aderenti. (In applicazione del principio, la S.C. ha cassato la pronuncia della CTR che aveva dichiarato l'illegittimità del recupero fiscale delle svalutazioni sui finanziamenti concessi al gruppo Parmalat attraverso liquidità ottenute da una banca statunitense tradotte in speculari interessi passivi, rilevati dalla "branch" domestica nei confronti della casa madre statunitense, malgrado l'assenza di un'adeguata e corrispondente patrimonializzazione).
Cass. civ. n. 5833/2020
Anche in materia di IRAP, in relazione alle imprese bancarie, la svalutazione dei crediti risultanti dal bilancio di esercizio determina immediatamente la decurtazione del valore fiscale dei ricavi, poiché ad essa è stata riconosciuta rilevanza dall'art. 71 (ora 106), comma 3, T.U.I.R. per rendere la disciplina fiscale più adeguata alle esigenze del mercato bancario e assicurare pieno riconoscimento alle svalutazioni imputate al conto economico, e la relativa deduzione è soltanto rinviata, per noni, agli esercizi successivi, secondo il criterio di cui all'art. 106, comma 3, cit., per evitare il superamento del limite massimo di deducibilità in ciascun esercizio. Ne consegue che l'indeducibilità ai fini dell'IRAP, introdotta dall'art. 2, comma 2, del d.l. n. 168 del 2004, conv. con modif. dalla l. n. 191 del 2004, a partire dall'esercizio 2005, non attinge le quote (cd. noni pregressi) di competenza degli esercizi anteriori, in quanto relative a svalutazioni di crediti operate nei corrispondenti bilanci, e oggetto, quindi, di una situazione giuridica sostanziale già consolidata; né è giustificabile un'interpretazione della disciplina in chiave retroattiva, in assenza di specifica previsione, poiché la stessa si porrebbe in contrasto con il canone ermeneutico di cui all'art. 3 della l. n. 212 del 2000. (In applicazione del primo principio, la S.C. ha ritenuto che il "dies a quo" del termine di decadenza per il rimborso dell'acconto IRAP versato in eccedenza per effetto della mancata deduzione dei noni delle svalutazioni dei crediti anteriori al 2005 decorre dal versamento di ciascun acconto, indipendentemente dal diverso metodo "retributivo" di determinazione del valore della produzione, che è la base imponibile dell'IRAP per i soli enti pubblici, atteso che le svalutazioni dei crediti e i correlativi noni sono componenti passive "certe", le quali riducono il valore della produzione in misura sempre identica, determinato, per le banche, con le peculiari modalità previste dall'art. 6 del d.P.R. n. 446 del 1997).
Cass. civ. n. 9237/2019
In tema di determinazione dei redditi di impresa, poiché dal compimento di una determinata scelta di bilancio da parte della società contribuente consegue automaticamente l'applicazione del relativo regime fiscale, ove venga istituito un fondo rischi su crediti, le perdite sui crediti realizzate successivamente agli accantonamenti previsti in bilancio, ai sensi dell'art. 106, comma 2, del d.P.R. n. 917 del 1986, sono deducibili, a norma dell'art. 101 dello stesso decreto, non integralmente, ma solo per la parte che eccede l'ammontare complessivo degli accantonamenti dedotti nei precedenti esercizi.
Cass. civ. n. 10686/2018
In tema di redditi di impresa, il discrimine tra "perdite sui crediti" e "svalutazione dei crediti" si correla alla definitività del venir meno della posta attiva, nel senso che, alla stregua di un giudizio prognostico, si ha perdita del credito quando esso è divenuto definitivamente inesigibile, mentre si ha svalutazione quando il credito è solo temporaneamente non realizzabile.
Cass. civ. n. 956/2018
In tema di svalutazione dei crediti per la determinazione del reddito d'impresa, l'art. 106, commi 3 e 4, del d.P.R. n. 917 del 1986, consente agli enti creditizi e finanziari di cui al d.lgs. n. 87 del 1992 di dedurre in ciascun esercizio il valore dei crediti impliciti nei contratti di locazione finanziaria risultanti in bilancio nella misura percentuale prevista al comma 1 del detto art. 106, senza che assuma rilevanza sul plafond di deducibilità di tali crediti il grado di rischiosità degli stessi, anche desunto dalla tipologia dei soggetti debitori, ovvero la distinzione tra soggetti ricompresi o meno nel sistema bancario.
Comm. Trib. Prov. Torino n. 1392/2017
Le svalutazioni di crediti che comportano un azzeramento del valore del credito non possono essere considerate alla stregua di perdite su crediti. I due concetti sono ben distinti e autonomamente disciplinati dal legislatore fiscale: il primo dall’art. 106 TUIR, ed il secondo dall’art. 101, comma 5 TUIR. Dalla loro lettura si evince che le due norme non sono affatto sovrapponibili e regolamentano fattispecie differenti e distinte. Quindi, non è accettabile, perché errato e non supportato da norme tributarie, asserire che le svalutazioni integrali del credito sono né più né meno che perdite su crediti, richiedendosi per le prime i presupposti di certezza e precisione necessari solo per le seconde.
Cass. civ. n. 28575/2017
In tema di determinazione ai fini impositivi dei redditi delle persone giuridiche, e con particolare riguardo ai costi deducibili per i beni conseguiti in locazione finanziaria, a seguito della modifica normativa prevista dall'art. 3, commi 103, lett. c) e 109 della l. n. 549 del 1995, il cd. "maxicanone", corrisposto con il pagamento della prima rata, deve essere contabilizzato interamente nell'esercizio di competenza.
Comm. Trib. Reg. Piemonte n. 1608/2017
Gli accantonamenti al fondo rischi su crediti sono deducibili anche relativamente a crediti ceduti pro-solvendo se e nella misura in cui essi, nonostante la cessione, determinino una situazione di rischio per il cedente. La pretesa dell’Amministrazione Finanziaria di escludere la deducibilità degli accantonamenti relativi ai crediti ceduti è, pertanto, fondata solo nei limiti in cui i crediti ceduti non comportino un rischio di inadempimento. Il recupero a tassazione degli accantonamenti va, invece, escluso quando l’effettivo sostenimento di tale rischio sia comprovato (nel caso in esame, risultava l’inadempimento della società debitrice, soggetta a fallimento).
Comm. Trib. Reg. Veneto n. 987/2017
Qualora la società debitrice estera sia fallita e sia stata cancellata dal registro delle imprese, è corretto dedurre la perdita sul credito vantato nei confronti della predetta società nell’anno d’imposta in cui si ha avuto notizia della sua cancellazione. Va invece respinta la tesi dell’Ufficio stando alla quale la deduzione deve essere operata nell’anno in cui è stato dichiarato il fallimento, a prescindere dal fatto che il contribuente ne fosse venuto a conoscenza o meno. Infatti ottenere precise informazioni in merito alla procedura concorsuale estera risulta certamente più difficoltoso che ottenere le medesime informazioni con riguardo ad una società italiana.
Comm. Trib. Reg. Abruzzo n. 270/2017
Sulla base del criterio della prevalenza della sostanza sulla forma, i c.d. finanziamenti post sisma, se pure all’apparenza paiono crediti verso la clientela, in realtà non sono tali, data l’assenza del rischio d’impresa (essendo garantiti dallo Stato) e non essendo prevista alcuna remunerazione o compenso per il servizio reso dalle banche. Ne consegue che, non essendo finanziamenti, non può trovare applicazione la norma che prevedeva la svalutazione dei crediti ex art. 106, comma 1, TUIR, potendo gli istituti creditizi dedurre interamente gli interessi passivi, oltre il limite, cioè, del 96% previsto dall’art. 96 TUIR.
Cass. civ. n. 13458/2015
In tema di determinazione del reddito d'impresa, a norma dell'art. 106 (già 71), comma 1, del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, le svalutazioni dei crediti risultanti in bilancio sono deducibili in ciascun esercizio nel limite dello 0,50 per cento del valore nominale o di acquisizione dei crediti stessi, sempre che l'ammontare complessivo di dette svalutazioni e degli accantonamenti non abbia raggiunto la soglia del 5 per cento, da calcolarsi, per espresso disposto normativo, sul valore nominale o di acquisizione dei crediti risultanti in bilancio alla fine dell'esercizio, atteso che il raggiungimento di tale limite impedisce il sorgere e, quindi, la spettanza del diritto alla deduzione. (cassa con rinvio, Comm. Trib. Reg. Perugia, 02/07/2007).
Cass. civ. n. 19726/2014
In tema di imposte dirette e con riguardo alla determinazione del reddito d'impresa, è deducibile, ai sensi dell'art. 106 (già art. 71) del d.P.R. 22 dicembre 1986, la svalutazione del credito derivante da un preliminare di vendita immobiliare, in cui sia prevista una caparra confirmatoria, in quanto, da un lato, anche un negozio solo obbligatorio può essere fonte di ricavi e, dall'altro lato, la caparra confirmatoria ha esclusivamente la funzione di determinare preventivamente il danno e non comporta la copertura del credito con "garanzia assicurativa" e la conseguente esclusione del relativo rischio d'insolvenza. (rigetta, Comm. Trib. Reg. Milano, 24/03/2009).
Cass. civ. n. 5403/2012
Anche in materia di IRAP, in relazione alle imprese bancarie, la svalutazione dei crediti risultanti dal bilancio di esercizio determina immediatamente la decurtazione del valore fiscale dei ricavi, poiché ad essa è stata riconosciuta rilevanza dall'art. 71, comma terzo, del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (poi divenuto art. 106, comma terzo, del medesimo d.P.R.) per rendere la disciplina fiscale più adeguata alle esigenze del mercato bancario ed assicurare pieno riconoscimento alle svalutazioni imputate al conto economico, e la relativa deduzione è soltanto rinviata, per noni, agli esercizi successivi, secondo il criterio di cui all'art. 106, comma terzo, citato, per evitare il superamento del limite massimo di deducibilità in ciascun esercizio. Ne consegue che l'indeducibilità ai fini dell'IRAP, introdotta dall'art. 2, comma secondo, del d.l. 12 luglio 2004, n. 168, convertito in legge 30 luglio 2004, n. 191, a partire dall'esercizio 2005, non attinge le quote (cd. noni pregressi) di competenza degli esercizi anteriori, in quanto relative a svalutazioni di crediti operate nei corrispondenti bilanci, ed oggetto, quindi, di una situazione giuridica sostanziale già consolidata; né è giustificabile un'interpretazione della disciplina in chiave retroattiva, in assenza di specifica previsione, poiché la stessa si porrebbe in contrasto con il canone ermeneutico di cui all'art. 3 della legge 27 luglio 2000, n. 212. (rigetta, Comm. Trib. Reg. Milano, 18/01/2010).
Cass. civ. n. 14337/2011
In tema di determinazione del reddito d'impresa, la deduzione degli accantonamenti iscritti nel fondo rischi su crediti, prevista dall'art. 71 (art. 106 secondo la numerazione introdotta dal d.lgs. 30 dicembre 1993, n. 344) del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, si applica ai crediti ceduti "pro solvendo" se, e nella misura in cui, essi, nonostante la cessione, determinino una situazione di rischio per il cedente. (Principio affermato con riferimento a crediti ceduti in factoring). (cassa con rinvio, Comm. Trib. Reg. Milano, 12/01/2006).
Cass. civ. n. 8580/2006
In tema di redditi d'impresa, fra gli accantonamenti al fondo rischi su crediti nei confronti di imprese assoggettate a procedure concorsuali, ai sensi degli artt. 66, comma 3, e 71 del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (nel testo in vigore sino al 31 gennaio 2003), nonché dell'art. 11 del d.P.R. 4 febbraio 1988, n. 42, non sono compresi i crediti nei confronti di imprese in amministrazione controllata, perché questa presuppone unicamente una temporanea difficoltà di adempiere alle obbligazioni da parte dell'imprenditore, e non è pertanto equiparabile, sotto il profilo dinamico, alle altre procedure concorsuali - per la cui apertura è, invece, esplicitamente richiesto lo stato di insolvenza - in ordine alle prospettive di soddisfazione dei creditori. (Cassa con rinvio, Comm. Trib. Reg. Genova, 15 Aprile 1999).
Cass. civ. n. 5357/2006
In tema di imposte sui redditi, l'art. 66, terzo comma, del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, prevedendo che, al di fuori dell'ipotesi in cui il debitore sia assoggettato a procedure concorsuali, le perdite su crediti sono deducibili dal reddito imponibile soltanto se risultino da elementi certi e precisi, pone a carico del contribuente l'onere di allegare e documentare gli elementi di riferimento che hanno dato luogo alla perdita: pertanto, nell'ipotesi in cui l'Amministrazione abbia negato la deducibilità delle perdite su crediti acquistati a seguito di cessione, la mera allegazione che quest'ultima ha avuto luogo "pro soluto" anziché "pro solvendo", secondo gli schemi predisposti dalla normativa civilistica, non esonera il contribuente dal documentare, mediante elementi certi e precisi (ad esempio, il prezzo stimato del credito rispetto al suo valore nominale), che la perdita risultante dalla cessione era da intendersi come oggettivamente definitiva, né preclude al giudice di merito l'esercizio del suo potere di apprezzare liberamente la sufficienza di quelle risultanze probatorie. (rigetta, Comm. Trib. Reg. Milano, 17 Settembre 1999).
Cass. civ. n. 2208/2006
In tema di determinazione del reddito d'impresa, la deduzione degli accantonamenti iscritti nel fondo rischi su crediti, prevista dall'art. 71 del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, è fondata solo nei limiti in cui i crediti ceduti comportino il rischio di inadempimento, secondo le regole aziendalistiche di calcolo della corrispondente svalutazione dei crediti conseguente alla natura "pro soluto" o "pro solvendo" della loro cessione, la quale deve essere provata dalla società che invoca la deducibilità. (rigetta, Comm. Trib. Reg. Napoli, 12 Gennaio 1999).
Cass. civ. n. 16630/2005
In tema di imposte sui redditi d'impresa, l'art. 66, comma terzo, del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, che prevede la deduzione delle perdite su crediti, quali componenti negative del reddito d'impresa, se risultano da elementi certi e precisi e, in ogni caso, se il debitore è assoggettato a procedure concorsuali, va interpretato nel senso che l'anno di competenza per operare la deduzione deve coincidere con quello in cui si acquista certezza che il credito non può più essere soddisfatto, perché in quel momento si materializzano gli elementi "certi e precisi" della sua irrecuperabilità. Diversamente opinando si rimetterebbe all'arbitrio del contribuente la scelta del periodo d'imposta più vantaggioso per operare la deduzione, snaturando la regola espressa dal principio di competenza, che rappresenta invece criterio inderogabile ed oggettivo per determinare il reddito d'impresa. La prova della sussistenza degli elementi suddetti non impone né la dimostrazione che il creditore si sia attivato per esigere il suo credito, né che sia intervenuta sentenza di fallimento del debitore. (rigetta, Comm. Trib. Reg. Milano, 13 Luglio 1998).