Corte cost. n. 120/2013
È incostituzionale l'art. 63 T.U. 18 agosto 2000 n. 267, nella parte in cui non prevede l'incompatibilità tra la carica di parlamentare e quella di sindaco di un Comune con popolazione superiore ai 20.000 abitanti.
Cass. civ. n. 26210/2010
In tema di elettorato passivo, la causa d'incompatibilità per lite pendente prevista dall'art. 63, comma 1, n. 4, del D.Lgs. n. 267, sussiste qualora il sindaco sia evocato in causa dal comune, ai sensi dell'art. 2476 c.c., quale amministratore di una società da esso partecipata, per i danni arrecati nella gestione, stante il conflitto d'interessi sostanziale con l'ente locale.
Cass. civ. n. 23337/2010
In tema di cause d'ineleggibilità, è incompatibile con la carica di consigliere comunale la funzione di Presidente del consiglio di amministrazione di una società di capitali, appaltatrice di servizi pubblici del Comune, anche se l'ente territoriale abbia una partecipazione societaria inferiore al 20% del capitale sociale, dal momento che l'art. 63, comma 1 del D.Lgs. n. 267 del 2000 che regola tali cause d'ineleggibilità, prefigura due distinte ed autonome ipotesi d'incompatibilità, non suscettibili d'interpretazione integrativa, richiedendo solo in quella regolata al n. 1 della norma, relativa all'esigenza di escludere ogni forma d'ingerenza o di controllo dell'ente territoriale sulla società, non solo pubblicistico ma anche statutario o contrattuale, la partecipazione nella misura del 20% del capitale sociale, il n. 2, invece, pur prevedendo il medesimo presupposto soggettivo nel candidato, ovvero la carica di titolare, amministratore o dipendente, si riferisce espressamente all'esercizio di servizi, esazione di diritti, esecuzione di somministrazioni od appalti nell'interesse del comune, mirando ad evitare il potenziale conflitto d'interessi con l'ente pubblico committente.
Cass. civ. n. 16754/2010
In tema di elettorato passivo, la causa d'incompatibilità per lite pendente prevista dall'art. 63, comma 1 n. 4, D.Lgs. 18 agosto 2000 n. 267, può essere esclusa soltanto in presenza di atti implicanti il sostanziale venir meno del conflitto, la manifesta infondatezza dell'azione, o il carattere pretestuoso della lite (inteso come artificiosa e maliziosa creazione di una situazione di fatto diretta a danneggiare il candidato); tali atti devono emergere da una delibazione di elementi di tale evidenza ed inequivocità da escludere qualsiasi invasione della "potestas iudicandi" propria del giudice davanti al quale pende la controversia addotta come causa d'incompatibilità.
Cass. civ. n. 19233/2009
Non è incompatibile con l'assunzione della carica di consigliere comunale, ai sensi dell'art. 63, comma 1 n. 4, D.Lgs. 18 agosto 2000 n. 267, la pendenza di un giudizio civile promosso dall'eletto, nel quale il Comune non sia stato identificato come soggetto direttamente ed effettivamente obbligato alla prestazione pretesa dall'attore, ma sia stato chiamato a titolo di garanzia impropria da un altro Comune, convenuto in giudizio dall'eletto: in tal caso, infatti, avuto riguardo all'autonomia dei due rapporti sostanziali dedotti nello stesso processo, l'eletto non assume la posizione di parte "contro" il Comune, prescritta dalla norma citata ai fini della sussistenza della causa d'incompatibilità.
Cass. civ. n. 16053/2009
In tema d'incompatibilità alla carica di consigliere comunale, l'art. 63 del testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, approvato con il D.Lgs. n. 267 del 2000, nel prevedere, tra le ipotesi che impediscono di ricoprire la carica pubblica, anche la pendenza di una lite civile od amministrativa con il Comune, esclude l'incompatibilità quando la controversia riguardi un fatto connesso con l'esercizio del mandato. Rientra in tale previsione normativa la pendenza di una lite relativa al rimborso delle spese sostenute dal pubblico amministratore per difendersi in un procedimento penale per peculato, anche se quest'ultimo si sia concluso con assoluzione per l'assenza del requisito della correlazione con l'attività istituzionale, in quanto l'elemento discriminante ai fini della configurabilità del fatto connesso con l'esercizio del mandato deve essere individuato con riferimento alla contestazione del reato proprio e non alla decisione, a nulla rilevando che l'assenza di abuso delle pubbliche funzioni sia accertata all'esito del giudizio.
Corte cost. n. 240/2008
È dichiarata inammissibile la q.l.c. dell'art. 63, comma 1, numero 4), D.Lgs. 18 agosto 2000 n. 267, il quale stabilisce, tra l'altro, che "non può ricoprire la carica di sindaco, presidente della provincia, consigliere comunale, provinciale o circoscrizionale colui che ha lite pendente, in quanto parte di un procedimento civile od amministrativo, rispettivamente, con il comune o la provincia", sollevata con riferimento agli artt. 3 e 97 Cost., nella parte in cui non ha efficacia verso i titolari della rappresentanza organica di soggetti che si trovino nella stessa situazione di lite pendente già contemplata dalla norma stessa. Il giudice rimettente nel caso di specie chiede alla Corte una pronuncia additiva che abbia l'effetto di estendere l'ambito di applicazione dell'istituto dell'incompatibilità per lite pendente, estendendolo all'ipotesi in cui l'eletto sia titolare della rappresentanza organica di un soggetto avente lite con l'ente locale. La soluzione richiesta dal rimettente non può ritenersi imposta dalle norme costituzionali invocate, posto che "spetta al legislatore, nel ragionevole esercizio della sua discrezionalità, attuare l'art. 51 Cost., stabilendo il regime delle cause di ineleggibilità e incompatibilità", pertanto la Corte non può assumere una decisione di natura additiva.
Cass. civ. n. 8387/2008
In materia di elezione alla carica di consigliere comunale, sussiste l'incompatibilità di cui all'art. 63, comma 1 n. 1, D.Lgs. 18 agosto 2000 n. 267, nel testo vigente anteriormente alla modificazione della norma da parte dell'art. 14-decies D.L. 30 giugno 2005 n. 115, introdotto dalla legge di conversione 17 agosto 2005 n. 168, nel caso del dipendente, che sia titolare di poteri di coordinamento, di una banca di credito cooperativo, affidataria del servizio di tesoreria comunale del Comune al quale si riferisce l'elezione. Nel giudizio avente ad oggetto la causa di incompatibilità prevista dall'art. 63, comma 1 n. 1, D.Lgs. 18 agosto 2000 n. 267, accertata e dichiarata con delibera del Consiglio comunale anteriormente all'entrata in vigore dell'art. 14-decies D.L. 30 giugno 2005 n. 115, introdotto dalla legge di conversione 17 agosto 2005 n. 168, non è applicabile tale ultima norma, in quanto, in mancanza di espressa previsione in tal senso, la medesima non è dotata di efficacia retroattiva.
Cass. civ. n. 5211/2008
Il giudizio instaurato per la corresponsione dell'indennità di funzione prevista per gli amministratori comunali va annoverato tra le liti di cui all'art. 63, comma 1, n. 4, D.Lgs. 18 agosto 2000 n. 267, la cui pendenza costituisce causa di incompatibilità con la carica di consigliere comunale, non applicandosi ad esso l'esimente della connessione con l'esercizio del mandato, di cui al comma 3 dello stesso art. 63; il compenso o l'indennità di carica, infatti, attiene ad una situazione a contenuto patrimoniale che riguarda la persona dell'amministratore comunale, ma non riguarda l'espletamento di funzioni istituzionali del consigliere e non è finalizzata al perseguimento di interessi generali dell'ente territoriale o della collettività.
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Costituisce lite pendente con il Comune, tale da determinare la incompatibilità con la carica di consigliere comunale, ai sensi dell'art. 63, comma 1, n. 4, D.Lgs. 18 agosto 2000 n. 267, l'impugnazione avverso la statuizione relativa alla regolamentazione delle spese processuali del giudizio di primo grado, concluso con la dichiarazione di cessazione della materia del contendere; la pendenza della lite cessa, infatti, solo allorché il processo venga definito con una sentenza non più suscettibile di impugnazione ordinaria, salva l'ipotesi di pronuncia di estinzione del giudizio per rinuncia accettata dalla controparte, cui non è equiparabile la sentenza che dichiari cessata la materia del contendere, nella quale il giudice si sia pronunciato anche in ordine alla liquidazione delle spese, previa valutazione della soccombenza virtuale.
Cass. civ. n. 3384/2008
Qualora nel corso della lite amministrativa pendente, il giudice dichiari, con provvedimento adottato secondo la procedura di cui all'art. 26, ultimo comma, L. 1034/1971, come modificato dall'art. 9 L. 205/2000, la cessazione della materia del contendere, con compensazione delle spese, in considerazione dell'avvenuta composizione degli interessi sostanziali delle parti che abbia comportato il venir meno del contenzioso relativo alla controversia giudiziaria instauratasi, la contestazione da parte dell'ente in ordine alla mancata condanna di controparte al pagamento delle spese processuali, se connotata, alla stregua dei compiuti accertamenti di fatto, da caratteri di strumentale artificiosità, finalizzata alla conservazione di una situazione di fatto diretta a danneggiare l'eletto medesimo, quale la prosecuzione della pendenza della lite al fine di consentire la pronuncia di decadenza del consigliere eletto per incompatibilità ex art. 63, comma 1, n. 4, D.Lgs. 267/2000, può essere considerata inidonea a configurare, da sola, quella situazione di «pendenza sostanziale della lite» prevista quale causa d'incompatibilità per l'esercizio della carica di consigliere comunale. L'art. 63, comma 1, n. 4, D.Lgs. 267/2000, nel disciplinare l'incompatibilità per lite pendente, ha attribuito rilievo determinante all'attuale pendenza di un'effettiva controversia giudiziaria, quale espressione processuale di una reale situazione di conflitto di interessi tra l'eletto e l'ente territoriale, e non semplicemente alla lite potenziale o al contrasto, reale o potenziale, di interessi, tale da determinare una situazione di conflitto tra eletto ed ente pubblico, anche se non formalizzato in una contesa giudiziaria in atto, con la conseguenza che l'incompatibilità in questione va accertata con riferimento al concetto tecnico di parte di una controversia effettiva, sul piano processuale e sostanziale, che non è riferibile alla diversa figura del soggetto genericamente interessato all'esito della lite per le ricadute che possano derivargli. Il giudice del contenzioso elettorale, davanti al quale venga dedotta la questione, deve valutare la sussistenza in concreto, sia sul piano processuale che su quello sostanziale, di tale effettiva pendenza, restando invece irrilevante la pura e semplice constatazione del mero dato formale dell'esistenza di un procedimento civile o amministrativo tra l'eletto e l'ente, in mancanza di una concreta contrapposizione di parti e di una reale situazione di conflitto di interessi. Ai fini della rimozione della causa d'incompatibilità per lite pendente, prevista dall'art. 63, comma 1, n. 4, D.Lgs. 267/2000, è necessario e sufficiente che il soggetto, il quale versi in una siffatta situazione, ponga in essere atti idonei, anche se non formalmente perfetti rispetto alla specifica disciplina che eventualmente li regoli, a far venir meno nella sostanza l'incompatibilità d'interessi realizzatasi a seguito dell'instaurazione della lite medesima. E poiché il sostanziale e incondizionato abbandono della vertenza elimina in radice la ragione di incompatibilità, la causa d'incompatibilità per lite pendente può essere esclusa in presenza di atti implicanti il sostanziale venir meno del conflitto, o il carattere pretestuoso della lite, inteso come artificiosa e maliziosa creazione o conservazione di una situazione di fatto diretta a danneggiare l'eletto.
Cass. civ. n. 626/2008
In tema di elettorato passivo, l'ipotesi prevista dall'art. 63, comma 1, n. 1, D.Lgs. 18 agosto 2000 n. 267 - per il quale, tra l'altro, non può ricoprire la carica di presidente della provincia l'amministratore con poteri di rappresentanza o di coordinamento di ente, istituto o azienda soggetti a vigilanza in cui vi sia almeno il 20% di partecipazione da parte della provincia - non ricorre per il solo fatto che tale ente partecipi ad una società per azioni quale socio maggioritario, detenendo il 28,24% del capitale sociale. La nozione di vigilanza, infatti, è ben diversa da quella di controllo esercitata dall'interno attraverso una preponderante influenza nella formazione della volontà della società, essendo quest'ultima dipendente dalla natura e dall'entità della partecipazione e la prima, invece, dallo specifico rapporto fra due soggetti in forza di leggi e/o statuti.