Le norme sulle cause di giustificazione descrivono situazioni eccezionali in cui un fatto che normalmente costituirebbe reato non viene punito, in quanto l'ordinamento permette o esige quel comportamento.
Tale meccanismo di esclusione della risposta punitiva statale deriva dalla considerazione per cui esiste un
interesse prevalente alla base della non punibilità del soggetto, come avviene nelle scriminanti dell'
esercizio del diritto, della
legittima difesa, dell'
uso legittimo delle armi e dello
stato di necessità, in cui si opera un bilanciamento degli interessi contrapposti, oppure un
interesse mancante, come nella scriminante del
consenso dell'avente diritto, dove viene meno l'interesse punitivo dello Stato per effetto della rinuncia del titolare alla conservazione del proprio bene.
In quest'ultimo caso dunque la liceità della condotta deriva dall'indifferenza mostrata dall'ordinamento alla tutela del bene in seguito all'approvazione da parte dell'
avente diritto.
Per quanto riguarda il consenso, esso è considerato come un
mero atto giuridico e si ritiene che non necessiti di una forma particolare, bastando ad esempio anche una manifestazione espressa di volontà, una comunicazione puramente verbale od un cenno, come anche un comportamento concludente o tacito. L'unico requisito è la
preventiva accettazione del fatto eventualmente lesivo, non potendo essa intervenire solo dopo la commissione del fatto di reato per eliderne la valenza.
L'avente diritto deve inoltre accettare non solo la condotta, ma anche l'evento quale conseguenza di essa.
Il consenso, per scriminare, deve essere:
-
attuale, nel senso che devo sussistere prima dell'avveramento della condotta;
-
libero, ovvero che esso sia manifestato in assenza di qualsivoglia costringimento fisico o psichico;
-
informato, l'avente diritto deve avere a disposizione la conoscenza dell'intera situazione di fatto a cui presta il proprio consenso, onde valutarne l'opportunità;
-
specifico, nel senso che la condotta e l'evento devono essere circoscritti entro determinati parametri evolutivi onde poter essere giustificati.
Vi sono comunque dei
limiti a tale cause di giustificazione. Alcuni beni sono
assolutamente indisponibili, come i beni appartenenti allo Stato ed alla collettività indistinta, i beni della
famiglia ed
il diritto alla vita.
Alcuni beni sono invece
relativamente indisponibili, come l'
integrità fisica (l'art.
5 del codice civile sancisce infatti il divieto di poter disporre del proprio corpo quando si cagioni una diminuzione permanente dell'integrità fisica o quando si violi la
legge, l'
ordine pubblico o il
buon costume).
///SPIEGAZIONE ESTESA
Per quanto attiene all’ambito applicativo della scriminante in oggetto, è importante osservare che la stessa presuppone un fatto di reato tipico, completo in tutti i suoi elementi costitutivi.
Il consenso, quindi, rende lecito un comportamento che, in assenza dello stesso, sarebbe illecito e contrario all’ordinamento giuridico.
Tale situazione deve essere tenuta distinta rispetto alla diversa ipotesi in cui il consenso non esclude l’antigiuridicità di un fatto altrimenti illecito, ma ne elide in radice la tipicità: si pensi al tradizionale caso della violazione di domicilio, disciplinata dall’art.
614, in cui la presenza del consenso del proprietario all’ingresso di altri nel proprio domicilio, impedisce in toto la configurazione della fattispecie di reato. In tali casi, il consenso viene definito “
improprio”.
Per quanto riguarda poi gli elementi della scriminante, importanza fondamentale riveste la distinzione tra diritti disponibili e indisponibili: solo i primi, infatti, possono formare oggetto del consenso.
Per esemplificare, tra i diritti
indisponibili rientrano, oltre al diritto alla vita e all’integrità fisica (seppur con le dovute precisazioni: v. art.
5, in virtù del quale si ritiene che il diritto all’integrità fisica sia “parzialmente disponibile”), i diritti in materia familiare e i diritti appartenenti alla collettività (ordine pubblico, incolumità pubblica, pubblica fede, ecc.).
Sono viceversa disponibili i diritti patrimoniali in genere, e alcuni diritti che riguardano l’onore e la libertà sessuale.
Il consenso è prestato validamente solo dal titolare dell’interesse protetto, che è l’unico legittimato a compiere questo atto volontario, che deve essere in quanto tale anche lecito, attuale e libero.
Inoltre, il titolare del diritto, deve avere la capacità, sia legale che naturale, di agire.
In realtà, si è discusso in dottrina in ordine al requisito della capacità legale, disciplinata dall’
art. 2 del c.c..
Infatti, tale requisito sembrerebbe valido presupposto per prestare il consenso solo se si voglia attribuire allo stesso la configurazione di
atto negoziale il quale presuppone, per essere validamente compiuto, la capacità di agire.
Tuttavia, non tutti gli autori concordano sulla configurazione di tale consenso come atto negoziale, ricavandone, come conseguenza, la superfluità della capacità di agire, bastando semplicemente che il titolare del diritto comprenda in modo serio e completo il significato dell’atto posto in essere, facendo combaciare la capacità di agire con una capacità di intendere e volere in relazione al consenso da prestare.
Di grandissima rilevanza pratica, oltre che dogmatica, è la distinzione tra consenso putativo e presunto.
Il consenso putativo si realizza allorquando colui che agisce ritiene che il titolare abbia prestato il consenso.
Ovviamente, tale consenso putativo non è idoneo a scriminare il fatto, che rimane quindi illecito.
Tuttavia, l’autore del fatto, avendo agito in difetto di dolo, non sarà comunque punibile, in applicazione del terzo comma dell’art. [[n59cp], il quale prevede appunto che “se l’agente ritiene per errore che esistano circostanze di esclusione della pena, queste sono sempre valutate a favore di lui” (a meno che, naturalmente, l’errore non sia stato determinato da colpa, nel qual caso la punibilità non sarà esclusa se il fatto di reato è preveduto dalla legge come delitto colposo).
Situazione molto diversa è quella in cui il soggetto compie un’azione che, secondo un suo metro valutativo, presenta dei vantaggi per il titolare del diritto, senza tuttavia averne ottenuto preventivamente un valido consenso e, quindi, nella consapevolezza dell’assenza dello stesso.
Tale consenso presunto opera quando un reale consenso non c’è, ma dalle circostanze obiettive del fatto, sarebbe ragionevole presumere che, se avesse potuto, il titolare del diritto avrebbe prestato tale consenso.
Tipico è il caso della “negotiorum gestio”, che si verifica allorquando l’agente compie un fatto nell’interesse (presunto) del titolare che non può prestare il consenso (si pensi al caso del vicino di casa che si introduca nell’abitazione altrui per controllare lo stato dell’immobile, avendo percepito una fuoriuscita di gas).
Tuttavia, tale nozione di consenso presunto presta il fianco a notevoli critiche e perplessità, e infatti è particolarmente difficile poter ricostruire in modo certo le intenzioni e i pensieri del titolare del diritto, il quale potrebbe determinarsi ad una scelta anche “poco ragionevole” sul piano oggettivo, ma del tutto insindacabile. Se si accetta che il consenso presunto renda sempre e comunque lecito il fatto, se l’azione è compiuta nell’oggettivo interesse del titolare, è possibile che si generino delle indebite ingerenze nella sfera giuridica altrui.
Proprio per questo motivo, la dottrina ha elaborato alcuni criteri, in presenza dei quali è possibile ritenere che il consenso “presunto” sarebbe stato fornito con un grado di certezza particolarmente elevato.
Si tratta innanzitutto di valutare se ci si trovi al cospetto di un diritto disponibile e se il titolare del diritto avrebbe avuto la capacità di prestare il consenso; occorre poi stabilire se sussista un dissenso o comunque delle indicazioni contrarie fornite in precedenza dal titolare; infine, deve essere fatto un oggettivo bilanciamento tra i beni del titolare: quello “prevalente”, per il quale si agisce pur in assenza di consenso, e quello “minore” che viene leso, che consiste in genere nella libertà di autodeterminazione del singolo.
La causa di giustificazione del consenso dell’avente diritto riveste un ruolo pratico particolarmente importante nello svolgimento di tutta una serie di attività diffusissime nella quotidianità, che necessitano, per essere svolte, di un consenso dell’avente diritto.
Si pensi a tal riguardo all’attività sportiva, durante la quale, in certi casi, gli atleti subiscono o possono subire delle lesioni alla loro integrità psico-fisica.
Ci si è chiesti se il consenso prestato al fine di svolgere tali attività possa essere configurato come “scriminante atipica”.
La sussistenza di tale scriminante si basa sulla considerazione per cui lo sportivo, nello svolgimento della sua attività, si espone volontariamente al rischio di subire delle lesioni, essendosi correttamente rappresentato i rischi e i pericoli derivanti dallo svolgimento di una determinata attività sportiva.
Ammessa la sussistenza di tale forma di scriminante, per taluni riconducibile a quella di cui all’art. 50, per altri costituente una autonoma scriminante “atipica”, è poi necessario perimetrare quella che rappresenta l’area del cosiddetto “rischio consentito”.
La partecipazione ad una competizione sportiva, anche di carattere violento, non elimina infatti il dovere di tutti i partecipanti di osservare rigorosamente le regole del gioco e la disciplina della gara, nell’ottica di uno svolgimento sicuro, anche se “rischioso”, dell’attività.
Non sarà quindi applicabile la scriminante de quo allorché si accerti, durante il processo, che la lesione fisica provocata da un calciatore all’avversario si sia svolta non durante il gioco e a causa di una “involontaria evoluzione dell’azione fisica, ma in un momento di stasi dell’azione di gioco e del tutto al di fuori della dinamica di gara.
È opportuno rilevare come alcuni autori escludano la possibilità di invocare, nell’ambito della attività sportiva violenta, la scriminante di cui alla norma in oggetto, poiché la stessa postula la valida disponibilità del diritto, requisito che non sussiste in relazione alla possibilità di una permanente lesione o diminuzione dell’integrità fisica connessa allo svolgimento della pratica sportiva. A tal fine, certa parte della giurisprudenza, propone l’applicazione in via analogica della diversa scriminante di cui al successivo art.
51, grazie al quale l’atleta potrebbe
lecitamente esercitare un suo diritto durante lo svolgimento dell’attività sportiva.
Altro settore il cui trova vastissima applicazione la causa di giustificazione di cui all’art. 50 è quella del settore medico, con riferimento in particolare al cosiddetto “consenso informato”.
Tale consenso viene generalmente richiesto al paziente prima di qualunque operazione medica, e ha lo scopo di autorizzare il medico ad operare o comunque ad alterare l’integrità fisica del paziente a scopo terapeutico.
Tuttavia, si sono presentati nella pratica numerosi casi in cui l’operatore sanitario abbia intrapreso l’operazione medica, in ossequio a quelle che sono state definite “necessità terapeutiche”, in assenza di un valido consenso informato da parte del paziente.
Premesso che si ritiene che al medico non competa un generale “diritto di curare”, è molto discussa l’ipotesi in cui il paziente venga sottoposto, per necessità terapeutica, ad un intervento più gravoso rispetto a quello per il quale aveva prestato il suo consenso, pur in assenza di indicazioni contrarie.
Ebbene, la giurisprudenza afferma che, in tali casi, è necessario distinguere, ai fini della configurazione di una responsabilità penale in capo al medico, a seconda che l’esisto dell’operazione sia “fausto”, ovvero vada comunque a buon fine, ovvero “infausto”.
Nel primo caso, la giurisprudenza di legittimità, con diverse pronunce, ha escluso qualsivoglia rilevanza penale della condotta del medico, alla luce del fatto che, in concreto, non è configurabile il delitto di lesioni per mancanza di tipicità del fatto, poiché la salute del paziente ha tratto solamente un beneficio dalla condotta posta in essere dal medico.
Viceversa, nel caso di esito “infausto”, il medico potrà essere imputato per omicidio preterintenzionale, allorquando abbia causato delle lesioni dalle quali derivi la morte come conseguenza ulteriore e non voluta.
Allorquando però non si riesca ad accertare l’elemento soggettivo del dolo, necessario ai fini della configurabilità del reato di lesioni, il reato astrattamente configurabile, in presenza di un dissenso esplicito del paziente, sarà quello di violenza privata, previsto e punito dall’art.
610.
///FINE SPIEGAZIONE ESTESA