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Articolo 188 Codice di procedura penale

(D.P.R. 22 settembre 1988, n. 447)

[Aggiornato al 30/11/2024]

Libertà morale della persona nell'assunzione della prova

Dispositivo dell'art. 188 Codice di procedura penale

1. Non possono essere utilizzati, neppure con il consenso della persona interessata, metodi o tecniche idonei a influire sulla libertà di autodeterminazione o ad alterare la capacità di ricordare e di valutare i fatti [642, 499](1).

Note

(1) Ne sono esempi la narcoanalisi, l'ipnosi o i lie detector (i c.d. sieri della verità).

Ratio Legis

Tale principio di fondo, posto a tutela della libertà morale della persona, è stato inserito tra le disposizioni generali relative alle prove al fine di sancirne il rango di regola basilare nel settore, idonea a configurare un limite assoluto all'ammissibilità di mezzi o procedure con essa confliggenti.

Spiegazione dell'art. 188 Codice di procedura penale

Il legislatore, avendo operato una scelta intermedia tra ammissibilità o meno delle c.d. prove atipiche (ovvero non disciplinate espressamente dalla legge), senza escluderne a priori l’utilizzabilità in sede processuale, ne ha tuttavia delimitato l’ambito di operatività.

Si è dunque deciso di non dettare alcuna aprioristica preclusione nei confronti delle prove atipiche, trasferendo in capo al giudice il compito di valutarne l’ammissibilità, anche in riferimento all’importanza che di volta in volta possono assumere nella fattispecie concreta.

Ai sensi della norma in commento, non possono essere utilizzati, neppure con il consenso della persona offesa, tecniche o metodi idonei ad influire sulla libertà di autodeterminazione o ad alterare la capacità di ricordare e di valutare i fatti. Trattasi di un principio complementare a quello di cui al successivo articolo, secondo il quale è fatto divieto di pregiudicare la libertà morale della persona.

Tuttavia, la norma in esame presenta uno scopo ibrido: da un lato il legislatore ha inteso rispettare i più elementari e basilari principi di rispetto dei diritti umani, dall’altro lato ha voluto non pregiudicare l’accertamento della verità. Sotto quest’ultimo aspetto, è chiaro infatti che metodi di accertamento probatorio particolarmente invasivi o atipici possono alterare la capacità di valutare i fatti o la capacità di ricostruzione degli avvenimenti.

Massime relative all'art. 188 Codice di procedura penale

Cass. pen. n. 4429/2014

È inutilizzabile l'intercettazione delle dichiarazioni indotte in una persona dall'adozione di metodi o tecniche idonei a influire sulla sua capacità di autodeterminazione, posto che il divieto dell'art. 188, primo comma, c.p.p. investe l'oggetto della prova e non è circoscritto al contesto formale delle sole prove dichiarative. (Fattispecie nella quale le conversazioni indizianti erano state registrate in un ufficio di Polizia, dove il locutore era stato sottoposto a minacce e violenze dal personale di p.g.).

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Consulenze legali
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Anonimo chiede
lunedì 06/06/2022 - Liguria
“Salve.
Sono parte lesa in un processo per minacce e lesioni, i fatti risalgono al maggio 2020.
Ho trascorsi di violenze subite (non certificate) che nel 2016, dopo 12 anni dai fatti, diedero luogo ad una diagnosi di Disturbo da Stress Postraumatico Cronico.

Per i fatti del 2020 superai il trauma in qualche modo rivolgendomi anche ad uno psicologo. Alla querela allegai la diagnosi di DSPT, la diagnosi di Asperger (persona autistica), il riconoscimento di portatore di handicap e la certificazione di invalidità del 70% (entrambi per la condizione di autismo). C'è da dire che ho un alto quoziente di intelligenza (138 WAIS-R), che però non mi ha aiutato nella vita.
Mi rivolsi (sempre insoddisfatto) a tre legali: il terzo mi disse che probabilmente il processo non si sarebbe nemmeno tenuto, questo nel novembre 2020.

Mi misi il cuore in pace, fui ricoverato per Covid per tre settimane nella primavera del 2021 riportando pesanti conseguenze alla respirazione dai quali decisi di riprendermi autonomamente: dopo dieci mesi, nel gennaio 2022, avevo fatto molti progressi ma ancora ero lontano dal pieno recupero.

È il momento di concludere: a novembre 2021 ebbi notizia dall'avvocato che si sarebbe tenuto il processo: ebbi il primo sintomo, difficoltà a dormire; lo comunicai all'avvocato che lo diede per scontato.
dopo qualche giorno i sintomi si aggravarano e dissi all'avvocato che avevo bisogno della cd "audizione protetta". rispose che "qua le audizioni protette sono per i bambini e la violenze sessuali."
Le persone autistiche come me non sono capaci ad opporsi, dire no, ed i sintomi ancora non erano gravi.
A metà gennaio ebbi bisogno di assumere benzodiazepine per dormire, credo i primi di febbraio mi svegliai per cinque notti di fila con forti palpitazioni (o tachicardia). Lo comunicai all'avvocato ribadendo di avere bisogno di sapere che sarei stato ascoltato in modalità protetta e di indirizzarmi ad un suo collega che avesse esperienza, lo chiesi più volte, senza risposta. Mi rivolsi di nuovo alla mia psicologa.
Contattai un altro legale al quale, prima di cospicuo preventivo verbale, specificai che dovevo essere ascoltato in modalità protetta e che la richiesta sarebbe stata appoggiata dalla certificazione della mia psicologa.
Il giorno prima dell'incontro per versare l'acconto, comunicando casualmente con la psicologa, seppi che sarebbe stata richiesta l'audizione a porte chiuse.
In quel momento ebbi un vero e proprio crollo, tanto che (nella richiesta di audizione protetta del 12 aprile 22) la mia psicoloca parla di "quadro ansioso depressivo grave".
Costrinsi l'avvocato a presentare l'istanza per l'audizione protetta!
Dopo 7 mesi (dai primi di novembre!) in cui le mie condizioni di salute erano precipitate (non scendo in particolari)
l'8 giugno ci sarà il giuramento del CTU che deciderà. Non intendo nominare un CTP perché i sintomi da DSPT sono evidenti.

La mia domanda è questa:
essendo certo che nella mia testimonianza dirò il vero ed essendo stato presentato dalla controparte un testimone (assente nella realtà e che probabilmente non dichiarerà il vero) vorrei sapere da voi le modalità di presentazione di domanda di essere sottoposto ad un test che verifichi la veridicità delle mie dichiarazioni.

Credo si tratti della cd. Memory detection, usata nel Tribunale di Cremona in un caso di molestie sessuali e nel processo contro Annamaria Franzoni per le calunnie verso i suoi vicini: entrambi arrivati alla condanna definitiva.
Naturalmente vorrei conoscere da voi la casistica dei casi in cui è stata usata in Italia in modo da potere presentare la richiesta per quanto riguarda il mio processo in cui verrebbe messa in dubbio la mia credibilità.
Vi ringrazio.”
Consulenza legale i 13/06/2022
Prima di rispondere al quesito, occorre fare una breve premessa.

I procedimenti aventi ad oggetto reati di abusi sessuali, maltrattamenti, lesioni etc. e, in via generale, quei reati che presuppongono un rapporto isolato tra “vittima” e “carnefice”, hanno una prassi, in tema di ricerca della prova, molto particolare.

Proprio in virtù del fatto che, quasi sempre, tali fatti criminosi si consumano in un contesto in cui non v’è alcun testimone (oltre ai protagonisti della vicenda), diviene fondamentale soprattutto la dichiarazione della persona offesa dal reato.
E’ per tale ragione che la giurisprudenza afferma, a più riprese, che le dichiarazioni della vittima, in processi del genere, devono essere scandagliate in modo preciso e puntuale al fine di cercare e trovare elementi che possano suffragarne la bontà, sia intrinseca che estrinseca.
In altre parole, ciò che la Cassazione afferma è che la narrazione della persona offesa può essere anche la base – unica - per l’affermazione della responsabilità dell’imputato ma è anche necessario appurare che tali dichiarazioni siano coerenti non solo rispetto alle dichiarazioni medesime (occorre che il soggetto non si contraddica, ad esempio) ma anche rispetto a eventuali altre dichiarazioni rese a persone vicine o a eventuali status alterati a seguito del fatto occorso (si valuta, quindi, lo stato di salute del soggetto a seguito del fatto, referti medici, eventuali “confessioni” rese a terzi etc.).

Ciò, tuttavia, vuol dire una sola cosa: il cuore di detti procedimenti diventa proprio la dichiarazione della persona offesa, che la difesa dell’imputato cercherà, in tutti i modi, di mettere in dubbio.
Questa è la dinamica ordinaria di processi siffatti ed è difficile che tale dinamica non si verifichi nel caso di specie.

Ora, nel quesito si chiede se v’è un modo per fare in modo che le dichiarazioni della persona offesa, nel corso del suo esame dinanzi al Tribunale, non vengano messe in dubbio.
Al quesito va data risposta negativa per diverse ragioni.

In primo luogo, per le ragioni esposte in precedenza, all’esame della persona offesa seguirà necessariamente il controesame (irrinunciabile) della difesa dell’imputato che cercherà in tutti i modi di minare la credibilità delle dichiarazioni rese.

Tale diritto della difesa avversaria sussiste anche laddove si ipotizzasse l’uso delle neuroscienze.
Su quest’ultimo punto vanno fatte alcune precisazioni.
Il rapporto tra processo penale e neuroscienze è sempre stato molto complesso soprattutto in considerazione del fatto che le neuroscienze predette non raccolgono univoco consenso scientifico sulla loro efficacia.
A ciò si aggiunga che il processo penale verte sul “fatto” e l’accertamento che lo stesso esige nel contraddittorio delle parti non può cedere difronte all’applicazione di metodologie dalla dubbia efficacia che, a maggior ragione, non possono escludere la garanzia del diritto di difesa altrui.

Ciò detto, va specificato che nel nostro ordinamento non è possibile che, nel corso dell’esame della persona offesa, vengano applicati strumenti e/o modalità che possono “attestare” la veridicità delle dichiarazioni ed evitare il contraddittorio delle parti.
Saremmo in presenza di una violazione del diritto di difesa imperdonabile e assolutamente inammissibile per il processo penale la cui base fondante è proprio il contraddittorio predetto.

Si noti, peraltro, che nel caso di specie sarebbe anche inutile.
Ci spieghiamo meglio.
La persona offesa, allorché rende l’esame testimoniale, deve dire il vero. Ciò vuol dire che le sue dichiarazioni sono “prese per vere” dal Tribunale spettando, poi, alla difesa dell’imputato, rilevarne contraddizioni e altri elementi dai quali possa emergere il dubbio sulla sussistenza del fatto che giustificherebbe una pronuncia assolutoria ai sensi dell’art. 530 co. 2 c.p.p.
Non c’è, quindi, alcun bisogno di usare marchingegni vari, perché tutto è rimesso al ricordo e alla coerenza delle dichiarazioni della persona offesa e ai riscontri estrinseci che la difesa saprà offrire.

Non è un caso, infatti, che si è tentato di utilizzare le neuroscienze più che altro per l’esame dell’imputato (che ha il diritto di mentire).
In questi casi, tuttavia, la Cassazione ha affermato, a più riprese, che l’utilizzo di strumenti come la macchina della verità sono inammissibili perché verrebbe violato l’art. 188 c.p.p.
Tale articolo, proprio al fine di tutelare la libertà morale del teste, divieta l’utilizzo di qualsivoglia strumento atto a pregiudicare tale libertà.

D’altra parte, va detto che le neuroscienze possono essere utilizzate al di fuori dell’esame nel corso del dibattimento e, in particolare, nel corso dell’esecuzione di consulenze tecniche di parte.
Strumenti come l’ipnosi, la macchina della verità, la narcoanalisi e il cd. RIT (Relevant and Irrilevant Test) possono essere utilizzati nel corso di una CTP ma non potranno mai obliterare il diritto di difesa della controparte e potranno essere, tuttalpiù, strumenti per suffragare la bontà delle dichiarazioni della persona offesa che, in ogni caso, devono essere sottoposte al contraddittorio del dibattimento penale.