In ogni momento del giudizio il giudice, se vi è la richiesta di parte (sia del lavoratore che del
datore di lavoro), può disporre con
ordinanza il pagamento di somme per le quali non sussista alcuna contestazione tra le parti.
A tal fine viene espressamente richiamato l’
art. 186 bis del c.p.c., norma per mezzo della quale il legislatore del 1990, avendo voluto estendere al rito ordinario uno strumento analogo a quello qui previsto, non si è limitato a riprodurne la disciplina, ma ha inteso anche risolvere, attraverso una regolamentazione più specifica, alcuni dei problemi più controversi cui aveva dato adito l'istituto previsto nel processo del lavoro.
L’istanza di parte può essere inserita negli atti introduttivi o formulata in
udienza (è da escludersi durante la
sospensione o l’
interruzione del processo, in virtù di quanto disposto dall’
art. 298 del c.p.c. e dall’
art. 304 del c.p.c.) e l’ordine del giudice può avere ad oggetto il pagamento della somma non contestata ovvero della diversa somma nei limiti in cui ritiene accertato il diritto.
L’ordinanza deve essere motivata, anche se in modo succinto.
Sempre in ogni stato del giudizio (pur essendosi escluso in dottrina che ciò possa avvenire prima dell’
udienza di discussione della causa) e su istanza questa volta del solo lavoratore, il giudice può emettere ordinanza con cui dispone il pagamento di una somma a titolo provvisorio, qualora ricorrano le seguenti condizioni:
-
se ritiene il diritto accertato;
-
nei limiti della quantità per cui ritiene che sia stata fornita la prova.
La non contestazione non costituisce altro che un comportamento processuale, per la cui configurazione non è comunque sufficiente la contumacia del convenuto.
In tal senso si argomenta dalla circostanza che la stessa norma presuppone che il giudice disponga degli elementi di valutazione che gli permettano di considerare che il
credito reclamato non sia contestato, mentre la contumacia si considera un comportamento equivoco, insufficiente a far ritenere il credito incontestato.
Solo la giurisprudenza più risalente ha eccezionalmente ritenuto ammissibile l'emissione dell'ordinanza
de qua nei confronti della parte contumace, quando la non contestazione possa evincersi
aliunde da documenti o testimonianze che comprovino la fondatezza della pretesa esercitata.
L’ordinanza di pagamento emessa su istanza del lavoratore ha carattere provvisorio ed interinale, in quanto anticipa gli effetti del provvedimento definitivo (la
sentenza), di cui vuole assicurare la fruttuosità.
Per questa ragione l’ultimo comma della norma precisa che essa può essere revocata con la sentenza con cui viene definita la controversia, assumendo dunque natura di provvedimento non decisorio, privo del contenuto sostanziale della sentenza e di autorità di
cosa giudicata (non è, pertanto, suscettibile di
impugnazione, né mediante
appello e neppure mediante
ricorso per cassazione ordinario ex
art. 111 Cost.).
Tutte le ordinanze emesse in forza di questa norma hanno, comunque, efficacia di
titolo esecutivo, mentre non possono costituire titolo per l’iscrizione di
ipoteca in quanto non vi sarebbe analogia con le sentenza, a cui è riconosciuta tale idoneità.
Opinioni contrastanti sono state espresse in relazione agli effetti dell’estinzione del processo sull’ordinanza emessa ai sensi della norma in esame ed al regime di stabilità.
Così, alla tesi secondo cui l’estinzione del processo determinerebbe l’inefficacia dell’ordinanza, si contrappone la diversa tesi secondo cui la stessa non verrebbe travolta dall’estinzione del giudizio di merito, con la conseguenza che essa, pur se priva di autorità di cosa giudicata, avrebbe un effetto preclusivo tale da rendere definitivo l’accertamento del credito, rendendo inammissibile una successiva contestazione
in executivis con il rimedio dell’opposizione all’esecuzione ovvero attraverso l’instaurazione di un nuovo giudizio.