Della disciplina del
processo di liberazione degli immobili dalle ipoteche si occupano sia gli artt.
2889 e ss. c.c. che le norme di cui agli artt.
792 e ss. c.p.c.
Si tratta di un procedimento previsto in favore di colui che acquista un immobile gravato da ipoteche, che abbia trascritto il suo
titolo d'acquisto e che non sia personalmente
obbligato, ed è volto a consentirgli di liberare il bene mediante il pagamento del prezzo stipulato per l'acquisto ovvero di un prezzo pari al valore dichiarato.
Il procedimento attiene a tutte le ipoteche iscritte sul bene acquistato anteriori alla
trascrizione del titolo del
terzo acquirente e si richiede che il prezzo o il valore non siano mai inferiori a quello stabilito come base degli incanti dal codice di procedura civile in caso di espropriazione (cfr.
art. 2890 del c.c.).
In tal modo i
creditori iscritti avranno diritto soltanto ad una quota del loro credito, ma certa e determinata, il che induce a ritenere che anch'essi possano avere interesse ad accettare la liberazione dalle ipoteche, accontentandosi del valore venale del bene anziché dover attendere di soddisfarsi su un aleatorio valore ricavabile da un'esecuzione ordinaria.
Per ciò che concerne la natura giuridica del procedimento in esame, mentre parte della dottrina ne mette in evidenza il carattere proprio della
volontaria giurisdizione (per assenza di un conflitto di interessi propriamente detto), altra parte della dottrina lo qualifica come "processo esecutivo volontario” (senza lite), che si caratterizza per l'esistenza di una divergenza di valutazioni rispetto ad un unico risultato utile (si tratta di un processo "improprio" in cui le forme del processo di esecuzione sono utilizzate per scopi diversi da quelli dell'ordinario giudizio di esecuzione).
Una tesi minoritaria, invece, preferisce qualificarlo come un procedimento contenzioso a carattere esecutivo.
Legittimato attivamente a chiedere la liberazione dei beni è solo l'acquirente che abbia trascritto l'atto di acquisto e che non sia personalmente obbligato a pagare i creditori ipotecari (così il comma 1 dell’
art. 2889 del c.c.); tale legittimazione, dunque, non compete al terzo datore di ipoteca, al terzo che abbia prestato
fideiussione a favore dell'alienante né all'erede del creditore ipotecario che non abbia accettato con beneficio d'inventario.
Il secondo comma dell’
art. 2889 del c.c. prevede anche un limite temporale per la proposizione dell'istanza, disponendo che la facoltà del terzo acquirente di liberare i beni dalle ipoteche può essere esercitata anche dopo il
pignoramento dell'immobile, purché il procedimento sia iniziato entro trenta giorni dal medesimo (
termine perentorio).
L’istanza va notificata ai creditori iscritti ed al precedente proprietario, ossia colui che ha effettivamente concesso l'ipoteca.
Tale istanza deve contenere gli elementi di cui al comma 1 dell’
art. 2890 del c.c., e precisamente: il titolo, la data del titolo e della sua trascrizione; la qualità e la situazione dei beni col numero del
catasto o altra loro designazione risultante dallo stesso titolo; il prezzo di stipula ovvero il valore dichiarato nell'ipotesi in cui si tratti di beni pervenuti a titolo lucrativo o di cui non sia stato determinato il prezzo.
Dopo la notifica e la pubblicazione per estratto nel giornale degli annunci giudiziari dell'istanza di liberazione (adempimenti che vanno effettuati a cura del ricorrente), l'acquirente chiede con ricorso al
presidente del tribunale del luogo in cui i beni si trovano la determinazione delle modalità di deposito del prezzo offerto (la
competenza viene così determinata ex
art. 26 del c.p.c.).
Su tale istanza il presidente del tribunale provvede con decreto
inaudita altera parte.
Non è previsto un termine per la proposizione del ricorso, ma si ritiene opportuno attendere il decorso del termine assegnato ai creditori iscritti dall'
art. 2891 del c.c. per chiedere l'
espropriazione forzata; infatti, se entro i quaranta giorni dalla
notificazione della dichiarazione di liberazione i creditori iscritti ovvero i relativi fideiussori presentano richiesta di procedere all'espropriazione forzata dei
beni immobili ipotecati, si apre la fase disciplinata dall’
art. 795 del c.p.c. e sarebbe inutile il decreto che fissa le modalità del deposito del prezzo.
Al contrario, se non vengono presentate istanze di espropriazione, l'acquirente, entro il termine di sessanta giorni decorrenti dalla notificazione dell'atto di cui al primo comma dell’
art. 2889 del c.c., ovvero dalla
pubblicazione dell'estratto dell'istanza di liberazione nel giornale degli annunci giudiziari, deve depositare, secondo le modalità indicate dal
presidente del tribunale, il prezzo offerto (tale deposito rende l'offerta irrevocabile a favore dei creditori iscritti).
Nello stesso termine deve essere presentato in
cancelleria il certificato di avvenuto deposito, il titolo di acquisto con il certificato di trascrizione, un
estratto autentico dello stato ipotecario e l'originale dell'atto notificato al precedente proprietario e ai creditori iscritti; la suddetta documentazione consente al giudice di verificare la regolarità del
contraddittorio e la sussistenza dei requisiti richiesti dalla legge per procedere alla liberazione degli immobili ipotecati.
All'inosservanza del termine fisato per il deposito del prezzo consegue l'inefficacia della dichiarazione di liberazione (così
art. 2894 del c.c.), la quale, tuttavia, può essere sempre riproposta se presentata prima del
pignoramento.
Per quanto concerne i rapporti fra il procedimento di liberazione dalle ipoteche e il procedimento di espropriazione forzata sul quale si inserisce, si ritiene che quest'ultimo debba considerarsi soltanto sospeso e che il termine di novanta giorni riprenda a decorrere dal momento in cui il procedimento di liberazione si estingue.
La pendenza del procedimento di liberazione preclude la proposizione del processo di espropriazione.