Quando si affronta il tema della competenza in materia di
esecuzione forzata, occorre distinguere a seconda che si tratti di
competenza per l’esecuzione forzata (ossia del processo esecutivo vero e proprio, a cui si fa riferimento al secondo comma dell’
art. 9 del c.p.c.), o di competenza per
cause relative all’esecuzione forzata.
E’ proprio a queste ultime che fa riferimento l’articolo in esame e si identificano, come risulta dalla stessa norma, nelle cause di:
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opposizione all'esecuzione, promosse sia prima dell'inizio dell'esecuzione ex art. 615 comma 1 cpc, che ad esecuzione iniziata ex art. 615 comma 2 cpc);
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opposizione di terzo all'esecuzione: sono quelle previste dall’art. 619 del c.p.c.);
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cause per le controversie distributive di cui all'art. 512 del c.p.c..
Risultano, pertanto, escluse dall'ambito di applicazione della norma:
a) le cause per l'esecuzione forzata, attribuite alla competenza per materia del Tribunale (cfr. secondo comma dell'
art. 9 del c.p.c.);
b) le cause di
opposizione agli atti esecutivi, attribuite alla competenza funzionale del Giudice dell’esecuzione, competenza che viene qualificata ora come per materia ora come funzionale.
Poiché le disposizioni contenute nell’articolo in esame richiedono di essere integrate con quelle di cui agli artt. 14 e 15 c.p.c., si afferma che trattasi di norma di rinvio; il riferimento ai predetti articoli, infatti, si rende necessario per determinare in concreto il valore del
credito per cui si procede.
Analizziamo adesso le singole tipologie di cause qui previste.
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Cause di opposizione all'esecuzione forzata
Il riferimento è all'opposizione di cui all'
art. 615 del c.p.c., la quale può essere proposta dal
debitore o dal terzo assoggettato all'esecuzione sia prima che dopo l'inizio dell'esecuzione.
Per tali cause, dunque, il valore deve essere determinato con riferimento al credito per cui si procede.
E’ stato posto in evidenza che l’espressione qui utilizzata dal legislatore risulta imprecisa, in quanto non sempre l’esecuzione forzata è indirizzata al soddisfacimento di un credito, potendosi anche ricorrere a questa per conseguire coattivamente un
diritto reale; si ritiene, dunque, che sarebbe più preciso parlare di “
diritto per cui si procede”, anziché di “
credito per cui si procede”.
A ciò si aggiunga un’altra considerazione: l’opposizione potrebbe anche riguardare solo una parte del credito, ed in questo caso sarebbe corretto determinare il valore della causa in base alla sola parte di credito contestata, quale emerge dall'atto di opposizione, anziché dal valore del credito complessivo, desunto ex
art. 14 del c.p.c. dalla somma indicata nell’
atto di precetto.
Dei dubbi possono sorgere per la determinazione del valore nel caso di opposizione proposta contro l’esecuzione di un obbligo di fare o di non fare o contro un’esecuzione per consegna o rilascio; per tali casi si ritiene che la determinazione del valore debba effettuarsi applicando l'
art. 15 del c.p.c. se il diritto per cui si procede è un diritto reale immobiliare, e l'art. 14 c.p.c., con le relative presunzioni, se si tratta di un diritto reale mobiliare o di un diritto di credito.
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Cause relative alle opposizioni proposte a norma dell'art. 619 del c.p.c.
Qui il valore della causa va determinato tenendo conto del valore dei beni controversi.
Si ritiene che anche questa formula sia un po' approssimativa, in quanto in realtà nel nostro sistema positivo non si ha mai riguardo al valore dei beni in sé, ma al valore del diritto reclamato e che costituisce la causa della domanda.
Anche in questo caso, per determinare sotto un profilo concreto il valore dei beni controversi si dovrà applicare l’art. 14 c.p.c. se si tratta di
opposizione di terzo all’esecuzione mobiliare e l’art. 15 c.p.c. se si tratta di esecuzione immobiliare.
In giurisprudenza, invece, per il caso di opposizione di terzo all'esecuzione, si è affermata la tesi secondo cui, ai fini della determinazione del valore dei beni controversi, occorre tener conto del valore attribuito ai beni nel
verbale di pignoramento dall'
ufficiale giudiziario.
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Cause relative a controversie sorte in sede di distribuzione
Il testo dell'
art. 512 del c.p.c.., introdotto con la riforma del 2005, si limita a disporre che il giudice dell'esecuzione, al ricorrere delle fattispecie contemplate dalla medesima norma (insorgere di una controversia tra i creditori concorrenti o tra creditore e debitore o terzo assoggettato all'espropriazione, circa la sussistenza o l'ammontare di uno o più crediti o circa la sussistenza di diritti di
prelazione), sentite le parti e compiuti i necessari accertamenti, provvede con
ordinanza, impugnabile nelle forme e nei termini di cui al secondo comma dell'
art. 617 del c.p.c..
Non si pone più, dunque, un problema di competenza per valore (il testo precedente, invece, autorizzava il giudice dell'esecuzione a provvedere all'istruzione della causa, se rientrante nella sua competenza, ovvero, in caso contrario a rimettere le parti davanti al giudice competente).
La norma continua disponendo che il valore di una causa relativa a tali controversie, viene determinato sulla base del valore del maggiore dei crediti contestati.
In forza di tale criterio, dunque, si dovrà da un lato avere riguardo alla contestazione totale o parziale dell'opponente; dall'altro lato, il suddetto criterio costituisce un'applicazione del principio di cui al secondo comma dell’
art. 10 del c.p.c., nella parte in cui esclude la somma delle domande proposte contro soggetti diversi.