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Articolo 702 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 26/11/2024]

Accettazione e rinunzia alla nomina

Dispositivo dell'art. 702 Codice Civile

L'accettazione della nomina di esecutore testamentario [700 c.c.] o la rinunzia alla stessa deve risultare da dichiarazione(1) fatta nella cancelleria del tribunale nella cui giurisdizione si è aperta la successione [456 c.c.], e deve essere annotata nel registro delle successioni(2).

L'accettazione non può essere sottoposta a condizione [633, 1353 c.c.] o a termine [637, 1184 c.c.].

L'autorità giudiziaria, su istanza di qualsiasi interessato(3) [749 c.p.c.], può assegnare all'esecutore un termine per l'accettazione, decorso il quale l'esecutore si considera rinunziante [481, 650, 1399, 749 c.p.c.].

Note

(1) L'accettazione, dunque, deve essere espressa.
(2) Il comma è stato modificato ai sensi dell'art. 148, D. Lgs. 19 febbraio 1998, n. 51 (Norme in materia di istituzione del giudice unico di primo grado).
(3) Ossia ad opera degli eredi, dei legatari, dei creditori del de cuius, etc...

Ratio Legis

Per assumere l'incarico di esecutore testamentario non basta la nomina, serve che questa venga accettata.
Al fine di garantire la certezza dei rapporti giuridici, stante l'assenza di un termine per accettare, si prevede che gli interessati possano richiederne la fissazione al giudice.

Spiegazione dell'art. 702 Codice Civile

Sebbene il codice abbia inteso dare all’esecuzione testamentaria una definita configurazione giuridica attribuendole i caratteri dell’ufficio, questo, tuttavia, non esce dall’ambito dei rapporti privati e l’esecutore presta in sostanza un “ufficio di amico”, come si esprimevano i trattatisti meno recenti. Dunque, il designato è perfettamente libero di accettare o di rinunciare all’incarico, e ciò risulta implicitamente, ma necessariamente, dalla prima parte dell’articolo.
L’accettazione o la rinunzia, peraltro, sono soggette alla formalità indicata nella disposizione: formalità che, da un lato, dato il carattere evidentemente cogente della norma, è requisito essenziale per la validità dell’atto e, dall'altro, particolarmente per l’accettazione (che non può più essere tacita) attribuisce alla medesima carattere di pubblicità, opportunamente stabilito nell'interesse dei terzi. L’accettazione, inoltre, non tollera né condizione, né termine; la legge non risolve la questione circa la sorte dell’atto nell'ipotesi in cui siano apposti termini o condizioni, ma non sembra dubbio che, in tal caso, si configuri l’invalidità dell’atto stesso: infatti, la condizione o il termine sarebbero inscindibili dal consenso e non si potrebbero eliminare senza dare a quest'ultimo una base non rispondente alla manifestazione di volontà.
Di evidente opportunità è il terzo comma, per evitare che l’esecutore, trascurando di fare la dichiarazione di accettazione o di rinunzia, tenga in sospeso situazioni che, invece, secondo il concetto della legge, devono essere sollecitamente definite.
A proposito della rinuncia, anche rispetto al codice in vigore può sorgere la questione se, una volta intervenuta l’accettazione, l'esecutore possa rinunziare; e se, ammessa la rinuncia, questa possa effettuarsi secondo il suo arbitrio, oppure col concorso di determinate circostanze obiettivamente valutabili. In relazione al codice precedente, era discusso l’uno e l’altro punto: vi era, infatti chi, dato il carattere di ufficio da riconoscersi all'esecuzione testamentaria, non ammetteva la rinuncia; altri, invece, la ammettevano incondizionatamente, trattandosi di un ufficio di diritto privato; altri ancora ritenevano che, dopo l'accettazione, l’esecutore non potesse più abbandonare le funzioni senza giusta causa, incorrendo altrimenti in responsabilità analoghe a quelle del mandatario che rinuncia all'incarico con pregiudizio del mandante.
Quest’ultima soluzione pare preferibile anche rispetto alle nuove disposizioni; infatti, una facoltà di rinuncia, ad arbitrio, non sembra rispondente alla struttura giuridica dell'istituto, considerata come ufficio con rafforzamento di poteri e di responsabilità. Ma da ciò non deriva neppure che l’esecutore, una volta intervenuta l’accettazione, sia necessariamente ed indissolubilmente legato all’ufficio stesso, anche quando giuste ragioni concorrerebbero ad autorizzare la cessazione: ammettere tale possibilità, infatti, può rispondere agli interessi di un’esatta esecuzione del testamento ed a quelli degli eredi, meglio che una gestione trascurata. D’altra parte, poiché l’art. 710 indica vari casi in cui l'esecutore può essere esonerato e, fra questi, l’inidoneità in genere all’ufficio, sembra giusto ritenere che, quando si verifichi una di tali ipotesi, l’esecutore possa spontaneamente astenersi evitando il provvedimento.

Massime relative all'art. 702 Codice Civile

Cass. civ. n. 9269/2008

L'elemento caratterizzante della gestione d'affari consiste nella spontaneità dell'intervento del gestore nella sfera giuridica altrui, in assenza di qualsiasi vincolo negoziale o legale. Tale requisito si rinviene non solo quando l'interessato sia nella materiale impossibilità di provvedere alla cura dei propri affari ma anche quando lo stesso non rifiuti, espressamente o tacitamente, tale ingerenza da parte del negotiorum gestor . (Nella fattispecie, La Corte ha ritenuto esistente la gestione d'affari, nell'amministrazione di un asse ereditario, da parte di un terzo, con l'assenso tacito degli eredi).

Cass. civ. n. 4930/1993

L'investitura dell'ufficio di esecutore testamentario è geneticamente collegata ad una fattispecie complessa a formazione progressiva, rivestita da forme richieste ad substantiam, sia per la nomina che per l'accettazione: e ciò in armonia con il principio di solennità che informa le disposizioni in materia di successioni mortis causa, per la necessità di assicurare un ambito di massima certezza per il grande rilievo economico attribuito dall'ordinamento al trasferimento dell'intero patrimonio dal de cuius ai suoi successori. Ne consegue che l'accettazione della nomina ove non sia formalizzata a norma dell'art. 702 c.c. non comporta l'investitura dell'ufficio per il designato ad esecutore testamentario.

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N. P. chiede
sabato 21/01/2023 - Campania
“Riporto integralmente le volontà del testatore come da verbale in atto pubblico Registrato.
"NOMINO EREDI UNIVERSALI MIA MOGLIE MARIA E MIA FIGLIA ELENA IN PARTI UGUALI TRA LORO. DESIDERO CHE LA MIA VILLA IN ..............VENGA VENDUTA E IL RICAVATO DIVISO TRA LE MIE EREDI IN PARTI UGUALI TRA LORO. DELLA VENDITA DOVRA' OCCUPARSENE MIO COGNATO NICOLA AL QUALE DOVRA' ESSERE RICONOSCIUTO COME COMPENSO IL 4% DEL RICAVATO DELLA VENDITA. LEGO LA SOMMA DI €....... ALLA FONDAZIONE...............SOMMA CHE VERRA' VERSATA UNA VOLTA VENDUTA LA CASA."
Descritto ciò, sono a chiederVi quale sia l'Ufficio del cognato. (esecutore. legato (che tipo) ecc.ecc
Se è responsabile della devoluzione della somma alla fondazione.
E cosa deve devolvere: le somme che saranno ricavate dalla vendita? o il bene da vendere?”
Consulenza legale i 26/01/2023
La scheda testamentaria trascritta nel quesito contiene:
a) un’istituzione di erede in favore della moglie Maria e della figlia Elena;
b) un legato obbligatorio in favore del cognato Nicola avente ad oggetto una somma pari al 4% del ricavato della vendita della villa di proprietà del de cuius, subordinato alla condizione sospensiva della vendita della medesima villa;
c) un secondo legato obbligatorio in favore della fondazione….., avente ad oggetto la somma di denaro che si ricaverà quale prezzo di vendita della villa del de cuius, al netto del 4% legato al cognato Nicola.

L’incarico di occuparsi della vendita conferito al cognato Nicola non può non ricondursi all’ufficio di esecutore testamentario, non potendo per tale ipotesi configurarsi un mandato post mortem né un mandato mortis causa.
Il primo, ossia il mandato post mortem, non è altro che un contratto tra vivi con il quale una parte si obbliga a compiere uno o più atti giuridici per conto dell’altra parte dopo la morte di quest’ultima; tale contratto è valido purchè l’incarico non preveda il compimento di atti dispositivi di diritti patrimoniali successori (trasferimento di beni del mandante a terzi) o di altri atti a contenuto patrimoniale.
Il mandato mortis causa, invece, ha ad oggetto l’attribuzione al mandatario dell’incarico di compiere, dopo la morte del mandante, atti che importino l’attribuzione di diritti patrimoniali successori in violazione del divieto dei patti successori.

Nel caso di specie sembra evidente che non sia stata posta in essere alcuna delle due fattispecie negoziali, non essendo stato concluso tra il de cuius ed il cognato Nicola alcun contratto di mandato avente ad oggetto il compimento di atti giuridici da espletarsi dopo la morte del mandante.
Piuttosto, la volontà del de cuius deve legittimamente ricondursi all’istituto giuridico del c.d. mandato post mortem in senso stretto, consistendo in un atto unilaterale con cui il testatore ha voluto conferire al cognato Nicola l’incarico di svolgere una attività giuridica (la vendita della villa) dopo la sua morte.
Si inquadrano in tale figura la nomina del terzo arbitratore (nelle ipotesi previste dagli artt. 630, 631 e 632 c.c.), la designazione del terzo incaricato di redigere il progetto di divisione tra i coeredi (artt. 733 comma 2 c.c.) e la nomina dell’esecutore testamentario (art. 700 del c.c.).

Escluse le prime due ipotesi, per conferire validità al negozio unilaterale voluto dal testatore, lo stesso non può che ricondursi all’istituto giuridico dell’esecutore testamentario, la cui disciplina si riviene agli artt. 700 e ss. c.c.
In particolare, all’esecutore viene assegnato soltanto il compito di procedere alla vendita della villa, mentre all’adempimento dei due legati obbligatori, a cui prima si è fatto riferimento sub lettere b) e c), saranno tenuti a provvedere gli eredi istituiti, ai quali dovrà essere richiesta la consegna delle somme di denaro ex artt. 649 comma 3 e 662 comma 1 c.c.

Sotto il profilo meramente pratico ed operativo, va precisato che, oltre ad occuparsi delle trattative (anche mediante conclusione di un eventuale contratto preliminare), l’esecutore testamentario, dopo aver accettato ex art. 702 c.c. l’incarico ricevuto, dovrà intervenire in detta qualità nell’atto pubblico di vendita, consegnando agli eredi le somme ricavate dalla vendita.
Infatti, perché la nomina abbia effetto e, quindi, per il perfezionamento della fattispecie, è necessaria l’accettazione del nominato nel rispetto delle formalità di cui al citato art. 702 c.c., in mancanza della quale gli atti compiuti dall’esecutore soltanto designato dovranno ritenersi come compiuti da falsus procurator, non potendo in alcun modo essere riferiti all’eredità né potendo lo stesso vantare un diritto al compenso riconosciutogli dal testatore (compenso che, peraltro, trova il suo fondamento nell’art. 711 del c.c.).

Altro aspetto che si ritiene possa essere utile chiarire, data la particolarità del caso, è quello relativo alle modalità di presentazione della dichiarazione di successione.
In questi casi, infatti, occorrerà inserire nella denuncia di successione l’immobile da vendere, provvedendo al pagamento della relativa imposta.
Nel momento in cui l’esecutore testamentario andrà a perfezionare il contratto di vendita, andrà presentata una dichiarazione integrativa, nella quale dovrà essere indicato il ricavato della vendita al fine di una riliquidazione dell’imposta di successione, e ciò in conformità a quanto previsto dal comma 6 dell’art. 28 del T.U. successioni e donazioni.