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Articolo 631 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 25/09/2024]

Disposizioni rimesse all'arbitrio del terzo

Dispositivo dell'art. 631 Codice Civile

È nulla ogni disposizione testamentaria con la quale si fa dipendere dall'arbitrio di un terzo(1) l'indicazione dell'erede o del legatario [632, 664 c.c.], ovvero la determinazione della quota di eredità.

Tuttavia è valida la disposizione a titolo particolare [588 c.c.] in favore di persona da scegliersi dall'onerato o da un terzo(2) [1473 c.c.] tra più persone determinate dal testatore o appartenenti a famiglie o categorie di persone da lui determinate(3), ed è pure valida la disposizione a titolo particolare a favore di uno tra più enti [600 c.c.] determinati del pari dal testatore. Se sono indicate più persone in modo alternativo e non è stabilito chi deve fare la scelta, questa si considera lasciata all'onerato [699 c.c.].

Se l'onerato o il terzo non può o non vuole fare la scelta, questa è fatta con decreto dal presidente del tribunale del luogo in cui si è aperta la successione [456 c.c.], dopo avere assunto le opportune informazioni [751 c.p.c.].

Note

(1) Si ritiene che la norma faccia riferimento sia al c.d. arbitrium boni viri che al mero arbitrio, argomentando a contrario dall'art. 632 del c.c. in cui si richiama solo il secondo.
(2) L'onerato e il terzo devono avere la capacità di agire (v. art. 2 del c.c.).
(3) Ove taluno dei designati sia premorto, la scelta rimane circoscritta a quelli ancora in vita. In caso di indegnità (v. art. 463 del c.c.) o di incapacità di succedere (v. art. 462 del c.c.) la designazione è nulla.

Ratio Legis

Il testamento è un negozio giuridico personalissimo, ossia che non ammette rappresentanza nè determinazione ad opera di un terzo. Solo il testatore può formulare la sua volontà testamentaria. Il principio predetto (c.d. di personalità) vale per la designazione dell'erede o delle quote di eredità (v. art. 631 c. 1 del c.c.). Soffre invece delle eccezioni per quanto riguarda le disposizioni a titolo particolare (v. art. 631 c. 2 del c.c.).

Brocardi

In alienam voluntatem conferri legatum non potest

Spiegazione dell'art. 631 Codice Civile

La norma in esame, nei primi due commi, riproduce, con le modifiche che saranno messe in evidenza, l’art. #834# del codice del 1865, riassorbendo anche l’art. #874# di quel codice; nel terzo comma, invece, ha introdotto una disposizione del tutto nuova.
Il testo impreciso e lacunoso dell’art. #834# del codice 1865, nel quale si faceva riferimento alla "persona incerta" è stato non soltanto più rigorosamente formulato, ma dettato in modo da enunciare un principio generale, comprendente sia l’aspetto soggettivo che l’aspetto oggettivo. Infatti, eliminata l’equivoca menzione dell'incertezza, si è dichiarata nulla la disposizione testamentaria che faccia dipendere dall'arbitrio di un terzo l’indicazione dell’erede o del legatario, sicché il nuovo testo legislativo, così com’è formulato, più recisamente riafferma il principio per il quale la designazione del successore deve riposare sulla volontà del testatore, e non può avere come antecedente la volontà di un altro soggetto. Sulla base di tale premessa, è stata dichiarata nulla la disposizione testamentaria che fa dipendere dall’arbitrio di un terzo la determinazione della quota di eredità. Sotto la vigenza delle disposizioni del vecchio codice, questa conseguenza doveva dedursi dai princìpi; quindi non è contestabile l’utilità pratica della disposizione espressa, che elimina ogni questione.
Le disposizioni testamentarie dichiarate nulle in base a quanto precede, non potranno ritenersi valide neppure se poste in forma condizionale: si Titius putaverit o voluerit.

In ordine alla determinazione dei limiti di applicabilità della disposizione in esame, è anzitutto il caso di osservare che l’uso del termine "arbitrio", senza nessuna qualifica, lascia adito alla questione se la legge alluda unicamente all'arbitrium merae voluntatis o se si riferisca anche al così detto arbitrium boni viri. Parrebbe logico ritenere che, se la ragione della norma consiste nella riaffermazione del principio per il quale la designazione del successore deve riposare direttamente sulla volontà del testatore, la nullità si estenda anche al caso in cui la scelta sia rimessa al prudente arbitrio dell’estraneo.
Bisogna, inoltre, rilevare che la parola "terzo" nel linguaggio della legge ha un significato restrittivo, poiché non comprende le persone nominate nel testamento. Infatti, negli altri due commi, quando si vuole alludere alla persona nominata nel testamento, si adopera il termine "onerato". Anzi, appunto in vista dell’uso di questo termine che la legge fa nei commi 2 e 3, e non nel primo, è sorta questione per stabilire se la disposizione di cui al comma 1 si debba applicare all’ipotesi in cui la designazione di un legatario sia rimessa all’arbitrio dell’erede o di altro legatario. Non si dubita circa la soluzione di tale questione nel senso affermativo; e dunque non sarebbe stato inopportuno che il legislatore avesse mantenuto l'armonia tra le disposizioni contenute nell’art. 631, anche se, come fu rilevato, per le ipotesi predette la nullità della disposizione risulta indirettamente dal secondo comma dell’articolo, il quale, stabilendo entro certi limiti la validità del legato in favore di persona da scegliersi dall’onerato o da un terzo, lascia argomentare la nullità del legato fuori di tali limiti.

La disposizione contenuta nel comma 2 non innova sulle disposizioni precedenti degli articoli #834# comma 2 e #874# del codice del 1865: le rettifiche al testo non alterano la sostanza di quelle disposizioni. Per quel che si è detto, si ha l’obbligo di rilevare che l’eccezione contenuta in questo comma viola in parte il principio che viene posto alla base della disposizione contenuta nel primo comma; tuttavia, se si tiene presente che la validità della disposizione è mantenuta solo in quanto si tratti di disposizione a titolo particolare, che non attribuisce la qualità di erede, ma quella di legatario, e dentro limiti ristretti determinati dalla stessa volontà espressa del testatore, la deroga non appare molto grave.
Maggiormente, però, risulta violato il principio sopra delineato dalla disposizione contenuta nel comma 3, che è del tutto nuova. Tale disposizione, peraltro, opera nei limiti stabiliti da quella contenuta nel comma precedente, ed è destinata a spiegare efficacia nell'ipotesi, certamente eccezionale, in cui l’onerato o il terzo non vogliano o non possano fare la scelta. Comunque, una volta dato adito all’eccezione, con la regola contenuta nel comma 2, è opportuno che si faccia in modo di garantire l’efficacia di una disposizione che la legge dichiara valida, sia pure in via eccezionale. È stato, appunto, osservato che, sebbene si venga ad attribuire all’autorità giudiziaria un compito che non le è proprio, quello cioè di integrare la volontà del testatore, la norma risponde ad esigenze pratiche, in quanto assicura il rispetto della volontà testamentaria.

Relazione al Codice Civile

(Relazione del Ministro Guardasigilli Dino Grandi al Codice Civile del 4 aprile 1942)

308 Relativamente alla norma, che sancisce la nullità della, disposizione testamentaria rimessa all'arbitrio del terze (art. 631 del c.c.), è stato rilevato che, mentre nel secondo e nel terzo comma dell'articolo si contempla non soltanto l'arbitrio del terzo, ma anche quello dell'onerato, invece nel primo comma, si fa unicamente riferimento all'arbitrio del terzo. Ora, secondo quanto è stato osservato, se si segue il sistema del codice del 1865, che all'art. 834 parla solo di disposizioni rimesse all'arbitrio di un terzo, occorre limitarsi sempre a tale riferimento anche nei commi secondo e terzo dell'articolo, ma se si vuole contemplare esplicitamente l'ipotesi che la scelta possa essere affidata alla persona gravata dalla disposizione, occorre parlare dell'onerato anche nel primo comma. dell'articolo. Ma, sebbene la diversità di dizione possa fare apparire a prima vista un certo difetto di euritmia tra le varie parti dell'articolo, tuttavia mi sembra che essa sia giustificata. Basta considerare che sarebbe quanto mai strano far dipendere dall'arbitrio dell'erede l'indicazione dell'erede stesso, ciò che si verificherebbe se nel primo comma, oltre che nel terzo, si facesse menzione dell'onerato. In verità, nel primo comma la previsione dell'arbitrio dell'onerato sarebbe giustificata solo in relazione all'ipotesi dell'indicazione del legatario, in quanto è concepibile che la nomina del legatario sia rimessa all'arbitrio dell'erede o di altro legatario, nel caso di sublegato. Ma per queste ipotesi la nullità della disposizione risulta indirettamente dal secondo comma dell'articolo, il quale, stabilendo entro certi limiti la validità del legato in favore di persona da scegliersi dall'onerato o da un terzo, lascia argomentare la nullità del legato fuori di tali limiti. Neppure mi è sembrata fondata l'altra osservazione su questo stesso articolo, con la quale si è suggerito di stabilire che, se l'onorato o il terzo non possa o non voglia fare la scelta, questa deve essere fatta con sentenza del tribunale del luogo dell'aperta successione, sentito il pubblico ministero. Solo la materia di carattere contenzioso può esigere che i provvedimenti ad essi relativi siano presi con sentenza, mentre la. funzione di arbitratore, quale sembra doversi considerare quella di chi fa la scelta del legatario, può essere pro opportunamente esercitata nella forma semplice del decreto. Non sembra poi dubbia la convenienza di devolvere tale compito alla persona singola del presidente, il quale provvederà, assunte opportune informazioni, senza osservare formalità di procedura. E' stata, invece, approvata la differente disciplina dettata dal progetto per le due ipotesi previste negli articoli 173 e 174, corrispondenti agli attuali articolo 631 e art. 632 del c.c.. Mentre infatti nella prima (determinazione della persona dell'erede o del legatario e della quota di eredità) la validità della disposizione si ha soltanto quando ricorrono le condizioni determinate dal secondo comma dell'art. 631, e negli altri casi non ha rilievo il fatto che l'arbitrio del terzo sia arbitrium rnerum o arbitrium boni viri, invece nella seconda (determinazione della cosa legata) la disposizione è valida ogni volta che la determinazione debba essere fatta arbitrio boni viri. E l'ipotesi contemplata nel capoverso dell'art. 632 (legato per remunerazione di servizi) non è un'eccezione al principio affermato nel primo comma, ma è appunto un cospicuo esempio di determinazione affidata all'arbitrium boni viri dell'onerato o del terzo. Ho poi coordinato la formulazione dell'art. 632, primo comma, con, quella dell'art. 1349 del c.c..

Massime relative all'art. 631 Codice Civile

Cass. civ. n. 3082/1993

La norma di cui al secondo comma dell'art. 631 c.c. che, in esplicita deroga al principio generale dettato dal primo comma dello stesso articolo, prevede la validità della disposizione testamentaria a titolo particolare con riguardo al delimitato incarico di scegliere, tra più persone, o in una famiglia o categoria, predeterminate dallo stesso testatore, il soggetto beneficiario di una certa attribuzione, è una norma di stretta interpretazione, non applicabile al di là delle ipotesi in essa specificamente contemplate, tal che non può trovare applicazione nell'ipotesi in cui il testatore abbia attribuito all'esecutore testamentario la facoltà di procedere a suo libito ad imprecisati e generici cambiamenti delle disposizioni testamentarie già indicate.

Cass. civ. n. 1928/1982

In ipotesi di chiamata all'eredità subordinata alla condizione dell'aggiunta del cognome del testatore al proprio entro un determinato termine dall'apertura della successione, con la previsione, per il caso di mancato avveramento della condizione, della devoluzione di tutto il patrimonio relitto allo Stato, qualora risulti l'intento del de cuius di affidare i propri scopi (connessi al verificarsi di detta condizione) ed il beneficio al primo chiamato alla mera discrezione della pubblica amministrazione, senza alcun obbligo a calice, di quest'ultima di attivarsi per la realizzazione dell'evento dedotto in condizione, si configura la nullità della disposizione testamentaria, ove il testatore abbia in tal modo consapevolmente inteso rimettere all'arbitrio del secondo chiamato la designazione dell'erede (art. 631, primo comma, c.c.), ovvero la nullità — quanto al termine —della condizione perché illecita (art. 634 c.c.) ove il testatore abbia posto una condizione realizzante, nella sostanza, la fattispecie vietata di cui all'art. 631, primo comma, citato.

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Consulenze legali
relative all'articolo 631 Codice Civile

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A. L. . chiede
venerdì 02/02/2024
“I miei genitori avevano l'appartamento dove vivevano in comunione al 50%. Nel 2010 muore mio padre senza testamento;come eredi aveva me e altri due fratelli, oltre che mia madre. Nel corso degli anni io e un fratello siamo andati a vivere altrove con le rispettive famigle. Nel 2015 mia madre muore, lasciando un foglio dove esprime la volontà che il fratello celibe, che viveva con lei, continuasse a vivere nella casa e ,se un giorno avesse avuto le possibilità ,avrebbe dato un omaggio a noi. Lui pubblica il testamento indicando al notaio di avere 2/3 del diritto abitativo, sollevando notaio e conservatore da qualsiasi responsabilità. Il notaio fa trascrivere il diritto di proprietà per 1/3 a ogni fratello, mentre il diritto di abitazione 2/3 a lui 1/6 a me e 1/6 a l'altro fratello. Noi per cercare di rispettare la volontà di nostra madre abbiamo lasciato passare gli anni. Lo scorso settembre muore una nostra zia, e sempre lui pubblica un testamento olografo di nostra zia, nubile e senza figli, che lo nomina erede dell'appartamento dove viveva. A questo punto gli invio una lettera per procedere alla divisione della casa che lui abita. Mio fratello aveva 50 anni quando è morta mia madre, l'immobile ha un valore intorno ai 200 mila euro.Come posso agire per tutelare i miei interessi.La ringrazio in anticipo.”
Consulenza legale i 08/02/2024
Quel “foglio” a cui si fa riferimento nel quesito esprime in realtà una chiara e ben precisa volontà testamentaria, ovvero quella di riconoscere al figlio P. il diritto di continuare a vivere nella casa familiare (diritto di abitazione).
Contiene, infatti, tutti gli elementi prescritti dall’art. 602 del c.c. per poter valere quale testamento olografo, risultando scritto per intero di pugno dalla testatrice, datato e sottoscritto alla fine delle disposizioni.
Prova ne è che lo stesso è stato regolarmente pubblicato dal notaio a cui il beneficiario delle disposizioni si è rivolto per dare esecuzione alla volontà della de cuius.

Ciò posto e considerato che la volontà testamentaria così espressa va qualificata senza alcun dubbio quale disposizione a titolo particolare (cfr. art. 588 del c.c.), non avendo la de cuius individuato un erede testamentario si è aperta la successione legittima, con la conseguenza che eredi del bene immobile gravato da quel diritto di abitazione in favore del figlio P. sono divenuti tutti i figli.

Per quanto concerne la determinazione della misura e della natura delle quote di ciascun erede, corretta è la trascrizione per come è stata effettuata dal notaio che ha proceduto alla pubblicazione del testamento, in quanto:
  1. alla morte del padre, il 50% dell’immobile è caduto in successione, divenendone proprietari la moglie ed i figli nelle seguenti misure, determinate ex art. 581 del c.c.:
  • la moglie per 1/3 indiviso, pari a 3/18, oltre la restante metà, pari a 9/18 indivisi, iure proprio ed il diritto di abitazione sull’intero, trattandosi della casa familiare;
  • i figli per i restanti 6/18 indivisi per quote eguali (ovvero 2/18 ciascuno)

  1. alla morte della madre si estingue il diritto di abitazione a lei spettante ex art. 540 del c.c. e cadono in successione le quote di cui la medesima era titolare, pari a complessivi 12/18 (9/18 iure proprio e 3/18 per successione al marito), da dividere in parti eguali tra i figli (4/18 ciascuno), ma gravati in forza della volontà testamentaria della madre dal diritto di abitazione in favore del figlio P.
Pertanto, queste sono le quote, tutte rapportate in diciottesimi (ma corrispondenti di fatto a quelle trascritte dal notaio), di cui ciascun figlio risulta titolare:
  • Figlio 1: 2/18 in piena proprietà e 4/18 in nuda proprietà;
  • Figlio 2: 2/18 in piena proprietà e 4/18 in nuda proprietà
  • Figlio P.: 6/18 in piena proprietà, di cui 2/18 dal padre e 4/18 dalla madre.

A questo punto si deve ritornare ad esaminare la scheda testamentaria, per desumerne che volontà espressa della de cuius è stata quella di costituire in favore del figlio P. il diritto di abitazione su quella che fu la casa familiare senza alcuna limitazione temporale.
In tal senso depone l’uso dell’espressione “…P. deve restare in questa casa perché non ha altra possibilità…”, espressione che avrebbe assunto una diversa valenza allorchè la de cuius avesse disposto “finchè non avrà possibilità di godere di altro immobile”.
In questo secondo caso, infatti, il diritto di abitazione sarebbe stato risolutivamente condizionato alla assenza di altro immobile da abitare e, pertanto, sarebbe stato possibile farne valere l’estinzione a seguito del successivo acquisto dell’immobile abitativo pervenutogli per successione alla zia.

La successiva disposizione “…In futuro, se avrà risorse, darà un omaggio ai due fratelli…” si ritiene, invece, che debba farsi rientrare nel campo di applicazione dell’art. 631 c.c., norma che sanziona con la nullità ogni disposizione con la quale si fa dipendere la determinazione dell’oggetto del lascito dall’arbitrio dello stesso onerato o di un terzo.
Con tale norma, infatti, il legislatore ha voluto sancire con fermezza il principio di personalità dell’atto testamentario, escludendo quella possibilità di rimettersi alle determinazioni del terzo che, al contrario, sono perfettamente valide in campo contrattuale.
Peraltro, a confermare l’invalidità di detta disposizione contribuisce anche la circostanza che la testatrice non ha neppure prestabilito alcun criterio sulla cui base l’onerato dovrebbe determinare la somma da versare ai fratelli.
Conseguenza di tutto ciò sarà che:
- tale disposizione potrà soltanto assumere valore di obbligo morale per il fratello P.;
- gli altri fratelli non potranno esperire alcuna azione per chiedere l’adempimento del suddetto obbligo, trattandosi di una mera obbligazione naturale, come tale non vincolante e non rilevante sotto il profilo giuridico finchè ad essa non sia stata data spontanea esecuzione.

In considerazione di quanto fin qui detto, dunque, se il fratello non intende spontaneamente rispettare la volontà della madre, non sembrano sussistere rimedi per ottenerne un adempimento per via giudiziale.
Si tenga comunque presente che anche i figli 1 e 2, nella qualità di comproprietari per 2/18 ciascuno, hanno diritto di abitare l’immobile, non potendo tale loro diritto essere precluso dal fratello che ne è titolare in misura maggiore.