Occorre chiedersi se la madre sia libera di fare tutto questo o se il figlio possa successivamente chiedere che venga dichiarata dal Tribunale la maternità naturale.
Proprio su quest’argomento si è pronunciato il Tribunale di Milano, con la sentenza n. 11475 del 14 ottobre 2015.
Nel caso esaminato la figlia abbandonata si era rivolto al Giudice affinchè venisse accertato e dichiarato che la stessa era nata dalla donna chiamata in causa (si parla, in questo caso di “domanda di dichiarazione di maternità naturale”) o che, almeno, fosse accertato il suo diritto al mantenimento.
In particolare, la figlia era stata cresciuta solo dal padre, in quanto nata a seguito di una relazione extraconiugale dello stesso con la donna in questione.
La maternità, infatti, risultava dal confronto tra l’atto integrale di nascita e la cartella clinica, da cui si ricavava che la figlia che aveva agito in giudizio era la stessa denunciata solo dal padre all’anagrafe.
La figlia, inoltre, aveva evidenziato come la stessa avesse sempre vissuto solo ed esclusivamente grazie alle risorse economiche messe a disposizione dal padre, il quale era, però successivamente deceduto senza lasciare nulla in eredità.
Il Tribunale, tuttavia, non ritiene di dover accogliere la richiesta avanzata dalla figlia, in quanto “nel nostro ordinamento è espressamente previsto dalla legge il diritto della madre di non essere nominata nell’atto di nascita del figlio”, con la conseguenza che la madre ha tutto il diritto di rimanere anonima nei confronti del figlio stesso.
A riprova di ciò, infatti, va osservato che l’art. 250 del c.c. prevede espressamente che “il figlio nato fuori del matrimonio può essere riconosciuto, nei modi previsti dall'art. 254 del c.c. dal padre e dalla madre, anche se già uniti in matrimonio con altra persona all'epoca del concepimento”: ciò significa che un soggetto diventa, ai sensi di legge, “figlio nato fuori dal matrimonio”, con le conseguenze giuridiche che ne derivano, solo ed esclusivamente se i genitori provvedono al loro riconoscimento.
Inoltre, osserva il Tribunale, il diritto della madre di rimanere anonima trova fondamento anche nella disciplina in materia di privacy (in particolare, l’art. 93 del codice privacy prevede che “il certificato di assistenza al parto o la cartella clinica, ove comprensivi dei dati personali che rendono identificabile la madre che abbia dichiarato di non voler essere nominata avvalendosi della facoltà di cui all'articolo 30, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica 3 novembre 2000, n. 396, possono essere rilasciati in copia integrale a chi vi abbia interesse, in conformità alla legge, decorsi cento anni dalla formazione del documento” e dall’art. 28 del d.lgs. n. 184/2013 (disciplina in materia di “diritto del minore ad una famiglia”), secondo il quale l’accesso alle informazioni riguardanti i genitori biologici di soggetti adottati “non è consentito nei confronti della madre che abbia dichiarato alla nascita di non volere essere nominata”.
Non solo: il diritto della madre a rimanere anonima è stato riconosciuto anche dalla Corte Costituzionale che, con la sentenza n. 425/2005 ha ribadito questa possibilità, tutelando la madre che si trovi in una situazione personale o economica particolarmente difficile e riconoscendole la possibilità di partorire in una struttura che le consenta di mantenere l’anonimato e al tempo stesso garantisca che il parto avvenga in condizioni di completa sicurezza.
Di conseguenza, Il Tribunale di Roma conclude nel senso di rigettare sia la domanda di mantenimento che la domanda di dichiarazione giudiziale di maternità naturale, precisando come l’accoglimento di quest’ultima “avrebbe l’effetto di costituire lo status giuridico di genitorialità e di determinare l’insorgenza delle relative responsabilità, a fronte della perdurante volontà della madre di non essere nominata e di mantenere il proprio segreto nei confronti del figlio dato alla luce”.