Il presupposto applicativo della norma in commento è costituito dall’annullamento, disposto ad opera del Giudice amministrativo o della stessa Pubblica Amministrazione, del permesso di costruire a causa della sussistenza di vizi di legittimità.
Per quanto riguarda l’annullamento giurisdizionale, va ricordato che il permesso di costruire è ritenuto da una giurisprudenza costante impugnabile da parte dei soggetti che si trovino in una condizione di vicinitas con l’area interessata dall’intervento edilizio.
In particolare, tale condizione ricorre in caso di stabile collegamento materiale tra l'immobile del ricorrente e quello oggetto dai lavori, che deve essere in concreto valutato dal giudice non solo avendo riguardo al dato formale della distanza tra gli immobili, ma anche in relazione all'entità e alla destinazione dell'immobile.
Inoltre, il ricorrente è esonerato dalla dimostrazione dell’esistenza di un pregiudizio alla propria situazione soggettiva, posto che quando si tratta di abusi edilizi il danno è ritenuto sussistente in re ipsa, alla luce dell’impatto che ogni edificazione abusiva produce sulla visuale e comunque sull'equilibrio urbanistico del contesto e l'armonico e ordinato sviluppo del territorio.
Quanto all’annullamento in autotutela, è necessario fare riferimento all’art. 21 nonies, L. n. 241/1990, che richiede, oltre al presupposto della illegittimità del provvedimento, anche la sussistenza di ragioni di interesse pubblico e che il potere venga esercitato entro un termine ragionevole comunque non superiore a diciotto mesi.
Anche in materia edilizia la giurisprudenza ritiene necessario che il provvedimento di autotutela illustri in motivazione la sussistenza di un interesse pubblico concreto ed attuale all'adozione dell'atto di ritiro, tenuto conto degli interessi dei destinatari e dei controinteressati, non essendo sufficiente il riferimento all'astratta esigenza di ristabilire l'ordine giuridico violato.
La norma in commento ha la chiara funzione di tutelare l’affidamento nella correttezza dell’operato della P.A. ingeneratosi nel privato a seguito dell’ottenimento del titolo edilizio, introducendo una deroga al principio generale che vuole la necessaria demolizione delle opere edilizie abusive.
La sanzione demolitoria, in questo specifico caso, può essere sostituita dal pagamento di una sanzione pecuniaria, pari al valore venale delle opere o loro parti abusivamente eseguite.
La cosiddetta fiscalizzazione dell’abuso è ammessa quando la P.A. escluda, con adeguata motivazione, la possibilità della rimozione dei vizi delle procedure amministrative, o quanto la rimessione in pristino non sia attuabile per ragioni oggettive.
La parte più problematica della disposizione è quella che attiene alla definizione dei vizi di procedura e che ha dato vita a tre diversi orientamenti giurisprudenziali.
Il
primo orientamento ammette la fiscalizzazione per ogni tipologia di abuso, a prescindere dal tipo, formale ovvero sostanziale, dei vizi che hanno portato all'annullamento dell'originario titolo, secondo una logica che considera l'istituto come un caso particolare di condono di una costruzione nella sostanza abusiva.
Un
secondo orientamento, più restrittivo e formatosi nel vigore dell’antecedente normativo dell’articolo 38 (ossia l'art. 11, L. n. 47/1985), ritiene che la fiscalizzazione dell'abuso sia possibile soltanto nel caso di vizi formali o procedurali emendabili, mentre in ogni altro caso l'amministrazione dovrebbe senz'altro procedere a ordinare la rimessione in pristino, con esclusione della logica del condono.
Infine, un
terzo orientamento, che si pone in una posizione intermedia, tende a consentire la fiscalizzazione, oltre che nei casi di vizio formale, anche nei casi di vizio sostanziale, però emendabile: anche in tal caso, non vi sarebbe la sanatoria di un abuso, perché esso verrebbe in concreto eliminato con le opportune modifiche del progetto prima del rilascio della sanatoria stessa, la quale si distinguerebbe dall'accertamento di conformità di cui all'art.
36 dello Testo Unico per il fatto che non è richiesta la doppia conformità.
In una recente decisione (Consiglio di Stato, ad. plen., 07 settembre 2020, n.17), l’Adunanza plenaria ha chiarito che l’espressione “
vizi delle procedure” non può essere interpretata estensivamente fino a comprendere profili di compatibilità della costruzione rispetto al quadro programmatorio e regolamentare che disciplina l'
an e il
quomodo dell'attività edificatoria.
Pertanto, il Consiglio di Stato ha concluso che i vizi ai quali fa riferimento l'articolo in commento sono esclusivamente quelli che
riguardano forma e procedura che, alla luce di una valutazione in concreto operata dall'amministrazione, risultino di impossibile rimozione.
In tal caso, il pagamento della sanzione pecuniaria produce sostanzialmente gli stessi effetti di regolarizzazione dell’abuso che conseguono all’accertamento di conformità di cui all’articolo 36 del Testo Unico.