L’art 7 disciplina la responsabilità civile delle strutture sanitarie o sociosanitarie e degli esercenti le professioni sanitarie, prevedendo una netta bipartizione tra la responsabilità dell’ente ospedaliero e quella della persona fisica per i danni occorsi ai pazienti.
Responsabilità civile della struttura sanitaria
Al comma 1 viene confermata la natura
contrattuale della responsabilità civile della
struttura sanitaria che, nell'adempimento della propria obbligazione, si avvalga dell'opera di esercenti la professione sanitaria, per i danni derivanti dalle condotte dolose o colpose ivi poste in essere da questi ultimi, anche qualora essi siano stati scelti dal paziente e non siano dipendenti della struttura medesima. La struttura risponde, pertanto, nei confronti dei danneggiati, ai sensi degli articoli
1218 (responsabilità del debitore) e
1228 (responsabilità per fatto degli ausiliari) del codice civile.
La norma si limita a fare riferimento “all’adempimento dell'obbligazione”, senza specificare quale sia la fonte da cui essa deriva. La giurisprudenza ha spesso fatto riferimento al cd. “
contratto atipico di spedalità”, il quale si perfezionerebbe
per facta concludentia, con l’accettazione del paziente presso la struttura. Tale contratto di spedalità ha un oggetto molto ampio, non limitato all'erogazione delle cure sanitarie, ma esteso anche “ad obblighi di protezione e accessori”, e dunque a prestazioni di natura
latu sensu alberghiera (vitto, alloggio, ristorazione), di custodia del paziente, di igiene, di adeguatezza delle attrezzature e degli impianti, ecc. Tuttavia, vi è anche una tesi minoritaria, la quale sostiene che, in realtà, l’ospedale pubblico sia tenuto ad erogare le prestazioni di assistenza e cura non in base ad un contratto, ma perché è obbligato per legge (più precisamente, la legge istitutiva del Servizio Sanitario Nazionale). La legge Gelli non pare prendere una posizione su quale sia la fonte contrattuale dell’obbligazione, ma ciò rimane indifferente dal punto di vista pratico, dato che per l’art. 7 la responsabilità della struttura verso il paziente è comunque sempre disciplinata dagli artt.
1218 e
1228 c.c.
Il comma 2, poi, specifica che la responsabilità civile della medesima struttura è di natura contrattuale anche con riferimento alle prestazioni sanitarie svolte in regime di libera professione intramuraria, ovvero nell'ambito di attività di sperimentazione e di ricerca clinica ovvero in regime di convenzione con il Servizio sanitario nazionale, nonché attraverso la telemedicina. Per quanto riguarda le prestazioni rese in regime di libera professione intramuraria (“intramoenia”, ex D.lgs. 502/92 s.m.i.), la norma pare recepire l’orientamento dottrinale per cui l’ente è obbligato in solido al risarcimento del danno perché trae esso stesso un utile economico dall’attività del libero professionista (essendo i relativi proventi ripartiti, sia pure in percentuali variabili, tra il sanitario e l’azienda di appartenenza).
Responsabilità civile dell’esercente la professione sanitaria
Il comma 3 stabilisce invece che la responsabilità dell'
esercente le professioni sanitarie sia di natura
extracontrattuale: egli risponde del proprio operato ai sensi dell'art.
2043 c.c., salvo che abbia agito nell'adempimento di un’obbligazione contrattuale assunta con il paziente.
Tale previsione si pone in regime di discontinuità rispetto al passato. La prevalente giurisprudenza, infatti, qualificava la responsabilità sia della struttura sanitaria che del medico come vera e propria responsabilità contrattuale: la prima discendeva direttamente dal “contratto di spedalità” stipulato con il paziente, mentre per la seconda si faceva riferimento all’art.
1173 c.c., nella parte in cui parla di “ogni altro fatto o atto idoneo” a produrre obbligazioni. Si sosteneva che, all’atto di ricovero, tra medico e paziente si stabiliva un "
contatto sociale qualificato" (nel senso che non era casuale, ma voluto da entrambe le parti), per effetto del quale il primo assumeva specifici obblighi di protezione nei confronti del secondo, la violazione dei quali imponeva il risarcimento del danno nelle forme prescritte dall’art.
1218 c.c. Questa identica qualificazione della responsabilità di medico e struttura sanitaria aveva avuto l’effetto di ripartire equamente il rischio risarcitorio in capo a tali soggetti, senza considerare le loro diverse capacità finanziarie.
La legge Gelli ha superato la teoria del contatto sociale con l’intento di diversificare le due posizioni, spostando il rischio sul soggetto maggiormente capiente: questo a vantaggio tanto dell’esercente la professione sanitaria, che risponde solo dei danni integralmente provati dal paziente, quanto del paziente medesimo, il quale è spinto ad agire nei confronti di chi può risarcire i danni più facilmente.
In questo modo il legislatore ha portato a compimento quel disegno, già prefigurato ma non completato dal decreto Balduzzi, che, valorizzando gli obblighi finalizzati alla sicurezza delle cure, pone la struttura quale referente immediato e diretto del paziente. La logica seguita dalla legge Gelli è quella di prevenzione, attraverso la quale l’attenzione viene spostata dal soggetto che ha commesso il fatto al “sistema”, alla ricerca dei fattori che hanno agevolato o reso possibile l’incidente; è, infatti, prima di tutto alla struttura che si chiede di dotarsi di un apparato efficiente e di attivarsi per un’accorta prevenzione e gestione del rischio.
È inoltre previsto che il giudice, nella
determinazione del risarcimento del danno al paziente, debba tener conto della condotta dell'esercente la professione sanitaria ai sensi dell'articolo
5 della legge Gelli - ossia del rispetto delle buone pratiche clinico-assistenziali e delle raccomandazioni previste dalle linee guida, salve le specificità del caso concreto - e dell'articolo
590 sexies c.p., come introdotto dal precedente articolo 6.
Il fatto che il medico abbia applicato le linee guida non significa che esso sia esonerato da un eventuale obbligo risarcitorio, infatti, se le specificità del caso concreto sono tali da non giustificarne l’osservanza, il medico che comunque le segua sarà esposto, in caso di danno (e sempreché sussistano i presupposti della negligenza, imprudenza o imperizia), al risarcimento.
Se invece il medico non abbia seguito le linee guida si possono aprire due diversi scenari: se le linee guida erano controindicate in ragione delle peculiarità della fattispecie, non gli si potrà muovere nessun rimprovero (sempreché la sua condotta non sia stata comunque negligente, diligente o imperita); se invece le linee guida erano confacenti al caso, di sicuro il medico è responsabile, ma ci si chiede se, in questo caso, sia possibile addirittura ipotizzare una colpa grave ex se.
Non è chiaro comprendere in concreto cosa significhi il richiamo all'applicazione delle linee guida come elemento di graduazione del risarcimento: sembrerebbe in questo modo possibile sostenere che la liquidazione del danno sia ricollegata alla valutazione del grado della colpa dell’esercente nella causazione del danno. Tuttavia, nella logica del codice civile, rispondere per colpa lieve o grave è indifferente ai fini della liquidazione del danno, essendo in linea di principio irrilevante la qualificazione del comportamento dell’agente; inoltre, la stessa legge Gelli non ha mai posto questa differenziazione. Ci si chiede se la regola secondo la quale il risarcimento dovrebbe tener conto della condotta voglia forse alludere alla possibilità di adottare, in simili casi, un meccanismo “para punitivo”, tale da aggravare la portata risarcitoria ordinaria.
Ricadute in materia di onere probatorio e di prescrizione
Viene quindi previsto un regime di doppia responsabilità civile, qualificato come:
• responsabilità contrattuale per la struttura, che risponde dei fatti illeciti compiuti dagli esercenti la professione sanitaria che vi operano;
• responsabilità extracontrattuale per l'esercente la professione sanitaria, a qualunque titolo operante in una struttura sanitaria e sociosanitaria pubblica o privata (salvo il caso di obbligazione contrattuale assunta con il paziente).
La diversa natura della responsabilità della struttura e del sanitario comporta notevoli ricadute sul piano sostanziale (in materia di prescrizione) e processuale (in relazione all'onere della prova della responsabilità e del danno).
Per quanto riguarda il
termine di prescrizione delle diverse azioni:
- Per l’azione di responsabilità
contrattuale contro la struttura sanitaria, il termine prescrizionale sarà di
10 anni (art.
2946 c.c.);
- Per l’azione di responsabilità
extracontrattuale contro l’esercente la professione sanitaria, il termine sarà invece di
5 anni (art.
2947 c.c.).
Per quanto riguarda l’onere della prova:
- Nel giudizio contro la struttura sanitaria, il danneggiato dovrà semplicemente provare il titolo da cui deriva l'obbligazione (ad es. il c.d. contratto di spedalità) ed allegare l’inadempimento, rimanendo in capo alla struttura sanitaria l’onere della prova circa l'esatto adempimento ovvero dell'inadempimento non imputabile. Il danno risarcibile è limitato al danno che poteva prevedersi al tempo in cui è sorta l'obbligazione, salvo che in caso di dolo.
- Nel giudizio contro l’esercente la professione sanitaria, l’onere della prova è a carico del danneggiato, che dovrà non solo allegare, ma anche provare il fatto illecito, il danno, l'elemento soggettivo (la colpa) ed il nesso causale tra condotta ed evento.
Risarcimento del danno
Quanto alle modalità di risarcimento del danno, il comma 4 prevede che la sua liquidazione avvenga sulla base delle tabelle di cui agli articoli
138 (danno biologico per lesioni di non lieve entità) e
139 (danno biologico per lesioni di lieve entità) del Codice delle assicurazioni private (D.Lgs n. 209/2005). Il riferimento è alle tabelle uniche nazionali dei valori economici del danno biologico, il cui aggiornamento è disposto annualmente con decreto del Ministero dello Sviluppo Economico.
La norma si riferisce a qualunque danno, sia quelli generati nell’ambito della struttura sanitaria, che quelli cagionati da un medico libero professionista. Il riferimento agli artt. 138 e 139 del Codice delle assicurazioni private era già previsto dall’art. 3 del decreto Balduzzi ed è stato ripreso anche dalla legge Gelli, nell’ottica di creare un sistema in cui l’obbligo assicurativo costituisce uno dei pilastri portanti, sia a tutela del soggetto responsabile, che a protezione dello stesso paziente (un esempio paradigmatico di ciò è la previsione dell’azione diretta ai sensi dell’art.
12).
Norme imperative
Il comma 5 stabilisce che le disposizioni dell'articolo in esame vengono qualificate come "norme imperative" ai sensi del codice civile: tale precisazione intende sancire l'inderogabilità delle disposizioni sulla responsabilità civile per danni occorsi in ambito sanitario, anche qualora il contratto tra paziente e struttura (o tra il primo ed il medico libero professionista) contenga clausole che escludano o limitino la responsabilità. In questo caso, la contrarietà a norme imperative determina l'illiceità del negozio.