Essendo questa una norma di complemento, gli
alimenti di cui trattasi sono per lo più sostanze avariate o alterate o comunque diventate pericolose per fatto spontaneo di natura. Non può tuttavia escludersi che la causa dipenda dall'intervento dell'uomo.
Dato l'inserimento esplicito del
pericolo per la
salute pubblica tra gli elementi tipici della fattispecie si evince che trattasi di
reato di pericolo concreto, anche se negli anni c'è chi ha ipotizzato che il reato sarebbe configurabile anche nel caso di commercializzazione di alimenti prodotti o conservati in condizioni difformi da quanto prescritto dalle varie leggi disciplinanti le soglie di idoneità normativa, sempre che la
ratio del divieto sia ispirata a valutazioni igienico-sanitarie, asserendo che in simili ipotesi sia il
legislatore stesso a presumere l'esistenza del pericolo.
La lesione del bene giuridico tutelato deve quindi manifestarsi come
pericolo concreto proveniente dall'alimento. Si può quindi asserire che tale norma copra quella “zona grigia” lasciata dai precedenti articoli, qui rappresentata da qualsiasi sostanza destinata all'alimentazione umana, incluse le acque alimentari. Manca infatti un esplicito riferimento, come nell'art.
440, alle “acque”, ciò non toglie che possano essere agevolmente incluse, come del resto ha confermato la Suprema Corte, precisando che la differenza sostanziale tra il reato di cui all'art. 440 e quello di cui all'art. 444 risiede solamente nell'attività posta in essere dall'agente, e non anche nella natura delle sostanze prese in considerazione dalla due disposizioni.
Delineando ulteriormente i confini applicativi, la giurisprudenza e propensa ad includere nel novero solo le sostanze “pronte all'uso” e non quelle che abbisognano di uno speciale trattamento, come pure quelle che, adulterate o contraffatte in precedenza, non siano state
ab origine pericolose per la salute pubblica, ma lo siano diventate sono in seguito per essersi guastate, corrotte e decomposte.
Il pericolo per la salute consiste in una
immediata nocività dell'alimento, vale a dire nella sua concreta ed effettiva idoneità di produrre effetti patologici, con esiti potenzialmente letali, o comunque gravi e inoltre si e affermato che tale potenzialità nociva deve essere già esistente al momento della vendita o della detenzione per la vendita, a nulla rilevando che essa si manifesti in un momento successivo.
È stato di recente precisato che la presente disposizione e
norma penale in bianco, rivestita di contenuti in base a norme extrapenali integratrici del precetto penale, le quali possono essere emanate anche da autorità amministrative o sovranazionali, che dettano disposizioni regolatrici o impongono divieti anche in base ad accertamenti tecnici relativi a situazioni storiche determinate, di modo che, dato il carattere temporaneo di efficacia di dette norme, la punibilità della condotta non dipende dal momento in cui viene emessa la decisione, bensì dal momento in cui avviene l'accertamento in concreto, escludendo in tal guisa il principio di applicabilità della legge più favorevole.
L'elemento psicologico e rappresentato dalla coscienza e volontà di detenere per il
commercio,
porre in commercio o
distribuire per il consumo sostanze destinate all'alimentazione, con la consapevolezza di tale destinazione, nonché del pericolo derivante dalla consumazione del prodotto; non e richiesta la certezza relativa alla dannosità dell'alimento, mentre per contro l'ipotesi colposa e disciplinata dall'art.
452.
Sempre in relazione all'elemento psicologico, può destare qualche dubbio la necessita che il commerciante debba essere in grado di apprezzare la pericolosità derivante dalle condizioni in cui versa il prodotto. A rigore, non si può ammettere che versi in dolo colui che ignora la pericolosità della propria condotta (a meno che non si accetti la configurabilità dell'art. 444 anche come reato di pericolo astratto). Si può ad esempio immaginare che il venditore sia benissimo a conoscenza che il prodotto contenga una certa sostanza e che questa, in base alle conoscenze scientifiche del momento, non risulti inizialmente nociva, ma solo in seguito.
L'oggettività materiale del reato e sicuramente perfezionata, ma lo stesso non può dirsi per l'elemento psicologico. E in casi come questo che dovrà tenersi conto delle specifiche conoscenze tecnico-scientifiche che possono pretendersi dai vari soggetti operanti nel settore alimentare, venendo in gioco la figura del
dolo eventuale, o piuttosto della
colpa aggravata, concetti che serviranno a determinare il livello di rappresentazione del pericolo all'interno della psiche del soggetto agente.
Pare corretto ritenere che il dolo eventuale giochi un ruolo non privo di importanza, soprattutto in relazione alle diverse figure di reato previste a tutela della pubblica incolumità. Sembra lapalissiano che l'elemento psicologico concernente il dolo eventuale sarà giudicato diversamente in fattispecie connotate da fraudolenza, come quella di cui all'art.
440, dovendosi dare il giusto peso al fatto di chi deliberatamente interviene in maniera fraudolenta sull'alimento, accettando conseguentemente tutti i rischi connessi alla propria condotta.
In ultima analisi, il secondo comma dell'art. 444 prevede una attenuazione della pena nel caso in cui l'acquirente sia a conoscenza della nocività della sostanza. Sinceramente non si comprende appieno la
ratio di tale comma, in quanto il bene giuridico oggetto di tutela e l'incolumità pubblica e non solamente la salute del singolo
consumatore. Quest'ultimo non può quindi disporne tramite la sua acquiescenza.