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Articolo 443 Codice Penale

(R.D. 19 ottobre 1930, n. 1398)

[Aggiornato al 02/10/2024]

Commercio o somministrazione di medicinali guasti

Dispositivo dell'art. 443 Codice Penale

Chiunque detiene per il commercio, pone in commercio o somministra medicinali guasti o imperfetti(1) è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa non inferiore a euro 103(2).

Note

(1) Il medicinale si qualifica come guasto o imperfetto qualora manchi o sia notevolmente diminuita la sua efficacia terapeutica, quindi ad esempio nei casi in cui sia scaduto o vi sia stato un errore nella produzione o sia privo di componenti necessarie o contenga principi attivi non correttamente dosati.
(2) Rispetto alle disposizioni precedenti, non viene qui richiesto che le condotte incriminate siano idonee a creare pericolo per la salute pubblica.

Ratio Legis

La disposizione in esame tutela la salute pubblica, considerata quale insieme di condizioni di igiene e sicurezza della vita e dell'integrità fisica o salute della collettività, che può risultare in pericolo per la diffusione di medicinali nocivi.

Spiegazione dell'art. 443 Codice Penale

Il bene giuridico oggetto di tutela è la salute pubblica, con riguardo alla corretta preparazione e conservazione dei medicinali, i quali, se guasti, possono porre in pericolo un numero indeterminato di persone.

Viene punito chiunque detenga per il commercio, ponga in commercio o somministri medicinali guasti o imperfetti.

La giurisprudenza ha recentemente chiarito che la mera detenzione (senza l'effettiva commercializzazione) di medicinali guasti integra il reato in esame, in quanto da un lato esiste una presunzione assoluta di pericolosità, basato sulla previsione della perdita di efficacia del farmaco e, dall'altro, per la configurabilità è richiesta la semplice imperfezione di esso.

In base a quanto scritto, si capisce che trattasi di reato di pericolo presunto, essendo sufficiente l'imperfezione del medicinale, senza che debba necessariamente avvenire un reale pericolo per la salute pubblica.

Massime relative all'art. 443 Codice Penale

Cass. pen. n. 15463/2021

È configurabile il reato di commercio o somministrazione di medicinali guasti o imperfetti anche con riferimento al sangue umano destinato ad uso trasfusionale, attesa la sua riconducibilità al concetto di "medicinali" di cui all'art. 443 cod. pen., che comprende ogni sostanza o preparato che scientificamente assume una funzione diagnostica, profilattica, terapeutica, anestetica o che viene impiegata per predisporre l'organismo ad un esame avente scopo sanitario.

Cass. pen. n. 35627/2019

Si configura il reato di commercio o somministrazione di medicinali guasti o imperfetti, di cui all'art. 443 cod. pen., anche con riferimento a preparati omeopatici, attesa la riconducibilità di questi al concetto di "medicinali", come definito dall'art. 1, comma 1, lett. a), d. lgs. 24 aprile 2006, n. 219.

L'elemento psicologico del reato di cui all'art. 443 cod. pen. è costituito dal dolo generico, ad integrare il quale è sufficiente la semplice consapevolezza – da accertarsi anche attraverso la ricorrenza di significativi indici esteriori – della detenzione per il commercio di medicinali scaduti od imperfetti. (Fattispecie in cui il titolare di una farmacia deteneva un numero ingente di confezioni di medicinali scaduti, a riprova non una di mera disorganizzazione colposa, ma dell'accettazione del rischio della commercializzazione, integrante gli estremi del dolo eventuale).

Cass. pen. n. 16411/2017

È configurabile il concorso tra il delitto di cui all'art. 443 cod. pen. e la contravvenzione prevista dall'art. 147, comma secondo, D.Lgs. n. 219 del 2006, concernente la messa in commercio di farmaci per i quali non è stata rilasciata l'autorizzazione all'immissione in commercio, di cui all'art. 6 del medesimo decreto, tendendo il primo alla tutela della pubblica incolumità, e specificamente della salute pubblica, dai fatti di comune pericolo e la seconda alla tutela del servizio farmaceutico.

Cass. pen. n. 24704/2015

La detenzione per la somministrazione di farmaci scaduti è condotta che non integra l'ipotesi consumata prevista dall'art. 443 c.p., poiché esclusa dal tenore testuale della previsione, che fa riferimento "alla detenzione per il commercio, alla messa in commercio ed alla somministrazione" di tali medicinali, ma che può integrare un'ipotesi di tentativo punibile, ai sensi dell'art. 56 c.p., quando costituisca atto idoneo diretto in modo non equivoco alla somministrazione e sia accompagnata dalla consapevolezza del guasto o della imperfezione del medicinale.

Cass. pen. n. 39187/2013

Il reato di commercio o somministrazione di medicinali guasti o imperfetti integra una fattispecie di pericolo presunto, in quanto mira ad impedirne l'impiego a scopo terapeutico, sanzionando ogni condotta che renda probabile o possibile la loro concreta utilizzazione. (Fattispecie relativa a preparati medicinali realizzati dall'imputato - in assenza dei presupposti per invocare la cosiddetta "eccezione galenica" - utilizzando specialità private della confezione, sminuzzate in un mortaio, mescolate con additivi ed infine inserite in capsule sprovviste di pellicola protettiva, senza garantire, all'interno di tali capsule, una percentuale costante di principio attivo ed eccipienti).

Cass. pen. n. 27923/2004

La condotta descritta dall'art. 443 c.p., e cioè il commercio o la somministrazione di medicinali guasti, mira ad impedire l'utilizzazione a scopo terapeutico di medicinali imperfetti e sanziona ogni condotta che renda probabile o possibile la concreta utilizzazione del medicinale guasto. (Fattispecie in cui i medicinali erano stati rinvenuti sulla scrivania di un medico, parzialmente usati e conservati con modalità non conformi a quelle indicate nel foglio illustrativo).

Cass. pen. n. 45595/2003

Non integra il reato di cui all'art. 443 c.p. (commercio o somministrazione di medicinali guasti) la sola ubicazione di medicinali scaduti presso un esercizio del commercio all'ingrosso di medicinali, in locali non aperti al pubblico e non destinati funzionalmente alla vendita, per il solo fatto che non era stata effettuata la separazione dei prodotti validi da quelli scaduti.

Cass. pen. n. 30283/2003

La detenzione per il commercio di medicinali scaduti costituisce il reato previsto dagli artt. 443 e 452 c.p., in quanto vi è una presunzione assoluta della loro pericolosità desunta dalla previsione di un limite temporale per il loro impiego decorso il quale perdono efficacia, per cui è del tutto irrilevante ogni accertamento sulla durata della detenzione del farmaco scaduto.

Cass. pen. n. 30113/2003

L'elemento psicologico del reato di cui all'art. 443 c.p. è costituito dal dolo generico e consiste nella consapevole detenzione per il commercio di medicinali scaduti o imperfetti e la sua individuazione deve avvenire attraverso indici esterni significativi di tale consapevolezza. (Fattispecie in cui il farmacista deteneva medicinali dotati di azione stupefacente scaduti, per i quali il sistema legislativo prevede una rigorosa contabilità con registrazioni di carico e scarico giornaliero).

Cass. pen. n. 13018/1999

Il reato di cui all'art. 443 c.p. in quanto reato di pericolo sussiste anche allorché i medicinali scaduti di validità siano conservati nel retrobottega di una farmacia adibito, oltre che a deposito, a laboratorio in quanto la allegata destinazione dei medicinali ad essere utilizzati solo come materiali di laboratorio non fa venir meno la possibilità di una loro commercializzazione (nel caso concreto desunta dalla conservazione in frigo dei vaccini scaduti).

Cass. pen. n. 5415/1999

I medicinali veterinari, ai fini delle norme poste a presidio della salute pubblica e, in particolare, dell'art. 443 c.p., vengono in rilievo soltanto quando siano destinati a identificare, prevenire o curare patologie trasmissibili all'uomo o, comunque, a produrre effetti suscettibili di influenzare direttamente la salute umana, come nel caso di medicinali destinati al bestiame «da azienda» o i vaccini contro malattie trasmissibili dall'animale all'uomo. L'applicazione dell'art. 443 c.p. ai prodotti medicinali ad uso veterinario presuppone, dunque, l'accertamento in concreto della loro attitudine ad influire sulla salute umana nei termini innanzi precisati.

Cass. pen. n. 7014/1997

La somministrazione colposa di medicinale scaduto rientra nella previsione di cui agli artt. 452 e 443 c.p. e precisamente in quella di somministrazione di medicinale imperfetto: si tratta di reato non di danno ma di pericolo, presunto iuris et de iure.

Cass. pen. n. 4861/1997

L'art. 443 c.p., che sanziona la detenzione di medicinali guasti o imperfetti, tra cui quelli scaduti di validità, è applicabile anche ai medicinali ad uso veterinario, giacché non esula dal concetto di salute pubblica la tutela della salute degli animali.

Cass. pen. n. 9542/1996

L'elemento psicologico del reato di cui all'art. 443 c.p. è costituito dal dolo generico e consiste nella volontà di detenere per il commercio o di somministrare medicinali che siano guasti od imperfetti, conoscendone la imperfezione.

Cass. pen. n. 7738/1996

Ai fini della sussistenza del reato di cui all'art. 443 c.p. — commercio o somministrazione di medicinali guasti — deve essere inteso per medicinale qualsiasi sostanza o composizione presentata come avente proprietà curative o profilattiche delle malattie umane e che siano quindi destinate ad essere somministrate all'uomo, eventualmente anche allo scopo di stabilire una diagnosi medica, per ripristinare, correggere o modificare funzioni organiche dell'uomo. (Nella fattispecie la Suprema Corte ha escluso la configurabilità del reato in questione in relazione a sostanze ad uso veterinario, osservando che le stesse, essendo destinate ad essere somministrate all'animale e non all'uomo, anche se guaste o imperfette non possono mettere in pericolo l'incolumità pubblica).

Cass. pen. n. 2197/1996

La norma incriminatrice contenuta nell'art. 443 c.p. (commercio o somministrazione di medicinali guasti), riguarda soltanto chi detiene per il commercio, pone in commercio o somministra medicinali guasti o imperfetti. Ne consegue che non è possibile assimilare all'ipotesi della detenzione per il commercio, espressamente prevista, quella della detenzione per la somministrazione.

Cass. pen. n. 4140/1995

L'art. 443 c.p. punisce «chi detiene per il commercio, pone in commercio o somministra medicinali guasti o imperfetti», cosicché, dinanzi a tale inequivoco elemento testuale, non può assimilarsi alla detenzione per il commercio la detenzione per la somministrazione, senza ricorrere all'applicazione analogica della fattispecie incriminatrice, con violazione dei principi di legalità e di tassatività della norma penale. Ne consegue che la detenzione per la somministrazione di medicinali guasti imperfetti non integra il reato consumato previsto dall'art. 443 c.p., ma ben può concretare una ipotesi di tentativo punibile ex art. 56 c.p. quando costituisca atto idoneo diretto in modo non equivoco alla somministrazione e sia accompagnata dalla consapevolezza del guasto o della imperfezione del medicinale.

Cass. pen. n. 7476/1994

La detenzione di medicinali guasti o imperfetti per la somministrazione cade sotto la previsione di cui all'art. 433 c.p., non avendo nessun fondamento la distinzione tra detenzione per il commercio e detenzione per la somministrazione: ed invero sia l'una che l'altra rendono probabile, o quanto meno possibile, l'utilizzazione concreta del medicinale guasto o imperfetto a scopo terapeutico, che il legislatore ha inteso evitare e prevenire con la norma incriminatrice citata.

Cass. pen. n. 2785/1994

Ai fini della sussistenza del reato di cui all'art. 443 c.p. (Commercio o somministrazione di medicinali guasti), l'elemento della detenzione per il commercio si concretizza ogni qualvolta il medicinale irregolare si trovi nei locali dell'esercizio commerciale — nella specie farmacia — a disposizione del pubblico, ancorché il medesimo non abbia formato oggetto, in concreto, di un negozio di compravendita. Vanno intesi quali locali adibiti al commercio non soltanto quelli di diretto accesso per gli acquirenti, ma anche i cosiddetti retrobottega, ove i prodotti sono conservati, quali scorta, pronti ad essere prelevati in caso di bisogno. (La Suprema Corte ha altresì precisato che l'elemento psicologico del reato in questione è costituito dal dolo generico e consiste nella volontà di detenere per il commercio medicinali che siano guasti o imperfetti, conoscendone la condizione; che la prova dell'elemento soggettivo richiesto può ricavarsi dalla circostanza che tali medicinali si trovino insieme ad altri regolari e siano in numero tale da escludere che siano stati lasciati tra le scorte per mera dimenticanza del soggetto agente).

Cass. pen. n. 725/1994

La disposizione di cui all'art. 443 c.p., nel punire la detenzione a fini di commercio di medicinali guasti o imperfetti, ivi compresi, quindi, i medicinali scaduti, si riferisce a qualunque farmaco e la circostanza che altre disposizioni prevedano specifiche modalità di custodia di medicinali scaduti non può rilevare in ordine alla sussistenza del reato qualora risulti - con accertamento di fatto, incensurabile in sede di legittimità - l'effettiva destinazione al commercio dei medicinali stessi.

Cass. pen. n. 8861/1993

Nel caso di prodotto industriale, il farmaco è imperfetto, secondo la previsione dell'art. 443 c.p., ogni qual volta la sua composizione non corrisponda a quella dichiarata ed autorizzata. Non è quindi necessario accertare se, in concreto, il prodotto sia eventualmente inefficace dal punto di vista terapeutico o pericoloso per l'incolumità pubblica perché il pericolo non è un requisito del fatto, ma la ratio stessa dell'incriminazione penale.

Cass. pen. n. 3703/1992

Vanno definite come medicinali, giusto il disposto dell'art. 1 D.L.vo n. 178 del 1991, le sostanze che siano pubblicizzate o reclamizzate come aventi proprietà curative o profilattiche delle malattie umane. (Nella specie la Cassazione ha ritenuto legittimo il sequestro preventivo di prodotti erboristici, in relazione al reato di cui all'art. 443 c.p., sul rilievo che gli stessi erano stati pubblicizzati come adatti alla prevenzione ed alla cura di malattie ed erano quindi definibili come sostanze medicinali).

Cass. pen. n. 6926/1992

La norma di cui all'art. 443 c.p., che sanziona la detenzione di medicinali guasti o imperfetti, stabilisce una presunzione iuris et de iure di pericolosità di detti farmaci, per cui non occorre alcuna prova in concreto della loro pericolosità. Tra i medicinali inefficaci o comunque imperfetti devono ricomprendersi quelli scaduti, la cui detenzione è sanzionata indipendentemente dalla sua durata rispetto alla data di scadenza. È noto, infatti, che il limite di validità nell'impiego terapeutico è posto in relazione alle modificazioni che intervengono nel medicinale successivamente alla sua produzione, onde la inefficacia, o la diminuita efficacia terapeutica che consegue alla minore concentrazione del principio farmacologicamente attivo contenuto nel medicamento scaduto di validità rende lo stesso imperfetto, sicché inutile si appalesa l'accertamento in ordine alla durata della detenzione del farmaco scaduto essendo tale circostanza irrilevante.

Cass. pen. n. 1707/1989

Ai fini della configurabilità del reato di cui all'art. 443 c.p., è sufficiente la violazione delle norme che prevedono una scadenza nella commerciabilità dei farmaci (nella specie, della circolare 7 marzo 1983, n. 27 del Ministero della sanità), a nulla rilevando la sussistenza di un pericolo per la salute pubblica.

È configurabile il concorso tra il delitto di cui all'art. 443 c.p. e la contravvenzione prevista dall'art. 169 R.D. 27 luglio 1934, n. 1265, concernente la vendita di specialità non registrate o di cui sia stata revocata la registrazione, data la diversità dei beni protetti, tendendo il primo alla tutela della pubblica incolumità, e specificamente della salute pubblica, dai fatti di comune pericolo e la seconda alla tutela del servizio farmaceutico.

Cass. pen. n. 11040/1987

La norma di cui all'art. 443 c.p. attiene alla presunzione iuris et de iure della pericolosità dei farmaci guasti o imperfetti, per cui non occorre alcuna prova della loro pericolosità.

Cass. pen. n. 6862/1986

In virtù della disciplina normativa vigente, deve ritenersi «imperfetto» il medicinale che viene posto in commercio alterato nella data di scadenza del periodo di validità cioè in uno dei dati già assoggettati a registrazione.

Cass. pen. n. 8936/1985

Perché un medicinale possa ritenersi imperfetto ai sensi dell'art. 443 c.p. non occorre che sia pericoloso o nocivo, ma è sufficiente che sia privo dei necessari elementi che lo compongono o che non abbia una giusta dosatura dei vari componenti medicamentosi così da risultare inefficace o che presenti una composizione diversa da quella dichiarata sull'astuccio o infine non risulti preparato secondo le rigorose prescrizioni scientifiche.

Cass. pen. n. 7381/1980

Ricorre la qualificazione giuridica del delitto di commercio o somministrazione di medicinali guasti, quando si detengono, si pongono in commercio o si somministrano sostanze medicinali guaste, cioè corrotte o deteriorate per cause naturali, o imperfette, cioè difettose dei necessari elementi o della giusta dosatura o, comunque, affette — data l'amplissima accezione dell'aggettivo «imperfetto» — da qualsiasi altro vizio originario o sopravvenuto che le renda inidonee allo scopo o addirittura pericolose. La vendita o la somministrazione di medicinali con termine di validità scaduto, integrano i delitti di commercio o somministrazione di medicinali guasti.

Cass. pen. n. 1503/1966

Il reato ipotizzato nell'art. 443 c.p. sussiste quando non si possa parlare né di contraffazione né di adulterazione.

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Consulenze legali
relative all'articolo 443 Codice Penale

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Raniero D. G. chiede
domenica 21/02/2021 - Abruzzo
“Il PM ha avanzato richiesta di rinvio a giudizio nei miei confronti ai sensi degli art. 110 e 443 cpp quale Direttore di U.O di Cardiologia ospedaliera dopo rinvenimento da parte dei NAS di 2 farmaci scaduti sul carrello della terapia. Preciso che su mia disposizione il coordinatore infermieristico faceva effettuare regolari controlli sui carrelli e negli armadietti da parte degli infermieri. Tali disposizioni erano scritte, nominative e prevedevano la firma sui report da parte degli infermieri indicati. Così è stato addirittura la settimana precedente il controllo dei carabinieri. Tutto questo è stato da me verbalizzato nell'interrogatorio dei NAS dove precisavo che è fuori dalle competenze del Primario il controllo sulla conservazione dei farmaci e comunque nel caso in questione non poteva essere invocata neanche una generica colpa in vigilando ( e per i controlli predisposti ed effettuati e perché per quanto di mia conoscenza l'onere del controllo sulla conservazione dei farmaci è in capo al coordinatore infermieristico). Gradirei un vostro parere, grazie, cordiali saluti.”
Consulenza legale i 26/02/2021
Nel caso di specie il Pubblico Ministero formula richiesta di rinvio a giudizio per il Direttore di U.O. Cardiologia ospedaliera per il reato di cui all’art. 443 c.p., in concorso ex art. 110 c.p. con il proprio coordinatore infermieristico e, probabilmente (anche se non si evince dal quesito) con gli altri medici ed infermieri presenti in reparto al momento del controllo da parte dei carabinieri.
Il quesito merita di essere analizzato in ogni dettaglio al fine di fornire la strategia difensiva più idonea al cliente.
Il primo elemento da considerare consiste nell’affermazione in base alla quale l'imputato avrebbe dato “disposizione” al coordinatore infermieristico affinché affidasse agli infermieri il compito di effettuare controlli sui carrelli e negli armadietti del reparto di cardiologia.
Tale “disposizione”, data dal Primario al coordinatore infermieristico, va inquadrata correttamente: qualora la stessa sia qualificabile come una delega di funzioni (ex art. 16 d.lgs. 81/2008) si può ipotizzare un trasferimento della responsabilità da un soggetto ad un altro, ripartendo così il c.d. debito prevenzionistico.
In questo senso si può costruire una linea processuale difensiva basata sull’assenza di responsabilità penale, per il fatto di esame, in capo al Primario in quanto “trasferita” ad altro soggetto all’interno della medesima struttura.
Tuttavia, dal tenore del testo del quesito posto, non si comprende se tale delega sia stata realizzata e, eventualmente, con quali forme.
Qualora questa non sia stata posta in essere, permane la responsabilità penale del Primario che, a differenza di altre figure quale quella del Direttore sanitario, svolge la propria attività lavorativa in reparto a stretto contatto con i suoi collaboratori. In tal senso il reato di riferimento è proprio l’art. 443 c.p., che punisce la condotta di detenzione di medicinali guasti o imperfetti per il commercio, la messa in commercio dei medesimi o la somministrazione degli stessi.
Sul punto la giurisprudenza di legittimità e di merito (v. Cass. Pen., Sez. I, n. 24704 del 26.02.2015; Trib. Bari, Sez. II, sent. 27.03.2017) hanno precisato che la detenzione per il commercio, richiamata dalla norma incriminatrice, non è assimilabile alla detenzione finalizzata alla mera somministrazione.
Questo risulterebbe possibile solo ricorrendo all'analogia in malam partem, cosa che si porrebbe in violazione dei principi di legalità e tassatività della norma penale.
Peraltro va precisato che l’ispezione del Nucleo Antisofisticazione e Sanità dei carabinieri accerta solamente la presenza di due farmaci scaduti nel reparto, non la loro effettiva somministrazione ai pazienti.
In aggiunta l’elemento soggettivo del reato in esame è costituito dal dolo generico, inteso quale consapevolezza da parte dell’agente, da accertarsi anche mediante significativi indici di riferimento esteriori. E questo aspetto si collega con il fatto che, nel caso di specie, i carabinieri non rinvengono un ingente quantità di farmaci scaduti, bensì solo due.
Per questi motivi la fattispecie in esame non rientrerebbe compiutamente all’interno della disciplina della norma di cui all’art. 443 c.p.
Merita, per completezza, di essere valutata la possibilità che la condotta del Primario di cardiologia integri un’ipotesi di tentativo ai sensi dell’art. 56 c.p. in combinato disposto con l’art. 443 c.p.
Pur essendo configurabile il tentativo, lo stesso è un reato strutturalmente doloso. Infatti la condotta che viene posta in essere, deve costituire atto idoneo diretto in modo non equivoco alla somministrazione ed essere altresì accompagnata dalla consapevolezza del guasto o della imperfezione del medicinale.
La giurisprudenza di legittimità ha escluso che possa sussistere il tentativo con un reato che non sia punito a titolo di dolo. Risulta ammissibile il dolo eventuale purché si dimostri che l’imputato fosse consapevole che alcuni dei medicinali presenti nel suo reparto fossero scaduti.
La condotta, così come sviluppatasi, dovuta a mera colpa, nello specifico a negligenza, non può essere punita a titolo di tentativo.
Sulla base di quanto esposto, possono trarsi le seguenti conclusioni.
Dal punto di vista sostanziale, possiamo propendere per l’assenza di vincolo di concorso ex art. 110 c.p., contestualmente all’assenza di responsabilità penale ex art 443 c.p. in capo al direttore del reparto di cardiologia perché il fatto non costituisce reato.
Dal punto di vista processuale, possiamo puntualizzare alcuni aspetti.
Pur essendosi già svolto l’interrogatorio di carattere investigativo da parte della polizia giudiziaria, come si evince dal testo del quesito, consigliamo in linea generale di non presentare il consenso ad essere interrogato ma, eventualmente, rendere unicamente spontanee dichiarazioni, e di non prestare il consenso all’acquisizione degli atti del fascicolo del Pubblico Ministero in quello del Giudice del dibattimento.
Inoltre, in sede processuale sconsigliamo di chiedere l’applicazione della pena (c.d. patteggiamento) ex art. 444 c.p.p. in quanto, trattandosi di medico inserito all’interno di una struttura ospedaliera, verrebbe in rilievo ai fini disciplinari l’art. 653, comma 1 bis c.p.p. (in quanto ciò comporterebbe, all'esito del processo penale, un procedimento disciplinare nei confronti del medico, con riflessi negativi sull’esercizio dell’attività professionale).
Sconsigliamo anche di chedere il rito abbreviato in quanto, nel caso di specie, l’istruttoria dibattimentale potrebbe far emergere dettagli assolutamente rilevanti ai fini di una possibile assoluzione ex art. 530 c.p.p. Peraltro, paradossalmente, talvolta le sentenze emesse all’esito di un giudizio abbreviato, pur trattandosi di un rito alternativo caratterizzato da uno sconto di pena, comminano pene più elevate di quelle emesse all’esito di un giudizio ordinario.
Suggeriamo, quindi:
- di affrontare il dibattimento, focalizzando l’attenzione sulla fase dell’esame e controesame dei testi, eventualmente reperibili, al fine di far emergere come la condotta del direttore del reparto di cardiologia, ed in generale quella tenuta all’interno del reparto stesso, non rientri assolutamente nella disciplina testuale dell’art. 443 c.p.;
- di chiedere, in sede di discussione, in via principale l’assoluzione ex art. 530 c.p.p. perché il fatto non costituisce reato e, in subordine, dato l’esiguo numero di medicinali non conformi che sono stati rinvenuti e considerati i minimi e i massimi edittali previsti dalla norma dell’art. 443 c.p., la non punibilità per tenuità del fatto.

Giuseppina R. chiede
sabato 12/05/2018 - Abruzzo
“Nell'ipotesi di accertamento ad opera dei Nas alle ore 9.30 del mattino su un borsone di un medico del servizio 118 e del conseguente rinvenimento, così come verbalizzato di n.6 fiale scadute da gg.10, la responsabilità penale ex art. 443 può essere estesa anche al medico del medesimo servizio del turno precedente 20.00/8.00, che non ha effettuato alcuna prestazione nel proprio turno, e che ha abbandonato il servizio alle ore 8.05 vale a dire un'ora e mezza prima dell'avvento accertamento fuoriuscendo in tal modo dalla sfera giuridica e del controllo del borsone?”
Consulenza legale i 19/05/2018
Il caso da Lei presentato prospetta alcuni profili di criticità:

1) In primo luogo è dubbia la stessa configurabilità dell’art. 443 c.p. nel caso di detenzione di farmaci scaduti al fine di un’eventuale somministrazione.
La disposizione del codice, infatti, punisce tre condotte: la detenzione per il commercio, la somministrazione e la commercializzazione.

Il caso da Lei presentato, in prima battuta non sembrerebbe corrispondere a nessuna di queste tre condotte sostanziandosi in una fattispecie ulteriore e diversa, ovvero la detenzione per la somministrazione, non prevista e non punita dalla norma.

Rispetto a questa situazione la giurisprudenza ha peraltro assunto nel corso del tempo un atteggiamento altalenante: ci sono state sentenze che hanno punito la condotta di detenzione per somministrazione ai sensi dell’art. 443 o equiparandola alla detenzione per commercializzazione o punendola a titolo di tentata somministrazione. Altre sentenze, invece, hanno ritenuto tale condotta penalmente irrilevante ritenendo che la detenzione per somministrazione non possa essere equiparata alla detenzione per commercializzazione poiché, se così si facesse, si violerebbe uno dei principi fondamentali del diritto penale, ovvero il divieto di analogia (il divieto di applicare una fattispecie incriminatrice ad un caso che non vi rientri espressamente). Certamente quest'ultima apparirebbe come la interpretazione più corretta e condivisibile, seconda ragionevolezza.

Tutto ciò premesso, dunque, è già dubbio che la mera detenzione al fine di somministrazione integri il reato di cui all’art. 443 c.p.


2) Anche volendo ritenere che la condotta di detenzione al fine di somministrazione possa essere punita ai sensi dell’art. 443 c.p., rispetto alla posizione del medico del turno precedente, tuttavia, paiono esservi ulteriori problematiche da analizzare, in particolare attinenti alla prova del reato.

Nel momento in cui, infatti, i Nas compiono la perquisizione ed accertano la presenza di medicinali scaduti, il medico del turno precedente ha già lasciato il borsone da oltre un’ora e mezza e sarà molto difficile, dunque, dire con certezza che i medicinali scaduti erano stati detenuti dallo stesso, nel turno precedente.

Pare poco probabile, anche se rimesso alla scelta del pubblico ministero, che venga contestato il reato al medico del turno precedente. Qualora, tuttavia, vi fosse la prova che i medicinali fossero stati già detenuti dal medico del turno precedente e che questi li deteneva al fine di somministrarli, non si può escludere, a priori, che venga indagato per il reato di cui all’art. 443 c.p., anche se, come predetto, pare poco probabile e, se anche accadesse, ci sarebbero ampi margini per difendersi.