L'
eccesso colposo è
applicabile a tutte le cause di giustificazione, compreso il consenso dell'avente diritto, e ad altre scriminanti previste in
leggi speciali, anche se non espressamente contemplato dall'articolo, in quanto
principio generale della responsabilità penale.
Per l'operatività del principio in esame è richiesta la presenza di alcune condizioni:
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la presenza di tutti gli elementi della scriminante rilevante nel caso specifico;
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il colposo superamento dei limiti tracciati dalla scriminante;
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la punibilità a titolo di colpa della condotta eccedente i limiti.
Vi possono essere due modalità tramite cui incorrere nell'eccesso colposo:
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l'eccesso nei mezzi, ovvero il colpevole valuta correttamente i limiti entro cui agire o reagire, ma per errore nell'esecuzione, travalica colposamente i limiti suddetti;
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l'errore nel fine che si ha invece quando il colpevole sbagli nel valutare i limiti entro cui potrebbe legittimamente agire o reagire.
Essendo un reato strutturalmente colposo, esso andrà valutato secondo i crismi di cui all'art.
43 comma 3.
///SPIEGAZIONE ESTESA
L’art. 55 contempla la possibilità che l’autore del fatto di reato, pur scriminato, ecceda colposamente “i limiti stabiliti dalla legge o dall’ordine dell’Autorità ovvero imposti dalla necessità”.
I presupposti della scriminante, quindi, sono effettivamente esistenti; tuttavia l’agente, per colpa, supera i limiti oggettivi per la stessa stabiliti.
Il risultato prodotto dall’agente può essere causato, alternativamente, da un erroneo convincimento circa la situazione di fatto esistente, oppure, pur in presenza di una situazione correttamente valutata, da un errore nell’esecuzione della condotta posta in essere.
In particolare, spunti interessanti rivela l’art. 55 con riferimento alla scriminante della
legittima difesa, disciplinata dall’art.
52 c.p..
Per comprendere se vi sia stato un colposo superamento dei limiti stabiliti dalle leggi, occorrerà guardare alla inadeguatezza della reazione difensiva dell’aggredito, anche a causa dei mezzi particolarmente violenti utilizzati.
Ovviamente, occorrerà in tal caso, come anche nel caso delle altre scriminanti, che l’eccesso sia del tutto involontario, ricadendo altrimenti il comportamento nella sfera della condotta dolosa, autonomamente punibile.
L’art. 2 comma 1 della L. 26 aprile 2019 n. 36. ha introdotto nella disposizione in commento un secondo comma, in armonia con la riforma della legittima difesa che ha inciso in primo luogo sull’art.
52 c.p..
Il secondo comma prevede che “nei casi di cui ai commi secondo, terzo e quarto dell'articolo 52, la punibilità è esclusa se chi ha commesso il fatto per la salvaguardia della propria o altrui incolumità ha agito nelle condizioni di cui all'articolo 61, primo comma, n. 5) ovvero in stato di grave turbamento, derivante dalla situazione di pericolo in atto”.
È quindi stata inserita, ad opera del legislatore della riforma, una causa di non punibilità per colui che abbia agito:
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in condizioni di minorata difesa, tipizzate nell’art. 61 n. 5 c.p. come circostanze di tempo, di luogo o di persona, anche in riferimento all’età, tali da ostacolare la pubblica o privata difesa. La minorata difesa andrà accertata in concreto dal giudice di volta in volta, tant’è che la giurisprudenza, con sentenza 6 marzo 2018, n. 15214, ha affermato che “solo un accertamento in concreto, caso per caso, delle condizioni che consentano, attraverso una complessiva valutazione, di ritenere effettivamente realizzata una diminuita capacità di difesa sia pubblica che privata è idoneo ad assicurare la coerenza dell’applicazione della circostanza aggravante con il suo fondamento giustificativo”;
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in uno stato di grave turbamento, derivante dalla situazione di pericolo in atto.
Il requisito dello stato di grave turbamento, per la sua connotazione psicologica, ha sollevato diverse critiche della dottrina, la quale ha osservato come l’eccesso colposo nel commettere un fatto scriminato attenga solitamente a requisiti di tipo oggettivo, obiettivamente verificabili
Il grave turbamento costituisce un requisito non solo “elastico”, ma addirittura vago e indeterminato, esponendosi per questo a censure di illegittimità costituzionale, per contrasto con il principio di legalità, del quale la determinatezza e la tassatività della fattispecie costituiscono inderogabile corollario, presidiato dall’
art. 25 Cost..
Inoltre, ha osservato la dottrina, un risultato analogo avrebbe potuto essere raggiunto (e così ha fatto la giurisprudenza in diverse pronunce), tramite l’applicazione del quarto comma dell’art.
59 c.p., considerando che lo stato di paura dell’aggredito possa essere stato provocato da un errore di percezione in merito alla gravità della situazione di fatto.
Il “grave turbamento” è stato associato alla categoria, di creazione dottrinale, della inesigibilità.
Si è ritenuto, infatti, che il soggetto che agisca in uno stato di grave turbamento emotivo non sia libero di determinarsi, e agisca anzi preda di un istinto di “sopravvivenza” dato dalla paura dovuta dalle circostanze, che rende quindi inesigibile il comportamento che avrebbe avuto un “agente modello” in una situazione astrattamente diversa.
Tale nuova nozione di “grave turbamento” va poi posta in relazione con altri istituti simili, già presenti nell’ordinamento penale, volti in qualche modo, pur con delle precisazioni, a dare rilievo agli “stati emotivi” dell’agente.
Innanzitutto, istituto che presenta della analogie con la nozione di grave turbamento è quello della provocazione, attenuante prevista dal n. 2 dell’
art. 62 del c.p., il quale prevede che il reato è attenuato quando l’agente ha posto in essere la condotta reagendo, in
stato d’ira, ad un
fatto ingiusto altrui.
Tuttavia, mentre nel caso dell’art. 55 la reazione dovrà essere strettamente contestuale rispetto all’aggressione, si ritiene che, nel caso della provocazione, la risposta possa anche arrivare “a freddo” in un momento successivo rispetto all’azione aggressiva.
In secondo luogo, l’
art. 90 del c.p. prevede che “
gli stati emotivi o passionali non escludono né diminuiscono l'imputabilità”.
Sebbene la giurisprudenza abbia cercato di attenuare il rigore di quest’ultima disposizione, permettendo al giudice di incidere se non nell’”an” almeno sul “quantum” della pena, concedendo le circostanze attenuanti generiche, non ci si era mai spinti prima d’ora fino ad attribuire una rilevanza autonoma allo stato emotivo del soggetto agente, ed è questa la portata innovativa del secondo comma dell’art. 55.
Nonostante i primi commentatori abbiano riscontrato non poche difficoltà in ordine alla individuazione degli stati psicologici che possono integrare il “grave turbamento”, un punto sembra certo: quello per cui la reazione dell’aggredito deve essere esclusivamente volta al respingimento e all’autoconservazione, mai all’attacco o, addirittura, alla punizione.
Risulta evidente come l’applicazione della norma de quo solleverà particolari difficoltà soprattutto con riguardo alla dimensione probatoria, a causa delle note difficoltà di accertamento da sempre riscontrate in giurisprudenza quando si tratti di analizzare atteggiamenti psicologici interni del soggetto agente (si pensi in tal senso agli indici presuntivi elaborati dalla giurisprudenza al fine di distinguere, in modo più obiettivo, tra l’ipotesi del dolo eventuale e quella della colpa cosciente o alle difficoltà riscontrate ai fini della determinazione del “perdurante e grave stato di ansia e di paura” richiesto per la configurazione del reato di stalking).
In ogni caso, di fondamentale importanza risulterà l’analisi del contesto e delle circostanze nelle quali si è svolta la reazione all’aggressione (tra cui rientrano in generale le circostanze di tempo e luogo), che permetteranno di conferire un aspetto di obiettività ad uno stato emotivo che potrebbe altrimenti risultare, a causa della sua soggettività, oggetto di un accertamento altamente discrezionale.
///FINE SPIEGAZIONE ESTESA