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Articolo 545 Codice di procedura penale

(D.P.R. 22 settembre 1988, n. 447)

[Aggiornato al 30/11/2024]

Pubblicazione della sentenza

Dispositivo dell'art. 545 Codice di procedura penale

1. La sentenza è pubblicata in udienza dal presidente o da un giudice del collegio mediante la lettura del dispositivo.

2. La lettura della motivazione redatta a norma dell'articolo 544 comma 1, segue quella del dispositivo e può essere sostituita con un'esposizione riassuntiva.

3. La pubblicazione prevista dal comma 2 equivale a notificazione della sentenza per le parti che sono o devono considerarsi presenti all'udienza [475 2, 488 2](1).

Note

(1) Si considera presente, ad esempio, l'imputato allontanato o espulso dall'udienza a norma dell'art. 475.

Ratio Legis

La lettura del solo dispositivo è sufficiente a determinare una valida pubblicazione della sentenza, ma occorre la lettura o l'esposizione riassuntiva anche della motivazione perchè tale pubblicazione equivalga a notificazione.

Spiegazione dell'art. 545 Codice di procedura penale

Prima di procedere con la spiegazione, è necessario premettere che ciò che più interessa le parti (soprattutto l'imputato) è la conoscenza dei motivi, dato che dal momento in cui avviene la pubblicazione di questi ultimi iniziano a decorrere i termini per l'impugnazione (v. a proposito art. 585).

Quanto appena scritto trova puntuale conferma nell'articolo in esame, posto che per quanto riguarda la pubblicazione del solo dispositivo il comma 1 equipara le parti presenti alle parti non presenti. Per entrambi la lettura del dispositivo in udienza vale come pubblicazione.

Per contro, la lettura della motivazione redatta contestualmente ai sensi dell'articolo 544, comma 1 equivale a pubblicazione (e quindi a notificazione) solo nei confronti delle parti presenti o da considerarsi tali.

Se, dunque, la parte è presente o deve considerarsi tale, dalla lettura in udienza della motivazione decorre il termine di quindici giorni per impugnare.

Massime relative all'art. 545 Codice di procedura penale

Cass. pen. n. 22736/2011

Il contrasto tra dispositivo e motivazione non determina nullità della sentenza, ma si risolve con la logica prevalenza dell'elemento decisionale su quello giustificativo, potendosi eliminare eventualmente la divergenza mediante ricorso alla semplice correzione dell'errore materiale della motivazione in base al combinato disposto degli artt. 547 e 130 c.p.p..

Cass. pen. n. 18046/2011

Ai fini dell'interruzione della prescrizione rileva il momento della lettura del dispositivo della sentenza di condanna e non quello, successivo, del deposito della sentenza stessa. (Dichiara inammissibile, App. Roma, 15/03/2010).

Cass. pen. n. 29673/2010

Il difetto di collazione della sentenza, che contenga un dispositivo difforme da quello letto in udienza e riferito ad altra pronuncia nei confronti di altro imputato, non invalida la sentenza medesima ma rende inefficace il procedimento di pubblicazione e di comunicazione, sempre che determini incertezza sui contenuti del provvedimento, con la conseguenza del mancato decorso dei termini per l'impugnazione. (Dichiara inammissibile, App. Firenze, 20/02/2009).

Cass. pen. n. 12822/2010

La sentenza pronunciata in appello all'esito di giudizio abbreviato deve essere pubblicata mediante lettura del dispositivo in udienza camerale dopo la deliberazione, e non mediante deposito in cancelleria. Tuttavia, in caso di omessa lettura, la sentenza non è abnorme o nulla, verificandosi una mera irregolarità, che produce effetti però giuridici, impedendo il decorso dei termini per l'impugnazione.

Cass. pen. n. 6221/2006

La sopravvenuta interruzione del collegamento in videoconferenza, che non consenta all'imputato di assistere alla lettura del dispositivo, non determina la nullità della sentenza perché la violazione delle norme sulla pubblicazione della sentenza non è assistita dalla previsione di sanzioni processuali.

Cass. pen. n. 45458/2001

È nulla, ai sensi degli artt. 125, comma 3 e 546, comma 1, lett. E) c.p.p., la sentenza che rechi una motivazione vergata a mano con grafia incomprensibile, non potendo farsi carico alla parte né di un obbligo, non previsto dalla legge e dall'esito incerto, di attivarsi per ottenere una diversa redazione del provvedimento, né del rischio di incorrere medio tempore nella decorrenza dei termini concessi per l'impugnazione.

Cass. pen. n. 21142/2001

È manifestamente infondata la questione di illegittimità costituzionale dell'art. 546 c.p.p. sollevata in riferimento agli artt. 24 e 97 Cost., per la mancata previsione della illeggibilità della sentenza quale causa di nullità, atteso che, a norma dell'art. 116 dello stesso codice, la parte che vi ha interesse può sempre richiedere una copia autentica del provvedimento che sia leggibile.

Cass. pen. n. 6674/1997

In tema di pubblicazione della sentenza, nell'ipotesi di contestuale redazione del dispositivo e della motivazione, è legittimo, sull'accordo delle parti, “dare per letta” la motivazione, con la conseguenza che il termine per la impugnazione decorre da tale fittizia lettura, a norma dell'art. 585, comma secondo, lett. b) c.p.p.

Cass. pen. n. 6026/1996

Se è vero che nei provvedimenti del giudice il dispositivo ha l'essenziale funzione di esprimere la volontà della legge nel caso concreto, è altrettanto vero che il decisum deve essere accertato e chiarito anche alla luce delle ragioni delle decisioni esposte nella parte motiva della sentenza, che rappresenta un tutto organico il cui contenuto va ricostruito mediante il coordinamento con la motivazione anche se quest'ultima, per le sentenze pronunciate a seguito di dibattimento, non può porsi in contrasto con il dispositivo letto in udienza, cui va data prevalenza in caso di difformità.

Cass. pen. n. 851/1996

Allorché l'appello si sia svolto con le forme previste dall'art. 599 c.p.p., e cioè in camera di consiglio, la lettura del dispositivo in udienza, imposta dall'art. 545 stesso codice solo per i processi che si svolgono in dibattimento pubblico, è meramente facoltativa e l'omissione di tale lettura, seguita da regolare deposito in cancelleria, ha come semplice conseguenza lo spostamento della data di pubblicazione della sentenza — e, quindi, del dies a quo ai fini dell'impugnazione — dalla data di udienza a quella dell'avviso di deposito della pronuncia, secondo quanto previsto dall'art. 585, comma 2, lett. a), c.p.p.

Cass. pen. n. 9984/1993

La pubblicazione (art. 545 c.p.p.) e il deposito (art. 548 c.p.p.) della sentenza hanno finalità diverse. La prima conclude la fase della deliberazione in camera di consiglio e consacra la decisione definitiva non più modificabile, il secondo serve a mettere l'atto a disposizione delle parti e segna i tempi dell'impugnazione in determinati casi. Ne consegue che la pubblicazione delle sentenze attiene al dispositivo che contiene la decisione e garantisce l'immediatezza della deliberazione stabilita dall'art. 525 c.p.p. e che il deposito della sentenza non può essere né assorbente né sostitutivo di tale adempimento anche quando dispositivo e motivazione sono contestuali. Ciò vale anche per le sentenze emesse con la procedura dell'art. 599 c.p.p., che devono essere pubblicate immediatamente, mediante redazione del dispositivo contenente la decisione con la data e la sottoscrizione del giudice e del presidente del collegio. La mancata pubblicazione immediata della sentenza nel procedimento svoltosi con il rito della camera di consiglio rappresenta una irregolarità non sanzionata da nullità, non prevista dagli artt. 525 e 545 c.p.p.

Cass. pen. n. 6508/1993

Non è causa di nullità nè, tanto meno, di giuridica inesistenza della sentenza il fatto che il dispositivo della medesima non sia stato letto in udienza (principio affermato, nella specie, in relazione a sentenza d'appello pronunciata all'esito di giudizio camerale, ai sensi dell'art. 599 c.p.p.).

Cass. pen. n. 3005/1993

Nel caso in cui il processo di appello sia stato trattato, ai sensi dell'art. 599 c.p.p., con il rito camerale disciplinato dalla normativa prevista dall'art. 127 stesso codice in quanto applicabile, il provvedimento terminativo può rivestire non la forma dell'ordinanza bensì quella della sentenza, tra i cui requisiti, peraltro, non vi è quello della lettura del dispositivo in udienza, che è previsto solo per i processi che si svolgono con dibattimento «pubblico» (art. 545 c.p.p.).

Cass. pen. n. 5433/1992

Il dispositivo della sentenza emessa a seguito di procedura in camera di consiglio non va pubblicato mediante lettura in udienza, ma mediante deposito della decisione in un momento successivo a quello in cui si è tenuta l'udienza camerale. (Applicazione in tema di giudizio abbreviato).

Cass. pen. n. 183/1992

Nel caso in cui, nell'ambito di procedimento condotto nell'osservanza del codice di rito previgente, il giudice abbia dato pubblica lettura oltre che del dispositivo, anche della motivazione della sentenza (così come è previsto solo dall'art. 545 del codice attuale), non può da ciò farsi derivare, neppure mediante richiamo al disposto di cui all'art. 166, comma IV, c.p.p. (1930), la possibilità di derogare agli adempimenti prescritti dall'art. 151 stesso codice tra cui, in particolare, la notificazione dell'avviso di deposito della sentenza ad ogni titolare del diritto di impugnazione. Ne consegue che il termine per impugnare, anche per la parte che sia stata presente alla lettura, decorre sempre da detta notifica, e non dalla data della decisione.

Cass. pen. n. 12203/1991

Per l'inosservanza delle disposizioni concernenti la pubblicazione della sentenza la legge non prevede alcuna sanzione, sicché la mancata lettura del dispositivo e della motivazione della sentenza comporta unicamente l'effetto di rendere inapplicabile la disposizione dell'art. 545, terzo comma, nuovo codice di procedura penale e di impedire la decorrenza dei termini per l'impugnazione.

Cass. pen. n. 5070/1991

Il principio secondo cui è il dispositivo l'atto nel quale viene estrinsecata la volontà del giudice in ordine all'applicazione della legge al caso concreto, sicché esso non può subire modifiche, integrazioni o sostituzioni con la motivazione, non vale quando la motivazione sia stata resa pubblica, subito dopo il dispositivo, mediante lettura integrale in udienza ai sensi dell'art. 545, comma secondo, nuovo c.p.p. Ciò perché, in tal caso, dispositivo e motivazione concorrono a formare un unico documento e, quindi, è pienamente legittimo interpretarne, od anche integrarne, una parte mediante il contenuto dell'altra.

Cass. pen. n. 1053/1991

Nel caso in cui le attenuanti generiche, concesse all'imputato dal giudice di merito e da questi non menzionate nel dispositivo, siano state esplicitamente indicate nella motivazione, pubblicata e letta congiuntamente a quello, per la stretta ed immediata relazione che viene a stabilirsi tra le due parti della decisione giudiziale, l'espressione della volontà della legge nel caso concreto — che costituisce la funzione essenzionale del disposito — ben può ricevere dalla motivazione elementi di integrazione che, senza snaturarla, la completino e la rendano pienamente intelleggibile (nell'affermare il principio di cui in massima la Cassazione ha rigettato il ricorso proprosto dal P.M. avverso una sentenza di applicazione della pena su richiesta).

Cass. pen. n. 15938/1990

Nei casi in cui la motivazione della sentenza sia stata letta insieme col dispositivo, in pubblica udienza, non si verifica più quell'assoluta prevalenza del contenuto del dispositivo su quella della motivazione, che caratterizzava il sistema processuale previgente, in quanto, in tali casi, entrambi i documenti manifestano a pieno titolo, e con uguale forza probante, la volontà del giudice. (Nella specie il P.M. aveva denunciato violazione di legge, sostenendo che l'omessa menzione delle attenuanti generiche nel dispositivo avrebbe reso inferiore al minimo edittale la pena irrogata).

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Consulenze legali
relative all'articolo 545 Codice di procedura penale

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Anonimo chiede
lunedì 30/05/2022 - Lazio
“Spett.le Brocardi.it

Sono a chiedere il seguente quesito di ordine processual – penale.

In data 10 maggio 2022 ore 10.40 inizia l’udienza dibattimentale ex art. 523 c.p.p. il cui imputato è assente libero.

Il Giudice alle ore 10.50 riserva la Camera di consiglio informando verbalmente alle parti quindi al difensore di fiducia, che il giudizio si sarebbe interrotto e sarebbe continuato alle ore 15.00 del medesimo giorno.

Alle ore 15:00 il Giudice constata l’assenza dell’avvocato di fiducia A.A., che di fatto ha abbandonato la difesa, e si ritira in camera di consiglio senza avere nominato un avvocato di ufficio.

alle ore 15:40, il Giudice ritorna nell’aula di udienza con il dispositivo di sentenza, ma prima di leggere il predetto dispositivo e dunque solo in tal momento ex art. 97, 4°commma c.p.p. nomina il difensore di ufficio B. B. che accetta l’incarico difensivo e quest’ultimo, in totale passività assiste alla lettura del dispositivo di sentenza che condanna l’imputato.

In sostanza il nominato avvocato di ufficio ex art. 97, 4° comma c.p.p. B. B., sia per quanto previsto dal regolamento della difesa di ufficio e soprattutto per quanto stabilito dall’art. 108 c.p.p. avrebbe dovuto chiedere il rinvio dell’udienza ma non l’ha fatto e ciò era quanto mai doveroso anche e non solo dettato dal fatto che l’imputato era assente all’udienza.

In altri termini si è venuta a creare una condizione dell’imputato assente come di seguito precisato:
- abbandono della difesa dell’avvocato di fiducia;
- il Giudice si ritira in camera di consiglio prima di ovviare alla mancata presenza dell’avvocato di fiducia, che lo nomina solamente successivamente dal ritorno della camera di consiglio al fine di dare lettura del dispositivo di sentenza.
- mancata attività di difesa da parte dell’avvocato di ufficio nominato ex art. 97, 4° comma c.p.p.

In definitiva, il Giudice ha letto il dispositivo di sentenza che condanna l’imputato innanzi al difensore di ufficio senza che lo stesso abbia richiesto un termine congruo per prendere cognizione degli atti e per informarsi sui fatti oggetto del procedimento (art. 108 c.p.p.), pure consapevole che si trattava di un abbandono della difesa da parte dell’avv. di fiducia.

Alla luce di quanto prospettato sono a chiedere
- se, e quali motivi di impugnazione in Appello possono essere sollevati;
- se è corretto che il Giudice alla ripresa dell’udienza delle ore 15:00 quindi a udienza ancora non conclusa seppure consapevole che l’avvocato di fiducia aveva abbandonato la difesa è comunque entrato nella camera di consiglio senza la presenza in aula di checchessia avvocato dell’imputato, tanto è vero che provvedeva a nominare di ufficio l’avv. B. B. non prima di entrare nella camera di consiglio ma dopo per la lettura del dispositivo di sentenza.
-se la condotta di non avere richiesto il rinvio dell’udienza dell’avv. B. B. nominato di Ufficio dal Giudice è corretta. Va detto che l’avvocato di ufficio nominato, si è trovato davanti ad un fatto compiuto per la mera lettura del dispositivo.
Si ritiene che il Giudice avrebbe dovuto nominare l’avv. di ufficio in sede di riapertura dell’udienza del pomeriggio alle ore 15:00, prima di entrare nella camera di consiglio e non dopo come nel caso di specie. Tale comportamento del Giudice sembra che sia posto in essere per eludere una ipotizzata richiesta dell’avv. di ufficio al rinvio di udienza come previsto dall’ordinamento.

Cordialità
Consulenza legale i 31/05/2022
Quanto accaduto è del tutto regolare e non configura alcuna irritualità o profilo di illegittimità da parte del giudicante.

Dal verbale di udienza è dato evincersi che la stessa era funzionale a recepire eventuali repliche del Pubblico Ministero alla discussione della difesa.
Non essendovi state repliche il giudicante, come spesso accade e come è prassi in molti altri Tribunali, ha rinviato ad horas l’udienza per la camera di consiglio e per dare lettura del dispositivo.
In tali casi è onere del difensore du fiducia attendere il giudicante che, di solito, rende noto l’orario al quale procederà alla lettura del dispositivo; in assenza di tale comunicazione, il difensore ha comunque tutto il diritto (e il dovere) di chiedere tale informazione al giudice per assistere alla lettura del dispositivo.
Ciò detto, nel caso di specie l’unica condotta “scorretta” sembra essere stata quella del difensore di fiducia che non solo non ha assistito alla lettura del dispositivo ma neanche si è premurato di designare un sostituto per tale incombente.

Quanto alla condotta del giudice, la stessa è del tutto corretta.
Si noti che il Tribunale ha proceduto alla designazione di un difensore d’ufficio ex art. 97 comma quarto c.p.p. e, dunque, di un difensore “immediatamente reperibile”.
A tale formalità il giudice procede allorché una delle parti necessarie del processo (il difensore dell’imputato, appunto) manchi senza alcuna giustificazione.

Dal canto suo, il difensore d’ufficio non avrebbe affatto potuto chiedere un termine a difesa stante il fatto che tale termine viene concesso solo laddove il difensore – appena nominato – non abbia avuto il tempo e il modo di visionare il fascicolo e preparare la difesa. Circostanza, questa, che non ricorre nel caso di specie in considerazione del fatto che il difensore dell’imputato non può esperire alcuna attività difensiva nel corso della mera lettura del dispositivo.

Francesco L. chiede
sabato 14/05/2016 - Lombardia
“Il 22.08.2014A seguito di urto contro un cordolo il veicolo da me guidato si metteva di traverso rispetto all sede stradale. Agenti carabinieri in servizio di pattuglia rilevavano l'incidente e mi accertavano un tasso alcolico di 1.95. Non mi ritiravano la patente che due mesi dopo pero' mi veniva sospesa cautelativamente dal Prefetto per 6 mesi. Agenti della polizia municipale provvedevano a ritirami la patente.
Proponevo ricorso al giudice di pace adducendo il fatto che non ero bevitore abituale, che non mi era mai successo in 45 anni patente un fatto del genere, che erano le 17 del pomeriggio, che tornavo da un pranzo di lavoro con potenziali clienti americani per cercare di ottnere una grossa commessa dove ero in concorrenza con i tedeschi, che non avevo causato alcun danno ne' a me stesso ne' a terzi ect. etc. etc. presentavo esami clinici perfettamente in ordine ed il giudice di pace deliberava la restituzione della patente e questo dopo soli 2 mesi dal ritiro. Procedeva comunque il penale e nell'ottobre 2015 il giudice onorario del Tribunale ordinario di Brescia all'udienza, io assente e presente il mio avvocato sentenziava invece la revoca della mia patente per 3 anni. La sentenza veniva depositata in cancelleria il 21.12.2015. Ovviamente il mio avvocato aveva già l'incarico di ricorrere in Cassazione .
La sentenza non mi viene notificata, ma pare che non sia piu' necessario ma tocchi al difensore ritirarla e ricorrere.
Il mio difensore invece, convinto che gliela debbano notificare non ritira la sentenza, non la impugna e lascia decorrere i termini.
Ora la stessa è esecutiva e passata in giudicato. Il dispositivo di revoca che spetta penso al Prefetto non mi è ancora stato notificato ma puo' succedere da un momento all'altro. Io faccio l'imprenditore e la revoca di tre anni di patente mi crea pregiudizi e danni enormi. Cosa posso fare ? E' ancora possibile in qualche maniera impugnare o revisionare questa sentenza ?
Grazie per la rapida risposta e cordiali saluti
dr. Francesco L.”
Consulenza legale i 24/05/2016
Proprio in data 22/8/2014 – quando cioè si è verificato il fatto di cui al quesito esposto e che ha dato origine al procedimento penale in oggetto – è entrata in vigore una legge di riforma del codice di procedura penale riguardante lo svolgimento del giudizio in assenza o in contumacia dell’imputato, la Legge 28 aprile 2014, n. 67.

Nel processo penale, prima di questa riforma - nel momento in cui, al processo, il giudice verificava la regolare costituzione delle parti in udienza preliminare o in dibattimento - l’imputato poteva essere:
1) presente, se presente materialmente in aula;
2) assente, se, nonostante avesse avuto un impedimento, aveva chiesto o acconsentito a che l’udienza si tenesse comunque anche se lui non era presente;
3) contumace, quando, anche se regolarmente citato in giudizio, non compariva in udienza senza che sussistesse un legittimo impedimento.
In quest’ultimo caso, la sentenza veniva sempre notificata – anche se per estratto - per estratto al contumace.

Con la riforma, il processo può svolgersi in assenza dell’imputato solo in alcune ipotesi tassative: l’art. 9, infatti, della citata legge n. 67/2014, nel sostituire il testo dell’art. 420-bis del c.p.p., ora rubricato “Assenza dell’imputato” prevede:
- la “rinuncia espressa”: quando l'imputato, libero o detenuto, non sia presente all'udienza e, anche se impedito, abbia espressamente rinunciato ad assistervi; precisa a tal proposito il nuovo art. 420 bis c.p.p., 1° comma: “1. Se l'imputato, libero o detenuto, non è presente all'udienza e, anche se impedito, ha espressamente rinunciato ad assistervi, il giudice procede in sua assenza.
- la “rinuncia tacita”, quando sussistano determinate condizioni e/o specifici fatti dai quali il giudice possa desumere la conoscenza del processo da parte dell’imputato (nuovo art.420-bis, secondo comma): “2. Salvo quanto previsto dall'articolo 420-ter, il giudice procede altresì in assenza dell'imputato che nel corso del procedimento abbia dichiarato o eletto domicilio ovvero sia stato arrestato, fermato o sottoposto a misura cautelare ovvero abbia nominato un difensore di fiducia, nonché nel caso in cui l'imputato assente abbia ricevuto personalmente la notificazione dell'avviso dell'udienza ovvero risulti comunque con certezza che lo stesso è a conoscenza del procedimento o si è volontariamente sottratto alla conoscenza del procedimento o di atti del medesimo.” Il 420-ter menzionato riguarda i casi di impedimento incolpevole (“1. Quando l'imputato, anche se detenuto, non si presenta all'udienza] e risulta che l'assenza è dovuta ad assoluta impossibilità di comparire per caso fortuito, forza maggiore o altro legittimo impedimento, il giudice, con ordinanza, anche d'ufficio, rinvia ad una nuova udienza e dispone che sia rinnovato l'avviso all'imputato, a norma dell'articolo 419, comma 1; .2. Con le medesime modalità di cui al comma 1 il giudice provvede quando appare probabile che l'assenza dell'imputato sia dovuta ad assoluta impossibilità di comparire per caso fortuito o forza maggiore”. Il legislatore ha così voluto porre rimedio a situazioni equivoche o comunque dubbie, stabilendo espressamente che il giudice ricolleghi a specifici fatti la conoscenza del processo da parte dell’imputato
- infine la volontaria sottrazione alla conoscenza del procedimento o di atti dello stesso.

E’ stata poi resa obbligatoria la sospensione del procedimento nei confronti del soggetto assente ma che “senza colpa” risulti irreperibile: “1. Fuori dei casi previsti dagli articoli 420-bis e 420-ter e fuori delle ipotesi di nullità della notificazione, se l'imputato non è presente il giudice rinvia l'udienza e dispone che l'avviso sia notificato all'imputato personalmente ad opera della polizia giudiziaria.
2. Quando la notificazione ai sensi del comma 1 non risulta possibile, e sempre che non debba essere pronunciata sentenza a norma dell'articolo 129, il giudice dispone con ordinanza la sospensione del processo nei confronti dell'imputato assente.

Premesso il quadro normativo generale, per tornare al quesito che ci occupa, dopo la riforma la sentenza non viene più notificata al contumace, ma la semplice lettura del dispositivo in udienza sostituisce la notifica.
L’art. 545 c.p.p., infatti, recita: “Pubblicazione della sentenza.1. La sentenza è pubblicata in udienza dal presidente o da un giudice del collegio.
2. La lettura della motivazione redatta a norma dell'articolo 544 comma 1 segue quella del dispositivo e può essere sostituita con un'esposizione riassuntiva.
3. La pubblicazione prevista dal comma 2 equivale a notificazione della sentenza per le parti che sono o devono considerarsi presenti all'udienza.

Nel caso in esame, si rientra proprio nell’ultima ipotesi prevista dalla norma, ovvero quella della presenza del difensore in udienza: tale eventualità è considerata dal legislatore della riforma tra quelle in cui si presume la conoscenza del processo da parte del contumace e, di conseguenza, non è necessario che a quest’ultimo venga notificata la sentenza.

Il difensore ha, quindi, purtroppo errato nel ritenere che quest'ultimo provvedimento gli sarebbe stata comunicato d'ufficio, probabilmente perché ha fatto riferimento alla vecchia disciplina del codice di procedura penale mentre, a quell’epoca, le nuove norme erano già entrate in vigore (lo si ripete, dal 22/8/2014).

Il decorso del termine di impugnazione ha, purtroppo, precluso ogni possibilità di modificare l’esito del giudizio.
Si dovrebbe, infatti, vincere la presunzione di legge per la quale la presenza del difensore in udienza costituisce prova della conoscenza del giudizio da parte dell’imputato: la prova contraria, evidentemente, è pressoché impossibile, dal momento che, nel quesito stesso, l’imputato ammette espressamente di essere stato a conoscenza sia del procedimento che della specifica udienza deputata alla lettura della sentenza, sia infine della presenza del suo difensore di fiducia dal quale, anzi, si attendeva proprio di conoscere l’esito del giudizio.