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Articolo 36 Codice di procedura penale

(D.P.R. 22 settembre 1988, n. 447)

[Aggiornato al 30/11/2024]

Astensione

Dispositivo dell'art. 36 Codice di procedura penale

1. Il giudice ha l'obbligo di astenersi:

  1. a) se ha interesse nel procedimento o se alcuna delle parti private o un difensore è debitore o creditore di lui, del coniuge o dei figli;
  2. b) se è tutore, curatore, procuratore o datore di lavoro di una delle parti private ovvero se il difensore, procuratore o curatore di una di dette parti è prossimo congiunto [307 c.p.] di lui o del coniuge;
  3. c) se ha dato consigli o manifestato il suo parere sull'oggetto del procedimento fuori dell'esercizio delle funzioni giudiziarie;
  4. d) se vi è inimicizia grave fra lui o un suo prossimo congiunto e una delle parti private;
  5. e) se alcuno dei prossimi congiunti di lui o del coniuge è offeso [90 c.p.p.] o danneggiato dal reato o parte privata;
  6. f) se un prossimo congiunto di lui o del coniuge svolge o ha svolto funzioni di pubblico ministero;
  7. g) se si trova in taluna delle situazioni di incompatibilità stabilite dagli articoli 34 e 35 e dalle leggi di ordinamento giudiziario(1);
  8. h) se esistono altre gravi ragioni di convenienza(2).

2. I motivi di astensione indicati nel comma 1 lettera b) seconda ipotesi e lettera e) o derivanti da incompatibilità per ragioni di coniugio o affinità, sussistono anche dopo l'annullamento, lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio.

3. La dichiarazione di astensione è presentata al presidente della corte o del tribunale che decide con decreto senza formalità di procedura.

4. Sulla dichiarazione di astensione del presidente del tribunale decide il presidente della corte di appello; su quella del presidente della corte di appello decide il presidente della corte di cassazione(3)(4)(5).

Note

(1) Si veda il regio decreto del 30 gennaio 1941, n. 12.
È una norma di carattere generico in quanto la ricusazione non segue automaticamente all'obbligo di astensione; per tali ragioni si è pronunciata la Corte Costituzionale definendone la portata con la sentenza n. 113/2000: le ragioni di convenienza di cui alla lettera h) devono essere valutate caso per caso. Per cui, nell'ipotesi di concorso di persone, l'aver precedentemente giudicato la posizione di altro imputato non genera a priori motivo di astensione dovendo il giudice, ai sensi della lett. h) dell'art. 36 c.p.p., valutare singolarmente se sussistano o meno ragioni di convenienza.
(3) La causa di astensione dichiarata dal giudice deve essere posta al vaglio di un giudice superiore (ad. es. sulla causa di astensione dichiarata da un giudice del tribunale decide il presidente del tribunale).
(4) Tale comma è stato sostituito dall'art. 172 d.lgs. 19 febbraio 1998, n. 51, con decorrenza dal 2 giugno 1999. Il testo previgente recitava: «4. Sulla dichiarazione di astensione del pretore decide il presidente del tribunale; su quella del presidente del tribunale decide il presidente della corte di appello; su quella del presidente della corte di appello decide il presidente della corte di cassazione». A seguito dell'elisione della figura del pretore il comma 4 dell'art. 36 c.p.p. è stato riformulato rimuovendo il richiamo all'astensione di quella figura.
(5) Relativamente ai procedimenti avanti al giudice di pace, si veda l'art. 10 del decreto legislativo attuativo della legge delega n. 468/ 1999.

Ratio Legis

L'astensione ha un duplice scopo in parte rivolto al magistrato stesso il quale deve essere posto nelle condizioni necessarie a svolgere il proprio incarico senza pressioni di alcun genere; in parte è rivolto alla comunità poichè la generalità dei consociati deve poter avere la garanzia di essere giudicato da un organo terzo e imparziale. Dipende dall'impulso del giudice che responsabilmente decide di astenersi affinchè venga sostituito da altro magistrato appartenente al medesimo ufficio.

Brocardi

Nemo iudex in causa propria

Spiegazione dell'art. 36 Codice di procedura penale

La presente norma e quella successiva (art. 37) presentano una lista tassativa dei casi in cui il giudice è tenuto ad astenersi e/o può essere ricusato, e riguardano ipotesi che riguardano in generale i rapporti del giudice con le parti oppure con la situazione dedotta in giudizio.

Il giudice deve pertanto astenersi:

  • se presenta un interesse personale nel procedimento o se una delle parti private o un difensore è suo debitore o creditore, del coniuge o dei figli;

  • se il giudice ha un particolare rapporto privato con le parti private o con un difensore;

  • se, fuori dalle funzioni giudiziarie, ha preso posizione sull'oggetto del procedimento;

  • se vi sono state cause di inimicizia grave tra il giudice e le parti private;


  • se intercorre un rapporto di parentela, anche del coniuge, con il pubblico ministero;

  • se si trova in una situazione di incompatibilità ai sensi degli articoli 34 e 35 e dalle leggi di ordinamento giudiziario;

  • se esistono non meglio specificate gravi ragioni di convenienza, da valutarsi di volta in volta sulla base del fatto concreto.

Si evince che le principali cause di astensione debbano essere ricollegate ai motivi che determinano la ricusazione del giudice al cui interno debbono essere ricomprese le cause di incompatibilità di cui agli artt. 34-35 c.p.p..

Pertanto l'obbligo di astensione ha una portata più ampia delle predette cause di incompatibilità perchè ricomprende ulteriori ipotesi riconducibili anche ai rapporti familiari del magistrato.

Il magistrato che ritenga sussista una situazione pregiudizievole deve dichiararla affinchè questa possa essere posta all'esame dell'organo giudiziario superiore (presidente del tribunale per un giudice del tribunale, presidente della corte d'appello per il giudici dell'appello e pre il presidente del tribunale, presidente della corte di cassazione per il presidente della corte d'appello). Può essere infatti sostituito solo se sussistono valide e gravi motivazioni.

Il comma 3 prevede inoltre che la dichiarazione di astensione deve essere presentata al presidente della corte o del tribunale, il quale decide con decreto e senza particolari formalità. Più tutelata è invece la decisione circa la ricusazione, di cui al successivo articolo. Da ultimo, sulla dichiarazione di astensione del presidente del tribunale si pronuncia il presidente della corte d'appello, e su quest'ultimo il presidente della corte di cassazione.

Massime relative all'art. 36 Codice di procedura penale

Cass. pen. n. 19292/2015

L'inosservanza da parte del giudice dell'obbligo di astensione riconducibile alle "gravi ragioni di convenienza", di cui all'art. 36, comma primo, lett. h), c.p.p., che non costituisce motivo di ricusazione, non comporta una nullità generale ed assoluta della sentenza, non incidendo sulla capacità del giudice e potendo unicamente rilevare sotto il profilo disciplinare.

Cass. pen. n. 6805/2015

Non costituisce causa di ricusazione del perito, ai sensi dell'art. 36, lett. a) e d), cod. proc. pen., il fatto che questi sia stato oggetto di denunzia penale da parte del ricusante, poiché il sentimento di grave inimicizia, per risultare pregiudizievole, deve essere reciproco, deve cioè nascere o essere ricambiato dal perito e deve trarre origine da rapporti di carattere privato, estranei al processo, non potendosi desumere dal mero trattamento riservato in tale sede alla parte; mentre l'interesse personale quale causa di ricusazione deve circoscriversi all'influenza che per la sfera patrimoniale del ricusato possa avere la soluzione della controversia in un dato senso, la quale non consegue alla presentazione di una denunzia a carico del perito.

Cass. pen. n. 5602/2014

L'inimicizia grave come motivo di ricusazione deve sempre trovare riscontro in rapporti personali estranei al processo ed ancorati a circostanze oggettive, mentre, invece, la condotta endoprocessuale può assumere rilievo solo quando presenti aspetti talmente anomali e settari da costituire sintomatico momento dimostrativo di una inimicizia maturata all'esterno. (In applicazione del principio, la Corte ha escluso che le decisioni prodromiche a quelle sulla colpevolezza o sull'innocenza - quali quelle in materia di ammissione o revoca delle prove, ovvero di rigetto di richieste di definizione anticipata del giudizio ex artt. 129 c.p.p., ovvero, ancora, di ammissione delle parti civili, di rigetto di richieste di rinvio o di fissazione di udienza straordinarie - esulano dal concetto di inimicizia grave, così come da quello di anticipazione indebita del proprio convincimento da parte del giudice).

Cass. pen. n. 16345/2012

Il provvedimento con cui il presidente del tribunale revoca il suo precedente decreto relativo alla decisione sulla dichiarazione di astensione si sottrae, al pari dell'atto revocato, ad ogni forma di gravame, sia per il principio di tassatività delle impugnazioni che per la sua natura non giurisdizionale.

Cass. pen. n. 16720/2011

Non costituisce motivo di "grave inimicizia" tale da legittimare la ricusazione il fatto che quel giudice abbia adottato una decisione sfavorevole alla parte in altro giudizio riguardante altre vicende, pur se detta decisione sia riformata nel successivo grado o smentita dal diverso esito di altri procedimenti, in assenza di ulteriori elementi che denotino la chiara intenzione di arrecare nocumento alla parte. (In motivazione la Corte ha precisato che la composizione collegiale dell'organo giudicante rende ancor meno plausibile l'ipotesi di una sostanziale perversione della funzione giurisdizionale per simili finalità).

Cass. pen. n. 13626/2011

In assenza di una espressa dichiarazione di conservazione di efficacia degli atti nel provvedimento che accoglie la dichiarazione di astensione o di ricusazione, gli atti compiuti in precedenza dal giudice astenutosi o ricusato debbono considerarsi inefficaci.

La dichiarazione di inefficacia degli atti può essere sindacata, nel contraddittorio tra le parti, dal giudice della cognizione, con conseguente eventuale utilizzazione degli atti medesimi.

Cass. pen. n. 42121/2008

È legittimo il provvedimento che accolga la dichiarazione d'astensione parziale di un giudice per le indagini preliminari limitatamente ad alcuni capi d'imputazione e ad un solo imputato, in un procedimento complesso, riguardante numerosi imputati.

Cass. pen. n. 24961/2005

In tema di incompatibilità del giudice ex 34 c.p.p., nel giudizio di cassazione non ricorrono le situazioni di incompatibilità o le altre ragioni di convenienza per l'astensione di cui all'art. 36 c.p.p., se non nel caso in cui un giudice della Corte abbia precedentemente ricoperto il ruolo di giudice o di P.M. nelle fasi di merito relative alla stessa regiudicanda, atteso che come attività pregiudicante ai fini della incompatibilità va intesa quella che implica una valutazione in merito sull'accusa e come sede pregiudicata quella giurisdizionale volta a decidere sul merito stesso dell'accusa o di una misura de libertate, mentre il giudizio di legittimità è destinato al controllo di legalità e non a valutazioni di merito.

Cass. pen. n. 30577/2003

In tema di ricusazione, non integra una ragione sufficiente dell'incompatibilità dei componenti del collegio giudicante il solo fatto che l'imputato abbia sporto querela nei loro confronti, in quanto il sentimento di inimicizia deve essere reciproco e non può derivare da atti o comportamenti del magistrato nella conduzione del processo.

Cass. pen. n. 3853/2003

L'illegittimità del provvedimento di rigetto della dichiarazione di astensione, erroneamente adottato dal Presidente della Corte d'appello o del tribunale, non essendo direttamente sanzionabile nell'ambito della procedura di astensione, deve essere equiparato ad un fatto nuovo che, a norma dell'art. 38 c.p.p., abilita la parte a proporre autonoma dichiarazione di ricusazione.

Cass. pen. n. 2273/2003

In tema di ricusazione, non integra una ragione sufficiente dell'incompatibilità dei componenti del collegio giudicante il solo fatto che l'imputato abbia sporto querela nei loro confronti, in quanto il sentimento di inimicizia deve essere reciproco e non può derivare da atti o comportamenti del magistrato nella conduzione del processo.

Cass. pen. n. 1589/2002

In tema di capacità del giudice, non dà luogo alla nullità prevista dall'art. 178 lett. a) c.p.p. l'inosservanza delle norme riguardanti la procedura per la sostituzione del giudice astenuto, atteso che l'art. 33 comma secondo c.p.p. stabilisce che non si considerano attinenti alla capacità del giudice le disposizioni sull'assegnazione dei processi a sezioni, collegi e giudici. (Principio affermato con riguardo alla decisione di designazione del nuovo giudice adottata dal presidente di sezione anziché dal presidente del tribunale).

Cass. pen. n. 7798/2002

La partecipazione ad una seduta della Camera di appartenenza - anche alla luce di quanto stabilito dalla sentenza della Corte costituzionale n. 225 del 2001 - ben può costituire legittimo impedimento tale da determinare il rinvio dell'udienza, sia essa preliminare o dibattimentale, purché l'imputato istante, personalmente o tramite il proprio difensore, fornisca prova idonea dell'assoluto impedimento derivante dall'esercizio di funzioni parlamentari. Qualora tale prova sia insufficiente o impossibile, come nel caso di impedimento relativo ad un momento futuro e dedotto in base alla mera convocazione della seduta della Camera, il giudice, pur non avendo l'obbligo, ha il potere di verificare la sussistenza dell'impedimento, a garanzia del rispetto delle funzioni parlamentari e delle esigenze dell'imputato. (In applicazione di tale principio la Corte ha escluso che l'adozione di un'ordinanza con cui il giudice esercita il potere di verificare l'impedimento dell'imputato a comparire in udienza, addotto con riferimento all'attività di parlamentare e non provato in modo idoneo dall'imputato medesimo, rappresenti comportamento macroscopicamente anomalo e settario, valutabile come sintomatico di grave inimicizia, idonea a fondare un'istanza di ricusazione del giudice).

Cass. pen. n. 4750/2002

Il provvedimento con cui il presidente di sezione decide - in vece del presidente del tribunale, competente ex art. 36, comma 3, c.p.p. - in ordine alla dichiarazione di astensione presentata da un giudice della sezione, ha natura meramente ordinatoria e organizzativa e, pertanto, non incide sulla capacità del giudice ed è altresì sottratto ad ogni mezzo d'impugnazione, in applicazione del principio di tassatività fissato dall'art. 568 c.p.p.

Corte cost. n. 113/2000

L'aver pronunciato sentenza (nella specie, di applicazione della pena su richiesta) nei confronti di alcuno dei concorrenti nel reato, non rende per ciò stesso il giudice incompatibile al successivo giudizio nei confronti degli altri. Tuttavia, poiché le «altre gravi ragioni di convenienza» non si limitano alle sole aree extra processuali il giudice può astenersi anche in assenza di un diritto delle parti alla ricusazione.

Cass. pen. n. 734/2000

Il decreto presidenziale che decide senza formalità sulla dichiarazione di astensione è sottratto ad ogni forma di gravame, sia per il principio di tassatività delle impugnazioni, sia perché si tratta di provvedimento meramente ordinatorio, di natura amministrativa e non giurisdizionale, i cui effetti rimangono limitati nell'ambito dell'ufficio; né può ritenersi che tale regime sia lesivo in alcun modo dei principi costituzionali di uguaglianza, tutela della difesa ed imparzialità del giudice, potendo la parte interessata proporre tempestivamente dichiarazione di ricusazione, la decisione in ordine alla quale è emessa all'esito di una procedura svolta nel contraddittorio ed è ricorribile per cassazione ai sensi dell'art. 127 c.p.p

La competenza funzionale a decidere sulla dichiarazione di astensione del presidente di un collegio giudicante del tribunale o della corte d'assise spetta al presidente del tribunale. (Nell'affermare il principio la corte di cassazione ha disatteso il motivo di ricorso con il quale si denunciava - sostenendosi la spettanza di tale attribuzione al presidente della corte d'appello - l'incompetenza funzionale del presidente del tribunale a pronunciarsi sulla dichiarazione di astensione del presidente di un collegio di corte d'assise, ed ha osservato come non sia consentito assimilare in via analogica il presidente di un collegio o di una sezione del tribunale al «presidente del tribunale» di cui all'art. 36, comma 4, c.p.p.).

Cass. pen. n. 3774/2000

In tema di imparzialità del giudice, alla luce degli interventi della Corte costituzionale, l'esigenza di assicurare la terzietà del giudice va estesa anche alla ipotesi in cui il pregiudizio consegua all'esercizio di funzioni in un diverso procedimento, ove il giudice abbia espresso una valutazione di merito sullo stesso fatto attribuito a un determinato soggetto in ordine al quale è poi chiamato a giudicare. Peraltro, in tale ipotesi, lo strumento di tutela del principio del “giusto processo” va ricercato negli istituti dell'astensione e della ricusazione e non in quello della incompatibilità, il quale presuppone la preventiva individuazione, per fini organizzativi della funzione giurisdizionale, di tassative figure “fisiologiche” e, conseguentemente, prevedibili. (Fattispecie in cui il giudice aveva esaminato un appello de libertate, esprimendo una valutazione di sostanziale colpevolezza, in relazione al reato di cui all'art. 416 bis attribuito a un soggetto relativamente al quale era stato successivamente chiamato a svolgere la funzione di giudizio in un diverso procedimento; l'imputato aveva rilevato, con la ricusazione, l'incompatibilità: la Corte ha censurato la declaratoria di manifesta infondatezza della ricusazione fatta dal giudice di merito).

Cass. pen. n. 313/2000

In tema di astensione, non sono abnormi né il decreto del presidente della Corte di appello che autorizzi un giudice ad astenersi limitatamente a uno solo tra più imputati nel medesimo procedimento, precisando che la posizione di tale imputato “formerà oggetto di stralcio”, né la successiva ordinanza che dispone lo stralcio nel procedimento “a quo”; e invero, da un lato, una astensione parziale non è preclusa da alcuna norma, ma costituisce statuizione obbligata dell'organo decidente, poiché l'accoglimento della dichiarazione di astensione non può che essere riferita alla prospettata causa di incompatibilità nei suoi limiti oggettivo e soggettivo, senza la possibilità di prendere in esame “ex officio” situazioni diverse da quella denunciata, dall'altro deve ritenersi che l'inciso “la cui posizione formerà oggetto di stralcio” non integri il provvedimento di separazione ex art. 18 c.p.p., ma costituisca un semplice suggerimento del rimedio, utile per un verso a realizzare gli effetti dell'astensione nei limiti autorizzati, e per altro verso a consentire la prosecuzione del processo in ordine alle altre posizioni.

Cass. pen. n. 1660/1999

L'interesse nel procedimento che, a norma dell'art. 36, comma 1, lett. a), c.p.p. radica l'obbligo di astensione, consiste nella possibilità per il giudice di rivolgere a proprio vantaggio, anche solamente di ordine morale, l'attività giurisdizionale che è chiamato a svolgere nel processo. Ne deriva che un interesse rilevante ai fini dell'applicabilità della disposizione predetta è ravvisabile in capo al giudice che - sottoposto a procedimento disciplinare per comportamenti attinenti ad attività e provvedimenti giurisdizionali in precedenza adottati - sia poi chiamato a pronunciarsi nello stesso procedimento penale in relazione ai medesimi fatti; non vi è dubbio, infatti, che egli sia in tal caso condizionato dalla pendenza del procedimento disciplinare instaurato in conseguenza delle precedenti decisioni, essendo portato inevitabilmente a porsi il problema della possibile incidenza su di esso delle nuove statuizioni che è chiamato ad adottare.

Cass. pen. n. 396/1999

Agli effetti del disposto dell'art. 36, comma primo, lett. d), c.p.p., l'inimicizia tra magistrato e parte non è riconducibile ad indiscriminate iniziative di chi tende a sottrarsi al proprio giudice, ma deve trovare fondamento in rapporti personali intercorsi in precedenza e fuori del processo e non può farsi discendere dalla mera proposizione di una denuncia o di una querela nei confronti del giudice investito per legge della cognizione del procedimento.

Cass. pen. n. 855/1999

Il motivo di ricusazione dell'inimicizia grave di cui alla lettera d) dell'art. 36 c.p.p. non può che riferirsi a rapporti interpersonali derivanti da vicende alla vita estranee alle funzioni del giudicante. Non rileva, quindi, l'asserito «insolito attivismo» nella rapida fissazione della trattazione di un processo, specialmente se la celerità non abbia influito sulla assegnazione a giudice tabellarmente previsto e sia stata motivata dalla prossimità della prescrizione del reato; neanche rileva la dedotta «intemperanza verbale» nei confronti dell'imputato, rilevabile in alcuni documenti giudiziari.

Cass. pen. n. 1711/1998

In tema di astensione del giudice, l'interesse nel procedimento, cui fa riferimento l'art. 36, comma primo, lett. a), c.p.p., deve essere giuridicamente rilevante, e cioè tale da coinvolgere il giudice nella vicenda processuale in modo da renderla obiettivamente suscettibile di procurargli un vantaggio economico o morale, mentre non rilevano a tal fine semplici presunte irregolarità nella conduzione del procedimento, che non sono indicative di per sè agli effetti di cui sopra.

Cass. pen. n. 4452/1998

In tema di astensione, l'«interesse nel procedimento», cui fa riferimento l'art. 36, comma primo, lett. a), c.p.p., è quello per il quale il giudice ha la possibilità di rivolgere a proprio vantaggio economico o morale l'attività giurisdizionale che è stato chiamato a svolgere nel processo oppure che si è venuta a creare sulla base di rapporti personali svoltisi al di fuori del processo, mentre tale nozione è esclusa qualora il giudice abbia legittimamente svolto precedenti funzioni giurisdizionali non interferenti con suoi personali interessi. (Fattispecie nella quale era stata denunciata la violazione del dovere di astensione sotto il profilo dell'interesse nel procedimento avendo il giudice, chiamato a giudicare di un appello cautelare, partecipato in precedenza al giudizio di riesame vertente sulla medesima misura).

Cass. pen. n. 1109/1997

Qualora, dopo l'erronea elevazione di conflitto negativo di competenza, conseguente ad asserita incompatibilità di giudice la cui dichiarazione di astensione sia stata accolta, sia cessata la ragione di incompatibilità per la sopravvenuta morte dell'imputato ricorrente nel procedimento de libertate, il presidente ell'ufficio pronunciatosi positivamente sulla dichiarazione di astensione ha il dovere di tener conto della circostanza in sede di valutazione della necessità di procedere alla sostituzione del giudice astenutosi.

Cass. pen. n. 5293/1996

L'ipotesi di ricusazione prevista dall'art. 37, comma primo, lett. a) in riferimento all'art. 36, comma primo, lett. c), sussiste sempre che un parere sull'oggetto del procedimento sia stato manifestato fuori dell'esercizio delle funzioni giudiziarie, senza che rilevino né il momento, né il luogo, né il destinatario, né la qualità del parere medesimo (frutto di approfondita valutazione tecnico-giuridica ovvero frutto di approssimato giudizio), né che il procedimento sia in corso o ancora non si sia iniziato. Ne consegue che essa non è configurabile solo allorché la manifestazione di parere si risolva in espressioni generiche, non attinenti a un caso specifico, formulate nell'ambito di conversazioni su temi generali o costituenti manifestazioni di orientamenti giurisprudenziali. (Nella specie è stata ritenuta sussistente la causa di ricusazione in argomento nel fatto di un presidente del tribunale militare che, nel corso di un colloquio avuto con un generale dei carabinieri alcuni mesi prima del processo contro l'ex capitano delle SS tedesche Eric Priebke per l'eccidio delle Fosse Ardeatine, aveva affermato che l'operato della procura militare della Repubblica - la quale aveva aperto indagini preliminari, ipotizzando a carico del Priebke violenza con omicidio continuato - era inutile perché tutt'al più nella condotta dell'ufficiale tedesco si poteva ravvisare un omicidio colposo plurimo, aggiungendo che non era il caso di rivangare il passato, trattandosi di persona avanti negli anni).

Cass. pen. n. 4182/1996

La causa di astensione e di ricusazione consistente nell'avere il giudice «manifestato il suo parere sull'oggetto del procedimento fuori dell'esercizio delle sue funzioni giudiziarie» (art. 36, lett. c, richiamato dall'art. 37, lett. a, c.p.p.), implica che in quel parere sia riconoscibile l'espressione di un vero e proprio «convincimento» nutrito dal giudice in ordine a quello che egli ritiene essere lo sbocco, giuridicamente necessario, del procedimento de quo, rimanendo quindi estranea alla previsione di legge la diversa eventualità che il giudice si sia limitato ad esprimere una generica valutazione meramente probabilistica circa il presumibile esito del medesimo procedimento.

Cass. pen. n. 2830/1995

In tema di ricusazione non può confondersi l'inimicizia fra magistrato e parte con le iniziative di quest'ultima, tesa a sottrarsi al proprio giudice naturale; l'inimicizia infatti deve trovare fondamento in rapporti personali svolti in precedenza e fuori del processo. (Affermando siffatto principio la Cassazione ha escluso che ricorresse ipotesi di ricusazione in fattispecie nella quale il ricorrente si era limitato ad enumerare esposti e denunce da lui stesso presentati successivamente al procedimento che lo coinvolgeva e riguardanti l'attività funzionale del magistrato, atti rispetto ai quali non si era dimostrato che fossero seguite manifestazioni di ostilità).

Cass. pen. n. 2198/1995

Non è configurabile ipotesi di ricusazione nel caso in cui il giudice per le indagini preliminari, che ha emesso il decreto di archiviazione in ordine ai fatti esposti nella denuncia di un privato, decida quale giudice dell'udienza preliminare in ordine a richiesta di rinvio a giudizio per calunnia presentato nei confronti del suddetto privato. Il decreto di archiviazione ed il successivo decreto di rinvio a giudizio non integrano - insieme - quella manifestazione «indebita» del proprio convincimento di cui all'art. 36, lett. c), c.p.p. in tema di ricusazione: per essere tale la manifestazione deve essere operata fuori della sede processuale e fuori dei compiti e dei ruoli propri del giudice.

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