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Articolo 244 Codice di procedura civile

(R.D. 28 ottobre 1940, n. 1443)

[Aggiornato al 02/03/2024]

Modo di deduzione

Dispositivo dell'art. 244 Codice di procedura civile

La prova per testimoni deve essere dedotta mediante indicazione specifica delle persone da interrogare (1) e dei fatti (2), formulati in articoli separati (3), sui quali ciascuna di esse deve essere interrogata (4).

[La parte contro la quale la prova è proposta, anche quando si oppone all'ammissione, deve indicare a sua volta nella prima risposta le persone che intende fare interrogare e deve dedurre per articoli separati i fatti sui quali debbono essere interrogate] (5).

[Il giudice istruttore, secondo le circostanze, può assegnare un termine perentorio alle parti per formulare o integrare tali indicazioni] (5).

Note

(1) La specificazione delle persone da interrogare deve consentire una loro sicura identificazione, ai fini di permettere la valutazione da parte del giudice dell'ammissibilità della testimonianza richiesta; inoltre, tale requisito consente al giudice di esercitare il potere di riduzione delle liste sovrabbondanti.
(2) La necessità di una indicazione specifica dei fatti è giustificata dall'esigenza del giudice di valutare l'ammissibilità e la rilevanza della prova testimoniale richiesta, ossia di verificare se i fatti capitolati risultino o meno decisivi ai fini della decisione definitiva. Anche la controparte trae giovamento da una specifica capitolazione delle circostanze su cui verte la testimonianza, in quanto essa potrà contestare la rilevanza o l'ammissibilità della prova orale, nonché formulare - ove necessario - una adeguata prova contraria.
Tuttavia, non si deve eccedere nel formalismo: la giurisprudenza dominante ritiene, infatti, sufficiente che i fatti siano dedotti nei loro elementi essenziali (devono contenere in sintesi il tempo, il luogo e le modalità di svolgimento), mentre tutti gli eventuali dettagli potranno essere ricavati dal giudice durante l'assunzione della testimonianza, integrando le domande formulate dalla parte con altre formulate direttamente in quella sede.
L'accertamento della specificità rientra tra i poteri discrezionali del giudice e, in quanto espressione di tali poteri, la sua valutazione non è sindacabile in sede di legittimità, se sorretta da adeguata motivazione.
(3) Le circostanze dedotte come prova testimoniale devono attenere a fatti obiettivi per cui al testimone deve essere precluso ogni giudizio personale. Inoltre, i fatti dedotti non possono essere eccessivamente generici (la valutazione deve tener conto anche alle deduzioni contenute negli atti di causa e della facoltà di chiedere ai testimoni chiarimenti in sede di assunzione della prova), in quanto il giudice non riuscirebbe a valutarne la rilevanza ai fini dell'accertamento della verità dei fatti. Se il giudice istruttori ritiene i capitoli generici, o comunque non rilevanti, la prova è valutata come inammissibile.
Nonostante i diversi approdi giurisprudenziali in materia, nella prassi spesso le parti, nell'articolare la prova, si limitano a richiamare le circostanze di fatto esposte nella premessa dei rispettivi atti introduttivi (precisando che le stesse devono intendersi precedute dalla locuzione «vero che ...»): si richiede, però che i fatti siano perlomeno esposti mediante una suddivisione per punti o paragrafi ben circostanziati, o la prova riferita genericamente a tutte le circostanze indicate in atti non potrà che essere giudicata come inammissibile.
(4) La giurisprudenza prevalente ritiene che la prova dedotta senza l'osservanza dell'articolo in commento sia nulla, ma che tale nullità possa essere fatta valere solo dalla controparte ai sensi del secondo comma dell'art. 157 del c.p.c.. Le modalità di deduzione della prova testimoniale si considerano, infatti, disciplinate per la tutela degli interessi dei contendenti e non per ragioni di ordine pubblico (ragioni che giustificherebbero la rilevabilità d'ufficio della nullità).
(5) Commi così abrogati dalla l. 26 novembre 1990, n. 535, con decorrenza dal 30 aprile 1995.

Ratio Legis

La testimonianza è un mezzo di prova che trova la sua ragion d'essere nella presumibile attendibilità delle dichiarazioni provenienti da un soggetto terzo rispetto alle parti, che non dovrebbe avere alcun interesse a mentire e che comunque dovrebbe essere intimidito dalle sanzioni penali irrogabili al testimone che abbia reso false dichiarazioni. Tuttavia, non vi è una piena fiducia nell'onestà o anche solo nella memoria degli uomini, quindi l'esito della prova testimoniale non vincola affatto il giudice, che lo può apprezzare liberamente, ed è comunque circondata da numerose cautele e limiti, quali quelli previsti dal codice civile agli artt. 2721, 2722, 2723 e 2725.

Spiegazione dell'art. 244 Codice di procedura civile

La parte che intende avvalersi della prova testimoniale ha l'obbligo di enunciare l'oggetto della prova facendo uso di proposizioni chiare e sintetiche riferite a specifiche circostanze su cui il teste dovrà pronunciarsi (c.d. capitolazione della prova testimoniale).

L'acquisizione della prova testimoniale viene tradizionalmente scissa nelle tre fasi della deduzione, ammissione e assunzione, e quello che viene qui regolamentato è il momento iniziale di tale tradizionale scansione.

La presente norma, infatti, si riferisce all'atto di parte costituito dall'introduzione nel giudizio della prova testimoniale quale espressione del potere dispositivo, ma assume anche portata di disciplina generale del modo di deduzione della prova per testi.

L'esigenza di specificità ha come suo presupposto l'identificabilità senza incertezze delle persone da escutere e la determinazione dei fatti nei loro elementi essenziali, i quali saranno eventualmente meglio precisati nel corso dell'attività di assunzione.
Scopo di tale specificità è da un lato quello di consentire al giudice di controllare l'influenza e la pertinenza della prova, mentre dall’altro quello di consentire alla controparte di formulare un'adeguata prova contraria.

Si ritiene che la prova testimoniale non possa essere capitolata in termini negativi, sebbene sussista un orientamento giurisprudenziale secondo cui, se i fatti negativi costituiscono il fondamento del diritto che si vuole far valere in giudizio, essi debbono comunque essere provati attraverso altri fatti positivi.

Come si è prima accennato, l'indicazione specifica deve riguardare anche le persone da interrogare, ma ciò nella pratica non trova spesso corretta applicazione; ci si riferisce, in particolare, a quei casi in cui vi è da una parte la capitolazione dei fatti e dall'altra i testi vengono indicati senza che sia specificato in modo adeguato su quali fatti ogni teste sarà chiamato a deporre.

Nella indicazione dei testimoni un'imperfetta o incompleta designazione degli elementi identificativi (nome, cognome, residenza ecc.) in tanto è idonea ad arrecare un vulnus alla difesa ed al contraddittorio, in quanto provochi in concreto la citazione e l'assunzione come teste di un soggetto realmente diverso da quello previamente indicato.

Per quanto concerne la rilevanza probatoria delle dichiarazioni di persone a conoscenza dei fatti solo in modo indiretto, occorre operare una distinzione tra testimoni de relato actoris e testimoni de relato in genere: solo la testimonianza di questi ultimi può assumere rilievo ai fini del convincimento del giudice, in concorso con altri elementi probatori concordanti.

La conseguenza processuale delle inosservanza delle modalità di deduzione (ossia del fatto che la testimonianza sia stata dedotta su fatti capitolati senza i dovuti elementi di specificazione) sarà l'inammissibilità della prova testimoniale, la quale, almeno secondo la dottrina tradizionale, è rilevabile d'ufficio.
Contraria alla rilevabilità d’ufficio delle nullità relative all'ammissione e all'espletamento della prova testimoniale, invece, è la giurisprudenza, argomentando dal fatto che si tratta di nullità relative, le quali devono essere fatte valere nella prima difesa successiva al loro verificarsi o quando la controparte ne viene a conoscenza.

Rientra nei poteri discrezionali del giudice l'ammettere o il non ammettere un capitolo di prova sul presupposto della sua eventuale genericità (l'idoneità della specificazione dei fatti dedotti dalle parti nei capitoli di prova deve desumersi sia dalla loro formulazione letterale che da tutti gli altri atti e deduzioni delle parti in causa).

Il limite temporale per la deduzione delle prove testimoniali è ormai pacificamente costituito dalle memorie previste ai nn. 2 e 3 del sesto comma dell'art. 183 del c.p.c., che segnano la c.d. barriera preclusiva istruttoria (tale limite non riguarda solamente i capitoli di prova ma anche l'indicazione della lista testi; infatti, trascorsa tale scadenza, essa non può più essere integrata).

L'art.183, 6° co., prevede, infatti, che il giudice, se richiesto dalle parti, concede un termine di trenta giorni per il deposito di memorie limitate alla sola precisazione e modificazione delle domande; un altro termine di trenta giorni (n. 2) per replicare e proporre eccezioni e, soprattutto, per l'indicazione dei mezzi di prova e produzioni documentali; infine, un ulteriore termine di venti giorni (n. 3) per le sole indicazioni di prova contraria.

Ai sensi del comma 7 dell'art. 183 c.p.c. il giudice provvede poi sulle richieste istruttorie fissando, con ordinanza, l'udienza di cui all'art. 184 del c.p.c. per l'assunzione dei mezzi di prova ritenuti ammissibili e rilevanti.
Nel caso in cui vengano disposti d'ufficio mezzi di prova con l'ordinanza di cui all'art. 183, 7° co., ciascuna parte può ancora dedurre, entro un termine perentorio assegnato dal giudice, i mezzi di prova che si rendono necessari in relazione ai primi, nonché depositare memoria di replica e autorizzate.
Infine, all'udienza prevista dall’art. 184 si procederà all'assunzione delle prove ammesse, senza che le parti abbaino alcuna possibilità di chiedere ulteriori termini per le deduzioni di prove contrarie.

Massime relative all'art. 244 Codice di procedura civile

Cass. civ. n. 22254/2021

L'onere di allegazione concerne unicamente i fatti, non le prove (documentali e non), delle quali basta la specifica indicazione prevista, nel rito speciale, dagli artt. 414 e 416 c.p.c., senza che le parti siano gravate dall'onere ulteriore di spiegarne la rilevanza e idoneità dimostrativa, che invece vanno valutate d'ufficio dal giudice. Pertanto, la specificazione dei fatti oggetto di richiesta di prova testimoniale è soddisfatta quando, sebbene non definiti in tutti i loro minuti dettagli, essi vengono esposti nei loro elementi essenziali per consentire al giudice di controllarne l'influenza e la pertinenza e all'altra parte di chiedere prova contraria, giacché la verifica della specificità e della rilevanza dei capitoli di prova va condotta non soltanto alla stregua della loro letterale formulazione, ma anche in relazione agli altri atti di causa e a tutte le deduzioni delle parti, nonché tenendo conto della facoltà del giudice di domandare ex art. 253, comma 1, c.p.c. chiarimenti e precisazioni ai testi. (Cassa con rinvio, CORTE D'APPELLO ROMA, 16/05/2014).

Cass. civ. n. 9823/2021

Nel rito del lavoro, è corretto l'operato del giudice che, nell'ambito di una controversia promossa per accertare la natura subordinata di un rapporto di lavoro, chieda al testimone di precisare, al di fuori delle circostanze capitolate, se venisse rispettato un orario di lavoro, quali fossero le mansioni svolte dal prestatore nonché in quale posizione materiale la prestazione fosse effettuata, dovendosi ritenere che la possibilità di porre tali domande sia consentita, se non anche imposta, dall'art. 421 c.p.c., e ciò tanto più ove al ricorso siano stati allegati conteggi elaborati sul presupposto dello svolgimento di determinate mansioni e orari e la controparte abbia contestato, oltre alla natura subordinata del rapporto, anche lo svolgimento di un orario a tempo pieno. (Rigetta, CORTE D'APPELLO GENOVA, 26/02/2018).

Cass. civ. n. 2149/2021

In tema di prova testimoniale, l'apprezzamento circa la specificità dei capitoli di prova dedotti dalla parte istante deve essere compiuto dal giudice del merito, con adeguata motivazione, non solo alla stregua della loro formulazione letterale, ma ponendo il loro contenuto in relazione agli altri atti di causa e alle deduzioni delle altre parti. (Cassa con rinvio, CORTE D'APPELLO MILANO, 17/04/2018).

Cass. civ. n. 12573/2020

Nel rito del lavoro, qualora nell'atto introduttivo del giudizio la parte abbia richiesto una prova testimoniale, articolando i relativi capitoli senza indicare le generalità dei testi, l'omissione non determina decadenza dalla relativa istanza istruttoria, ma concreta mera irregolarità, che, ai sensi dell'art. 421, comma 1, c.p.c., consente al giudice ad assegnare alla parte un termine perentorio per porre rimedio alla riscontrata irregolarità, nell'esercizio dei poteri officiosi riconosciutigli dalla disposizione citata, in funzione dell'esigenza di contemperamento del principio dispositivo con la ricerca della verità, cui è ispirato il rito del lavoro per il carattere costituzionale delle situazioni soggettive implicate. (Cassa con rinvio, CORTE D'APPELLO CATANZARO, 12/02/2018).

Cass. civ. n. 190/2020

L'ammissione della prova testimoniale oltre i limiti di valore stabiliti dall'art. 2721 c.c. costituisce un potere discrezionale del giudice di merito, il cui esercizio, o mancato esercizio, è insindacabile in sede di legittimità ove sia correttamente motivato. (Rigetta, CORTE D'APPELLO CATANZARO, 25/02/2014).

Cass. civ. n. 11765/2019

L'esigenza di specificazione dei fatti sui quali i testimoni devono deporre è soddisfatta se, ancorché non precisati in tutti i loro minuti dettagli, tali fatti siano esposti nei loro elementi essenziali, per consentire al giudice di controllarne l'influenza e la pertinenza e mettere in grado la parte, contro la quale essa è diretta, di formulare un'adeguata prova contraria, giacché la verifica della specificità e della rilevanza dei capitoli formulati va condotta non soltanto alla stregua della loro letterale formulazione, ma anche in relazione agli altri atti di causa ed alle deduzioni delle parti, nonché tenendo conto della facoltà di chiedere chiarimenti e precisazioni ai testi da parte del giudice e dei difensori.

Cass. civ. n. 3708/2019

L'inosservanza delle prescrizioni di cui all'art. 244 c.p.c. con riferimento sia alla genericità delle circostanze dedotte nei capitoli di prova sia alla indicazione delle persone indicate come testimoni, determina l'inammissibilità del mezzo istruttorio che, ove erroneamente ammesso ed espletato, non può essere tenuto in considerazione dal giudice.

Cass. civ. n. 1874/2019

L'art. 244 c.p.c., nell'esigere l'indicazione specifica dei fatti sui quali è dedotta la prova testimoniale, pur non imponendo alla parte l'onere di precisare in ogni dettaglio le circostanze articolate nei relativi capitoli, richiede che la specificazione ponga il giudice in grado di stabilire se la prova sia influente e pertinente, consentendo altresì alla controparte di esercitare il diritto alla prova contraria.

Cass. civ. n. 14364/2018

L'indagine del giudice di merito sui requisiti di specificità e rilevanza dei capitoli formulati dalla parte istante va condotta non solo alla stregua della loro formulazione letterale, ma anche in correlazione all'adeguatezza fattuale e temporale delle circostanze articolate, con l'avvertenza che la facoltà del giudice di chiedere chiarimenti e precisazioni ex art. 253 c.p.c., di natura esclusivamente integrativa, non può tradursi in una inammissibile sanatoria della genericità e delle deficienze dell'articolazione probatoria.

Cass. civ. n. 24292/2016

Le formalità relative alla deduzione ed all'assunzione della prova testimoniale, in quanto stabilite non per ragioni di ordine pubblico ma per la tutela degli interessi delle parti, danno luogo, per il caso di loro violazione, a nullità relative e, dunque, non rilevabili d'ufficio dal giudice, dovendo essere eccepite nella prima udienza successiva a quella in cui si sono verificate, ove la parte interessata non era presente all'udienza. Nel caso in cui, invece, quest'ultima era presente all'assunzione della prova ed aveva assistito all'atto istruttorio senza formulare opposizione, la nullità, ove esistente, deve considerarsi sanata.

Cass. civ. n. 17322/2015

Il principio di infrazionabilità e contestualità della prova testimoniale, ricavabile dall'art. 244 cod. proc. civ. nel testo vigente prima delle modifiche apportate dalla legge n. 353 del 1990 (applicabile "ratione temporis"), coordinato con la regola sull'ammissione dei nuovi mezzi di prova in appello, comporta l'inammissibilità della prova in secondo grado non solo nel caso in cui essa verta sulle medesime circostanze che hanno già formato oggetto dell'analogo mezzo istruttorio espletato nel grado precedente, ma anche quando, malgrado la diversa formulazione dei capitoli, la stessa sia diretta ad integrare o a confortare le risultanze di quella precedentemente acquisita, riguardando fatti connessi a quelli riferiti dai testi e che ben avrebbero potuto essere accertati nel medesimo contesto.

Cass. civ. n. 24469/2014

La circostanza che il testimone non abbia assistito direttamente ai fatti su cui è chiamato a rispondere non è, di per sé, causa di inammissibilità della prova, dovendosi, diversamente, ritenere inammissibili tutte le deposizioni aventi per oggetto fatti appresi da terzi oppure tramite documenti.

Cass. civ. n. 21395/2014

In tema di prova per testimoni, le nullità previste dall'art. 244 cod. proc. civ. tutelano l'interesse privato delle parti al corretto svolgimento del processo e non già l'ordine pubblico processuale, sicché non possono essere rilevate d'ufficio dal giudice, né dedotte nei successivi gradi di giudizio dalla parte che, anche implicitamente, abbia fatto acquiescenza alla assunzione del mezzo istruttorio.

Cass. civ. n. 26058/2013

La regola di cui all'art. 244 cod. proc. civ., la quale stabilisce che la prova per testimoni deve essere dedotta mediante indicazione specifica delle persone da interrogare (e dei fatti, formulati in articoli separati, sui quali ciascuna deve essere interrogata), va coordinata con il principio della nullità a rilevanza variabile enucleabile dall'art. 156, secondo comma, cod. proc. civ., in base al quale la nullità può essere pronunciata solo quando l'atto manchi dei requisiti di forma-contenuto indispensabili al raggiungimento dello scopo, cosicché, pur dovendo il teste essere indicato in maniera sufficientemente determinata o comunque determinabile, un'imperfetta o incompleta designazione dei relativi elementi identificativi (nella specie, del nome del testimone) è idonea ad arrecare un "vulnus" alla difesa e al contraddittorio solo se provochi in concreto la citazione e l'assunzione di un soggetto realmente diverso da quello previamente indicato, così da spiazzare l'aspettativa della controparte.

Cass. civ. n. 13693/2012

L'affermazione dell'esistenza di un nesso causale tra due fenomeni costituisce sempre il frutto di un'attività di giudizio e valutazione, e non già di semplice percezione di un fatto concreto. Ne consegue che la prova testimoniale non può mai avere ad oggetto l'affermazione o la negazione dell'esistenza del nesso di causalità tra una condotta ed un fatto illecito, ma può solo limitarsi a descrivere i fatti obiettivi, restando poi riservato al giudice stabilire se quei fatti possano essere stati la causa del danno.

Cass. civ. n. 20997/2011

La richiesta di provare per testimoni un fatto esige non solo che questo sia dedotto in un capitolo specifico e determinato, ma anche che sia collocato univocamente nel tempo e nello spazio, al duplice scopo di consentire al giudice la valutazione della concludenza della prova ed alla controparte la preparazione di un'adeguata difesa, sicché è inammissibile il capitolo di prova per testimoni volto a dimostrare il compimento di una dichiarazione ammissiva fatta dal debitore ad un terzo, ai fini dell'interruzione del termine di prescrizione, qualora non sia indicato nel capo di prova il giorno in cui tale dichiarazione sarebbe stata resa.

Cass. civ. n. 12292/2011

Le prove per interrogatorio formale e per testi, secondo quanto richiesto negli artt. 230 e 244 c.p.c. devono essere dedotte per articoli separati e specifici. Ne consegue l'inammissibilità della richiesta di ammissione su tutto il contenuto della comparsa di risposta che non consenta, per la genericità ed indeterminatezza del testo, di individuare capitoli di prova che rispondano ai requisiti richiesti dalle norme processuali citate, né può essere richiesto al giudice di estrapolare egli stesso detti capitoli di prova (tramite una c.d. "lettura estrapolativa" nell'atto di parte), contrastandovi il principio della disponibilità della prova.

Cass. civ. n. 20652/2009

In tema di prova per testimoni, poiché le nullità o decadenze derivanti dalla violazione delle disposizioni contenute negli artt. 244 e seguenti c.p.c. hanno natura relativa e sono sanate per acquiescenza delle parti, in quanto sono stabilite dalla legge a tutela dei loro interessi, e non per motivi di ordine pubblico, la nullità per incapacità a testimoniare (art. 246 c.p.c.) deve essere opposta tempestivamente dalla parte interessata secondo le modalità previste dall'art. 157, secondo comma, c.p.c.

Cass. civ. n. 10502/2009

Anche nell'assetto normativo processuale conseguente all'entrata in vigore della legge n. 353 del 1990 (e successive modif.), improntato oltretutto ad un sistema delle preclusioni istruttorie ancor più rigido rispetto al regime processuale precedente, è inammissibile in appello (salvo il ricorso al rimedio della rimessione in termini, previsto dall'art. 184 bis c.p.c., qualora ne sussistano le condizioni), per il principio dell'infrazionabilità e della contestualità che la caratterizzano, la prova testimoniale che, anche in modo indiretto, si appalesi preordinata a contrastare, completare o confortare le risultanze di quella già dedotta ed assunta in primo grado, e cioè a determinare, attraverso nuove modalità e circostanze, ovvero per la connessione delle circostanze già provate con quelle da provare, una diversa valutazione dei fatti che sono stati oggetto dello stesso mezzo istruttorio nelle precedenti fasi del processo.

Cass. civ. n. 9234/2009

Alla luce del principio costituzionale della durata ragionevole del giudizio, il giudice può revocare la prosecuzione di una prova orale quando ritenga superflua l'ulteriore assunzione e sufficienti gli elementi raccolti, non essendo necessaria l'escussione di tutti i testi già ammessi, purché la mancata escussione sia razionale e giustificata e ne venga data adeguata motivazione nella sentenza di merito.

Cass. civ. n. 12419/2008

Qualora il giudice ammetta la prova testimoniale e fissi l'udienza per la relativa assunzione, senza stabilire un termine perentorio per l'indicazione dei testi, deve ritenersi che egli abbia concesso alla parte la possibilità di indicare i testi sino all'inizio della prova avvalendosi implicitamente della facoltà, avente natura meramente discrezionale, di consentire l'indicazione tardiva dei testimoni prevista dall'ultimo comma dell'art. 244 c.p.c., nel testo, applicabile ratione temporis anteriore alla riforma introdotta dalla legge n. 353 del 1990.

Cass. civ. n. 3280/2008

L'indagine del giudice di merito, sui requisiti di specificità e rilevanza dei capitoli formulati dalla parte istante, va condotta non solo alla stregua della loro formulazione letterale, ma anche in correlazione all'adeguatezza fattuale e temporale delle circostanze articolate, con l'avvertenza che la facoltà del giudice di chiedere chiarimenti e precisazioni ex art. 253 c.p.c., di natura esclusivamente integrativa, non può tradursi in un'inammissibile sanatoria della genericità e delle deficienze dell'articolazione probatoria.

Cass. civ. n. 2201/2007

La disposizione dell'art. 244 c.p.c., con la quale è imposto alla parte di specificare i fatti da dedurre a prova in articoli separati, ha il duplice scopo di consentire all'avversario di formulare i capitoli di prova contraria indicando i propri testimoni e di dare modo al giudice di valutare se la prova richiesta sia concludente e pertinente; specie in relazione a tale ultimo scopo, la norma in questione deve considerarsi di carattere cogente, sicché la sua inosservanza, da parte di chi propone la prova, determina l'inammissibilità del mezzo istruttorio che, ove erroneamente ammesso ed espletato, non potrà essere tenuto in considerazione dal giudice

Cass. civ. n. 8957/2006

La concessione di un termine per la formulazione delle indicazioni relative ai capitoli di prova testimoniale ed alle persone da interrogare, - costituente tanto in primo che in secondo grado una facoltà meramente discrezionale del giudice non sindacabile in sede di legittimità, prevista dal previgente disposizione di cui all'art. 244, terzo comma, c.p.c. - non è più contemplata nella nuova formulazione della medesima, applicabile ai giudizi introdotti dopo il 30 aprile 1995, non essendo conseguentemente censurabile la pronunzia del giudice di merito che nega il rinvio ad altra udienza per consentire alle parti di ovviare alle deficienze ed alle lacune del mezzo di prova irritualmente articolato, sul presupposto che trattasi di attività non riconducibile alla formulazione di nuovi mezzi di prova che tale differimento viceversa consente.

Cass. civ. n. 5090/2004

In tema di prova testimoniale, in forza dei principi di unicità e concentrazione posti dall'art. 244 c.p.c., costituenti fondamentale garanzia di regolarità del contraddittorio, è necessario che le contrapposte prove testimoniali inerenti allo stesso oggetto siano state dedotte ed ammesse prima dell'assunzione del mezzo istruttorio.

Cass. civ. n. 9150/2003

L'indicazione dei testimoni può avvenire mediante individuazione indiretta di essi tramite la funzione espletata nell'ufficio o nell'ente di cui fanno parte, a condizione che questa consenta una sicura identificazione della persona che si intende chiamare come testimone, onde consentire all'altra parte, nel rispetto delle regole del contraddittorio, di individuare i testi di cui l'istante intende avvalersi. (Nella specie, parte ricorrente aveva indicato il capo dell'ufficio sanitario delle Ferrovie dello Stato e la S.C, ritenuta sufficiente tale indicazione, ha cassato la sentenza di merito che con motivazione generica aveva escluso la prova per omessa indicazione dei testi).

Cass. civ. n. 194/2002

Le nullità concernenti l'ammissione e l'espletamento della prova testimoniale hanno carattere relativo, derivando dalla violazione di formalità stabilita non per ragioni di ordine pubblico, bensì nell'esclusivo interesse delle parti e, pertanto, non sono rilevabili d'ufficio dal giudice ma, ai sensi dell'art. 157, secondo comma, c.p.c., vanno denunciate dalla parte interessata nella prima istanza o difesa successiva al loro verificarsi. La conseguenza è che dette nullità non possono essere fatte valere in sede di impugnazione, per cui neppure alla parte contumace è conseneito dedurre in tale sede l'inammissibilità della prova testimoniale, una volta che in primo grado la prova sia stata ammessa ed espletata senza opposizione.

Cass. civ. n. 144/2002

Mentre in materia di atti e contratti per i quali sia richiesta ad substantiam la forma scritta, eccettuata l'ipotesi della perdita incolpevole del documento (art. 2724 c.c.), è inammissibile la prova testimoniale della esistenza del negozio e tale inammissibilità può essere dedotta in ogni stato e grado del giudizio ed essere rilevata anche d'ufficio, per quanto riguarda, invece, gli atti e i contratti per i quali la forma scritta sia richiesta soltanto ad probationem (nella specie, transazione), l'inammissibilità della prova testimoniale non attiene all'ordine pubblico, ma alla tutela di interessi privati e quindi non può essere rilevata d'ufficio e deve, invece, essere eccepita dalla parte interessata, entro il termine dell'art. 157, secondo comma, c.p.c., nella prima istanza o difesa successiva al suo configurarsi.

Cass. civ. n. 2805/2000

Il principio di unicità della prova testimoniale, ricavabile dall'art. 244 secondo comma c.p.c. vecchio testo, vieta che l'una prova e l'altra rispettivamente dedotte in primo grado ed in appello riguardino lo stesso oggetto, onde la prova successivamente dedotta deve concernere a pena di inammissibilità circostanze diverse, distinte dalla precedente.

Cass. civ. n. 2446/2000

La specificazione, nei relativi capitoli, dei fatti da provare mediante testi, prevista dall'art. 244 c.p.c., è diretta a soddisfare la duplice esigenza di consentire al giudice di valutare, prima dell'ammissione del mezzo istruttorio, l'influenza dello stesso ai fini della decisione e di consentire alla controparte di predisporre, mediante l'indicazione dei propri testi, l'eventuale dimostrazione della tesi contraria; da ciò deriva che, ai fini dell'ammissibilità è necessario e sufficiente che i fatti indicati nei capitoli siano sintetizzati in maniera da soddisfare le citate esigenze, mentre la precisazione di tutti i dettagli da parte del teste resta riservata alla diligenza del giudice e delle parti durante l'espletamento del mezzo istruttorio.

Cass. civ. n. 12577/1999

Poiché le nullità procedurali di carattere relativo devono essere tempestivamente eccepite dalla parte interessata, ove sia dedotta con il ricorso per cassazione la nullità della assunzione della prova testimoniale per mancata specificazione dei fatti oggetto della prova mediante formulazione di appositi capitoli (art. 244 c.p.c.), il ricorrente, a pena di inammissibilità, deve integrare la critica alla sentenza con l'indicazione dell'atto processuale con il quale fece opposizione all'assunzione della prova e ne dedusse tempestivamente la nullità.

Cass. civ. n. 9640/1999

Nel nostro ordinamento processuale civile la valutazione preventiva dell'attendibilità del teste è riservata al legislatore (come emerge dagli artt. 246 e 247 c.p.c.) ed è quindi inibita al giudice, che può valutare, secondo il suo prudente apprezzamento (ex art. 116 c.p.c.), solo l'attendibilità delle dichiarazioni rese dal testimone, una volta che la prova sia stata assunta, dovendo, inoltre, escludersi che detto apprezzamento possa rientrare nel giudizio di ammissibilità e rilevanza dei mezzi di prova, di cui al primo comma dell'art. 184 c.p.c., poiché l'ammissibilità attiene al rispetto delle norme che stabiliscono modalità e limiti di deduzione del singolo mezzo di prova, e nessuna norma vieta di assumere un teste solo perché ritenuto inidoneo a rendere una rappresentazione precisa delle circostanze oggetto di prova, mentre la rilevanza concerne il nesso tra i fatti da provare ed il riconoscimento della fondatezza della domanda o dell'eccezione, prescindendo da ogni considerazione della persona chiamata a deporre. Ne consegue che l'ammissione di una prova testimoniale non può negarsi in considerazione del suo probabile esito negativo per l'inverosimiglianza del fatto che si intende provare ovvero per una pretesa inidoneità del teste a fare un resoconto preciso su di esso.

Cass. civ. n. 7887/1999

In sede di merito possessorio non è vietato al giudice riascoltare i testi già sentiti, anche sotto giuramento, durante la fase interdittale.

Cass. civ. n. 5525/1999

La circostanza che il giudice abbia preso occasione dalla riapertura del verbale di causa per ammettere le prove ritualmente dedotte in memoria difensiva, non comporta violazione delle regole procedurali in tema di ammissione dei mezzi istruttori, quando nessuna decadenza sia stata dichiarata all'atto della prima chiusura del verbale e pertanto l'ammissione avrebbe potuto aver luogo anche in udienza successiva.

Cass. civ. n. 12687/1998

Le nullità o decadenze determinate dalla violazione delle disposizioni contenute negli artt. 244 e seguenti c.p.c. in materia di deduzione ed assunzione della prova testimoniale, indicazione dei testimoni, incapacità di deporre, hanno natura relativa e sono sanate per acquiescenza, se non eccepite tempestivamente ai sensi dell'art. 157 c.p.c., perché stabilite dalla legge a tutela degli interessi delle parti e non per motivi di ordine pubblico.

Cass. civ. n. 11457/1998

Il datore di lavoro non può fornire per testimoni la prova della rispondenza dei criteri di scelta dei dipendenti da porre in cassa integrazione alle esigenze tecnico-produttive dell'azienda limitandosi ad articolare la prova stessa unicamente sulla suddetta rispondenza senza alcuna precisazione dei criteri concretamente adottati perché in tal modo la prova testimoniale non è dedotta su un fatto ma su un giudizio. (In base al suddetto principio la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva ritenuto inammissibile la prova per testi articolata sulla esclusiva, generica circostanza: «che i lavoratori erano stati posti in Cigs tenendo presenti le esigenze tecnico-produttive»).

Cass. civ. n. 9902/1998

La prova testimoniale e la produzione di verbali di altri giudizi nei quali siano contenute deposizioni testimoniali costituiscono due prove diverse: la prima è una prova orale, la seconda è una prova documentale atipica, rimessa al prudente apprezzamento del giudice. Ne consegue che, nel procedimento civile anteriore alla novella di cui alla legge 26 novembre 1990, n. 353, la parte - sebbene decaduta dalla prova testimoniale - conserva integra la facoltà di produrre i verbali di causa di un altro giudizio, contenenti le deposizioni delle persone che intendeva far escutere come testimoni.

Cass. civ. n. 6432/1998

I vizi attinenti alla deduzione, alla tempestività, alla ammissione e all'assunzione della prova testimoniale, in quanto concernenti materia affidata alla disponibilità delle parti, sono relativi e quindi sanabili per acquiescenza della parte a vantaggio della quale la stessa si sia svolta. Pertanto, quando l'atto istruttorio sia stato compiuto senza opposizione di detta parte che ha assistito all'escussione, la nullità, ove esistente, deve considerarsi sanata.

Cass. civ. n. 2101/1997

L'inammissibilità di una prova testimoniale per contrasto con le norme che la vietano (artt. 2722 e 2725 c.c.) non è sanata dalla mancata tempestiva opposizione della parte interessata perché la sanatoria per acquiescenza riguarda soltanto le decadenze e nullità previste per la prova testimoniale dall'art. 244 c.p.c. (modalità di deduzione e assunzione della prova, indicazione dei testimoni e loro capacità a testimoniare), e non anche la prova testimoniale erroneamente ammessa; conseguentemente la relativa eccezione può essere utilmente formulata anche dopo l'espletamento della prova vietata (nella specie con i motivi di appello, mentre l'assunzione era avvenuta in primo grado).

Cass. civ. n. 1513/1997

Il giudizio sulla idoneità della specificazione dei fatti dedotti nei capitoli di prova costituisce apprezzamento di merito non suscettibile di sindacato in sede di giudizio di cassazione se correttamente motivato.

Cass. civ. n. 4370/1996

La regola secondo cui la prova testimoniale non può avere ad oggetto apprezzamenti o giudizi, ma fatti obiettivi, deve essere intesa nel senso che essa non può tradursi in una interpretazione del tutto soggettiva o indiretta ed in apprezzamenti tecnici o giuridici. Pertanto, in tema di prova del possesso, consistendo questo in una relazione tra il soggetto e la cosa, può formare oggetto di testimonianza l'attività attraverso la quale il potere si manifesta, non il risultato del suo esercizio nel quale il possesso si identifica.

Cass. civ. n. 1315/1996

Qualora la parte nel richiedere la prova testimoniale non abbia indicato i testi da escutere ed il giudice non si sia avvalso del potere discrezionale conferitogli dalla legge di concedere alla parte un termine per la indicazione degli stessi, la prova deve essere dichiarata inammissibile, anche d'ufficio, per violazione di un precetto di carattere processuale attinente alla regolarità del contraddittorio e la decisione sul punto non è sindacabile in sede di legittimità.

Cass. civ. n. 10272/1995

Al fine della ammissione della prova testimoniale, l'indagine del giudice di merito sui requisiti di specificità e rilevanza dei capitoli formulati dalla parte istante, va condotta non soltanto alla stregua della letterale formulazione dei capitoli medesimi, ma anche ponendo il loro contenuto in correlazione agli altri atti di causa ed alle deduzioni dei contendenti, nonché tenendo conto della facoltà di chiedere chiarimenti e precisazioni ai testi, ai sensi dell'art. 253 c.p.c.

Cass. civ. n. 4426/1995

La disposizione dell'art. 244 c.p.c. sulla necessità di un'indicazione specifica dei fatti da provare per testimoni non va intesa in modo rigorosamente formalistico, ma in relazione all'oggetto della prova, cosicché, qualora questa riguardi un comportamento o un'attività che si frazioni in circostanze molteplici non elencate in modo preciso, è sufficiente precisare la natura di detto comportamento o di detta attività (fermo restando che nell'interpretazione del significato e della portata delle deduzioni probatorie occorre tenere presente la loro finalità, in relazione alla concreta materia del contendere), in modo da permettere alla controparte di contrastarne la prova, attraverso la deduzione e l'accertamento di attività o comportamenti di carattere diverso. D'altra parte, una volta che i fatti sono indicati nei loro estremi essenziali, spetta al difensore e al giudice, durante l'esperimento del mezzo istruttorio, l'eventuale individuazione dei loro dettagli.

Cass. civ. n. 13011/1993

Le formalità relative alla deduzione ed all'assunzione di prove testimoniali sono stabilite non per ragioni di ordine pubblico bensì nell'esclusivo interesse delle parti; pertanto eventuali nullità derivanti dall'inosservanza di tali formalità non sono rilevabili d'ufficio dal giudice ma debbono essere immediatamente dedotte dalla parte interessata, dovendosi considerare sanate per acquiescenza, ove la parte stessa non le abbia denunciate con la prima difesa successiva al loro verificarsi, cosicché non possono neppure essere dedotte come motivo di impugnazione.

Cass. civ. n. 6515/1992

L'assunzione di testi che non siano stati preventivamente indicati in modo specifico può essere consentita soltanto nei casi previsti dall'art. 257 c.p.c., la cui enunciazione deve ritenersi tassativa, dal momento che l'obbligo della rituale individuazione è inderogabile e che la preclusione ex art. 244 ha il suo fondamento nel sistema del codice di rito civile e si inquadra nel principio, espresso dal successivo art. 245, secondo il quale il giudice provvede sulla ammissibilità delle prove proposte e sui testi da escutere con valutazione sincrona e complessiva delle istanze che tutte le parti hanno sottoposto al suo esame. Di conseguenza la parte non può pretendere di sostituire i testimoni deceduti prima dell'assunzione con altri che non siano stati da essa stessa indicati nei modi e nei termini previsti dal primo comma dell'art. 244 c.p.c.

Cass. civ. n. 8676/1990

L'audizione di testimoni da parte del pretore nella prima fase del procedimento possessorio, ai sensi del terzo comma dell'art. 689 c.p.c., non preclude l'ammissione di prova testimoniale sulle stesse circostanze nella successiva fase di merito, nella quale la parte deve fornire la prova del proprio diritto, tenuto conto della funzione della detta audizione, che è strumentale all'adozione di provvedimenti immediati, nonché delle sue peculiari caratteristiche (assenza di giuramento, mancata predisposizione di capitoli separati e specifici, interrogatorio diretto sul luogo).

Cass. civ. n. 3/1988

Nel rito del lavoro sia l'attore che il convenuto sono tenuti — a pena di decadenza — a specificare, nei rispettivi atti introduttivi della controversia, i mezzi di prova dei quali intendono avvalersi e in particolare, quando si tratta di prova testimoniale, ad indicare i testimoni di cui si chiede l'audizione, stante l'applicabilità — anche in tale rito speciale — della disposizione dell'art. 244 c.p.c. sul modo di deduzione della prova per testimoni, norma compatibile con il sistema di preclusioni introdotto con la riforma del processo del lavoro.

Cass. civ. n. 9427/1987

Le formalità relative all'assunzione della prova testimoniale sono stabilite non per ragioni di ordine pubblico, bensì per la tutela degli interessi delle parti e, pertanto, eventuali nullità derivanti dall'inosservanza di tali formalità (nella specie con riguardo all'esame di testi su circostanze non dedotte nei capitoli di prova ed alla mancata pretesa «ratifica» dell'assunzione in rogatoria del teste a riferimento) non sono rilevabili d'ufficio dal giudice ma debbono essere immediatamente dedotte dalla parte interessata, dovendosi considerare sanate per acquiescenza ove la stessa parte abbia mostrato esplicitamente od implicitamente di non volersene avvalere — non opponendosi al compimento dell'atto, ovvero discutendone le risultanze o la rilevanza rispetto al merito della controversia — cosicché non possono essere neppure fatte valere in sede di impugnazione.

Cass. civ. n. 3282/1987

L'obbligo della specificazione dei fatti dedotti a prova in articoli separati sui quali i testimoni debbono essere sentiti sussiste anche per il rito del lavoro nel quale il disposto dell'art. 244 c.p.c., avente portata generale, si combina con quello dell'art. 416 nel senso che la mancata osservanza dell'obbligo suddetto comporta altresì violazione di tale ultima norma, nella parte in cui impone che i mezzi di prova siano dedotti «specificamente», e determina la decadenza della prova stessa, salvo che il giudice non ritenga di invitare la parte a meglio formularla o di provvedervi d'ufficio avvalendosi dei poteri di cui all'art. 421 c.p.c., il cui mancato esercizio non è censurabile in sede di legittimità.

Cass. civ. n. 2521/1987

Con riferimento al modo di deduzione della prova per testi nel rito del lavoro, trova applicazione il disposto dell'art. 244 c.p.c. cui implicitamente rinvia l'art. 414, n. 5, c.p.c. col fatto di prescrivere l'indicazione, già in ricorso, dei mezzi di prova di cui il ricorrente intende avvalersi. Pertanto, se il ricorrente non indica, nell'atto introduttivo del giudizio, i testi da escutere, il giudice adito, in applicazione dell'art. 244, ultimo comma, citato, può assegnargli — sempre che lo stesso ne faccia richiesta — un termine perentorio per formulare (od integrare) tale indicazione, ma — se manca un'istanza del ricorrente in tal senso — legittimamente dichiara inammissibile la prova irritualmente dedotta.

Cass. civ. n. 1938/1987

La deduzione della prova per testi non può avvenire in modo generico ed impreciso, ma deve essere fatta mediante l'indicazione specifica dei fatti da provare, al duplice scopo di consentire al giudice la valutazione della concludenza della prova ed alla controparte la preparazione di adeguata difesa.

Cass. civ. n. 3820/1986

Le dichiarazioni dei testimoni raccolte nella fase preliminare del procedimento possessorio con le forme previste dagli artt. 241 e seguenti c.p.c. sotto il vincolo del giuramento, hanno valore di vere e proprie deposizioni testimoniali e non di semplici informazioni.

Cass. civ. n. 5149/1985

Le nullità concernenti l'ammissione e l'espletamento della prova testimoniale hanno carattere relativo e, pertanto, ai sensi dell'art. 157, secondo comma, c.p.c., vanno denunciate dalla parte interessata nella prima istanza o difesa successiva al loro verificarsi (o alla conoscenza delle nullità stesse), intendendosi per «istanza», ai fini della norma citata, anche la richiesta di un provvedimento ordinatorio di mero rinvio e la formulazione delle conclusioni avanti al giudice di primo grado.

Cass. civ. n. 143/1985

Per la specificità di una prova testimoniale avente ad oggetto il rilascio da parte di una persona determinata di un determinato documento, prodotto in atti, non è necessaria la trascrizione del contenuto del documento nel capitolo di prova, potendo essere sufficiente l'indicazione della data del documento stesso, ove non risulti dagli atti o dalle allegazioni delle parti che sotto quella medesima data e da quella medesima persona siano stati rilasciati altri documenti.

Cass. civ. n. 5460/1983

Poiché la prova testimoniale deve avere ad oggetto fatti e non apprezzamenti o giudizi, il giudice del merito deve negare valore probatorio decisivo alla deposizione testimoniale che si traduca in una interpretazione del tutto soggettiva o in un mero apprezzamento tecnico del fatto, senza indicare dati obiettivi e modalità specifiche della situazione concreta, che possano far uscire la percezione sensoria da un ambito puramente soggettivo e trasformarla in un convincimento scaturente obiettivamente dal fatto. (Nella specie, alla stregua del principio che precede, la Suprema Corte ha reputato corretta la decisione del giudice del merito il quale — in un giudizio diretto al risarcimento del danno conseguito ad una caduta dovuta all'assunta difettosa illuminazione — non aveva riconosciuto valore decisivo alle deposizioni dei testi i quali si erano limitati ad una generica affermazione circa la non sufficienza dell'illuminazione).

Cass. civ. n. 3716/1983

L'esigenza della specificazione dei fatti sui quali i testimoni devono deporre deve intendersi soddisfatta ove, ancorché non precisati in tutti i loro minuti dettagli, i fatti stessi siano esposti nei loro elementi essenziali, per consentire al giudice di controllare l'influenza e la pertinenza della prova offerta e per mettere la parte, contro la quale la prova è diretta, in grado di formulare una adeguata prova contraria, dal momento che l'indagine sui requisiti di specificità e rilevanza dei capitoli formulati dalla parte istante va condotta non soltanto alla stregua della letterale formulazione dei capitoli medesimi, ma anche ponendo il loro contenuto in relazione agli altri atti di causa ed alle deduzioni dei contendenti, nonché tenendo conto della facoltà di chiedere chiarimenti e precisazioni ai testi, ai sensi dell'art. 253 c.p.c., affidata alla diligenza del giudice istruttore e dei difensori.

Cass. civ. n. 5754/1981

In materia di prova testimoniale, il potere del giudice di dichiarare inammissibile una prova irritualmente dedotta, in luogo di assegnare alla parte un termine perentorio per formulare od integrare le indicazioni volute dalla legge (art. 244 c.p.c.), presuppone che la parte non abbia già provveduto di sua iniziativa a tali integrazioni, sicché, ove il giudice di primo grado non abbia dichiarato inammissibile una prova testimoniale dedotta senza l'indicazione dei testi, non può il giudice d'appello pronunziare siffatta declaratoria dopo che questa indicazione sia stata fatta dalla parte, sia pure soltanto durante il giudizio di appello.

Cass. civ. n. 4759/1980

La regola secondo cui la prova testimoniale deve avere ad oggetto fatti obiettivi, e non già apprezzamenti o giudizi, deve essere intesa nel senso che detta prova non può tradursi in una interpretazione del tutto soggettiva o indiretta ed in apprezzamenti tecnici o giuridici del fatto; ciò, però, non significa che essa non possa esprimere anche il convincimento che del fatto e delle sue modalità sia derivato al teste per la sua stessa percezione. (Nella specie, la Suprema Corte ha ritenuto che i giudici del merito potessero avvalersi dell'indicazione testimoniale relativa alla velocità tenuta da un veicolo coinvolto in un incidente stradale).

Cass. civ. n. 2036/1980

L'ordinanza che dichiara la decadenza della parte dal diritto di far escutere i testi per mancata citazione degli stessi è revocabile, in quanto non è compresa nel novero delle ordinanze reclamabili al collegio, e spetta esclusivamente al giudice del merito accertare se sussistano giusti motivi per far luogo alla revoca, restando assolutamente estraneo alla valutazione della Corte di cassazione stabilire se l'esercizio (in senso positivo o negativo) di tale potere discrezionale sia avvenuto in modo opportuno e conveniente.

Cass. civ. n. 2949/1975

Le prove testimoniali raccolte dinanzi al giudice poi dichiaratosi incompetente, conservano la loro efficacia, fra le stesse parti e sullo stesso oggetto controverso, nel giudizio dinanzi al giudice competente.

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