Due sono i presupposti che devono concorrere perché possa operare questa particolare forma di espromissione, ossia:
-
la presenza nel processo di due o più soggetti che pretendono l'adempimento di un'obbligazione;
-
il deposito della somma o della cosa richiesta da parte del debitore.
Essa trova applicazione quando l'attore proponga
ab origine un'azione di condanna nei confronti del convenuto e, contestualmente, un'azione di accertamento del suo diritto nei confronti dell'altro pretendente ovvero quando il terzo ha compiuto un intervento volontario principale ai sensi dell'
art. 105 del c.p.c., o ancora quando il terzo pretendente è chiamato in causa dal
convenuto o dal
giudice.
La partecipazione del terzo pretendente può essere disposta dal giudice soltanto nel caso in cui, superati i termini previsti dall'
art. 269 del c.p.c., la parte legittimata ad effettuare la chiamata, ex
art. 106 del c.p.c., solleciti il giudice a provvedere
ex officio, sopperendo così alla sua inerzia.
Dall'applicazione della norma esula il caso in cui il convenuto obbligato, svolgendo un'attività difensiva volta al rigetto della domanda attorea, indichi il terzo pretendente come il vero
creditore dell'obbligazione dedotta in giudizio dall'attore (si afferma che con tale condotta il convenuto perde l'atteggiamento di neutralità nei riguardi dei due pretendenti, richiesto dall'
art. 109 del c.p.c.).
Secondo l'opinione comune e nonostante il tenore letterale della norma si riferisca alla “prestazione dell'obbligato”, il giudizio può avere ad oggetto anche un
diritto reale .
In ordine agli effetti del deposito della cosa o della somma da parte del debitore, parte della dottrina ritiene che tale deposito sottende la non contestazione del dovere di adempiere la prestazione, assumendo, così, carattere liberatorio, con la conseguenza che l'obbligato viene privato della legittimazione ad agire o a resistere nel giudizio.
In tale ottica, ci si è spinti ad equiparare i presupposti e l'efficacia del deposito disciplinato dall'art. 109 a quelli del deposito liberatorio disciplinato dall'
art. 1210 del c.c., considerato che in entrambe le ipotesi la liberazione del debitore presuppone un accertamento vero e proprio della validità della sua offerta.
La fattispecie prevista da questa norma deve intendersi ricompresa anche nel disposto di cui al secondo comma dell’
art. 1777 del c.c. in tema di deposito, in virtù del quale il
depositario può liberarsi dall'obbligo di restituire la cosa effettuandone deposito secondo le modalità stabilite dal giudice.
L'adesione al suddetto orientamento interpretativo induce a ritenere che, a seguito dell’
estromissione dell’obbligato, l’oggetto del giudizio non consiste più nella condanna del debitore all'adempimento della prestazione, bensì nell'accertamento della titolarità attiva del diritto alla prestazione, ovvero nell'individuazione del soggetto titolare del diritto reale sul bene depositato.
Altra parte della dottrina definisce il deposito qui previsto diverso da quello regolato dall'art. 1210 c.c., perché privo della natura liberatoria, in quanto la liberazione del debitore ha come presupposto l'individuazione del vero creditore.
Di conseguenza, detto deposito non implica né la rinuncia da parte del debitore del suo diritto, né il
riconoscimento del suo debito, né, tanto meno, la perdita di proprietà della
res depositata, costituendo un mero espediente per liberare tale soggetto dalla responsabilità prevista dall'
art. 1218 del c.c., nonché dal rischio della
mora debendi di cui all’
art. 1222 del c.c.(detta attività, dunque, assume connotazione meramente cautelare).
La questione degli effetti del deposito non è indubbiamente fine a se stessa, in quanto influisce sulla risoluzione dell'ulteriore problema della sorte della
res depositata a seguito di un giudizio, ove nessuno dei pretendenti sia stato in grado di dimostrarne la titolarità attiva.
A tal proposito, secondo parte della dottrina l'inosservanza dell'onere di cui all'
art. 2697 del c.c. da parte dei contendenti deve ritenersi inidoneo a comportare la restituzione del bene all'obbligato, il quale ultimo, mediante il deposito, vi avrebbe rinunciato definitivamente, al punto che il giudice dovrebbe necessariamente eleggere uno dei pretendenti e disporre in favore di quest’ultimo la consegna del bene.
Secondo un'altra teoria, invece, l'inadempimento all'onere probatorio potrebbe provocare la riconsegna del bene all'obbligato non nella sua qualità di proprietario, ma quale ultimo
possessore del bene medesimo.
Qualora si volesse aderire alla teoria del deposito non liberatorio, in caso di mancata prova della titolarità attiva del diritto da parte dei pretendenti, il bene potrebbe essere rimesso nella disponibilità dell'obbligato-proprietario.
Nessun riferimento contiene questa norma in ordine alla forma del provvedimento di estromissione.
Parte della dottrina, applicando analogicamente la norma che regola l'estromissione del garantito, opta per la forma dell'
ordinanza; altra tesi, invece, ritiene che, nel silenzio della legge, il provvedimento debba essere adottato con
sentenza, al pari della decisione in tema di intervento.
Una terza tesi afferma che il provvedimento di estromissione può assumere forma diversa a seconda della sussistenza, o meno, di un contenzioso tra le parti in ordine ai presupposti di applicabilità di tale istituto (in caso di controversia il giudice emette una sentenza, altrimenti l'atto deve assumere la veste di ordinanza).
A seguito dell'estromissione dell'obbligato, nel processo proseguito tra i due pretendenti l'
onere della prova incombe su entrambe le parti del giudizio.
Da una parte della dottrina viene affermato che l'obbligato estromesso può essere sentito come
testimone in quanto, a seguito dell'uscita dal processo, diviene soggetto terzo rispetto alla lite, titolare di una situazione sostanziale del tutto autonoma da quella oggetto di causa; questa tesi è in linea con quella che conferisce al deposito effettuato dall'obbligato valore liberatorio, ritenendo, per l'effetto, che l'accertamento del suo debito esuli dall'oggetto del giudizio proseguito in sua assenza (qualora, invece, si continui ancora a discutere dell'obbligo dell'estromesso, l'obbligato non potrà essere considerato terzo e non potrà essere escusso come teste).
La dottrina che afferma la natura liberatoria del deposito ritiene che la sentenza conclusiva del processo tra gli asseriti creditori non esplichi alcun effetto diretto nei confronti dell'obbligato, il quale ultimo, con il provvedimento estromissivo, si è spogliato definitivamente della lite.
Tale sentenza, dovendo qualificarsi come di mero accertamento della titolarità attiva del diritto, e non di condanna dell'obbligato, costituisce
titolo esecutivo nei confronti del
depositario.
Va segnalata la tesi secondo cui, riconosciuta natura liberatoria al deposito compiuto dall'obbligato, deve ritenersi inammissibile l'
impugnazione proposta da costui avverso la sentenza resa tra i due contendenti, e ciò non in quanto va negata l'efficacia di tale provvedimento nei riguardi dell'estromesso, bensì perché deve attribuirsi alla dichiarazione resa da quest'ultimo (relativa alla sua disponibilità ad eseguire la prestazione), nonché al successivo deposito, il valore di preventiva volontaria accettazione della sentenza medesima.
I sostenitori dell'efficacia non liberatoria del deposito, al contrario, affermano che l'obbligato è destinatario degli effetti della sentenza di merito conclusiva del giudizio tra i pretendenti il cui oggetto va individuato, oltre che nella titolarità attiva della prestazione, anche nell'accertamento del correlato obbligo a carico del debitore.
Si evidenzia, da ultimo, la tesi dottrinale che ammette la possibilità per il debitore di agire per la
ripetizione dell'indebito, avvalendosi o di un intervento nella lite pendente tra i contendenti, ovvero della proposizione di un'autonoma azione nei confronti del vincitore.