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Articolo 1777 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 25/09/2024]

Persona a cui deve essere restituita la cosa

Dispositivo dell'art. 1777 Codice Civile

Il depositario deve restituire la cosa al depositante(1) o alla persona indicata per riceverla, e non può esigere che il depositante provi di esserne proprietario [1836].

Se è convenuto in giudizio da chi rivendica la proprietà della cosa [948] o pretende di avere diritti su di essa, deve, sotto pena del risarcimento del danno, denunziare la controversia al depositante [1012, 1586](2), e può ottenere di essere estromesso dal giudizio indicando la persona del medesimo [109 c.p.c.](3). In questo caso egli può anche liberarsi dall'obbligo di restituire la cosa, depositandola, nei modi stabiliti dal giudice, a spese del depositante.

Note

(1) Questi può anche non essere il proprietario e la sola qualifica di depositante ne legittima il diritto alla riconsegna.
(2) Da questo momento, inoltre, il depositario non può più restituire la cosa al depositante.
(3) In questo caso si ha l'estromissione dell'obbligato (109 c.p.c.) dal giudizio instaurato dal terzo.

Ratio Legis

La norma è volta ad agevolare il soggetto che ha diritto alla restituzione del bene (comma 1).
Il comma 2 è posto, da un lato, a tutela del depositante che ha diritto di essere informato di eventuali pretese di terzi sul bene stesso; dall'altro, a tutela del depositario cui, in caso di controversia, è consentita l'estromissione dal giudizio (109 c.p.c.) ed anche la liberazione dall'obbligo restitutorio.

Spiegazione dell'art. 1777 Codice Civile

Legittimazione al deposito

Per la validità del deposito, è irrilevante la situazione giuridica del depositante rispetto alla cosa depositata. Non è richiesta nel depositante, oltre la capacità giuridica, quella che alcuni chiamano capacità speciale di diritto, in funzione appunto della pertinenza di diritti sulla cosa: non occorre, più propriamente, una speciale legittimazione a contrattare. Chiunque sia in condizione, sia pure in linea di mero fatto, di procurare la consegna della cosa al depositario, conclude validamente un contratto di deposito che val quanto dire che è sufficiente la detenzione della cosa al momento del deposito, come mera res facti, esclusa quindi anche la necessità di una forma giuridica di possesso.

Chiunque, quindi, abbia interesse, per qualsiasi ragione, alla custodia della cosa, può farne valido deposito. Tale for­mula può ritenersi esatta, ma va chiarita aggiungendo che l'esistenza dell'interesse è ritenuta dall'ordinamento giuridico in re ipsa, per il fatto stesso della detenzione e del deposito, in guisa da non poter essere assunta a criterio di validità del contratto, onde il deposito è valido ed efficace, anche se, per carenza di ogni diritto rispetto alla cosa, il depositante non abbia un interesse personale e diretto alla sua conservazione, o tale interesse sia illecito, trattandosi di cosa furtiva. Che questa costituisca una peculiarità del deposito, non v'è dubbio: quando, infatti, si parla di interesse come condizione della tutela giuridica - così in linea generale, quando si assume l'interesse del creditore come requisito dell'obbligazione (art. 1174) - si allude ad un interesse effettivo e lecito, come dimostrano le norme sulla nullità del contratto per mancanza o illiceità della causa o dell'oggetto e sull'annullabilità per errore. Tuttavia l'interesse del depositante di cosa altrui detenuta sine causa potrebbe sempre individuarsi in funzione della responsabilità per la conservazione della cosa, cui è esposto verso l'avente diritto; e comunque il riconoscimento della validità del deposito in ogni caso è giustificato dall'interesse sociale alla buona conservazione dei beni, per considerazioni analoghe a quelle che stanno a base della tutela possessoria, ed in ultima analisi nello stesso interesse del terzo avente diritto.

Fermi quindi gli effetti del deposito tra le parti, spetterà esclusivamente al terzo avente diritto di rilevare la deficienza della situazione giuridica del depositante rispetto alla cosa, e provvedere alla propria tutela, sperimentando nei confronti del depositario le stesse azioni che gli competerebbero verso il depositante, e così paralizzando le pretese contrattuali del secondo. Solo in un caso è sancito un dovere d'iniziativa a carico del depositario, ed in un altro le obbligazioni ex deposito cadono automaticamente, giusta le norme degli articoli 1778 e 1779.


Diritti di terzi sulla res deposita e posizione processuale del depositario

È ovvio che il deposito non può pregiudicare i diritti dei terzi sulla cosa o comunque relativi ad essa, dal momento che, di regola, il deposito non attribuisce al depositario alcun diritto sulla cosa, che possa confliggere con il diritto altrui.

In base al detto principio generale, invece, vanno regolati quei casi in cui il deposito sia rivolto alla tutela di un interesse del depositario mediante il diritto di questi di non restituire prima di un certo termine o condizione (vedi art. 1771), o di un interesse di un terzo (vedi art. 1773): in questi casi il diritto del depositario o del terzo non è opponibile ai terzi (in senso stretto) aventi diritto. Il proprietario può dunque esperire nei confronti del depositario, passivamente legittimato come detentore, l'azione rivendicatoria; l'usufruttuario può agire per ottenere il possesso della cosa (art. 982), il creditore pignoratizio può rivendicarla ai sensi dell'art. 2789; i titolari di un diritto personale sulla cosa, la cui attuazione richieda il possesso di questa (per es. il conduttore), ed i creditori del proprietario — sia o non sia dante causa lo stesso depositante — possono rivendicare la cosa in via surrogatoria (art. 2900); ed infine i creditori del depositante o del proprietario possono sottoporre la cosa a pignoramento o sequestro.

Intentata un'azione del genere, è ovvio che il depositario non possa, pendente il giudizio, restituire la cosa al depositante, se non vuole rispondere personalmente nei confronti dell'attore (art. 948), e che la pendenza del giudizio costituisca giusta causa di rifiuto della restituzione chiesta dal depositante. Tutto ciò deriva dai principi generali, e non occorreva espressa menzione. L'art. 1777 cpv. provvede a stabilire, in relazione alle dette ipotesi, e confermando implicitamente che il depositario non è tenuto a sostenere in giudizio le ragioni giuridiche del depositante (v. art. 1766 e art. 1768), che il depositario medesimo è obbligato a denunciare la controversia al depositante, affinché questi sia in grado di provvedere alla sua difesa. Quest'obbligo non è specifico del deposito, né in funzione della causa di esso, ma si può considerare specificazione del generale dovere di correttezza e solidarietà, sancito positivamente (art. 1175), onde il custode è tenuto a porre l'interessato in condizione di provvedere alla tutela del suo interesse, laddove esso non è tutelato dalla prestazione di custodire dovuta (che non comprende la protezione giuridica) e l'interessato non sarebbe in grado di avvertirne l'esigenza causa lo spossessamento conseguente al deposito (per altre applicazioni, cfr. articoli 1012 e 1586).
Così, sotto il profilo dell'omessa denuncia, il depositario è tenuto al risarcimento anche quando la perdita della cosa, conseguita alla rivendicazione, non possa a lui imputarsi; ma deve ritenersi salva la prova che l'azione del terzo sarebbe stata accolta anche se il depositante fosse stato parte in causa. Se il depositario rimane in causa, la sentenza farà stato anche nei suoi confronti, ed egli dovrà in esecuzione di essa restituire al rivendicante anziché al depositante. Ma la disposizione in esame gli attribuisce il diritto di farsi estromettere indicando la persona del depositante (laudatio auctoris), ammettendo in tal caso la sola possibilità, per esso, di liberarsi dall'obbligo di restituire la cosa, depositandola nei modi stabiliti dal giudice. Se quest'ultima possibilità, come apparirebbe dalla lettera della legge, presupponesse l'iniziativa del depositario, non riuscirebbe agevole spiegare, in mancanza di tale iniziativa, il passaggio della legittimazione attiva alla restituzione dal depositante soccombente al terzo rivendicante, posto che tale legittimazione non presuppone la proprietà della res deposita: si potrebbe, forse, ipotizzare una trasformazione del depositario in sequestratario, come effetto automatico della controversia insorta rispetto alla cosa.

È ovvio che la denuncia non occorra, né l'estromissione sia possibile, in quei procedimenti comportanti l'assunzione necessaria della veste di soggetto processuale da parte così del depositario come del depositante (sequestro e pignoramento presso terzi, regolati dalle norme generali del codice di procedura civile).

Relazione al Libro delle Obbligazioni

(Relazione del Guardasigilli al Progetto Ministeriale - Libro delle Obbligazioni 1941)

557 Nell'art. 645 ho ripristinato la regola del codice (articoli 1853 e 1854, primo comma), che la Commissione reale aveva soppresso, secondo la quale il depositario deve restituire la cosa al depositante o alla persona da lui indicata per ricevere, indipendentemente dalla prova che il depositante ne sia il proprietario.
Ho fatto seguire poi un capoverso nel quale, riproducendosi dal progetto del 1936 la norma che obbliga il depositario a denunciare al depositante la rivendica che sia stata intentata contro di lui, si autorizza la estromissione dal giudizio dello stesso depositario, qualora indichi la persona del depositante: la fattispecie è identica a quella prevista nell'art. 439 del presente progetto (art. 1652. cod. civ.) e imponeva quindi la medesima soluzione.
Ma andava anche regolato il modo di liberazione dall'obbligo di restituire, nell'ipotesi di pretese di terzi sulla cosa: mi è sembrato che potesse appagare, all'uopo, la facoltà di depositare la cosa nei modi stabiliti dal giudice, a spese del depositante.

Relazione al Codice Civile

(Relazione del Ministro Guardasigilli Dino Grandi al Codice Civile del 4 aprile 1942)

729 E' tradizionale il principio secondo il quale il depositario deve restituire la cosa al depositante. Di esso, in conformità del codice del 1865 o della tradizione storica, si è conservata (art. 1778 del c.c.), nell'interesse del depositario, la rigida applicazione, nonostante qualche dubbio sollevato al riguardo, anche quando il depositario venga a conoscenza che la cosa proviene da un reato e gli sia nota la persona a cui è stata sottratta, qualora questa, dopo la denunzia fattale del depositario, non faccia opposizione entro brevi termine. Per il caso in cui il depositario sia convenuto in giudizio da chi pretenda la proprietà od altro diritto sulla cosa, in analogia a quanto si è stabilito per la locazione (art. 1586 del c.c.), si è imposto al depositario l'obbligo di denunziare la lite al depositante; il depositario può ottenere la sua estromissione mediante la laudatio auctoris e può liberarsi dall'obbligo di restituire, depositando la cosa nei modi stabiliti dal giudice (art. 1777 del c.c., secondo comma). Dal principio che normalmente il deposito si effettua nell'interesse del depositante, deriva la regola, contenuta nell'art. 1860 cod. civ. del 1865 e ripetuta nell'art. 1771, che il depositarlo deve restituire la cosa quando il depositante la richieda. Due eccezioni peraltro sono state poste a tale regola. Una, già sostanzialmente preveduta nell'art. 1860, secondo comma, del codice del 1865, è nel senso che il depositario può costringere il depositante a riprendersi la cosa anche prima del tempo che lo stesso depositante potrebbe ritenere di suo interesse circa la durata del deposito, salva l'esistenza di un termine a favore del depositante. L'altra, nuova, è nel senso che il depositante non possa chiedere la restituzione ad libitum quando è stato convenuto un termine nell'interesse del depositario; questo termine è largamente applicato nella pratica relativa ai depositi vincolati ma può riferirsi ad ogni tipo di deposito, se per l'entità o per la modalità del pagamento del compenso, o in rapporto alle spese che il depositario sostiene, questi abbia convenuto un termine a suo favore. Più persone possono aver diritto alla restituzione, o perché più sono i depositanti (art. 1772 del c.c., primo comma), o perché all'unico depositante succedono più eredi (art. 1772, secondo comma). Il codice del 1865 prevedeva solo questa seconda ipotesi, in una disciplina sostanzialmente riprodotta nel codice nuovo si è considerato che, quando vi è una pluralità di depositanti, si profila il loro interesse alla restituzione della cosa nella sua integralità e non per parti, per quanto oggetto del contratto sia una cosa divisibile; i depositanti devono quindi accordarsi circa le modalità della restituzione, altrimenti le modalità stesse saranno stabilite dall'autorità giudiziaria, su istanza di alcuno degli interessati. Diverso è il caso che si tratti di più depositari, perché allora non è necessario che il depositante debba perseguirli tutti per ottenere la restituzione. Basta quindi che egli si rivolga contro colui o coloro che detengono la cosa, mentre gli eventuali diritti degli altri depositari sono salvaguardati dall'obbligo, imposto al detentore o ai detentori, di dare pronta notizia, agli altri depositari, della domanda di restituzione (art. 1772, terzo comma). Infine, se il deposito è stato eseguito nell'interesse di un terzo che abbia aderito al rapporto, la cosa depositata non può essere restituita al depositante senza il consenso del terzo (art. 1773 del c.c.).

Massime relative all'art. 1777 Codice Civile

Cass. civ. n. 5899/2022

A norma degli artt. 1586 e 1777 c.c. - che esprimono una regola generale applicabile anche fuori dell'ambito dei contratti di locazione e di deposito - il convenuto in un'azione di revindica, che indichi il soggetto in nome del quale detiene il bene rivendicato, ha diritto di essere estromesso dalla lite e perde, quindi, la legittimazione passiva rispetto alla domanda. Ne consegue che fra tali soggetti non viene a costituirsi un rapporto di litisconsorzio necessario, neanche nel caso in cui venga disposta, sotto il profilo della comunanza di causa, l'intervento "jussu judicis" della persona indicata come l'effettivo possessore del bene rivendicato. Peraltro, l'obbligo del giudice di estromettere dalla causa il detentore originariamente citato non è incondizionato, ma a norma del citato art. 1586 c.c., presuppone che quest'ultimo dimostri di non aver alcun interesse a rimanere della lite e non si opponga, quindi, all'azione del terzo che pretende di aver diritto alla cosa; pertanto se la sentenza di primo grado, ritenendo persistere siffatto interesse, non estrometta il detentore del giudizio, ma decida la lite nei confronti sia del detentore che del possessore chiamato in causa, si verifica, in sede di gravame, un'ipotesi di causa inscindibile, con la conseguente necessità di integrare il contraddittorio nei confronti dell'interventore coatto, cui l'atto di appello non sia stato validamente notificato.

Cass. civ. n. 9521/2000

In tema di contratto di deposito, essendo il depositario obbligato a consegnare al depositante l'oggetto del deposito e potendo tale obbligo, nel caso in cui terzi vantino diritti sul medesimo oggetto, essere paralizzato soltanto dall'esperimento dell'azione di rivendica da parte del terzo, l'omesso esercizio di detta azione esclude che sia configurabile una responsabilità del depositario nascente dalla restituzione effettuata in conformità all'art. 1777, primo comma, c.c.

Cass. civ. n. 10892/1999

Nel contratto di parcheggio (assimilabile, quanto alla disciplina giuridica applicabile, al contratto di deposito), soggetto attivo dell'obbligazione di restituzione delle cose depositate (ovvero di quella sostitutiva avente ad oggetto l'equivalente pecuniario delle medesime) è il depositante, e non già il proprietario.

Cass. civ. n. 8401/1993

In tema di deposito, l'erede di uno dei depositanti di un complesso di beni indivisi che agisce per la restituzione è tenuto a provare solo la sua qualità di erede e non anche che i beni sono stati attribuiti, nella divisione, al suo dante causa perché, ai sensi dell'art. 1777 c.c., il depositario ha l'obbligo di restituire la cosa depositata al depositante (o alla persona indicata per riceverla), che non è, conseguentemente, tenuto a provare anche di esserne il proprietario.

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