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Articolo 108 Codice di procedura civile

(R.D. 28 ottobre 1940, n. 1443)

[Aggiornato al 02/03/2024]

Estromissione del garantito

Dispositivo dell'art. 108 Codice di procedura civile

Se il garante comparisce e accetta di assumere la causa in luogo del garantito, questi può chiedere, qualora le altre parti non si oppongano, la propria estromissione (1). Questa è disposta dal giudice con ordinanza (2); ma la sentenza di merito pronunciata nel giudizio spiega i suoi effetti anche contro l'estromesso (3).

Note

(1) La dottrina ritiene che la norma trovi applicazione solo nei casi di garanzia propria, ovvero quando causa principale e causa di garanzia hanno in comune lo stesso titolo, anche se la giurisprudenza ha esteso l'ambito di applicazione alle ipotesi di garanzia impropria, in cui la connessione fra le cause è di mero fatto (art.32). L'estromissione deve essere chiesta dal garantito ed accettata dall'attore. Una volta estromesso il garantito, il processo è proseguito da chi è tenuto a garantirlo, in qualità però di sostituto processuale (art.81). L'estromesso, infatti, rimanendo titolare del diritto sostanziale di cui si controverte, può di nuovo intervenire nel processo nonché impugnare la sentenza che spiegherà effetti anche nei suoi confronti.
(2) L'estromissione viene dichiarata dal giudice con ordinanza irrevocabile, anche se non mancano alcune voci in dottrina secondo le quali tale ordinanza sarebbe impugnabile innanzi al collegio (art.178), mentre per altri sarebbe solo modificabile o revocabile dallo stesso giudice che l'ha emessa (art.177).
(3) La norma si riferisce alla sentenza di merito, ma non è escluso che anche gli effetti di una sentenza processuale possano essere estesi anche al garantito.

Ratio Legis

La norma disciplina l'istituto dell'estromissione che consiste nell'uscita di una parte dal processo per ordine del giudice. Tale istituto trova applicazione nei casi espressamente stabiliti e si giustifica ogni qualvolta il giudice riscontri il difetto dei presupposti di legittimazione, originario o sopravvenuto, per stare in giudizio nelle parti costituite.

Brocardi

Nominatio auctoris

Spiegazione dell'art. 108 Codice di procedura civile

In seguito a richiesta del garante, alla sua comparizione ed all’accettazione di assumere la causa in sostituzione del garantito medesimo, il giudice può con ordinanza disporre l’estromissione di quest’ultimo, il quale esce da quel processo in cui rivestiva il ruolo di parte originaria.
E’ questo un fenomeno inverso all'intervento in giudizio del terzo e l’estromissione costituisce la conseguenza dell'estraneità originaria o sopravvenuta del soggetto rispetto al procedimento.

Due sono i presupposti che la dottrina ha elaborato per l’operatività di tale istituto, ovvero:
  1. la carenza di legittimazione attiva o passiva della parte in riferimento alla quale viene pronunciato il provvedimento di estromissione;
  2. la pendenza di un processo litisconsortile.

Parte della dottrina ritiene che l'estromissione debba configurarsi come un istituto di portata generale, e che le fattispecie di cui agli artt. 108, 109 e 111 c.p.c. si pongano come mere figure esemplificative, e non già esaustive.
Più in particolare, si afferma che le ipotesi previste dalle suddette norme siano ascrivibili alla categoria della c.d. “estromissione propria” (si caratterizzano tutte per la sopravvenuta carenza di legittimazione ad agire della parte) e che come tali debbano contrapporsi alla fattispecie della c.d. “estromissione impropria”, la quale sarebbe determinata da una originaria carenza della legittimazione ad agire in capo al soggetto (il provvedimento con il quale è possibile disporre l'estromissione impropria dovrebbe assumere la forma della sentenza di rito).

In contrario si fa osservare che non può avvisarsi in questa norma una disposizione di carattere generale disciplinante l'istituto, anche in considerazione del fatto che, se l'estromissione viene pronunciata mediante sentenza, la sua portata coincide, di fatto, con una pronuncia di assoluzione nel merito della parte estromessa, mentre se l'estromissione viene disposta con ordinanza, essa non provoca una vera e propria uscita della parte dal processo, essendo la parte medesima destinataria dell'efficacia del provvedimento conclusivo del giudizio cui ha preso parte, seppur non sino al suo esito.

Questa norma, inoltre, deve ricollegarsi alla disposizione di cui al precedente art. 106 del c.p.c. (di cui ne viene chiarito il contenuto precettivo), regolando una particolare forma di estromissione del garantito, la quale si attua qualora il garante, comparendo nel giudizio di cui è parte il garantito, accetti di assumere la causa in vece di quest'ultimo, salvo la facoltà per le altre parti di opporvisi.
In tal senso, la dottrina dominante ritiene che questa norma sia applicabile alle sole fattispecie che sottendano una garanzia propria, la quale ricorre in ipotesi di identità o di connessione oggettiva dei titoli, mentre è da ritenere inapplicabile con riguardo alla garanzia impropria, la quale ultima non si fonda sul medesimo rapporto giuridico sostanziale dedotto in giudizio, ma sorge da un rapporto giuridico collegato solo «di fatto» a quello oggetto del processo, giuridicamente del tutto autonomo e distinto rispetto a quello controverso (è questo il caso tipico della vendita a catena).

Sulla base di tale ragionamento, deve escludersi che l’art. 108 possa operare con riguardo alle garanzie personali, le quali trovano la loro fonte in un rapporto obbligatorio e sono preordinate alla realizzazione dello stesso interesse che il creditore ha dedotto in una diversa obbligazione. Da ciò ne consegue la necessità che il garantito resti in causa ai fini della trattazione del rapporto di garanzia, non potendo il garante sostituirsi a lui.

Contraria alla suesposta tesi restrittiva è quella della Suprema Corte di legittimità, la quale consente l'applicazione dell'art. 108 anche a casi rientranti nella figura della garanzia impropria (un esempio ricorre nel caso del rapporto di assicurazione per responsabilità civile di cui all'art. 1917 del c.c.).

Per quanto concerne le modalità dell'estromissione, può dirsi che, affinché tale istituto possa operare devono ricorrere congiuntamente due presupposti, ossia la costituzione in giudizio del garante e l'accettazione da parte dello stesso di condurre la causa in vece del garantito.
Tali presupposti si desumono in via interpretativa, sulla scorta della considerazione che la norma si riferisce alla mera comparizione del garante, e che se lo stesso non adempie all'onere di costituzione, non potrà indubbiamente assumere il processo in luogo del soggetto con cui costui è legato da un rapporto di garanzia, né quest’ultimo può ritenersi legittimato ad uscire dal giudizio.
Oltre alla sua costituzione in giudizio, l'assunzione della causa da parte del garante comporta anche il riconoscimento implicito, da parte del medesimo, dell'esistenza di un rapporto di garanzia valido ed efficace con una delle parti del giudizio.

Dalla formulazione della norma, inoltre, si ricava che l'istanza di estromissione non deve essere accettata dalle altre parti, e che ai fini della pronuncia del provvedimento de quo, è sufficiente la mera non contestazione.

Il provvedimento estromissivo assume, per espressa previsione della legge, la forma dell'ordinanza, ed ha efficacia ex nunc.
E’ discusso in dottrina quale sia il regime a cui tale ordinanza deve ritenersi assoggettata.
Secondo un filone interpretativo, essa può essere modificata e revocata da parte dello stesso giudice che l’ha emessa; altri, invece, assimilandola ai provvedimenti pronunciati sulla base di un accordo raggiunto tra le parti, ne affermano l'irrevocabilità.

Con riferimento ancora alla sua forma si è affermato che, qualora taluna delle parti si opponga all’estromissione, con rifiuto che il giudice ritenga immotivato, il provvedimento di estromissione deve essere contenuto in una sentenza.
Tale forma, infatti, consentirebbe l’impugnazione di quel provvedimento da parte del soggetto il cui rifiuto all'uscita dal processo di una parte sia stato qualificato come ingiustificato (la forma dell'ordinanza, invece, pregiudicherebbe il diritto all'impugnazione della parte dissenziente).

Occupandoci adesso degli effetti della estromissione e della sentenza che conclude il giudizio, si afferma che il garante, a seguito dell'estromissione del garantito, assume la veste di sostituto processuale, ed è in quanto tale dotato di una legittimazione straordinaria, che gli consente di partecipare al processo in nome proprio per tutelare un diritto altrui; in capo al soggetto sostituito, invece, continua a permanere la veste di parte in senso sostanziale e, in quanto tale, sarà destinataria degli effetti della sentenza.

Altra parte della dottrina, invece, ritiene che il garante non parteciperebbe al giudizio per far valere in nome proprio un diritto altrui, ma adempirebbe al suo obbligo di manlevare il convenuto in un'azione proposta nei confronti di quest'ultimo.

Per quanto concerne la sorte degli atti processuali compiuti prima del provvedimento estromissivo, può affermarsi che essi conservano la loro efficacia; tale regola, però, deve essere coordinata con il principio generale secondo cui il garante, in ogni caso, non può essere pregiudicato dall'attività processuale posta in essere dal garantito, ancor più nel caso in cui il suo intervento nel processo si collochi in un momento successivo alla sua instaurazione.

Si riscontra una lacuna normativa in ordine ai rimedi che l'estromesso ha in relazione alle sentenze che pregiudicano i suoi diritti.
Secondo la dottrina maggioritaria, al garantito deve riconoscersi, nella sua qualità di parte in senso sostanziale, la possibilità di avvalersi, contro il provvedimento conclusivo del processo, dei mezzi di impugnazione ordinari; una tesi minoritaria, invece, circoscrive i mezzi d'impugnazione a disposizione del garantito estromesso all'opposizione di terzo revocatoria.

Va, infine, evidenziato che l'estromesso deve anche ritenersi legittimato a dispiegare intervento in giudizio, acquisendo in questo modo, nuovamente, la veste di parte in senso processuale.

Massime relative all'art. 108 Codice di procedura civile

Cass. civ. n. 15734/2007

Allorquando il giudice d'appello abbia pronunciato l'estromissione di una parte dal giudizio, il soccombente è legittimato a proporre il ricorso per cassazione, oltre che nei riguardi dell'altra parte, anche contro la parte estromessa, soltanto qualora impugni la sentenza anche sul punto dichiarativo della estromissione. Altrimenti, se non intende proporre ricorso sul punto della estromissione ed accetta, quindi, l'uscita dal processo della parte estromessa, egli è tenuto soltanto a notificare il ricorso ai sensi dell'art. 332 c.p.c. (Sulla base di tale principio essendo stato il ricorso proposto espressamente contro la parte estromessa senza l'impugnazione della decisione di estromissione, ha ritenuto che correttamente la parte estromessa si fosse costituita per far valere tale mancata impugnazione e che, quindi, la parte ricorrente fosse soccombente nei suoi confronti).

Cass. civ. n. 13968/2004

Con riferimento alla posizione dell'assicuratore della responsabilità civile (fuori dell'ambito dell'assicurazione obbligatoria), quale è configurata dall'art. 1917 cod. civ., ricorre una ipotesi di garanzia propria, atteso che il nesso tra la domanda principale del danneggiato e la domanda di garanzia dell'assicurato verso l'assicuratore è riconosciuto sia dalla previsione espressa della possibilità di chiamare in causa l'assicuratore sia dallo stesso regime dei rapporti tra i tre soggetti contenuto nell'art. 1917, secondo comma, cod. civile. Infatti, nelle ipotesi in cui sia unico il fatto generatore della responsabilità come prospettata tanto con l'azione principale che con la domanda di garanzia, anche se le ipotizzate responsabilità traggono origine da rapporti o situazioni giuridiche diverse, si versa in un caso di garanzia propria che ricorre, solo ove il collegamento tra la posizione sostanziale vantata dall'attore e quella del terzo chiamato in garanzia sia previsto dalla legge disciplinatrice del rapporto (In applicazione di tale principio la Corte ha affermato la natura di garanzia propria in un caso in cui si controverteva della responsabilità per i danni subiti da una partita di merce e cagionati dal vettore contro cui aveva agito l'assicuratore che, avendo pagato la merce danneggiata, si era surrogato nei diritti del proprio assicurato verso il vettore, il quale, a sua volta, aveva chiamato in causa la società assicuratrice, con la quale aveva stipulato una polizza, chiedendo di essere manlevata da ogni pretesa risarcitoria. In conseguenza di tale qualificazione la Corte ha definitivamente respinto l'eccezione di incompetenza del Tribunale adito dalla parte danneggiata, per essere divenuta incontestabile in ragione della mancata eccezione del convenuto in relazione al regime della chiamata in garanzia propria).

Cass. civ. n. 13766/2004

La pronuncia con la quale il giudice di primo grado «estrometta dal giudizio» uno dei convenuti, ritenendolo privo di legittimazione passiva, configura, nonostante l'improprietà della formula adottata, una statuizione di rigetto della domanda, per difetto di una condizione dell'azione. Ne consegue che il giudice di appello, che ritenga non corretta detta pronuncia, deve trattenere la causa e giudicare nel merito, non ricorrendo ipotesi di rimessione al primo giudice, ai sensi degli artt. 353 e 354 c.p.c.

Cass. civ. n. 12899/2004

In tema di competenza ed ai fini della trattazione unitaria delle cause ai sensi dell'art. 32 c.p.c. con conseguente superamento degli ordinari criteri di competenza territoriale altrimenti operanti per la causa di garanzia, la sussistenza di due diversi titoli dedotti a fondamento, rispettivamente, della domanda principale e di quella di garanzia non è di per sé rilevante, posto che la garanzia propria ricorre non solo quando la causa principale e quella accessoria abbiano in comune lo stesso titolo, ma anche quando si verifichi una connessione oggettiva tra i titoli delle due domande, oppure quando sia unico il fatto generatore della responsabilità prospettata con l'azione principale e con quella di regresso. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata, che aveva individuato in un vizio del sistema di frenatura di un'autovettura l'unico fatto generatore di responsabilità dedotta a fondamento sia della domanda proposta nei confronti della società concessionaria, sia di quella di garanzia formulata da quest'ultima nei confronti della società costruttrice, con conseguente trattazione unitaria delle due cause ed inapplicabilità della deroga convenzionale alla competenza territoriale prevista nel contratto di concessione).

Cass. civ. n. 8458/2004

In tema di risarcimento del danno derivante da fatto illecito, qualora il danneggiante spieghi domanda di garanzia nei confronti della propria compagnia di assicurazione, l'accertamento della responsabilità civile dell'assicurato deve avvenire anche nei confronti dell'assicuratore, ove questo la contesti, atteso che sono autonomi i rapporti tra danneggiante e danneggiato e tra assicurato e assicuratore. Ne consegue che la sentenza emessa nel giudizio tra danneggiante e danneggiato, al quale sia rimasto estraneo l'assicuratore, non fa stato nei confronti di costui, salva l'ipotesi che sia stato chiamato in causa per garanzia impropria, giacché in questo caso il chiamante chiede implicitamente che siano accertati nei confronti dell'assicuratore tutti i presupposti su cui si fonda l'obbligo indennitario. (Nella specie, avvenuta la chiamata, la S.C. ha confermato la sentenza di appello, che, sul gravame della compagnia, aveva escluso il valore di prova legale della confessione resa dall'assicurata e respinto la domanda di garanzia).

Cass. civ. n. 2236/1981

L'estromissione dal giudizio del garantito a seguito d'intervento del terzo (con l'eventuale condanna di quest'ultimo) presuppone che la relativa istanza sia opera del garantito medesimo e non può avvenire senza che l'attore l'abbia accettata.

Cass. civ. n. 1236/1964

In tema di assicurazione contro i danni, nel momento della presentazione all'assicuratore della domanda di infortunio, da parte dell'assicurato danneggiante (art. 1913 c.c.), quest'ultimo, in senso potenziale, è certamente parte nell'eventuale lite sorgente tra esso danneggiante, il danneggiato e l'assicuratore: pertanto, la successiva estromissione dal giudizio dell'assicurato (avvenuta, nel caso, ai sensi dell'art. 108 c.p.c., per avere l'assicuratore dichiarato di voler assumere la causa in luogo del garantito), non potendosi ad essa riconoscere alcun effetto retroattivo in relazione a fatti pregressi, non può mai modificare la situazione di diritto determinatasi, sul piano sostanziale con conseguenti riflessi processuali, in epoca precedente all'estromissione. Su tali basi deve ritenersi che le dichiarazioni contenute nella suddetta denuncia di infortunio ben possono essere utilizzate, sul piano probatorio, come confessione extragiudiziale resa ad un terzo dall'estromesso prima dell'estromissione, e che l'animus confitendi, indispensabile perché anche la confessione extragiudiziale possa spiegare i suoi effetti giuridici, non viene meno per ciò solo che il confitente abbia successivamente perduto la qualità di parte.

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Consulenze legali
relative all'articolo 108 Codice di procedura civile

Seguono tutti i quesiti posti dagli utenti del sito che hanno ricevuto una risposta da parte della redazione giuridica di Brocardi.it usufruendo del servizio di consulenza legale. Si precisa che l'elenco non è completo, poiché non risultano pubblicati i pareri legali resi a tutti quei clienti che, per varie ragioni, hanno espressamente richiesto la riservatezza.

Giovambattista F. chiede
mercoledì 13/11/2013 - Campania
“Gradirei sapere se è procedibile il ricorso immediato (ex art. 21 D. Lgs. 274/2000), ingiuria, al quale manca l'apposizione dell’identificazione del cliente- persona offesa con la scritta “ identificato a mezzo di carta di identità”.
Inoltre sapere se ciò può essere sostituito da altra dicitura e/o incombenza.
Quale adempimento avrebbe dovuto esperire l'avvocato per far dichiarare l'improcedibilità e se è possibile richiederla in qualsiasi momento del procedimento.
Nell'attesa porgo distinti saluti.”
Consulenza legale i 28/11/2013
L'art. 21 del d. lgs. 274/2000 è molto chiaro nell'indicare i requisiti che il ricorso per la citazione a giudizio immediato dinanzi al giudice di pace deve contenere:
a) l'indicazione del giudice;
b) le generalità del ricorrente e, se si tratta di persona giuridica o di associazione non riconosciuta, la denominazione dell'ente, con l'indicazione del legale rappresentante;
c) l'indicazione del difensore del ricorrente e la relativa nomina;
d) l'indicazione delle altre persone offese dal medesimo reato delle quali il ricorrente conosca l'identità;
e) le generalità della persona citata a giudizio;
f) la descrizione, in forma chiara e precisa, del fatto che si addebita alla persona citata a giudizio, con l'indicazione degli articoli di legge che si assumono violati;
g) i documenti di cui si chiede l'acquisizione;
h) l'indicazione delle fonti di prova a sostegno della richiesta, nonché delle circostanze su cui deve vertere l'esame dei testimoni e dei consulenti tecnici;
i) la richiesta di fissazione dell'udienza per procedere nei confronti delle persone citate a giudizio.
Inoltre, viene precisato che il ricorso deve essere sottoscritto dalla persona offesa o dal suo legale rappresentante e dal difensore. La sottoscrizione della persona offesa è autenticata dal difensore.
La presentazione del ricorso produce gli stessi effetti della presentazione della querela.
Con il ricorso immediato il legislatore ha voluto costruire un regime alternativo rispetto alle forme ordinarie attivabili con la presentazione della querela, allo scopo di accelerare i tempi processuali saltando un passaggio, quello delle indagini preliminari.
Il giudice di pace può dichiarare l'inammissibilità del ricorso, ma ordina comunque la trasmissione degli atti al PM per l'ulteriore corso del procedimento.
Passando ora a trattare del quesito specificamente posto, va premesso che secondo la Cassazione il concetto di "generalità della persona citata a giudizio" può dirsi soddisfatto anche se nell'atto manchi l'indicazione della data o del luogo di nascita della persona, purché siano presenti altre indicazioni personali utili.
La sentenza Cass. Pen., sez. V, 16 maggio 2003, n. 772 ricorda che, a fini processuali, ciò che rileva è l'individuazione della identità fisica della persona, a prescindere dalle sue esatte generalità, il cui accertamento può essere rimandato ad un momento successivo.

Ciò detto vale per la persona citata a giudizio. Per quanto riguarda il ricorrente, poiché il ricorso va presentato con l'assistenza di un difensore, è difficile immaginare che un legale possa omettere i dati del ricorrente all'interno del ricorso, limitandosi ad allegare la copia della carta d'identità. Inoltre, va allegata al ricorso anche una procura speciale al difensore, che deve contenere le generalità del cliente/ricorrente.
Tuttavia, se quanto descritto nel quesito fosse in effetti avvenuto, si ritiene che possa essere applicato quanto sopra detto sull'orientamento della Cassazione in tema di generalità del citato a giudizio: se dal ricorso è possibile desumere l'identità del ricorrente, può essere sufficiente aver allegato la carta d'identità. Non riscontrandosi precedenti giurisprudenziali, non si può avere la certezza di un tale esito.
In ogni caso, se il giudice di pace, in qualsiasi momento, dovesse decidere che il ricorso è inammissibile, dovrà, come detto, trasmettere gli atti al PM affinché questi ne faccia oggetto di indagini.

GABRIELLA chiede
martedì 20/08/2013 - Lombardia
“Buongiorno,
avrei due quesiti da sottoporLe:

1) siamo quattro fratelli ed abbiamo ereditato un terreno da parte di una nostra sorella deceduta ad agosto 2012.
Mia sorella voleva regalare questo terreno ad un nipote, figlio di uno dei fratelli, ma non ha lasciato niente di scritto, solo il suo volere espresso in vita. I fratelli vorrebbero onorare la sua volontà, ma qualora uno non fosse più daccordo per varie vicissitudini occorse durante tutto questo periodo, gli altri potrebbero rogitarglielo? O bisogna essere tutti concordi? Secondo me il nipote sarebbe proprietario di 3/4 del terreno ed il restante 1/4 del fratello che non è daccordo nel rogitarglielo, è giusta come teoria, si può mettere in pratica?

2) io sono proprietaria di un terreno da oltre 40 anni ed in tutto questo tempo è stato coltivato da uno dei miei fratelli a cui ho dato il regolare comodato d'uso, (scaduto dal 2009) perchè vorrei venderlo. Qualora lui non potrebbe comperarlo e lo comprerebbe un confinante, a lui spetterebbe una buonuscita? E c'è un articolo del Codice Civile per quantificare l'importo? (Le premetto che questo terreno si trova nella provincia di Enna, può esistere una Legge Regionale in merito?)

Ringrazio cordialmente.”
Consulenza legale i 07/09/2013
Per quanto riguarda il primo quesito, va precisato che la volontà del testatore, per essere validamente espressa, deve essere contenuta in un testamento scritto, sia esso olografo (art. 602 del c.c.), pubblico (art. 603 del c.c.) o segreto (art. 604 del c.c.). Poiché la sorella defunta non ha formulato per iscritto il proprio volere in ordine al terreno, che avrebbe voluto regalare al nipote, è legittimo che gli eredi testamentari non onorino tale desiderio, che giuridicamente non ha forza vincolante. I tre fratelli concordi nel regalare la propria quota al nipote, possono certamente farlo: dovranno però tenere in considerazione l'esistenza del diritto di prelazione del quarto fratello sulle loro quote, in base all'art. 732 del c.c. ("Il coerede, che vuol alienare a un estraneo la sua quota o parte di essa, deve notificare la proposta di alienazione, indicandone il prezzo, agli altri coeredi, i quali hanno diritto di prelazione").

Il secondo quesito concerne il diverso istituto del comodato. L’art. 1803 del c.c. dice che il comodato è il contratto mediante il quale una parte (comodante) consegna all’altra (comodatario) una cosa mobile o immobile, affinché se ne serva per un tempo o un uso determinato, con l'obbligo di restituire la stessa cosa ricevuta.
Il codice civile non prevede espressamente per il comodato una disciplina delle eventuali migliorie apportate alla cosa, come invece accade per altri tipi di contratto (ad es. la locazione). Pertanto, si deve ritenere che il comodatario, oltre a non avere diritto al rimborso delle spese sostenute per l'utilizzo della res ricevuta in comodato, non abbia diritto ad avere una "buonuscita", ovvero a ricevere qualcosa per aver migliorato il fondo (in tal senso vedi Cass. Civ., sez. II, 26 giugno 1992). Ciò in quanto egli non è possessore ai sensi dell'art. 1150 del c.c., né è terzo - anche quando agisce oltre i limiti del contratto - ai sensi dell'art. 936 del c.c.. Le uniche spese che potranno essere rimborsate sono quelle necessarie alla conservazione del terreno, se si tratta di spese essenziali e urgenti (art. 1808 del c.c.).
Di contrario avviso sono alcuni studiosi (Teti, Luminoso, Scozzafava), secondo i quali, per quanto riguarda le addizioni e i miglioramenti, sarebbe applicabile anche al comodato la normativa in tema di locazioni (artt. 1582, 1592 e 1593 c.c.). In particolare, l'art. 1592 del c.c. recita: "Salvo disposizioni particolari della legge o degli usi, il conduttore non ha diritto a indennità per i miglioramenti apportati alla cosa locata. Se però vi è stato il consenso del locatore, questi è tenuto a pagare un'indennità corrispondente alla minor somma tra l'importo della spesa e il valore del risultato utile al tempo della riconsegna. Anche nel caso in cui il conduttore non ha diritto a indennità, il valore dei miglioramenti può compensare i deterioramenti che si sono verificati senza colpa grave del conduttore".
Si considera comunque preferibile la tesi per cui al comodato non può essere applicata la disciplina della locazione.

Diego chiede
venerdì 24/02/2012 - Campania

“Quindi, riguardo l'estromissione, quale soggetto è in grado di essere estromesso , il garante o il garantito? Tra i due, chi è terzo nel processo ed in grado di esercitare l'azione di regresso?”

Consulenza legale i 27/02/2012

Con l'estromissione del garantito di cui all'art. 108 del c.p.c. si fa riferimento al caso nel quale una delle parti (garantito) sia legata ad un terzo (garante) da un rapporto di garanzia e il garante si costituisca - dopo essere stato chiamato o intervenuto - manifestando l'intenzione di assumere la difesa del garantito. Se le altre parti non si oppongono, il garantito può allora essere estromesso. Il garante diviene, nel prosieguo, sostituto processuale del garantito, che rimane però parte in senso sostanziale. Il garantito estromesso rimane infatti soggetto al giudicato, anche se sfavorevole. Sarà, infine, il garante a poter esercitare l'azione di regresso.


Diego chiede
giovedì 05/01/2012 - Campania
“Ho letto che l'estromissione del garantito sia possibile solo nei casi di garanzia propria e solo quando il garantito non eserciti l'azione di regresso nei confronti del garante perche altrimenti la causa pendente non è più unica ma sono due le cause. Ciò è possibile? Ed inoltre l'azione di regresso non dovrebbe essere proposta dal garante invece che dal garantito (es:Fideiussione) ?”
Consulenza legale i 14/01/2012

Si ritiene che la norma trovi applicazione solo nei casi di garanzia propria, cioè quando causa principale e causa di garanzia hanno in comune lo stesso titolo, anche se la giurisprudenza, in casi limitati, l'ha esteso anche alle ipotesi di garanzia impropria, in cui la connessione fra le cause è di mero fatto. L'estromissione deve essere chiesta dal garantito ed accettata dall'attore. Estromesso il garantito, il processo è continuato da chi è tenuto a garantirlo, in qualità, però, di sostituto processuale. L'estromesso, infatti, in qualità di titolare del diritto sostanziale di cui si controverte, può di nuovo intervenire nel processo, nonchè impugnare la sentenza che spiegherà effetti anche nei suoi confronti.

In tema di garanzie, ed in particolare di fideiussione, è il fideiussore a vantare un diritto di regresso nei confronti del debitore per il capitale, gli interessi, le spese successive alla denunzia al debitore delle istanze proposte contro di lui, per gli interessi legali sulle somme pagate (così come previsto ex art. 1950 del c.c.). E' evidente che vi sarà la possibilità di agire in via di regresso, solo quando il fideiussore abbia concretamente provveduto all'adempimento.


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