In seguito a richiesta del
garante, alla sua comparizione ed all’accettazione di assumere la causa in sostituzione del
garantito medesimo, il giudice può con
ordinanza disporre l’
estromissione di quest’ultimo, il quale esce da quel processo in cui rivestiva il ruolo di parte originaria.
E’ questo un fenomeno inverso all'intervento in giudizio del terzo e l’estromissione costituisce la conseguenza dell'estraneità originaria o sopravvenuta del soggetto rispetto al procedimento.
Due sono i presupposti che la dottrina ha elaborato per l’operatività di tale istituto, ovvero:
-
la carenza di legittimazione attiva o passiva della parte in riferimento alla quale viene pronunciato il provvedimento di estromissione;
-
la pendenza di un processo litisconsortile.
Parte della dottrina ritiene che l'estromissione debba configurarsi come un istituto di portata generale, e che le fattispecie di cui agli artt. 108, 109 e 111 c.p.c. si pongano come mere figure esemplificative, e non già esaustive.
Più in particolare, si afferma che le ipotesi previste dalle suddette norme siano ascrivibili alla categoria della c.d. “estromissione propria” (si caratterizzano tutte per la
sopravvenuta carenza di legittimazione ad agire della parte) e che come tali debbano contrapporsi alla fattispecie della c.d. “estromissione impropria”, la quale sarebbe determinata da una
originaria carenza della legittimazione ad agire in capo al soggetto (il provvedimento con il quale è possibile disporre l'estromissione impropria dovrebbe assumere la forma della
sentenza di rito).
In contrario si fa osservare che non può avvisarsi in questa norma una disposizione di carattere generale disciplinante l'istituto, anche in considerazione del fatto che, se l'estromissione viene pronunciata mediante sentenza, la sua portata coincide, di fatto, con una pronuncia di assoluzione nel merito della parte estromessa, mentre se l'estromissione viene disposta con ordinanza, essa non provoca una vera e propria uscita della parte dal processo, essendo la parte medesima destinataria dell'efficacia del provvedimento conclusivo del giudizio cui ha preso parte, seppur non sino al suo esito.
Questa norma, inoltre, deve ricollegarsi alla disposizione di cui al precedente
art. 106 del c.p.c. (di cui ne viene chiarito il contenuto precettivo), regolando una particolare forma di estromissione del garantito, la quale si attua qualora il garante, comparendo nel giudizio di cui è parte il garantito, accetti di assumere la causa in vece di quest'ultimo, salvo la facoltà per le altre parti di opporvisi.
In tal senso, la dottrina dominante ritiene che questa norma sia applicabile alle sole fattispecie che sottendano una garanzia propria, la quale ricorre in ipotesi di identità o di
connessione oggettiva dei titoli, mentre è da ritenere inapplicabile con riguardo alla garanzia impropria, la quale ultima non si fonda sul medesimo rapporto giuridico sostanziale dedotto in giudizio, ma sorge da un rapporto giuridico collegato solo «di fatto» a quello oggetto del processo, giuridicamente del tutto autonomo e distinto rispetto a quello controverso (è questo il caso tipico della vendita a catena).
Sulla base di tale ragionamento, deve escludersi che l’art. 108 possa operare con riguardo alle garanzie personali, le quali trovano la loro fonte in un rapporto obbligatorio e sono preordinate alla realizzazione dello stesso interesse che il
creditore ha dedotto in una diversa obbligazione. Da ciò ne consegue la necessità che il garantito resti in causa ai fini della trattazione del rapporto di garanzia, non potendo il garante sostituirsi a lui.
Contraria alla suesposta tesi restrittiva è quella della Suprema Corte di legittimità, la quale consente l'applicazione dell'art. 108 anche a casi rientranti nella figura della garanzia impropria (un esempio ricorre nel caso del rapporto di
assicurazione per responsabilità civile di cui all'
art. 1917 del c.c.).
Per quanto concerne le
modalità dell'estromissione, può dirsi che, affinché tale istituto possa operare devono ricorrere congiuntamente due presupposti, ossia la costituzione in giudizio del garante e l'accettazione da parte dello stesso di condurre la causa in vece del garantito.
Tali presupposti si desumono in via interpretativa, sulla scorta della considerazione che la norma si riferisce alla mera comparizione del garante, e che se lo stesso non adempie all'onere di
costituzione, non potrà indubbiamente assumere il processo in luogo del soggetto con cui costui è legato da un rapporto di garanzia, né quest’ultimo può ritenersi legittimato ad uscire dal giudizio.
Oltre alla sua costituzione in giudizio, l'assunzione della causa da parte del garante comporta anche il riconoscimento implicito, da parte del medesimo, dell'esistenza di un rapporto di garanzia valido ed efficace con una delle parti del giudizio.
Dalla formulazione della norma, inoltre, si ricava che l'istanza di estromissione non deve essere accettata dalle altre parti, e che ai fini della pronuncia del provvedimento
de quo, è sufficiente la mera non contestazione.
Il provvedimento estromissivo assume, per espressa previsione della legge, la forma dell'ordinanza, ed ha efficacia
ex nunc.
E’ discusso in dottrina quale sia il regime a cui tale ordinanza deve ritenersi assoggettata.
Secondo un filone interpretativo, essa può essere modificata e revocata da parte dello stesso giudice che l’ha emessa; altri, invece, assimilandola ai provvedimenti pronunciati sulla base di un accordo raggiunto tra le parti, ne affermano l'irrevocabilità.
Con riferimento ancora alla sua forma si è affermato che, qualora taluna delle parti si opponga all’estromissione, con rifiuto che il giudice ritenga immotivato, il provvedimento di estromissione deve essere contenuto in una sentenza.
Tale forma, infatti, consentirebbe l’
impugnazione di quel provvedimento da parte del soggetto il cui rifiuto all'uscita dal processo di una parte sia stato qualificato come ingiustificato (la forma dell'ordinanza, invece, pregiudicherebbe il diritto all'impugnazione della parte dissenziente).
Occupandoci adesso degli effetti della estromissione e della sentenza che conclude il giudizio, si afferma che il garante, a seguito dell'estromissione del garantito, assume la veste di sostituto processuale, ed è in quanto tale dotato di una legittimazione straordinaria, che gli consente di partecipare al processo in nome proprio per tutelare un diritto altrui; in capo al soggetto sostituito, invece, continua a permanere la veste di parte in senso sostanziale e, in quanto tale, sarà destinataria degli effetti della sentenza.
Altra parte della dottrina, invece, ritiene che il garante non parteciperebbe al giudizio per far valere in nome proprio un diritto altrui, ma adempirebbe al suo obbligo di manlevare il convenuto in un'azione proposta nei confronti di quest'ultimo.
Per quanto concerne la sorte degli atti processuali compiuti prima del provvedimento estromissivo, può affermarsi che essi conservano la loro efficacia; tale regola, però, deve essere coordinata con il principio generale secondo cui il garante, in ogni caso, non può essere pregiudicato dall'attività processuale posta in essere dal garantito, ancor più nel caso in cui il suo intervento nel processo si collochi in un momento successivo alla sua instaurazione.
Si riscontra una lacuna normativa in ordine ai rimedi che l'estromesso ha in relazione alle sentenze che pregiudicano i suoi diritti.
Secondo la dottrina maggioritaria, al garantito deve riconoscersi, nella sua qualità di parte in senso sostanziale, la possibilità di avvalersi, contro il provvedimento conclusivo del processo, dei mezzi di impugnazione ordinari; una tesi minoritaria, invece, circoscrive i mezzi d'impugnazione a disposizione del garantito estromesso all'
opposizione di terzo revocatoria.
Va, infine, evidenziato che l'estromesso deve anche ritenersi legittimato a dispiegare intervento in giudizio, acquisendo in questo modo, nuovamente, la veste di
parte in senso processuale.