L'obbligo di restituire la cosa alla fine dell'usufrutto
L'
obbligo principale che incombe sull' usufruttuario nel momento in cui si estingue il suo diritto ha per contenuto la
restituzione della cosa in natura. Si è già visto che l'obbligo di restituzione, di cui il codice ha voluto dare una definizione generale, assume in diversi casi svariati atteggiamenti, come per le cose consumabili, le cose deteriorabili, le scorte di un fondo, il capitale di un credito (in tale ipotesi l'obbligo di restituzione dell'usufruttuario si converte nell'obbligo di prestarsi agli adempimenti necessari per attribuire al proprietario l'esclusiva disponibilità del capitale investito ai sensi dell'
art. 1000 del c.c.). Va solamente rilevato, senza ripetere quanto detto nella spiegazione degli articoli precedenti, che l'eccezione all'obbligo di restituzione in natura non si ha soltanto nella ipotesi prevista dall'
art. 995 del c.c. (cose consumabili), come sembrerebbe dalla formulazione letterale dell'art. 1001, ma si può avere anche in altre ipotesi (es. scorte di un fondo).
Se, durante l'usufrutto, l'usufruttuario ha
goduto nei limiti della destinazione economica della cosa, osservando la diligenza del buon padre di famiglia ed adempiendo tutti gli obblighi che per legge o secondo il titolo erano a suo carico (custodia, vigilanza, manutenzione ecc.), l'obbligo di restituzione alla fine dell'usufrutto esaurisce tutti gli obblighi dell'usufruttuario.
Se, invece, i limiti del godimento
non sono stati rispettati, oppure gli obblighi non sono stati adempiuti, l'usufruttuario sarà tenuto a risarcire i danni che il suo comportamento, positivo o negativo, avrà arrecato alle ragioni del proprietario.
Si è talvolta dubitato, sotto la vigenza del vecchio codice, se, nel caso in cui fosse stata
alterata la sostanza della cosa data in usufrutto, ossia la sua destinazione, l'usufruttuario avesse anzitutto l'obbligo di
restituire in pristinum la cosa, dubbio che aveva la sua radice nel problema se fosse o no ammessa nel nostro ordinamento la risarcibilità del danno in forma specifica.. La questione deve dirsi risolta grazie all'
art. 2058 del c.c. che autorizza il creditore a chiedere la reintegrazione in forma specifica, quando questa sia in tutto o in parte possibile, salvo nel caso in cui il giudice ritenga che tale forma di reintegrazione risulti per il debitore eccessivamente onerosa rispetto a quella per equivalente.
Questa norma, collocata nel titolo relativo agli atti illeciti perché questo è il campo della sua maggiore applicazione, rappresenta indubbiamente un principio generale che può quindi funzionare anche nei rapporti tra proprietario e usufruttuario. Si deve solo avvertire che quando per la reintegrazione in forma specifica occorre procedere alla distruzione di qualche cosa che l'usufruttuario abbia fatto, entra in considerazione un altro limite di carattere generale, per cui non e consentito di distruggere cose la cui distruzione e di pregiudizio all'economia nazionale (art.
2933 capov. c.c.). In tal caso il creditore può pretendere solo il risarcimento dei danni per equivalente.
Quanto allo
stato in cui la cosa deve essere restituita non può essere dato che un criterio generale: la cosa non deve essere restituita nello stato in cui era all'inizio dell'usufrutto ma nello stato in cui si trova per effetto del godimento da parte dell'usufruttuario, godimento che, se contenuto nei limiti stabiliti dalla legge o dal titolo, non può essere fonte di responsabilità per il titolare, anche se la cosa sia alterata nella sua consistenza originaria ovvero nella sua attitudine produttiva.
La diligenza nel godimento
Uno dei criteri fondamentali che determinano la normalità del godimento dell'usufruttuario, e quindi delimitano il contenuto dell'obbligo di restituzione, è quello posto nel capoverso dello stesso art. 1001 per cui nel godimento della cosa l'usufruttuario deve usare la
diligenza del buon padre di famiglia. Questo criterio fondamentale, già incidentalmente messo in luce dall'art. 497 del codice del 1865, non sempre è stato valutato nella sua giusta portata, tanto che a qualcuno è apparso come un duplicato dell'obbligo di conservare la destinazione economica della cosa e che, in sede di elaborazione del nuovo codice, la Commissione delle Assemblee Legislative ne aveva proposto addirittura la soppressione.
Ovviamente, nell'ambito della destinazione economica della cosa, le modalità e le gradazioni del godimento possono essere svariate e che perciò può essere assai utile porre un
criterio generale che di quello determini la misura. Ora, la diligenza del buon padre di famiglia, richiamata nell'art. 1001 come criterio limite del godimento dell'usufruttuario, presuppone il rispetto della destinazione economica della cosa e l' adempimento degli obblighi particolari che incombono all'usufruttuario e che saranno esaminati in occasione delle singole disposizioni. Naturalmente nell'adempimento di ognuno di questi obblighi l'usufruttuario deve osservare, in base a una regola generale, la diligenza del buon padre di famiglia (art. 1224 cod. 1865 e art.
1175), ma qui la diligenza non è il contenuto dell'obbligo ma solo la misura e il grado del comportamento dovuto dal debitore. Invece, nel senso in cui ne parla l'art. 1001, la diligenza media è il contenuto di un obbligo autonomo che opera nella sfera di libertà riservata al godimento dell'usufruttuario dove cioè non operano i limiti e gli obblighi specifici stabiliti per l'usufruttuario dalla legge o dal titolo. L'obbligo della diligenza non rappresenta perciò un limite estrinseco della situazione tutelata per l'usufruttuario ma è una
condizione intrinseca del godimento che ne determina il modo e l'intensità.
Precisata l'autonomia dell'obbligo in oggetto, si deve però rilevare che il suo contenuto è necessariamente vago e generico e nei suoi atteggiamenti concreti non può essere determinato che
caso per caso. In generale si può solo dire che la diligenza che l'usufruttuario deve impiegare nel godimento della cosa non è affatto quella che la persona di ordinaria prudenza impiega nell'amministrazione e nel godimento delle cose proprie
. L'usufruttuario non è obbligato a godere come godrebbe della cosa propria un diligente padre di famiglia: la condotta del diligente usufruttuario va misurata ad una stregua diversa da quella del diligente proprietario. Questa è commisurata all'interesse prevalente di conservare la cosa, quella all'interesse prevalente di conservarne il reddito. Non si può quindi pretendere che l'usufruttuario ad es. destini una parte del reddito come ammortamento per la reintegrazione della produttività della cosa che eventualmente si esaurisca per effetto di un uso normale, ne che egli sopporti spese per riparazioni straordinarie (
art. 1003 del c.c.), ne che egli limiti il suo godimento attuale per garantire la conservazione dell'attitudine e della potenzialità produttiva della cosa.