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Articolo 764 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 26/11/2024]

Atti diversi dalla divisione

Dispositivo dell'art. 764 Codice Civile

L'azione di rescissione [763 c.c.] è anche ammessa contro ogni altro atto che abbia per effetto di far cessare tra i coeredi la comunione dei beni ereditari(1).

L'azione non è ammessa [765 c.c.] contro la transazione con la quale si è posto fine alle questioni insorte a causa della divisione o dell'atto fatto in luogo della medesima, ancorché non fosse al riguardo incominciata alcuna lite(2) [1970 c.c.].

Note

(1) Deve trattarsi di atti che abbiano come scopo principale quello di far cessare la divisione tra i condividenti. Rimangono, pertanto, esclusioni quegli atti che perseguano tale scopo solo occasionalmente.
(2) La norma si applica alla divisione intervenuta successivamente alla divisione (c.d. transazione divisoria), che va tenuta distinta dalla c.d. divisione transattiva, cioè quella mediante la quale le parti si fanno reciproche concessioni, istituto questo ricompreso tra gli "atti diversi dalla divisione" di cui al primo comma.
Dubbio è, stante la formulazione letterale della norma, se la rescissione si debba escludere anche per le transazioni che intervengono durante la divisione. La dottrina propende per escludere la rescindibilità di tali contratti, la giurisprudenza invece la ammette.

Ratio Legis

Stante l'identica funzione perseguita dagli "atti diversi dalla divisione" di cui alla norma in commento, il rimedio della rescissione viene ad essi esteso.

Spiegazione dell'art. 764 Codice Civile

La comunione ereditaria può sciogliersi, oltre che per effetto di una vera e propria divisione, anche in altri modi: l’art. #1039# del vecchio codice del 1865 enunciava la vendita, la permuta e la transazione, ma tale enunciazione è stata soppressa, perché incompleta. Oltre a tale soppressione, il nuovo testo ha sostituito alla frase “atto che abbia per oggetto di far cessare fra i coeredi la comunione degli effetti ereditari” l’altra “atto che abbia per effetto di far cessare fra i coeredi la comunione dei beni ereditari”. Qual è la portata di tale modificazione? Parte della dottrina formatasi sotto il vecchio codice riteneva che “oggetto” equivalesse non ad “effetto” ma a “scopo, oggetto e causa giuridica” traendone la rilevante conseguenza che si dovesse caso per caso indagare se le parti avrebbero potuto procedere comodamente alla divisione o meno: nel primo caso, l’atto avrebbe conservato la sua natura e sarebbe stato impugnabile solo come tale; nel secondo, esso equivarrebbe a divisione, impugnabile a mente dell’art. #1038# (oggi 673). Questa teoria, dubitabile sotto la vigenza del codice del 1865, sarebbe insostenibile oggi, avendo la legge, nell'adottare il termine “effetto” escluso ogni quaestio voluntatis, attenendosi, invece, al risultato oggettivamente considerato.

Il secondo comma dell’art. #1039# del codice precedente sottraeva all’azione di rescissione la transazione susseguente all’atto di divisione, purché fatta sopra le difficoltà reali che presentava il primo atto, ancorché non fosse già sorta una lite. Il concetto di difficoltà reale non era facile da stabilire: opportunamente, quindi, l’attuale testo ne ha soppresso la menzione, accontentandosi che vi sia: a) un atto di divisione o equipollente; b) una questione ad esso relativa; c) un atto di transazione susseguente.

Relazione al Codice Civile

(Relazione del Ministro Guardasigilli Dino Grandi al Codice Civile del 4 aprile 1942)

Massime relative all'art. 764 Codice Civile

Cass. civ. n. 8240/2019

Ai fini dell'interpretazione di un negozio come transazione divisionale, nel quale la causa transattiva prevale su quella divisionale, non è possibile presumere la volontà di transigere con rinuncia ai propri diritti, sulla base della semplice consapevolezza della sproporzione delle quote o dei beni indicati nell'accordo divisorio, in mancanza non soltanto dell'"aliquid datum aliquid retentum", ma anche di un mero disaccordo tra gli eredi e di qualsiasi espressa rinuncia o menzione della volontà di comporre future controversie. (Cassa con rinvio, CORTE D'APPELLO ROMA, 26/11/2013).

Cass. civ. n. 13942/2012

Il "discrimen" tra divisione transattiva, rescindibile ex art. 764, primo comma, c.c., e transazione divisoria, non rescindibile ex art. 764, secondo comma, c.c., né annullabile per errore ex art. 1969 c.c., non è costituito dalla natura transattiva di una controversia divisionale, ricorrente in entrambi i negozi, bensì dall'esistenza, nella prima e non nella seconda, di proporzionalità tra le attribuzioni patrimoniali e le quote di ciascuno dei partecipanti alla comunione.

Cass. civ. n. 8946/2009

In tema di divisione ereditaria, sono pienamente legittime sia le divisioni transattive che le transazioni divisorie, in quanto attraverso tali contratti vengono ad un tempo realizzati gli obiettivi dello scioglimento della comunione e quelli della cessazione o prevenzione della litigiosità tra gli eredi.

Cass. civ. n. 8448/1997

Al fine di escludere la rescindibilità dell'atto di divisione, ai sensi dell'art. 764, secondo comma, c.c., non è sufficiente constatare che essa contenga una contestuale transazione, dovendosi, ancora, accertare che l'accordo transattivo, regolando ogni controversia, anche potenziale, in ordine alla determinazione delle porzioni corrispondenti alle quote ereditarie, abbia avuto ad oggetto proprio le questioni costituenti presupposto ed oggetto dell'azione di rescissione, con la conseguenza che, accertato che le parti, con le espressioni usate nel negozio transattivo, non abbiano affatto voluto porre termine ad una disputa sulle stime (correndo, per l'effetto, l'alea reciproca di assegnare cespiti di valore inferiore oltre il quarto alla rispettiva quota), ma soltanto manifestato l'intendimento di procedere alla divisione senza esasperazione delle stime medesime (accontentandosi amichevolmente di valutazioni esposte al rischio di qualche marginale approssimazione), dovà ritenersi del tutto legittima, per l'effetto, la successiva proposizione dell'azione di rescissione oltre il quarto di cui al menzionato art. 764 c.c.

Cass. civ. n. 1029/1994

Sussiste un contratto divisorio soggetto alla rescissione laddove si riscontra la contemporanea esistenza degli elementi dell'attribuzione di valori proporzionali alle quote e dello scioglimento della comunione. Per contro, si è in presenza di una transazione, che si sottrae alla rescissione, quando con l'atto, che pone fine alla comunione, i condividenti — allo scopo di evitare le liti che potrebbero insorgere, o di porre termine alle liti già sorte — si accordano sulla attribuzione delle porzioni, senza procedere al calcolo delle proporzioni corrispondenti alle quote.

Cass. civ. n. 4106/1985

Il negozio con cui si scioglie una comunione incidentale ereditaria, ove posto in essere senza tener conto della proporzionalità tra valore dell'asse e quota attribuita (elemento essenziale del negozio divisorio) per dirimere o prevenire controversie insorgenti dallo stato di comunione, integra una transazione in senso proprio, la quale, sebbene attuata in occasione della divisione, si pone come fonte autonoma regolatrice del rapporto in luogo del titolo preesistente e produce effetti novativi, e con l'ulteriore conseguenza, che contro tale atto resta preclusa la proposizione dell'azione di rescissione per lesione oltre il quarto (art. 763 c.c.).

Cass. civ. n. 137/1984

In tema di divisione ereditaria, l'art. 764 secondo comma c.c., secondo il quale l'azione di rescissione per lesione oltre il quarto, di cui al precedente art. 763 c.c., non è ammessa contro la transazione che ha posto fine alle questioni insorte a causa della divisione (o dell'atto fatto in luogo della medesima), si riferisce, negando ingresso al suddetto rimedio rescissorio, non soltanto alle transazioni successive all'atto di divisione (o a quello ad esso equiparato) inerenti a contrasti insorti in sede di esecuzione ed interpretazione, ma anche agli accordi transattivi conclusi nel corso dell'iter divisorio, qualora questi, traducendosi in intese rivolte a prevenire o risolvere in via definitiva, mediante reciproche concessioni, controversie sulla concreta determinazione delle porzioni, vengano necessariamente a spiegare effetti sul contenuto del successivo atto di divisione.

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Consulenze legali
relative all'articolo 764 Codice Civile

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A. P. chiede
mercoledì 23/02/2022 - Trentino-Alto Adige
“Gradirei sapere fino a che punto una clausola, come la seguente:

"Le parti transigono con la sottoscrizione del presente atto ogni controversia (anche futura) in relazione alla successione della madre _____ e dichiarano di non aver più nulla da pretendere l’uno dall’altro a tale titolo"

inserita in un contratto con cui i coeredi prendono accordi tra loro sulla divisione dei beni provenienti dall'eredità, sia affidabile, vale a dire non possa essere contestata da uno dei coeredi in un secondo momento ?”
Consulenza legale i 01/03/2022
Una clausola di questo tipo viene generalmente inserita in quelli che l’art. 764 c.c. qualifica come “atti diversi dalla divisione”, i quali hanno pur sempre come scopo quello di far cessare tra i coeredi la comunione dei beni ereditari.
In particolare, mentre il primo comma della citata norma dispone che anche contro tali atti è ammessa l’azione di rescissione per lesione (prevista dall’art. 763 c.c. per il caso in cui taluno dei coeredi dimostri di essere stato leso oltre il quarto), il secondo comma aggiunge che tale azione non è ammessa contro la transazione con la quale i coeredi, nell’assegnarsi i beni, pongono fine alle questioni insorte a causa della divisione o ad ogni questione che possa eventualmente insorgere tra di loro.

Dal testo di tale norma sia la dottrina che la giurisprudenza ne hanno ricavato la distinzione tra due distinti negozi giuridici, ossia la divisione transattiva e la transazione divisoria.
La prima persegue il fine di sciogliere la comunione ereditaria, eventualmente compiendo piccole rinunce e accomodamenti tra i coeredi; la transazione divisoria, invece, ha lo scopo di porre fine ad una lite, anche solo potenziale, sulle modalità di divisione.
La distinzione tra divisione transattiva e transazione divisoria è così chiarita: si versa nell'ipotesi del negozio di divisione transattiva ove si riscontri nel comune intento delle parti la preminente volontà di risolvere la controversia divisionale con l'attribuzione di valori proporzionali alle quote e di sciogliere la comunione.
Al contrario, si è in presenza di una transazione divisoria quando con l'atto negoziale, che pone fine alla comunione, i condividenti, allo scopo di evitare l'insorgere di liti o per porre termine a liti già sorte, si accordano sull'attribuzione delle porzioni senza procedere al calcolo di queste nelle misure corrispondenti alle quote (così Cass. n. 20256/2009; Cass. n. 7219/1997).

In particolare, in giurisprudenza è stato affermato che il negozio con cui si scioglie una comunione incidentale ereditaria, posto in essere senza tener conto della proporzionalità tra valore dell'asse e quota attribuita (elemento essenziale del negozio divisorio) per dirimere o prevenire controversie insorgenti dallo stato di comunione, integra una transazione in senso proprio, la quale, sebbene attuata in occasione della divisione, si pone come fonte autonoma regolatrice del rapporto in luogo del titolo preesistente e produce effetti novativi, e con la ulteriore conseguenza che contro tale atto resta preclusa la proposizione dell'azione di rescissione per lesione oltre il quarto (cfr. Cass. n. 4106/1985).

Si è inoltre affermato che l'art. 764, 2° co., si riferisce non soltanto alla transazione successiva all'atto di divisione (o a quello ad esso equiparato), inerente a contrasti insorti in sede di esecuzione ed interpretazione, ma anche all’accordo transattivo concluso nel corso dell'iter divisorio, qualora questo, traducendosi (mediante reciproche concessioni) in intese rivolte a prevenire o risolvere in via definitiva controversie sulla concreta determinazione delle porzioni, venga necessariamente a produrre effetti sul contenuto del successivo atto di divisione.
Si tratta di un terzo tipo di atto, che la giurisprudenza (precisamente Cass. n. 8240/2019) ha qualificato come negozio preparatorio di divisione, il quale, proprio perché avente natura cd. paradivisoria, non produce un immediato effetto distributivo dei beni ereditari (come accade con il contratto di divisione), ma prepara il successivo accordo divisionale.
In questo caso, fatta eccezione per l’ipotesi di successiva revoca o risoluzione di tale accordo con il consenso unanime di tutte le parti, è da escludere ogni possibilità di sua impugnativa allorchè dal tenore letterale dell’accordo e dal comportamento delle parti si possa desumere la volontà delle stesse di transigere ogni lite già insorta o che possa insorgere in ordine allo scioglimento di quella comunione.

Ebbene, facendo applicazione di quanto fin qui detto al caso di specie, può affermarsi che una clausola quale quella che si sottopone all’esame, inserita in un contratto con il quale i coeredi raggiungono determinati accordi sulle modalità per procedere alla divisione dei beni ereditari, dà senza alcun dubbio luogo a quello che la giurisprudenza ha voluto qualificare come negozio preparatorio divisorio, con funzione anche transattiva per effetto dell’inserimento in esso della suddetta clausola.
Come tale, un contratto di tale natura non può essere soggetto ad annullamento o rescissione per lesione da alcuna delle parti che vi hanno partecipato, ma il suo contenuto può essere disatteso soltanto per effetto del consenso unanime di tutti coloro che hanno partecipato all’atto.

Mariarosaria A. chiede
mercoledì 12/01/2022 - Campania
“Nel novembre del 2020 tre fratelli divisero consensualmente, e con atto notarile, i beni relitti di una zia venuta meno senza lasciare nessuna volontà testamentaria.
1) Fatto pari a 400, il valore dell'asse ereditario all'epoca della divisione, come si determina ai sensi dello art. 763 C.C. aritmeticamente, la lesione oltre il 4° in tema di divisione tra tre coeredi in parti eguali?
2) Nell'atto notarile era inserita "reciproca rinunzia ad ogni azione di rescissione per lesione avendo la divisione anche valore transattivo di ogni eventuale lite che possa sorgere tra i condividenti.".
Ha valore la rinuncia come sopra descritta se non era stata preceduta da alcuna lite?
Cordiali saluti.”
Consulenza legale i 18/01/2022
La questione che qui si pone attiene al problema della difficile distinzione esistente nel campo del diritto civile tra le due fattispecie della transazione divisoria e della divisione transattiva.
Si tratta di due diverse tipologie di atti che trovano entrambi la loro fonte nel secondo comma dell’art. 764 c.c., nella parte in cui si prevede l’applicabilità del rimedio della rescissione alla divisione transattiva, mentre lo si esclude per la transazione divisoria.

In maniera estremamente sintetica può dirsi che la divisione transattiva è un negozio giuridico di carattere divisorio, in cui il comune intento delle parti è quello di risolvere la controversia divisionale tramite lo scioglimento della comunione e l’attribuzione proporzionale delle quote, ossia di superare amichevolmente questioni afferenti le operazioni divisionali.

La transazione divisoria, invece, presenta le caratteristiche di una vera e propria transazione diretta a comporre una lite, relativa all’esistenza o all’entità del diritto di chi pretende di partecipare al riparto dell’eredità, mediante la formalizzazione di un accordo sull’attribuzione delle porzioni senza procedere al calcolo delle misure corrispondenti alle quote.

Come può notarsi, dunque, il principale elemento di distinzione tra le due fattispecie non è individuabile nella natura transattiva del negozio, comune ad entrambe, ma nell’esistenza di proporzionalità (presente solo nel caso di divisione transattiva) tra le attribuzioni patrimoniali e le quote di ciascun partecipante alla comunione (cfr. in tal senso Cass. civ., 18 settembre 2009, n. 20256).
Solo in presenza di una divisione transattiva viene rispettato il principio della corrispondenza tra la quota di fatto e la quota ideale (ed è esercitabile l’azione di rescissione), mentre tutte le volte in cui si pone fine allo stato di divisione prescindendo dal suddetto principio della corrispondenza tra quota ideale e quota di fatto, si ha una transazione divisoria.

Anche in giurisprudenza è stato affermato che il negozio con cui si scioglie una comunione incidentale ereditaria, posto in essere senza tener conto della proporzionalità tra valore dell'asse e quota attribuita (elemento essenziale del negozio divisorio) per dirimere o prevenire controversie insorgenti dallo stato di comunione, integra una transazione in senso proprio, la quale, sebbene attuata in occasione della divisione, si pone come fonte autonoma regolatrice del rapporto in luogo del titolo preesistente e produce effetti novativi, e con la ulteriore conseguenza che contro tale atto resta preclusa la proposizione dell'azione di rescissione per lesione oltre il quarto ( cfr. Cass. n. 4106/1985).
E’ stato altresì aggiunto che, al fine di stabilire se si è in presenza di una transazione divisoria, non è sufficiente constatare che l'atto intervenuto tra le parti contenga una contestuale transazione, dovendosi anche accertare che l'accordo transattivo, regolando ogni controversia, anche potenziale, in ordine alla determinazione delle porzioni corrispondenti alle quote ereditarie, abbia avuto ad oggetto proprio le questioni costituenti presupposto ed oggetto dell'azione di rescissione.

Infine, è stato affermato che il secondo comma dell'art. 764 si riferisce non soltanto alle transazioni successive all'atto di divisione (o a quello ad esso equiparato), inerenti a contrasti insorti in sede di esecuzione ed interpretazione, ma anche agli accordi transattivi conclusi nel corso dell'iter divisorio; in tal senso può richiamarsi quanto affermato da Cass. civ. sent. N. 137 del 09/01/1984, in cui si precisa quanto segue:
La convenzione con la quale i coeredi stabiliscono che: a) i beni indivisi siano ripartiti secondo le norme della successione legittima, anziché in base al testamento del de cuius; b) ai fini predetti non si tenga conto di eventuali azioni di riduzione di altre eredità; c) in tal modo restino definiti transattivamente ed aleatoriamente tutti i rapporti ereditari, va qualificata come accordo transattivo non soggetto, in quanto tale, all'azione di rescissione”.

Pertanto, in conclusione può dirsi che, al di là del nomen iuris usato dal notaio nella intestazione dell’atto notarile con cui si è posto fine allo stato di comunione ereditaria, si ritiene, stando a quanto viene detto nel quesito, che nel caso di specie si sia in presenza di un tipico negozio di transazione divisoria, per effetto del quale le parti, oltre a procedere alla divisione senza tener conto della corrispondenza tra quota di fatto e quota di diritto, hanno inteso anche risolvere ogni potenziale controversia che potesse insorgere da quell’atto di divisione, con conseguente inapplicabilità nei confronti di tale atto del rimedio della rescissione per lesione.

Ad ogni modo, per un migliore e più corretto inquadramento giuridico della fattispecie negoziale intercorsa tra le parti, sarebbe opportuno esaminare il contenuto dell’atto notarile a cui si fa riferimento nel quesito.

SIRIO D. P. chiede
martedì 05/12/2017 - Emilia-Romagna
“Si tratta di una causa di divisione ereditaria iniziata nel 2007 e al momento interrotta per il decesso di un coerede contumace.
Il compendio immobiliare è costituito da 7 particelle catastali (3 fabbricati e 4 terreni) di cui sono proprietario al 50% (1/2) e tre miei zii tutti deceduti di 1/6 ciascuno ai quali subentrano gli eredi e che da visura catastale le intestazioni sono
1. Io per 1/2
2. Moglie zio deceduta nel 2003 per 1/18
3. Cugina per 1/36 costituita manca successione materna
4. Cugino deceduto 2017 contumace per 1/36 manca successione materna cui subentrano figlia e moglie
5. Cugino deceduto 1985 per 1/36 cui subentrano 4 figli costituiti manca successione paterna
6. Cugino per 1/36 costituito manca successione materna
7. Zia nata in Italia residente in Francia deceduta 1999 per 1/6 cui subentrano figli e nipoti di figlio premorto tutti nati e residenti in Francia contumaci manca successione materna ma con sottoscritto mandato a vendere a mio favore redatto in Francia
8. Zia nata in Italia residente in Francia deceduta 2000 cui subentra figlia nata e residente in Francia rinunciataria all’eredità con atto redatto e sottoscritto in Francia da avvocato
Il giudice dette incarico a notaio per la messa in asta ma che ritenne non possibile per mancanza successioni e volture
La divisione in natura, essendo il bene facilmente divisibile, proposta dal mio avvocato non è stata accettata dal giudice senza specifiche motivazioni anche se da più parti era considerata mio diritto.
L’avvocato della parte costituita ha proposto a me l’acquisto a non domino dell’intero compendio in cambio di una somma superiore della metà del valore commerciale del bene, ipotesi patrocinata anche dal mio avvocato, ma non mi fido.
Chiedo come uscirne.”
Consulenza legale i 12/12/2017
Esclusa la vendita all’asta e la divisione in natura, si ritiene che unica altra strada che possa dare una certa garanzia sia quella della transazione divisoria.

Trattasi di un istituto giuridico che trova esplicito riconoscimento e fondamento nell’art. 764 comma 2 c.c. norma che, nel disciplinare gli atti diversi dalla divisione ma aventi lo stesso effetto di pervenire allo scioglimento della comunione ereditaria, dispone che non è ammessa azione di rescissione contro la transazione con la quale si è posto fine alle questioni insorte a causa della divisione.

Dall’analisi di tale norma, dottrina e giurisprudenza ne fanno infatti discendere una distinzione tra:
a) divisione transattiva, con la quale si intende raggiungere il comune intento di tutte le parti partecipanti al giudizio di divisione di risolvere la controversia divisionale tramite una attribuzione proporzionale delle quote, superando così amichevolmente le diverse questioni che possono afferire le operazioni divisionali.
b) transazione divisoria: trattasi di una vera e propria transazione diretta a comporre una lite, relativa all’esistenza o all’entità del diritto di chi pretende di partecipare al riparto dell’eredità, accordandosi sull’attribuzione delle porzioni senza procedere al calcolo delle misure corrispondenti alle quote.

In questo caso, considerato che la mancanza di successione e di volture, già rilevata dal notaio, comporterebbe una estrema difficoltà nel soddisfare quella esigenza di corrispondenza tra quota ideale e quota di fatto, corrispondenza che costituisce come detto il presupposto della divisione transattiva, non resta altra possibilità che quella di ricorrere appunto all’istituto della transazione divisoria, la quale permette di porre così fine allo stato di comunione senza dover rispettare la predetta corrispondenza.

Peraltro, come dispone espressamente l’art. 764 comma 2 c.c., tale negozio non è neppure soggetto ad azione di rescissione, ovvero nessuno dei condividenti partecipanti alla divisione potrà impugnare la transazione conclusa lamentando di aver subito una lesione oltre il quarto, e ciò proprio perché non è richiesto di rispettare alcuna corrispondenza tra la quota ideale e la quota che di fatto è stata attribuita al condividente stesso.

Nel corpo stesso della transazione divisoria, poi, si potrebbe accettare la proposta della controparte di aver attribuito l’intero compendio ereditario verso il corrispettivo di una somma di denaro sufficiente a soddisfare tutti i coeredi partecipanti al giudizio di divisione.

Si ricorda, infatti, che trattasi di un diritto espressamente previsto dal codice civile all’art. 720 c.c., dettato proprio in materia di divisione ereditaria e rubricato “Immobili non divisibili”.

Approfittando della circostanza che il Giudice investito della causa di divisione si è già pronunciato in senso contrario alla divisione in natura del compendio ereditario, si potrà ancor più fondatamente ricorrere al disposto dell’art. 720 c.c. per chiedere che l’intera sostanza ereditaria venga, senza procedere ad alcun frazionamento, compresa per intero nella propria quota con addebito dell’eccedenza, ossia con versamento in favore degli altri coeredi di un conguaglio in denaro, che potrà essere stabilito consensualmente in sede di transazione divisoria.

Non è consigliabile, invece, conseguire tale risultato mediante la c.d. vendita a non domino, comportando questa sempre il rischio che possa in qualche modo essere messa in contestazione da chi si ritiene di essere comproprietario e di essere stata illegittimamente escluso, senza che si stata prima fatta valere l’usucapione nella sede opportuna.

Si consideri inoltre che la transazione divisoria, a cui si suggerisce di fare ricorso, può intervenire in qualsiasi stato e grado del giudizio in corso, in tal senso argomentandosi dall’art. 1965 c.c., norma che definisce appunto la transazione come contratto col quale le parti, facendosi reciproche concessioni, pongono fine a una lite già incominciata, senza nulla disporre circa il momento in cui deve essere concluso.

Ciò che si richiede è soltanto che, qualora le parti addivengano alla stipulazione di una transazione prima della sentenza che deve concludere il giudizio in corso e della formazione del relativo giudicato, la medesima dovrà essere dedotta nel corso del procedimento, e ciò al fine di poter essere fatta valere in un momento successivo.

Sotto il profilo della pubblicità di tale atto, la transazione potrà essere ratificata dal giudice e così trascritta nei registri immobiliari, ovvero si potrà stipulare il relativo atto dinanzi ad notaio e produrlo successivamente al giudice della divisione.

E’ d’obbligo infine precisare che le suesposte considerazioni sono state fatte senza prendere cognizione diretta di quella che è la reale situazione giuridica risultante dai vari passaggi successori e che soltanto un attento ed accurato esame dei titoli successori esistenti (in particolare ci si riferisce alle denunce di successione) potrà consentire di chiarire quali sono effettivamente i soggetti successibili per legge e/o per testamento, aventi diritto a partecipare al procedimento di divisione ed al negozio di transazione che si suggerisce di stipulare.

SIMONA P. chiede
mercoledì 22/02/2017 - Lombardia
“Salve
Mi trovo in comunione ereditaria con mio cugino. Fra i beni in comunione c'è un terreno in area con destinazione urbanistica che è edificabile. Su richiesta di mio cugino abbiamo fatto un frazionamento volto alla divisione. Nella frazione che dovrà finire a mio cugino (che più estesa in termini di metri quadri) ci sono due depositi agricoli e due box. Data la non equità della divisione, ho richiesto a titolo compensatorio la cessione della cubatura residua. Mentre in un primo momento il notaio mi aveva detto che si poteva procedere in tal senso, dopo seconda analisi lo stesso mi ha comunicato che la volumetria non viene considerata come parte dei beni ereditati in comunione e che quindi non può essere parte dell'atto di divisione. Quello che posso fare invece è una permuta. Il problema è che, mentre la divisione mi costa solo l'1% del valore della volumetria residua, la permuta mi costa il 9%. Rischio quindi di non potermelo permettere e di aver anche acconsentito a un frazionamento penalizzante nei miei confronti. Rimango dubbiosa sul fatto che la cubatura non sia un bene caduto nella comunione ereditaria, perché l'eredita del terreno è proprio alla genesi del fatto che io e mio cugino ci troviamo ad avere della volumetria residua insieme. Non ci sono precedenti, magari affrontati dalla cassazione, in cui si evinca che sia un bene ottenuto in eredita ed in comunione e quindi lo possa dividere con atto di divisione e che possa essere usateo a titolo di compensazione vs cessione di quote di fabbricati sempre nell'atto di divisione? Grazie e saluti”
Consulenza legale i 28/02/2017
Nozione basilare a cui occorre fare riferimento è quella di “divisione”, per la quale si ritiene utile rifarsi alla definizione che ne ha dato un illustre giurista (Deiana) il quale, proprio nel tentativo di sgomberare il campo dalla ricorrente confusione con la permuta, afferma che la divisione non tende a realizzare come la permuta uno scambio di diritti, ma mira a rendere concreta la quota astratta di ognuno mediante l’attribuzione, in luogo della sua quota astratta di comproprietà, della proprietà esclusiva di una quantità di beni il cui valore sia pari a quello della quota indivisa.
Con ciò, ovviamente, non si vuol dire che la natura divisoria di un negozio viene meno nel caso della c.d. divisione civile, ossia la distribuzione operata, anche solo parzialmente, mediante conguagli, dovendosi senza alcun dubbio aderire alla tesi secondo cui vanno ricondotti alla divisione tutti quegli atti che, in un modo o nell’altro, assolvano la funzione distributiva propria della divisione ed ai quali meglio si addice la definizione di “atti equiparati alla divisione” proposta dalla dottrina, piuttosto che la formula legislativa “atti diversi dalla divisione” di cui all’art. 764c.c.

Il problema che ci si pone, a questo punto, è quello di stabilire con esattezza in cosa possa consistere il conguaglio, ed al riguardo va detto che è prevalente in dottrina una nozione allargata di conguaglio, che non si limita alla obbligazione pecuniaria, ma ricomprende ogni bene fungibile e anche infungibile, e ciò nonostante la formulazione dell’art. 728 c.c.; si ritiene, infatti, che sia rilevante non tanto la natura dei beni o delle prestazioni oggetto di conguaglio, quanto il loro essere finalizzate a correggere le ineguaglianze delle porzioni e, quindi, in definitiva, ad attuare la funzione divisionale.

Da questo punto di vista la divisione va vista come tipo contrattuale aperto, ossia si sostiene che la norma di cui all’art. 728 c.c. abbia natura meramente dispositiva, potendo conseguentemente rientrare nel concetto di conguaglio ogni tipo di prestazione e attribuzione patrimoniale (si dice che il legislatore abbia tipizzato uno schema astratto per così dire monco, ossia disinteressandosi della natura dei beni attribuiti a titolo di conguaglio).
Questa la situazione dal punto di vista civilistico.

In campo tributario, invece, domina la scena il doppio sbarramento antielusivo, che da un lato considera vendita il maggior assegno che ecceda il 5% della quota di diritto e dall’altro considera permuta l’assegnazione incrociata di beni con provenienze diverse.

Corretta, dunque, appare la tesi del notaio di dover tassare come permuta la cessione di cubatura, sulla cui possibilità di costituire oggetto di conguaglio abbiamo visto non sussiste alcun dubbio.
La correttezza della tesi del notaio sta nel fatto che la cubatura avrebbe origine in un titolo diverso dalla successione, e precisamente in un negozio ad hoc che le parti andrebbero a stipulare, seppure nel corpo dello stesso atto divisorio.
Si tratta, dunque, di un diritto scaturente da un atto inter vivos, a mezzo del quale si viene a realizzare quella assegnazione incrociata di beni che il legislatore tributario configura come permuta e che in quanto tale va tassata (per effetto del trasferimento di cubatura il cedente crea una scissione della proprietà immobiliare dalla facoltà di costruire, formando un diritto a sé stante, e lo trasferisce definitivamente al cessionario).

Chiarito tale aspetto, è altrove allora che la soluzione deve ricercarsi, ed a tal fine si ritiene che un aiuto possa venire dall’esame della natura giuridica della cessione di cubatura.
Intanto va detto che quando si parla di cessione di cubatura, in via del tutto approssimativa, ci si riferisce a quel contratto con il quale il proprietario di un suolo edificabile cede in via definitiva al proprietario di altro suolo, in parte o per l’intero, la sua volumetria edificabile, di modo che il cessionario possa beneficiarne, in aggiunta alla propria, nella costruzione di un edificio sul proprio fondo; alla pattuizione di natura privatistica tra i proprietari del fondo segue la concessione da parte del Comune del titolo abilitativo alla edificazione, che consente al cessionario di costruire sul proprio fondo sfruttando la maggiore volumetria acquisita.

Non si dubita della legittimità di tale operazione qualora proprietario dei due fondi sia un unico soggetto (inteso anche nel senso di più coeredi) il quale potrebbe certamente, sin dall’origine, richiedere ed ottenere dal Comune un permesso di costruire unitario, che tenga conto di entrambe le capacità edificatorie prese singolarmente e poi, effettivamente edificare per l’intero volume soltanto su uno di questi, senza incorrere in alcuna violazione.
Si tratta, tuttavia, di ipotesi da scartare nel nostro caso, poiché imporrebbe una immediata realizzazione dell’edificio per il quale è stato chiesto il permesso di costruire.

Ciò che si propone, allora, per conseguire appieno il risultato pratico voluto dalle parti, è di seguire quell’orientamento giurisprudenziale (fatto proprio tra le altre da Cass. N. 4245 del 1981, Cass. 1352 del 1996, Cass. 9081 del 1988, T.A.R. Umbria sentenza n. 7 del 1990) secondo cui nella fattispecie della cessione di cubatura il ruolo giocato dalla pubblica amministrazione assume consistenza decisiva.
In tali decisioni si nota come la rilevanza del provvedimento amministrativo finisce con il superare quella dell’atto di autonomia privata; questo conserva efficacia meramente obbligatoria ed il trasferimento di volumetria viene fatto derivare, nei confronti dei terzi, dal provvedimento concessorio di natura discrezionale.
Lo stesso Consiglio di Stato, con sentenza n. 3637 del 2000, ha aderito alla tesi del contratto di cessione di cubatura come contratto atipico ad effetti obbligatori, avente natura di atto preparatorio, che si inserisce in un procedimento complesso volto al conseguimento, da parte del cessionario, del permesso di costruire per una volumetria maggiorata; la tutela dei terzi, in tale ottica, sarebbe demandata al Comune ed alle indicazioni presenti nel certificato di destinazione urbanistica.

Non va sottaciuto, infatti, che attualmente alle esigenze di pubblicità provvede il certificato di destinazione urbanistica dell’area, che deve indicare “tutte le prescrizioni urbanistiche ed edilizie riguardanti l’area o gli immobili interessati” (art. 8 co. IX decreto legge n. 9 del 1982, convertito dalla Legge n. 94 del 1982) e che deve essere allegato a pena di nullità a tutti gli atti tra vivi, sia in forma pubblica che in forma privata, aventi ad oggetto trasferimento o costituzione o scioglimento della comunione di diritti reali relativi a terreni (art. 18 co. II Legge 47/1985).
Sempre nella richiamata decisione del Consiglio di Stato (la n. 1382/1984) è chiarito che il trasferimento di volumetria, realizzato nella forma del contratto atipico ad effetti obbligatori, non è soggetto ad oneri di forma pubblica o di trascrizione (tale ricostruzione interpretativa è stata anche richiamata dalla sentenza della Corte di Cassazione n. 21177 del 2009).

Tradotto in termini pratici tutto quanto sopra detto, dunque, si potrà procedere alla stipula di un contratto preliminare di divisione ereditaria con il quale le parti si obbligano a:
  1. assegnarsi reciprocamente le porzioni come originariamente convenuto e riferito nel testo del quesito;
  2. presentare al Comune interessato un atto di vincolo urbanistico (“non aedificandi”) con il quale i coeredi, nella qualità di comproprietari, costituiscono a favore della particella frazionata sulla quale non insistono i depositi agricoli, ed a carico dell’altra, vincolo di inedificabilità;
  3. subordinare la stipula dell’atto pubblico e definitivo di divisione ereditaria alla condizione sospensiva che il Comune rilasci il certificato di destinazione urbanistica da cui risulti la cessione di volumetria e che andrà allegato all’atto stesso di divisione.
In tal modo, peraltro, si potrà essere in condizione di attribuire alle quote pari valore, senza necessità di far luogo ad alcun conguaglio.

Non si rinvengono, comunque, precedenti giurisprudenziali relativi a questo caso.

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