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Articolo 561 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 25/09/2024]

Restituzione degli immobili

Dispositivo dell'art. 561 Codice Civile

Gli immobili restituiti in conseguenza della riduzione sono liberi da ogni peso o ipoteca [2808 c.c.] di cui il legatario o il donatario può averli gravati(1), salvo il disposto del n. 8 dell'articolo 2652(2). I pesi e le ipoteche restano efficaci se la riduzione è domandata dopo venti anni dalla trascrizione della donazione(3), salvo in questo caso l'obbligo del donatario di compensare in denaro i legittimari in ragione del conseguente minor valore dei beni , purché la domanda sia stata proposta entro dieci anni dall'apertura della successione(4). La stessa disposizione si applica per i mobili iscritti in pubblici registri(5).

I frutti [820, 1284 c.c.] sono dovuti a decorrere dal giorno della domanda giudiziale [1148 c.c.](6).

Note

(1) Sono pesi tutti quei vincoli che attengono al godimento dell'immobile e ne limitano il valore e le facoltà dominicali. Sono ricompresi sia i vincoli reali sul bene (servitù, usufrutto, etc.) sia quelli obbligatori (locazioni, comodati, anticresi, etc.).
(2) Di norma vige il principio della retroattività reale della riduzione: esperita vittoriosamente l'azione di riduzione, l'erede ha diritto ad ottenere la restituzione degli immobili e dei mobili registrati liberi da pesi ed ipoteche di cui il donatario, il legatario e l'erede li abbia gravati.
Vengono, invece, fatti salvi i diritti acquistati a titolo oneroso dai terzi in base ad un atto trascritto prima della trascrizione della domanda giudiziale di riduzione, se sono decorsi più di dieci anni dall'apertura della successione (v. art. 2652 n. 8 del c.c.).
(3) Tale termine ventennale può essere sospeso in caso di opposizione ai sensi dell'art. 563 c. 4 del c.c..
(4) Ove siano decorsi più di vent'anni dalla donazione, rimangono efficaci i pesi e le ipoteche imposti sul bene. Il donatario deve corrispondere al legittimario una somma pari al minor valore del bene, se la domanda di riduzione è stata proposta nei dieci anni successivi all'apertura della successione.
(5) Il secondo periodo del primo comma è stato sostituito dagli attuali secondo e terzo periodo dall'art. 2 c. 4 novies lett. a), n. 1, del D. Lgs. 14 marzo 2005, n. 35, convertito con modificazioni nella L. 14 maggio 2005, n. 80.
(6) Se la restituzione avviene per equivalente monetario, sono dovuti solo gli interessi legali e non anche i frutti (il cui riconoscimento comporterebbe una duplicazione della medesima pretesa).

Ratio Legis

Il legittimario, salvi gli effetti della trascrizione, ha diritto ad essere favorito rispetto a terzi che abbiano acquistato dal donatario diritti sul bene oggetto dell'azione di riduzione, sempre che non siano decorsi più di vent'anni dalla trascrizione della donazione. Decorso tale periodo si ritiene preferibile salvaguardare i diritti dei terzi per rendere più certa la circolazione dei beni donati e dei diritti costituiti su di essi.

Relazione al Codice Civile

(Relazione del Ministro Guardasigilli Dino Grandi al Codice Civile del 4 aprile 1942)

Massime relative all'art. 561 Codice Civile

Cass. civ. n. 35461/2022

In tema di tutela del legittimario, ai fini della reintegrazione della quota di riserva, qualora il donatario beneficiario della disposizione lesiva abbia alienato l'immobile donatogli, il legittimario, se ricorrono le condizioni stabilite dall'art. 563 c.c., può chiederne la restituzione anche ai successivi acquirenti che sono, invece, al riparo da ogni pretesa restitutoria del legittimario nella diversa ipotesi di riduzione di una donazione indiretta; infatti, in tale ultima ipotesi, poiché l'azione di riduzione non mette in discussione la titolarità del bene, il valore dell'investimento finanziato con la donazione indiretta dev'essere ottenuto dal legittimario leso con le modalità tipiche del diritto di credito.

Cass. civ. n. 4709/2020

In caso di vittorioso esperimento dell'azione di riduzione per lesione di legittima, indipendentemente dalla circostanza che essa sia indirizzata verso disposizioni testamentarie o donazioni, i frutti dei beni da restituire vanno riconosciuti al legittimario leso con decorrenza dalla domanda giudiziale e non dall'apertura della successione, presupponendo detta azione - avente carattere personale ed efficacia costitutiva - il suo concreto e favorevole esercizio, affinchè le disposizioni lesive perdano efficacia e poiché è solo da tale momento che la presunzione di buona fede cessa di caratterizzare il possesso del beneficiario sui beni ricevuti.

Cass. civ. n. 30485/2017

Al legittimario al quale il bene non possa essere restituito e venga reintegrato della quota di riserva per equivalente monetario, con il riconoscimento degli interessi legali sulla somma a tal fine determinata, nulla è dovuto per i frutti, in quanto gli interessi attribuiti rispondono alla stessa finalità di risarcire il danno derivante dal mancato godimento del bene e, peraltro, il possessore di un bene in forza di un atto a titolo gratuito o di una disposizione testamentaria possiede in virtù di un titolo idoneo a trasferire il dominio, che è originariamente valido e tale rimane fino a quando non sia esercitata l'azione di riduzione, il cui accoglimento ne determina l'inefficacia.

Cass. civ. n. 24755/2015

Al legittimario che ottiene la reintegrazione della propria quota di riserva mediante l'attribuzione di beni in natura spetta la corresponsione,da parte dell'erede testamentario assoggettato a riduzione, dei frutti dei beni ereditari con decorrenza dal momento dell'apertura della successione e nella misura corrispondente alla quota astratta di eredità spettante al legittimario medesimo.

Cass. civ. n. 7478/2000

Al legittimario cui venga restituito un immobile per reintegrare la quota di legittima spetta, a norma dell'art. 561 c.c., anche il diritto ai frutti quali accessori del bene, in relazione al suo mancato godimento, mentre, nell'ipotesi in cui il bene non possa essere restituito e la reintegrazione della quota di riserva avvenga per equivalente monetario, con l'ulteriore riconoscimento degli interessi legali sulla somma a tal fine determinata, nulla è dovuto per i frutti, posto che gli interessi legali attribuiti rispondono alla medesima finalità di risarcire il danno derivante dal mancato godimento del bene (lucro cessante) e pertanto il cumulo tra frutti e interessi comporterebbe la duplicazione del riconoscimento di una medesima voce di danno.

Cass. civ. n. 2178/1971

Nella nozione di peso — dal quale, a norma dell'art. 561 c.c., debbono essere liberi gli immobili restituiti per effetto di riduzione della donazione o delle disposizioni testamentarie - sono da ritenersi compresi, oltre a quelli aventi contenuto reale - come la servitù, l'usufrutto ecc. - anche quei vincoli di carattere obbligatorio posti in essere dal donatario o dal legatario - come l'anticresi, l'affitto, la locazione - strettamente inerenti al godimento dell'immobile ed incidenti negativamente, non soltanto sul valore di questo, ma anche sulla pienezza della esplicazione delle facoltà dominicali.

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Consulenze legali
relative all'articolo 561 Codice Civile

Seguono tutti i quesiti posti dagli utenti del sito che hanno ricevuto una risposta da parte della redazione giuridica di Brocardi.it usufruendo del servizio di consulenza legale. Si precisa che l'elenco non è completo, poiché non risultano pubblicati i pareri legali resi a tutti quei clienti che, per varie ragioni, hanno espressamente richiesto la riservatezza.

E. Q. chiede
mercoledì 29/05/2024
“Codice di riferimento vostra risposta a quesito: Q202437248

Buon giorno,
Innanzitutto, Vi ringrazio della vostra cortese risposta al quesito con codice in oggetto. Mi ha chiarito molte cose, ma mi rimane ancora qualche domanda da chiarire e cioè:
1) Al punto in cui voi citate….”
…”Dato per ammesso che il coniuge superstite, nonché soggetto “onerato”, intenda trasferire alla figlia legataria la nuda proprietà di quel terzo indiviso (anziché avvalersi della facoltà di pagarne il relativo controvalore in denaro), il nudo proprietario non può vantare alcun diritto sui frutti che da tali beni si conseguono, essendo tale diritto riservato esclusivamente a colui che risulta titolare del diritto di usufrutto.
Ecco qui non mi è chiaro, perché: il titolare del diritto di usufrutto di tutta la nuda proprietà dei beni immobili donati alla coniuge , era solamente mio padre quando era in vita. Come ha fatto a diventare titolare del diritto di usufrutto la coniuge, se al momento del decesso di mio padre, essa è divenuta “piena proprietaria” di tutti gli immobili donatile a suo tempo (prima della mia sopravvenienza di figlia) sotto la formula di “Nuda proprietà con usufrutto a mio padre“? Perché lei diventa piena proprietaria e io no? Devo dire che il mio pensiero entra in corto circuito!

2 ) Qualora decidessi per la rinuncia del legato, e in caso di vittoriosa azione di riduzione, i frutti derivanti dalle locazioni, sarebbero retroattivi al momento del decesso o dalla data dell’azione vittoriosa? Sto facendo queste valutazioni, perché non conosco la portata della massa ereditaria, in quanto le banche non considerandomi erede, non mi mettono a disposizione la documentazione necessaria e comunque da quanto intuisco, i conti sono stati svuotati mediante prelievi senza dicitura.

RingraziandoVi , attendo Vostre notizie.
Cordiali saluti.”
Consulenza legale i 04/06/2024
Ciò che viene chiesto con la prima domanda trova risposta in quello che costituisce uno dei caratteri essenziali del diritto di usufrutto, ovvero la sua temporaneità.
Tuttavia, prima di trattare di tale carattere del diritto di usufrutto, si reputa opportuno analizzare, in modo molto sintetico e schematico, la distinzione che intercorre tra la proprietà e gli altri diritti reali limitati su cosa altrui.
La proprietà, come è noto, si caratterizza essenzialmente per essere un diritto pieno, nel senso che, salvo i limiti stabiliti dall’ordinamento giuridico, non sussistono altri limiti ai poteri che il proprietario può esercitare sulla cosa.
Di contro, il titolare di un diritto reale limitato può esercitare sul bene solamente le facoltà che rientrano nel contenuto del suo diritto (ad esempio, l’usufruttuario può utilizzare la cosa oggetto di usufrutto, ma non può modificarne la destinazione economica); inoltre, i diritti reali limitati devono necessariamente insistere su un bene di proprietà di un soggetto diverso dal titolare del diritto medesimo.

Ebbene, per effetto della donazione con riserva di usufrutto che il de cuius ha posto in essere mentre era in vita in favore del coniuge superstite si è venuta a realizzare una sorta di scissione del diritto di proprietà al medesimo spettante sui beni che ne hanno costituito oggetto, in quanto in capo al donante è rimasto il diritto di usufrutto (inteso come diritto di godere e disporre dei beni), mentre in favore del coniuge è stato trasferito il diritto di proprietà, ma un diritto di proprietà c.d. “nuda”, perché appunto svuotata della facoltà di farne uso (ovvero limitata dal diritto di usufrutto).

Ora, a differenza del diritto di nuda proprietà, il diritto di usufrutto si caratterizza per la sua temporaneità, in quanto, anche nel caso in cui non sia stabilito un termine per la sua durata, lo stesso non può mai superare la vita dell’usufruttuario e non può essere trasferito ai suoi eredi (così art. 979 del c.c.); ciò significa che, al momento della morte del suo titolare, il diritto di usufrutto si estingue ex art. 1014 n. 2 c.c. per riunione dell’usufrutto e della proprietà in capo alla stessa persona, la quale a quel punto potrà vantare un diritto di piena proprietà.

In questo modo si spiega quanto asserito nella precedente consulenza, nella parte in cui si è detto che dal momento della morte del titolare del diritto di usufrutto il coniuge superstite, fino ad allora titolare del solo diritto di nuda proprietà in forza del precedente atto di donazione, è divenuto pieno proprietario dei beni oggetto di donazione, con diritto a farne propri tutti i frutti, sia civili che naturali.

La seconda domanda attiene essenzialmente a quelle che sono le conseguenze del positivo esperimento dell’azione di riduzione con riferimento ai frutti medio tempore prodotti dai beni che ne costituiscono oggetto.
A tale riguardo non può che farsi riferimento a quanto espressamente disposto dal secondo comma dell’art. 561 c.c., ove è detto che “I frutti sono dovuti a decorrere dal giorno della domanda giudiziale”.
Sulla corretta individuazione del campo di applicazione di tale disposizione si è pronunciata la Corte di Cassazione, Sez. VI, con ordinanza n. 4709 del 21.02.2020, discostandosi dalla propria precedente statuizione (sentenza n. 24775/2015), ove veniva affermato quanto segue:
al legittimario che ottiene la reintegrazione della quota di riserva mediante l’attribuzione di beni in natura spetta la corresponsione, da parte dell’erede testamentario, dei frutti dei beni ereditari con decorrenza dal momento dell’apertura della successione e nella misura corrispondente alla quota astratta di eredità spettante al legittimario su tali beni”.

Con l’ordinanza del 2020, invece, la S.C., in linea con l’orientamento prevalente, afferma che l’azione di riduzione si presenta come un’azione a carattere personale e ad efficacia costitutiva, che presuppone il suo concreto e vittorioso esperimento affinchè le disposizioni lesive perdano efficacia, e ciò a prescindere dalla circostanza che sia indirizzata contro una donazione, un’attribuzione a titolo di legato o un’istituzione di erede.
Conseguenza di tale suo carattere è che, poiché il riconoscimento dei diritti del legittimario leso è rimesso ad una sua specifica iniziativa, fin quando la stessa non venga posta in essere, l’erede, il legatario o il donatario hanno tutto il diritto di conservare i frutti in quanto pieni proprietari dei beni acquistati.

Peraltro, la decorrenza dell’obbligo di restituzione dei frutti dal momento in cui è proposta la domanda giudiziale, costituisce espressione del principio conservativo della domanda, il quale impedisce che la durata del processo possa danneggiare la parte che ne uscirà vittoriosa.
In particolare, dal momento in cui viene notificata la domanda giudiziale viene meno la presunzione del possesso di buona fede che caratterizza il possesso sui beni ricevuti.

Pertanto, rispondendo a quanto chiesto, può dirsi che i frutti civili derivanti dai contratti di locazione in essere dovranno essere restituiti al legittimario pretermesso e vittorioso in riduzione dal momento della proposizione della relativa domanda giudiziale, e non dal momento dell’apertura della successione né dalla data in cui risulterà emesso il provvedimento giudiziale che dispone la riduzione.


A. L. . chiede
giovedì 22/02/2024
“A seguito dei quesiti :
Q202436205
Q202436

Chiedo se si ha diritto alla rivalutazione e interessi sulla cifra per il reintegro della legittima.
Se la mancata condivisione del diritto abitativo, perché non ci ha mai permesso di entrare in casa, faccia estinguere il suo diritto.
Poi ho da chiederle come fare per dare a voi mandato per un'eventuale azione giudiziaria
Grazie”
Consulenza legale i 03/03/2024
La risposta a quanto viene chiesto si può agevolmente rinvenire, trattandosi di immobili e diritti reali immobiliari, nel disposto di cui all’ultimo comma dell’art. 561 c.c.
In diverse occasioni la giurisprudenza, sia di legittimità che di merito, è stata chiamata a fare applicazione di tale norma, ed in particolare si vuole qui riportare quanto statuito dalla Corte di Cassazione, Sez. VI civile, ordinanza n. 4709 del 21.02.2020, così massimata:
In caso di vittorioso esperimento dell'azione di riduzione per lesione di legittima, indipendentemente dalla circostanza che essa sia indirizzata verso disposizioni testamentarie o donazioni, i frutti dei beni da restituire vanno riconosciuti al legittimario leso con decorrenza dalla domanda giudiziale e non dall'apertura della successione, presupponendo detta azione – avente carattere personale ed efficacia costitutiva - il suo concreto e favorevole esercizio, affinché le disposizioni lesive perdano efficacia e poiché è solo da tale momento che la presunzione di buona fede cessa di caratterizzare il possesso del beneficiario sui beni ricevuti”.

Si reputa opportuno precisare che la decorrenza dell’obbligo di restituzione dei frutti dal momento della domanda giudiziale si riferisce ala domanda di riduzione e non a quella di restituzione, la quale è generalmente successiva.
Per quanto concerne, poi, la ratio della disposizione di cui al secondo comma dell’art. 561 c.c., deve osservarsi che la prescritta anticipazione della decorrenza dei frutti alla data di proposizione della domanda giudiziale costituisce piena applicazione del principio conservativo della domanda, espressivo a sua volta della regola secondo cui la durata del processo non può porsi in danno della parte che abbia ragione.

In una sola occasione, rimasta peraltro isolata, la S.C. si è espressa in modo difforme dall’orientamento sopra riportato, e precisamente con la sentenza n. 24755 del 04.12.2015, nella quale si legge quanto segue:
““…all'attore in riduzione che sia reintegrato nella quota di legittima in natura - com'è necessario, salve le eccezioni ex art. 560, commi 2 e 3, cod. civ. - spettano "pro quota" i frutti dei beni ereditari dall'apertura della successione…”.
Tale tesi, tuttavia, non ha avuto alcun seguito, anche perché in quella sentenza i giudici non si sono preoccupati di fornire all’interprete alcuna argomentazione a sostegno di tale decisione, non illustrando come sia possibile superare il dettato normativo del 2° comma dell’art. 561, che testualmente limita la restituzione dei frutti a quelli maturati dopo la domanda giudiziale.

Quanto fin qui detto vale per la sola specifica ipotesi in cui l’azione di riduzione incida direttamente sulla misura della attribuzione di un immobile caduto in successione, mentre a conclusioni diverse deve giungersi nel caso in cui dal suo positivo esperimento ne consegua il riconoscimento di un diritto di credito in favore dell’erede leso.
Sotto questo profilo può, infatti, richiamarsi quanto statuito sempre dalla Corte di Cassazione, Sez. II civ., con sentenza n. 1079 del 16.04.1970, ove viene precisato che se, nei casi previsti dalla legge o pattuiti dalle parti, debba essere corrisposta una somma di denaro, per quanto si tratti di un debito di valore in relazione all’originario oggetto che era un bene reale, i frutti non sono dovuti affatto, in quanto l’obbligazione di restituzione dei frutti è conseguenziale a quella di restituzione del bene che li produce.
Infatti, se il diritto del legittimario si è trasformato in un diritto di credito, viene meno la detta conseguenzialità, mancando la cosa fruttifera, e trovano applicazione i principi relativi alle obbligazioni, per cui il ritardo del pagamento dà diritto agli interessi legali ed al risarcimento dei danni, a condizione che questi siano provati e che ricorrano i requisiti dell’inadempimento e della mora.

La medesima tesi è stato successivamente confermata da Cass. Civ., Sez. 2, Sentenza n. 7478 del 05/06/2000, così massimata:
“Al legittimario cui venga restituito un immobile per reintegrare la quota di legittima spetta, a norma dell'art. 561 cod. civ., anche il diritto ai frutti quali accessori del bene, in relazione al suo mancato godimento, mentre, nell'ipotesi in cui il bene non possa essere restituito e la reintegrazione della quota di riserva avvenga per equivalente monetario, con l'ulteriore riconoscimento degli interessi legali sulla somma a tal fine determinata, nulla è dovuto per i frutti, posto che gli interessi legali attribuiti rispondono alla medesima finalità di risarcire il danno derivante dal mancato godimento del bene (lucro cessante) e pertanto il cumulo tra frutti e interessi comporterebbe la duplicazione del riconoscimento di una medesima voce di danno” (conformi, altresì, Cass. Civ., Sez. 2, Sentenza n. 2006 del 28/07/1967; Cas. Civ., Sez. 2, Sentenza n. 1607 del 28/06/1967).

Infine, con riferimento al dubbio “se la mancata condivisione del diritto abitativo, perché non ci ha mai permesso di entrare in casa, faccia estinguere il suo diritto”, va data risposta negativa, in quanto l’esercizio di un diritto non può mai essere causa della sua estinzione, anzi vale esattamente il contrario, nel senso che l’esclusione degli atri aventi diritto, prolungata per un termine non inferiore a venti anni, potrebbe legittimare la pretesa, da parte di colui che ha abitato l’immobile in via esclusiva, di vedersi riconosciuta la piena proprietà sull’intero per usucapione.


Pablo chiede
sabato 16/01/2021 - Piemonte
“Gentile avvocato, sto valutando l'acquisto di un immobile di proprietà di una ONLUS come risultato di una successione testamentaria del 09/2018 e registrata 07/2019.
L'unica cosa che so è che la ex-proprietaria era vedova ma non so se aveva dei figli o altri potenziali eredi.
Quali sono secondo la sua opinione i rischi e le possibili soluzioni?
Mi parlano di rischi di azione di riduzione o restituzione da parte degli altri eredi?
Grazie tantissime in anticipo,
Pablo

Consulenza legale i 21/01/2021
Chi acquista un immobile proveniente da successione testamentaria in favore di soggetto, sia esso persona fisica o giuridica, estraneo al nucleo familiare del testatore, incorre nel pericolo che, entro il termine di dieci anni dall’apertura della successione, coloro che hanno diritto ad una quota di eredità possano agire in riduzione e pretendere, anche nei confronti di eventuali terzi acquirenti (con la successiva azione di restituzione) la porzione di eredità loro riservata.
Tale diritto, tuttavia, non riguarda tutti i potenziali eredi del de cuius, ma soltanto quelli che l’art. 536 del c.c. individua espressamente come legittimari, ossia il coniuge, i figli e loro discendenti e gli ascendenti.

Tali persone hanno inevitabilmente diritto ad una fetta di eredità ed al testatore, in presenza di queste categorie di soggetti, resta come sola facoltà quella di scegliere come distribuire i suoi beni, nel rispetto delle quote prefissate per legge (così, ad esempio, ad un figlio potrà lasciare un appartamento, mentre ad un altro una somma di denaro equivalente al valore di quell’appartamento).

Ora, analizzando l’atto notarile del 2010, in forza del quale la testatrice è divenuta proprietaria dell’immobile, di cui poi ha disposto per testamento in favore della ONLUS, si evince che a quella data la stessa aveva un’età di 83 anni e che nella parte relativa alle dichiarazioni sul regime patrimoniale, la medesima dichiara al notaio di essere in stato civile “libero” (si precisa nel quesito vedova).
Da tale dichiarazione e dall’età anagrafica della de cuius, è già possibile escludere, quali legittimari, il coniuge e gli ascendenti (è impensabile che una persona di 83 anni nel 2010 possa oggi avere ascendenti, ossia genitori).
Rimane soltanto da verificare se la testatrice abbia avuto dei figli, dovendosi ricordare che ai figli naturali la legge equipara gli adottivi (così dispone il secondo comma dell’art. 536 c.c.).

In realtà non è proprio particolarmente difficile acquisire tale informazione, in quanto sarà sufficiente effettuare un’interrogazione presso l’ufficio anagrafe del comune di nascita della de cuius (desumibile dall’atto allegato alla richiesta di consulenza) e farsi rilasciare un certificato di famiglia originario o storico (vi sono anche dei siti web che svolgono tale servizio online).
Si tratta di un certificato che, a differenza di quello ordinario (il quale contiene i dati delle persone risultanti ad uno stesso indirizzo e nella medesima unità immobiliare), attesta quale era la composizione del nucleo familiare originario, cioè la composizione di una famiglia prima che i figli si sposassero o comunque andassero a vivere fuori casa (non fotografa, dunque, soltanto la situazione corrente al momento della morte del soggetto di cui si vogliono acquisire informazioni, ma una situazione passata).

Attraverso l’esame di tale stato di famiglia sarà, dunque, possibile risalire a tutti i discendenti della de cuius, che avrebbero diritto a concorrere alla successione della medesima.
Qualora a seguito di tale accertamento si abbia certezza che la testatrice al momento della morte non aveva neppure figli, legittimi o adottivi, a cui dover riservare una quota di eredità, non si correrà alcun rischio nell’effettuare l’acquisto di quell’immobile, in quanto eventuali altri eredi legittimi (sono tali i parenti fino al sesto grado ex art. 572 del c.c.) non hanno alcun titolo ad agire in riduzione, non essendo loro riservata una quota di eredità.
Nel caso in cui, invece, dovesse scoprirsi che nel nucleo familiare della testatrice vi sono dei figli, sarebbe sicuramente rischioso acquistare quell’immobile, potendo costoro reclamare, mediante il positivo esperimento dell’azione di riduzione, la quota loro riservata e come determinata dall’art. 537 del c.c. (metà del patrimonio in caso di un solo figlio e due terzi complessivi se vi sono più figli).

In tale ipotesi l’unico modo per non correre alcun rischio è quello di rintracciare i figli (ed eventualmente i loro eredi) ed ottenere dagli stessi una dichiarazione di rinuncia all’esercizio dell’azione di riduzione, espressamente consentita dall’art. 557 del c.c..
Certo, si tratta di un’ipotesi più teorica che pratica, in quanto è ben difficile che qualcuno rinunci, senza ricevere nulla in cambio, a qualcosa a cui ha diritto.
In mancanza di ciò, l’acquisto potrà dirsi privo di rischi soltanto decorsi dieci anni dall’apertura della successione, ossia dalla morte della de cuius.