Precedenti dell’articolo
Questo articolo trova solo per la sua seconda parte una corrispondenza con l'ultima parte dell’ art. 1143 del Cod. civ.. abrogato, mentre la prima parte, che dispone che il gestore è soggetto alle stesse obbligazioni che deriverebbero da mandato, costituisce una innovazione.
Tuttavia l'art. 1143 del Codice del '65, statuendo, nella sua prima pane, che il gestore è tenuto ad usare nella sua amministrazione tutte le cure del buon padre di famiglia, parificava già, quanto alla responsabilità per colpa, il gestore al mandatario, che era pure tenuto responsabile fino al limite della culpa
Il Progetto italo-francese e quello della Commissione Reale già avevano un articolo formulato in modo analogo al primo cpv. dell'articolo in esame, salvo, però, che vi si parlava di «
obbligazioni che risulterebbero da un mandato espresso ». Nell'art. 63 lo stesso progetto prescriveva che il gestore era tenuto ad usare nella gestione tutte le cure del buon padre di famiglia, aggiungendo poi una norma affatto identica a quella contenuta nel cpv. dell'art. 2030.
Nella relazione del Progetto ministeriale fu criticata la parificazione degli effetti della gestione e quelli del mandato espresso, osservando che avrebbe potuto determinarsi l'idea di una differenza di conseguenze a seconda che il mandato fosse espresso o tacito, il che non è ammissibile.Nel Progetto veniva pertanto soppresso il termine «
espresso ». La II edizione del Progetto conteneva ancora il riferimento alla diligenza del buon padre di famiglia che fu poi soppresso. In effetti questo riferimento veniva ad essere assorbito dalla più ampia norma che parificava le obbligazioni del gestore a quelle nascenti del mandato.
Obblighi del gestore
Nell'esaminare le obbligazioni del gestore dobbiamo innanzi tutto procedere ad una, fondamentale ripartizione, distinguendo le obbligazioni del gestore durante l'espletamento della gestione da quelle che sorgono invece a gestione finita.
Le obbligazioni della prima specie consistono:
a) nell’obbligo – del quale si è già fatto cenno – da parte del gestore di continuare l’intrapresa gestione (art. 2028 c.c.);
b) nell’obbligo di dare avviso al
dominus della gestione iniziata o che seguita. Ciò si desume dal fatto che il gestore è sottoposto agli stessi obblighi che incombono al mandatario (
art. 2030 del c.c.), e quest’ultimo è tenuto a dare comunicazione al mandante dell’eseguito mandato (
art. 1712 del c.c.) e a chiedere istruzioni ogniqualvolta sia costretto a eccedere i limiti del mandato (
art. 1711 del c.c.);
c) nell’obbligo di usare nell’espletamento della gestione la normale diligenza del buon padre di famiglia.
Egli è pertanto responsabile di tutti i danni prodotti per non aver adibito una tale diligenza.
Il giudice, tuttavia, tenuto conto delle circostanze di fatto che hanno indotto il gestore ad assumere la gestione, può moderare il risarcimento dei danni ai quali sarebbe tenuto per effetto della sua colpa.
Poiché l'art. 2030 dice «
può », è ovvio che il giudice non è tenuto in materia a osservare le norme del diritto, essendo a lui concessa, invece, in questo campo una facoltà assolutamente discrezionale.
Discende da tale obbligo generale il dovere del gestore di custodire le cose dell'interessato e tutelarne i diritti. Egli, pertanto, deve provvedere alla custodia delle cose che gli sono state spedite per conto del gerito, e tutelare i diritti di quest'ultimo di fronte al vettore, se le cose presentano segni di deterioramento o sono giunte in ritardo (
art. 1718 del c.c.).
Ed è ancora un aspetto concreto di tale obbligo la responsabilità che il gestore incontra per le obbligazioni assunte con persone che si trovino in istato di insolvenza nel caso che tale stato gli fosse noto o dovesse essergli noto all'atto della conclusione del contratto (
art. 1715 del c.c.). Naturalmente a questa responsabilità possono applicarsi le particolari attenuazioni contemplate nel cpv. dello articolo in esame.
La responsabilità del gestore
Il gestore può essere responsabile sia nei confronti del dominus che nei confronti dei terzi. Nel primo caso la responsabilità deriva dalla trasgressione ai doveri dianzi elencati e viene commisurata alla stregua della diligenza media del
bonus pater familias. La responsabilità nei confronti dei terzi si ha nella ipotesi che il gestore abbia iniziata la gestione senza che questa fosse giustificata dalla utilità iniziale o senza che sia intervenuta, come si vedrà in seguito, la ratifica del dominus. In questo caso riceve applicazione l'art.
1338 Cod. civ. sancito per ogni ipotesi di rappresentanza senza potere.
L’obbligo del rendimento
L'obbligo del rendiconto rappresenta tradizionalmente uno deiprincipali obblighi del gestore. Egli deve, infatti, restituire tutto ciò che ha ottenuto mediante la gestione, e risarcire tutti i danni arrecati.
Un’indagine deve tuttavia essere fatta circa il fondamento di questo obbligo del gestore, non soccorrendo a questo punto l'analogia col mandato, dove può ritenersi che il fondamento dell'obbligo del rendiconto poggi sull'accettazione dell'incarico da parte del mandatario.
Secondo parte della dottrina, questo fondamento si trova nello scopo stesso cui tende
l' actio negotiorum gestorum directa, che altro non è, se non una forma speciale di tutela del dominio patrimoniale; essa tende pertanto a ripristinare, per quanto possibile, l'ordine giuridico vietato, a riparare a quella special turbativa della sovranità individuale che è sostituita dall'intervento gestorio di una persona nella sfera matrimoniale di un'altra.
Circa il contenuto di questo obbligo possiamo dire che il gestore è tenuto a restituire qualsiasi lucro abbia tratto dall'affare, sia svolgendo una attività materiale sulle cose del
dominus, sia concludendo relativamente ad esse negozi giuridici. Tuttavia se il lucro ricada normalmente sulla persona del gestore, come — per usare un esempio tratto dalle fonti romane secondo cui il gestore va a caccia nel fondo di Caio interessato e vi cattura selvaggina, di modo che la cosa vi abbia una parte secondaria e subordinata, lucro dovrà venire attribuito al gestore. La soluzione sarà tuttavia diversa se il fondo sari destinato esclusivamente a questo uso, perché in questo caso l'azione del gestore non farà che trarre dal fondo il suo lucro normale. Così, per la differenza sopra chiarita fra
dominus proprietati e negotii, potrà avvenire che obbligo di rendere conto della gestione possa talvolta estendersi ad atti compiuti con cose o sopra cose non spettanti al
dominas negotii verso il quale, invece, il gestore è tenuto.
L’obbligo di restituire gli indebita
Un argomento che ha dato luogo a vive dispute riguarda l'obbligo del gestore a restituire gli indebita.
Vi è, innanzitutto, chi ha ritenuto che il gestore sia sempre obbligato a restituire al
dominus tutto ciò che, sia pure indebitamente, egli ha esatto durante la gestione di affari, considerando questo obbligo come caratteristico della gestione. Altri hanno ritenuto, invece, che si debba distinguere il gestore
unius negotii dal gestore patrimoniale, concludendo che solo quest'ultimo tenuto a restituire al
dominus quello cha ha indebitamente esatto durante la gestione. Secondo altri ancora una distinzione dovrebbe essere fatta in questo senso: il gestore, che è tenuto a continuare la gestione, sarebbe anche obbligato a restituire l'
indebitum, mentre a quest'obbligo non sarebbe soggetto colui che non è tenuto a continuare la gestione.
Secondo altri ancora, dovrebbe distinguersi fra gestione soggettiva e gestione oggettiva. Nel primo caso, l'obbligo che ha il gestore di restituire l'
indebitum esatto a nome del dominus si ricollegherebbe alla teorica della rappresentanza, in quanto il gestore che esige degli indebita a nome dell' interessato pone sempre in essere un negozio rappresentativo. Nel caso, invece, di gestione oggettiva l'obbligo poggerebbe sulla alienità oggettiva degli affari trattati.
Ora non sembrano innanzitutto accettabili le teorie di coloro che suddistinguono comunque la gestione, o in gestione patrimoniale e gestione
unius rei, o in gestione oggettiva e gestione soggettiva, o in gestione con obbligo. Il nostro diritto positivo contempla un solo tipo di gestione, e noi pensiamo sia per essa accettabile la teoria, già citata, di coloro che ritengono che il gestore sia sempre obbligato a restituire al dominus gli indebita, e questo sia un obbligo caratteristico della gestione.
Il modo secondo cui deve essere fatto il rendiconto
Le norme sul mandato nulla ci dicono di specifico circa il modo come deve essere fatto il rendiconto. Ma la soluzione è facile, se si pensa alla diligenza che deve usare il gestore durante la gestione. È ovvio che una ione accurata deve tenere presente l'obbligo del futuro rendiconto e predisporre tutte le opportune registrazioni ed i documenti giustificativi allo scopo. Può, pertanto, affermarsi, in base ai principi che regola l'istituto, che il gestore è tenuto a rendere conto secondo i criteri di una accurata amministrazione.
La gestione assunta da un incapace
Poiché la soggezione alle stesse obbligazioni che deriverebbero da mandato è concepibile solo in quanto vi sia gestione di affari altrui in senso tecnico, e poiché questa richiede nel gestore, per espressa disposizione legislativa (art.
2029, già esaminato), la capacità di contrattare; resta ancora da esaminare quali sono le conseguenze giuridiche di una gestione di affari altrui assunta da persona incapace.
Bisogna, a questo proposito, distinguere se la persona che ha intrapreso la gestione sia priva, o meno, della capacità naturale di intendere e di volere. Nel caso che il gestore sia privo di questa capacità saranno applicabili le norme dell'art.
2047 Cod. civ. e il risarcimento sarà dovuto da chi è tenuto alla sorveglianza dell' incapace, salvo che provi di non aver potuto impedire il fatto. In questo caso il giudice, in considerazione delle condizioni economiche delle parti, potrà condannare l'autore del danno ad una equa indennità (
art. 2047 del c.c.).
Se, invece, la gestione sarà stata intrapresa da minori non emancipati, o da persona soggette alla tutela (in questa ipotesi, però, solo in caso di coabitazione) saranno responsabili del danno cagionato, il padre, la madre o il tutore (
art. 2048 del c.c.).