Responsabilità dell'addetto alla sorveglianza
Quest'articolo costituisce nella sua seconda parte una profonda innovazione. Non così nella prima, perché il principio che questa enuncia, risponde ai comuni criteri pei quali chi ha il dovere di sorveglianza e vigilanza su altri, derivantegli da legge, o da volontaria assunzione d'obbligo, in colpa se omise o trascurò la sorveglianza in guisa che l’incapace poté cagionare danno ad altri, onde l'obbligo di risarcire i danni rimanendo da esso esente solo se provi (l'onore della prova è a suo carico) che non abbia potuto impedire il fatto.
L' impedimento può derivare da molteplici cause, ma sempre tali che non siano riferibili alla omissione di vigilanza; non ostante il diligente esercizio di questa il fatto non potette essere evitato. Responsabilità diretta, quindi, quando non si raggiunga tale prova liberatoria.
Innovazione nel capoverso dell'articolo. Precedenti. Legislazione comparata
L’ innovazione, secondo si è detto, risiede nella norma contenuta nel capoverso, applicabile in ogni caso in cui il danneggiato dal fatto del minore, o, comunque, dell' incapace, non possa essere indennizzato da chi ne abbia la sorveglianza, o vigilanza. Si deroga così al principio che la responsabilità è fondata sulla imputabilità; ma si soddisfa ad una esigenza di equità. Già si deplorava che dovesse rimanere senza indennizzo la vittima dell'operato di un incapace, che poteva anche essere persona fornita di censo, quando non si trovasse un responsabile civile in chi doveva sorvegliarlo, fosse questi un apposito incaricato, fosse un istituto (manicomio, o casa, di salute, per gli infermi di mente), mentre, in difetto d'una norma legislativa, non si poteva affermare la responsabilità dello incapace senza contraddire il principio fondamentale che ove non ricorre imputabilità non può parlarsi di colpa.
Il
codice austriaco provvide con una norma molto equa, nei paragrafi 1309 e seguenti. Se i mentecatti, gli imbecilli o i fanciulli recano danno ad alcuno che vi abbia dato occasione con qualche sua colpa, il danneggiato non ha diritto a risarcimento. Fuori di questo caso gli compete indennizzo da quelli ai quali sarà imputabile il danno per avere negletto la cura loro affidata su tali persone. Se il danneggiato non possa in tal modo ottenere il risarcimento, il giudice ordinerà il risarcimento dell' intero danno o di una parte di esso, da stabilirsi a termine di equità, avuto riguardo alle circostanze, se al danneggiante, sebbene non abbia questi ordinariamente l'uso della ragione, possa per avventura nel dato caso essere imputata la colpa; ovvero se il danneggiato, per risparmiare il danneggiante, abbia tralasciato la difesa; o finalmente avuto riguardo alle sostanze del danneggiante e del danneggiato.
Più sinteticamente il
codice federale svizzero, nell'art. 50, dispone che per motivi di equità il giudice pub, in via di eccezione, condannare anche una persona irresponsabile al risarcimento totale o parziale del danno da essa cagionato, ed il codice civile tedesco, pure sancendo il principio della irresponsabilità per danno arrecato nello stato d' incoscienza, o di morbosa perturbazione mentale, dispone che, in ogni caso, l' irresponsabile deve un indennizzo qualora questo possa ottenersi dall' incaricato alla sorveglianza, tenuto conto delle circostanze, ed in ispecie delle condizioni rispettive degli interessati, e purché non gli vengano meno i mezzi per un mantenimento conforme al suo stato e per l'adempimento degli obblighi di mantenimento impostigli dalla legge (§§ 828 e 829).
Si invocava anche in Italia una disposizione di legge. Vanamente si prospettava che, allo stato della legislazione, per l'incapace potesse rispondere il patrimonio, perché la personificazione del patrimonio si traduceva in una irrazionale finzione, e non l'ammetteva parte della dottrina neppure nella eredità giacente, cui veniva negata personalità giuridica. Si considerava altresì che se pure in qualche caso, come quello in cui si istituisce erede un concepito, o non concepito figlio immediato di una determinata persona, o si nomini l'erede
sub condicione, volesse riconoscersi una personalità giuridica' ad un complesso di beni, titolare sia anche qui una persona fisica di cui si attende la nascita, o la determinazione, col verificarsi della condizione, ed in ogni caso la ipotesi sia ben diversa, né si sarebbe potuto argomentare per analogia.
Il progetto del codice delle obbligazioni e dei contratti del 1927 ti avviò coraggiosamente per l’
innovazione. Con formula migliorata, sostituendosi alla locuzione di danno cagionato da persona «
priva di discernimento », che aveva provocato discussioni, ed era apparsa restrittiva, o, quanto meno, non esplicita, l'altra di «
persona incapace d' intendere e di volere », sì sancisce oggi un principio di contenuto morale e portata pratica. L' incapace, derivi la incapacità dalla età, derivi da condizioni psicologiche speciali (permanenti o transitorie, ma relative al momento in cui ha commesso il fatto), è sempre titolare di un patrimonio, se possidente, e se egli un danno abbia arrecato è più equo che sia diminuita la sua potenzialità economica, anzi che rimanga diminuito il diritto di un terzo incolpevole. E si dice «
incolpevole » perché, quantunque non si trovi espresso nella norma quanto, si legge nel paragrafo 1308 del codice austriaco, pei principi generali che regolano la responsabilità se il danneggiato abbia esso dato causa con qualche sua colpa, all'operato dannoso dell'incapace, il danno deve considerarsi quale lo effetto della colpa sua e di un fortuito, non potendosi riscontrare una colpa nell'operato dello incapace, ai fini di una responsabilità solidale. Questa, e lo si vedrà nel commento all'
art. 2055 del c.c., presuppone una colpa, cioè l’ «
imputabilità », di più persone, mentre il capoverso dell'articolo in esame, per un criterio di equità, fa astrazione dallo elemento colpa, che non può riscontrarsi nell'azione di un incapace, e formula una norma di eccezione, applicabile, pertanto, con criteri restrittivi.
Limiti dell'applicabilità della norma
Perché l' incapace sia tenuto occorre che il danneggiato non abbia potuto ottenere il risarcimento da chi era obbligato alla sorveglianza, il che, prescindendo dai casi in cui questa manchi addirittura — ipotesi non infrequente, specialmente per gli infermi di mente per malattia latente, che improvvisamente si manifesti proprio con l'atto dannoso — può verificarsi perché l'obbligato alla custodia non abbia possibilità economica d' indennizzare chi ha sofferto il pregiudizio, o perché abbia provato di non aver potuto impedire il fatto. Né si dica che vi è una sovversione di principi nella prima ipotesi, perché pure riconoscendosi una responsabilità nell'addetto alla sorveglianza per mala esecuzione di questa si fa gravare sul patrimonio del negligentemente sorvegliato la trascuranza di chi proprio nei riguardi suoi e dei terzi contravvenne ad obbligo. La considerazione potrebbe avere la sua rilevanza se non ci si trovasse di fronte ad una disposizione derogatrice dei principi generali, diretta alla tutela del diritto del terzo incolpevole.
Misura dell'indennizzo
Il danneggiato ha diritto ad «
un'equa indennità», quando a rispondere del danno sia il patrimonio dell' incapace; ad un risarcimento alla stregua dei criteri generali, di maggior rigore, quando a rispondere sia P incaricato alla sorveglianza. Se ne intende agevolmente la ragione. Qui vi è un colpevole, perché vi è un soggetto imputabile, mentre lì manca l’imputabile, e ricorre un fatto dannoso, non un fatto illecito, per difetto dell’elemento psicologico. Ragioni di equità consigliano un indennizzo, ma le medesime ragioni hanno indotto il legislatore a temperare la norma, affidandosi per la misura al giudice, che terrà conto delle condizioni economiche delle parti.