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Articolo 2047 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 26/11/2024]

Danno cagionato dall'incapace

Dispositivo dell'art. 2047 Codice Civile

In caso di danno cagionato da persona incapace di intendere o di volere, il risarcimento è dovuto da chi è tenuto alla sorveglianza(1) dell'incapace, salvo che provi di non aver potuto impedire il fatto [2048](2).

Nel caso in cui il danneggiato non abbia potuto ottenere il risarcimento da chi è tenuto alla sorveglianza, il giudice, in considerazione delle condizioni economiche delle parti, può condannare l'autore del danno a un'equa indennità [843 comma 2, 924, 925, 1038, 1053, 1328, 2045].

Note

(1) Tra di essi, ad esempio, i genitori, gli insegnanti, il personale ospedaliero.
(2) Circa la natura giuridica della responsabilità contemplata dalla norma, si discute se si tratti di responsabilità per culpa in vigilando ovvero oggettiva per fatto altrui o, ancora, di una fattispecie a metà tra quest'ultima e quella aggravata. In ogni caso, si deve rilevare come la giurisprudenza sia particolarmente severa nell'esigere dal sorvegliante la dimostrazione di aver fatto quanto possibile per evitare il fatto.

Ratio Legis

Nella norma in esame emerge come il legislatore abbia considerato che anche se il danno è stato prodotto dalla condotta di un incapace (che, come tale, non è tenuto a risponderne, v. 2046 c.c.) non è equo che il danneggiato non ottenga un risarcimento o, quantomeno, un indennizzo.

Spiegazione dell'art. 2047 Codice Civile

Responsabilità dell'addetto alla sorveglianza

Quest'articolo costituisce nella sua seconda parte una profonda innovazione. Non così nella prima, perché il principio che questa enuncia, risponde ai comuni criteri pei quali chi ha il dovere di sorveglianza e vigilanza su altri, derivantegli da legge, o da volontaria assunzione d'obbligo, in colpa se omise o trascurò la sorveglianza in guisa che l’incapace poté cagionare danno ad altri, onde l'obbligo di risarcire i danni rimanendo da esso esente solo se provi (l'onore della prova è a suo carico) che non abbia potuto impedire il fatto.

L' impedimento può derivare da molteplici cause, ma sempre tali che non siano riferibili alla omissione di vigilanza; non ostante il diligente esercizio di questa il fatto non potette essere evitato. Responsabilità diretta, quindi, quando non si raggiunga tale prova liberatoria.


Innovazione nel capo­verso dell'articolo. Precedenti. Legislazione comparata

L’ innovazione, secondo si è detto, risiede nella norma contenuta nel capoverso, applicabile in ogni caso in cui il danneggiato dal fatto del minore, o, comunque, dell' incapace, non possa essere indennizzato da chi ne abbia la sorveglianza, o vigilanza. Si deroga così al principio che la re­sponsabilità è fondata sulla imputabilità; ma si soddisfa ad una esigenza di equità. Già si deplorava che dovesse rimanere senza indennizzo la vittima dell'operato di un incapace, che poteva anche essere persona fornita di censo, quando non si trovasse un responsabile civile in chi doveva sorvegliarlo, fosse questi un apposito incaricato, fosse un istituto (manicomio, o casa, di salute, per gli infermi di mente), mentre, in difetto d'una norma legislativa, non si poteva affermare la responsabilità dello incapace senza contraddire il principio fondamentale che ove non ricorre imputabilità non può parlarsi di colpa.

Il codice austriaco provvide con una norma molto equa, nei pa­ragrafi 1309 e seguenti. Se i mentecatti, gli imbecilli o i fanciulli recano danno ad alcuno che vi abbia dato occasione con qualche sua colpa, il danneggiato non ha diritto a risarcimento. Fuori di questo caso gli compete indennizzo da quelli ai quali sarà imputabile il danno per avere negletto la cura loro affidata su tali persone. Se il danneggiato non possa in tal modo ottenere il risarcimento, il giudice ordinerà il risarcimento dell' intero danno o di una parte di esso, da stabilirsi a termine di equità, avuto riguardo alle cir­costanze, se al danneggiante, sebbene non abbia questi ordinariamente l'uso della ragione, possa per avventura nel dato caso essere imputata la colpa; ovvero se il danneggiato, per risparmiare il danneggiante, abbia tralasciato la difesa; o finalmente avuto riguardo alle sostanze del danneggiante e del danneggiato.

Più sinteticamente il codice federale svizzero, nell'art. 50, dispone che per motivi di equità il giudice pub, in via di eccezione, condannare anche una persona irresponsabile al risarcimento totale o parziale del danno da essa cagionato, ed il codice civile tedesco, pure sancendo il principio della irresponsabilità per danno arrecato nello stato d' incoscienza, o di morbosa perturbazione mentale, dispone che, in ogni caso, l' irresponsabile deve un indennizzo qualora questo possa ottenersi dall' incaricato alla sorveglianza, tenuto conto delle circostanze, ed in ispecie delle condizioni rispettive degli interessati, e purché non gli vengano meno i mezzi per un mantenimento conforme al suo stato e per l'adempimento degli obblighi di mantenimento impostigli dalla legge (§§ 828 e 829).

Si invocava anche in Italia una disposizione di legge. Vanamente si prospettava che, allo stato della legislazione, per l'incapace potesse rispon­dere il patrimonio, perché la personificazione del patrimonio si traduceva in una irrazionale finzione, e non l'ammetteva parte della dottrina neppure nella eredità giacente, cui veniva negata personalità giuridica. Si considerava altresì che se pure in qualche caso, come quello in cui si istituisce erede un concepito, o non concepito figlio immediato di una determinata persona, o si nomini l'erede sub condicione, volesse riconoscersi una personalità giuridica' ad un complesso di beni, titolare sia anche qui una persona fisica di cui si attende la nascita, o la determinazione, col verificarsi della condizione, ed in ogni caso la ipotesi sia ben diversa, né si sarebbe potuto argomentare per analogia.

Il progetto del codice delle obbligazioni e dei contratti del 1927 ti avviò coraggiosamente per l’ innovazione. Con formula migliorata, sosti­tuendosi alla locuzione di danno cagionato da persona «priva di discerni­mento », che aveva provocato discussioni, ed era apparsa restrittiva, o, quanto meno, non esplicita, l'altra di « persona incapace d' intendere e di volere », sì sancisce oggi un principio di contenuto morale e portata pratica. L' in­capace, derivi la incapacità dalla età, derivi da condizioni psicologiche spe­ciali (permanenti o transitorie, ma relative al momento in cui ha commesso il fatto), è sempre titolare di un patrimonio, se possidente, e se egli un danno abbia arrecato è più equo che sia diminuita la sua potenzialità economica, anzi che rimanga diminuito il diritto di un terzo incolpevole. E si dice « in­colpevole » perché, quantunque non si trovi espresso nella norma quanto, si legge nel paragrafo 1308 del codice austriaco, pei principi generali che regolano la responsabilità se il danneggiato abbia esso dato causa con qualche sua colpa, all'operato dannoso dell'incapace, il danno deve considerarsi quale lo effetto della colpa sua e di un fortuito, non potendosi riscontrare una colpa nell'operato dello incapace, ai fini di una responsabilità solidale. Questa, e lo si vedrà nel commento all' art. 2055 del c.c., presuppone una colpa, cioè l’ « imputabilità », di più persone, mentre il capoverso dell'articolo in esame, per un criterio di equità, fa astrazione dallo elemento colpa, che non può riscontrarsi nell'azione di un incapace, e formula una norma di ec­cezione, applicabile, pertanto, con criteri restrittivi.


Limiti dell'applicabilità della norma

Perché l' incapace sia tenuto occorre che il danneggiato non abbia potuto ottenere il risarcimento da chi era obbligato alla sorveglianza, il che, prescindendo dai casi in cui questa manchi addirittura — ipotesi non infrequente, specialmente per gli infermi di mente per malattia latente, che improvvisamente si manifesti proprio con l'atto dannoso — può verificarsi perché l'obbligato alla custodia non abbia possibilità economica d' inden­nizzare chi ha sofferto il pregiudizio, o perché abbia provato di non aver potuto impedire il fatto. Né si dica che vi è una sovversione di principi nella prima ipotesi, perché pure riconoscendosi una responsabilità nell'addetto alla sorveglianza per mala esecuzione di questa si fa gravare sul patrimonio del negligentemente sorvegliato la trascuranza di chi proprio nei riguardi suoi e dei terzi contravvenne ad obbligo. La considerazione potrebbe avere la sua rilevanza se non ci si trovasse di fronte ad una disposizione derogatrice dei principi generali, diretta alla tutela del diritto del terzo incolpevole.


Misura dell'indennizzo

Il danneggiato ha diritto ad « un'equa indennità», quando a rispondere del danno sia il patrimonio dell' incapace; ad un risarcimento alla stregua dei criteri generali, di maggior rigore, quando a rispondere sia P incaricato alla sorveglianza. Se ne intende agevolmente la ragione. Qui vi è un colpevole, perché vi è un soggetto imputabile, mentre lì manca l’imputabile, e ricorre un fatto dannoso, non un fatto illecito, per difetto dell’elemento psicologico. Ragioni di equità consigliano un indennizzo, ma le medesime ragioni hanno indotto il legislatore a temperare la norma, affidandosi per la misura al giudice, che terrà conto delle condizioni economiche delle parti.

Relazione al Libro delle Obbligazioni

(Relazione del Guardasigilli al Progetto Ministeriale - Libro delle Obbligazioni 1941)

654 Nel caso di danno prodotto da incapace è confermato esplicitamente che il danneggiato può ottenere il risarcimento della persona che era tenuta alla sorveglianza dell'incapace stesso (art. 771): questa responsabilità viene meno con la prova di non aver potuto impedire il fatto.
Nonostante, poi, le critiche alle quali è stato assoggettato, ho mantenuto dal progetto del 1936 l'obbligo dell'incapace di corrispondere una indennità alla persona lesa, quando questa non abbia potuto ottenere il risarcimento da chi era tenuto alla sorveglianza dell'autore del fatto.
La disposizione si fonda su un principio di solidarietà sociale, essendo iniquo che il patrimonio dell'autore del danno non abbia a soffrire per la sola conseguenza dell'incapacità di questi, quando in concreto un danno è stato prodotto per fatto del minore. La disposizione contempla l'ipotesi di inopia della persona addetta alla sorveglianza dell'incapace, ma riguarda pure l'ipotesi in cui costei è riuscita vittoriosa nella prova liberatoria, specificamente previsto dalla legge come presupposto di tale liberazione; e non è esatto che dà eccessivi poteri al giudice, perché questi è vincolato dell'apprezzamento delle condizioni delle parti, e attribuirà l'indennizzo quando può apparire, per il danneggiato, più doloroso sopportare le conseguenze del danno patrimoniale di quanto non sia grave al patrimonio del minore di sopportare l'obbligo delle indennità. L'indennità dovrà così essere liquidata in base alla situazione economica di chi causò il danno e della parte lesa; e non è eccessivo un potere del genere al giudice che, anche in base al diritto vigente, può liquidare il danno discrezionalmente, quando non ha concreti elementi per fare una liquidazione precisa.

Relazione al Codice Civile

(Relazione del Ministro Guardasigilli Dino Grandi al Codice Civile del 4 aprile 1942)

799 Sul danno prodotto da persona incapace di intendere o di volere, dispone l'art. 2047 del c.c.. In linea di principio l'incosciente, se immune da colpa anche nel porre la causa dell'incoscienza, non può essere ritenuto responsabile del danno, perché di questo non è, come richiedesi, la causa cosciente. Quando vi è un custode dell'incosciente, colpevole di omessa vigilanza, egli solo sarà responsabile del danno, e per fatto proprio (art. 2047, primo comma). Ma se manca il responsabile, o se comunque il danno rimanga non risarcito, non è sembrato che il fatto dell'incosciente debba ricadere sul danneggiato anche quando possa apparire iniquo, date le condizioni economiche del danneggiato e del danneggiante, che il primo sopporti integralmente l'effetto patrimoniale del fatto commesso dal secondo. Da ciò le disposizioni, per cui il giudice, in considerazione delle condizioni economiche delle parti, può attribuire al danneggiato, se non il risarcimento, almeno un'equa indennità (art. 2047, secondo comma). In questa ipotesi, come nell'altra considerata nell'art. 2045, si prevede la trasferibilità dell'incidenza del danno da una sfera a un'altra, indice evidente di un dovere di mutua comprensione da parte dei consociati. Questo dovere può essere posto perché l'ordinamento corporativo non isola l'interesse del singolo, distaccandolo dalla vita di relazione, ma pone l'utilità generale nel crogiuolo che fonde ogni egoismo, per comporne viva materia di sano equilibrio, di armonia e di coordinazione per gli interessi di tutti.

Massime relative all'art. 2047 Codice Civile

Cass. civ. n. 1321/2016

Risponde, ai sensi dell'art. 2047, comma 1, c.c., dei danni cagionati dall'incapace maggiorenne non interdetto colui che abbia liberamente scelto di accogliere l'incapace nella propria sfera personale, convivendo con esso ed assumendone spontaneamente la sorveglianza, sicché, per dismettere tale responsabilità, è necessaria una determinazione di volontà uguale e contraria, che può essere realizzata anche trasferendo su altro soggetto l'obbligo di sorveglianza sì da sostituire all'affidamento volontario preesistente un altro quanto meno equivalente la cui idoneità va verificata dal giudice con valutazione prognostico-ipotetica "ex ante" riferita al momento "del passaggio delle consegne". (Nella specie, la S.C. ha confermato la decisione impugnata, che aveva riconosciuto il trasferimento del dovere di sorveglianza su un incapace maggiorenne da un genitore all'altro, nella decisione della madre di non proseguire la convivenza con il figlio e nella contestuale libera e consapevole decisione del padre di portarlo con sé a vivere in campagna, in luogo astrattamente idoneo all'esercizio della sorveglianza in condizioni addirittura preferibili a quelle in precedenza offerte dalla madre).

Cass. civ. n. 3242/2012

In tema di responsabilità civile, l'applicabilità dell'art. 2048 c.c. postula l'esistenza di un fatto illecito compiuto da un minore capace di intendere e di volere, in relazione al quale soltanto sono configurabili la "culpa in educando" e la "culpa in vigilando"; ne consegue che, ove il minore incapace, con il proprio comportamento illecito, cagioni un danno a se stesso, sono applicabili le disposizioni di cui agli artt. 1218 o 2043 c.c., a seconda che ricorra una responsabilità contrattuale o extracontrattuale del soggetto tenuto alla vigilanza. Peraltro, a causa del richiamo contenuto nell'art. 2056 c.c. all'art. 1227 c.c., il fatto del minore incapace di intendere e di volere che con il suo comportamento abbia contribuito alla produzione del danno a se stesso è valutabile dal giudice al fine di stabilire il concorso delle colpe e l'eventuale riduzione proporzionale del danno da risarcire. (Nella specie, si trattava del comportamento tenuto da un bambino di tre anni, ritenuto dal giudice di merito valutabile ai fini dell'art. 1227 c.c.).

Cass. civ. n. 7247/2011

Ai fini del riconoscimento della responsabilità del sorvegliante, a norma dell'art. 2047 c.c., è necessario che il fatto commesso dall'incapace presenti tutte le caratteristiche oggettive dell'antigiuridicità e cioè che sia tale che, se fosse assistito da dolo o colpa, integrerebbe un fatto illecito. Ne consegue che, nell'ipotesi di lesione personale inferta da un minore ad un altro nel corso di una competizione sportiva, occorre verificare, al fine di escludere l'antigiuridicità del comportamento dell'incapace e la conseguente responsabilità del sorvegliante, se il fatto lesivo derivi o meno da una condotta strettamente funzionale allo svolgimento del gioco, che non sia compiuto con lo scopo di ledere e che non sia caratterizzato da un grado di violenza od irruenza incompatibile con lo sport praticato.

Cass. civ. n. 23464/2010

Ai fini di cui all'art. 2047 c.c., per affermare o escludere la capacità di intendere e di volere di un minore d'età, autore di un fatto illecito, il giudice di merito non è tenuto a compiere una indagine tecnica di tipo psicologico quando le modalità del fatto e l'età del minore siano tali da autorizzare una conclusione in un senso o nell'altro. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha ritenuto correttamente motivata la decisione di merito con la quale era stato ritenuto incapace di intendere e di volere un bambino di dieci anni che, colpendo alla schiena con la cartella altro minore, gli aveva provocato la frattura di quattro vertebre).

Cass. civ. n. 22818/2010

Nei confronti di persona ospite di reparto psichiatrico o di altra struttura equipollente, ancorché non interdetta nè sottoposta a trattamento sanitario obbligatorio ai sensi della legge 13 maggio 1978, n. 180, la configurabilità di un dovere di sorveglianza, a carico del personale sanitario addetto al reparto, e della conseguente responsabilità risarcitoria per i danni cagionati dal o al ricoverato, presuppone soltanto la prova concreta della incapacità di intendere e di volere del ricoverato medesimo. (Nella fattispecie la Corte ha confermato la pronuncia del giudice di secondo grado che aveva ravvisato il difetto di sorveglianza del personale della struttura nei confronti di persona adulta affetta da oligofrenia di grado elevato con note mongoloidi rimasta vittima di violenza sessuale all'interno della struttura psichiatrica presso la quale si trovava ricoverata).

Cass. civ. n. 16803/2008

La presunzione di responsabilità prevista dall'art. 2047 c.c. nei confronti di chi sia tenuto alla sorveglianza dell'incapace è configurabile a carico della struttura sanitaria soltanto in caso di ricovero ospedaliero del malato mentale, dovendosi; peraltro, considerare priva di tutela a carico del Servizio Sanitario l'esigenza di assicurare la pubblica incolumità che possa essere messa in pericolo dal malato mentale, rientrando tale compito tra quelli demandati in via generale agli organi che si occupano di pubblica sicurezza. (Nella specie, la S.C., sulla scorta dell'enunciato principio, ha rigettato il ricorso proposto dai parenti di un congiunto ucciso da un soggetto affetto da vizio totale di mente all'interno di un bar nei confronti dell'Azienda sanitaria, non potendosi configurare nei riguardi di quest'ultima uno stretto obbligo di sorveglianza a carico dell'omicida risultato malato di mente nell'ipotesi esaminata, considerandosi, altresì, che il T.S.O. può essere disposto solo se esistono alterazioni psichiche tali da richiedere urgenti interventi terapeutici, se gli stessi non vengano accettati dall'infermo e se non vi siano le condizioni e le circostanze che consentano di adottare tempestive ed idonee misure extraospedaliere e, senza trascurare che, nel caso in questione, l'aggressore omicida, fino a pochi giorni prima del compimento del fatto delittuoso, non aveva dato segni di squilibrio e premonitori di una possibile manifestazione di follia).

Cass. civ. n. 1148/2005

Qualora la responsabilità del genitore per il danno cagionato da fatto illecito del figlio minore trovi fondamento, essendo il minore incapace di intendere e volere al momento del fatto, nella fattispecie autonoma di cui all'art. 2047 c.c. e non in quella di cui all'art. 2048 c.c., incombe sul genitore del danneggiante la prova dell'affidamento ad altro soggetto della sorveglianza dell'incapace. Detta prova è particolarmente rigorosa, dovendo egli provare di non aver potuto impedire il fatto e quindi dimostrare un fatto impeditivo assoluto. (Nella specie, relativa all'infortunio occorso ad un minore colpito con un ceppo di legno da altro fanciullo di sette anni che giocava con lui, la S.C. ha cassato la sentenza di merito che aveva escluso la responsabilità dei genitori del danneggiante, essendo presente al gioco il padre del danneggiato, assumendo che la madre del primo, allontanatasi, aveva ritenuto tacitamente delegata all'altro adulto rimasto la sorveglianza del proprio figlio minore).

Cass. civ. n. 19060/2003

L'accertamento in sede penale della mancanza di prova della colpa dei soggetti tenuti alla sorveglianza dell'incapace non comporta il superamento della presunzione di colpa su di essi gravante ai sensi dell'art. 2047 c.c., né costituisce prova del caso fortuito.

Cass. civ. n. 11245/2003

La presunzione di responsabilità di cui all'art. 2047 c.c., posta a carico di chi è tenuto alla sorveglianza dell'incapace, non è applicabile al caso di danni che l'incapace abbia causato a se stesso.

Nel caso di danno arrecato dall'incapace (nella specie una bambina di tre anni) a se stesso, la responsabilità del sorvegliante e della struttura nella quale l'incapace è ammesso (nella specie un asilo nido comunale) va ricondotta non già nell'ambito della responsabilità extracontrattuale, ai sensi dell'art. 2043 c.c., bensì nell'ambito della responsabilità contrattuale, ai sensi dell'art. 1218 c.c.

Cass. civ. n. 4633/1997

L'ampiezza dell'obbligo di sorveglianza dei soggetti incapaci di intendere o volere (art. 2047 c.c.) è da rapportare alle circostanze di tempo, luogo, ambiente, pericolo, che, considerando altresì la natura e il grado di incapacità del soggetto sorvegliato, possono consentire o facilitare il compimento di atti lesivi da parte del medesimo.

Cass. civ. n. 565/1985

In tema di responsabilità civile da fatto illecito, la capacità d'intendere e di volere del minore, la quale esclude l'applicabilità dell'art. 2047 c.c., può essere accertata dal giudice del merito, con valutazione di fatto incensurabile in sede di legittimità se immune da vizi logici e giuridici, anche mediante presunzioni, quale il riferimento alla stessa età del minore e al tipo di studi da lui frequentati.

Cass. civ. n. 3142/1981

Il dovere di sorveglianza di un incapace, quale fonte di responsabilità per il danno cagionato dall'incapace medesimo, ai sensi dell'art. 2047 primo comma c.c., può essere l'effetto non soltanto del vincolo giuridico, ma anche di una scelta liberamente compiuta da un soggetto, il quale, accogliendo l'incapace nella sua sfera personale o familiare, assuma spontaneamente il compito di prevenire od impedire che il suo comportamento possa arrecare nocumento ad altri. (Nella specie, enunciando il principio di cui sopra, la Suprema Corte ha ritenuto correttamente applicata la citata norma, con riguardo al danno cagionato da un bambino di quattro anni, a carico del marito della madre del minore, il quale, pur non avendolo riconosciuto, conviveva con lui e con la moglie, formando un unico nucleo familiare).

Cass. civ. n. 1642/1975

Ai fini della responsabilità civile per danno cagionato da persona incapace d'intendere e di volere (art. 2047 c.c.), al fine di accertare se un minore sia incapace di intendere o di volere, il giudice non può limitarsi a tener presente l'età dello stesso e le modalità del fatto, ma deve anche considerare lo sviluppo intellettivo del soggetto, quello fisico, l'assenza (eventuale) di malattie, la forza del carattere, la capacità del minore di rendersi conto della illiceità della sua azione, la capacità del volere con riferimento all'attitudine ad autodeterminarsi. L'art. 2047 c.c. sulla responsabilità per danni cagionati da persona incapace, nel riferirsi alla capacità d'intendere e di volere, non enuncia i criteri in base ai quali il relativo accertamento deve essere compiuto, ma affida al giudice di compiere il detto accertamento alla stregua dei criteri tratti dalla comune esperienza e dalle nozioni della scienza. Questi criteri, pertanto, sono implicitamente assunti dalla norma, per cui il giudice è tenuto a rispettarli; con la conseguenza che la mancata applicazione di essi si risolve in violazione di legge.

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Flavia S. chiede
venerdì 16/08/2019 - Abruzzo
“Mio suocero di anni 89 presenta già da tempo e sempre in maniera più evidente atteggiamenti aggressivi nei confronti dei familiari e rifiuta rigorosamente qualsiasi controllo od esame medico. Mostra inoltre saltuariamente sintomi di confusione mentale e mancato riconoscimento dei familiari. Si ostina a guidare l'auto nonostante l'evidente carenza di riflessi dato il suo stato di totale immobilità nell'arco della giornata.
Qualora dovesse provocare danni o lesioni a persone o a cose nell'ambito familiare o a terzi a chi verrebbe attribuita la responsabilità e quali potrebbero essere, se ci fossero, le conseguenze penali?
Quali provvedimenti possiamo adottare per salvaguardare la posizione di mio marito (figlio) nel caso di un rifiuto ad oltranza di cure mediche?”
Consulenza legale i 21/08/2019
La situazione descritta nel quesito appare richiedere la nomina di un tutore o un curatore o, quanto meno, un amministratore di sostegno poiché sembrerebbe che si tratti di soggetto incapace di provvedere ai propri interessi per cui potrebbe essere dichiarata l’interdizione (art. 414 c.c.) o almeno, l’inabilitazione (art. 415 c.c.) o nominato un amministratore di sostegno (art. 404 c.c.).
L’interdizione può essere dichiarata quando una persona è totalmente incapace di intendere e volere;
mentre l’inabilitazione si quando una persona è solo parzialmente incapace di intendere e volere.
L’amministratore di sostegno viene invece nominato dal giudice tutelare per assistere e rappresentare chi, colpito da una menomazione fisica o psichica, si trovi nell'impossibilità, anche parziale o temporanea, di provvedere in tutto o in parte al compimento delle funzioni della vita quotidiana (art. 404 c.c.). Quest'ultimo istituto è spesso applicato proprio in caso di anziani non autosufficienti.
In ogni caso, tutti i predetti procedimenti fanno parte di quelli rientranti nella volontaria giurisdizione: si presenta un’istanza al giudice tutelare che procederà alla nomina del tutore, curatore o amministratore di sostegno.
Naturalmente, i figli (e quindi in questo caso Suo marito) possono chiedere al Giudice di essere nominati tutore, curatore o amministratore di sostegno.

Ciò posto, qualora Suo suocero dovesse provocare danni o lesioni a persone o a cose nell'ambito familiare o a terzi il risarcimento sarebbe “dovuto da chi è tenuto alla sorveglianza dell'incapace, salvo che provi di non aver potuto impedire il fatto”, come espressamente previsto dall’art. 2047 c.c.
Nella presente vicenda, non è specificato se Suo suocero viva da solo o con Voi o con altri figli.
Dal tenore del quesito parrebbe che l’unico soggetto che potrebbe essere ritenuto sorvegliante sia Suo marito il quale quindi potrebbe essere tenuto al risarcimento in caso di eventuali danni cagionati a terzi.

Per quanto riguarda invece le conseguenze penali, il soggetto che è incapace di intendere o di volere, se commette un reato non è imputabile e quindi non può essere punito (art. 85 c.p.). Ciò anche se non vi sia stata una interdizione o inabilitazione. E’ infatti il giudice penale che, in un ipotetico processo, deve accertare che quando il fatto è stato commesso il soggetto non aveva né la capacità di intendere né quella di volere.

Da ultimo, in caso di rifiuto ad oltranza di cure mediche, occorre tenere presente che non è possibile obbligarlo alla loro assunzione.
Solo laddove ne ricorrano i presupposti si potrebbe pensare ad un trattamento sanitario obbligatorio (TSO) che verrebbe disposto dal Sindaco del Comune di residenza o del Comune dove la persona si trova momentaneamente, a seguito di proposta motivata di due medici (di cui almeno uno appartenente alla Asl di competenza territoriale).
In merito a tale aspetto, suggeriamo comunque di rivolgersi ad un medico dell’Asl di competenza territoriale per tutte le valutazioni mediche del caso.
Ricordiamo anche che per un eventuale ricovero in strutture come le residenze sanitarie assistenziali è necessario un certificato di non autosufficienza in cui viene segnato il grado di gravità della malattia. Fermo in ogni caso che poi il successivo consenso per il ricovero dovrà essere fornito dall’amministratore di sostegno eventualmente nominato.