Storia della norma: l’art. 429 cod. comm.
L'art. 429 cod. comm., assai da vicino inspirato aII'art. 384 cod. comm. francese, ha costituito il punto cruciale e doloroso del diritto assicurativo fino ad ora vigente. Su di esso hanno combattuto fiere battaglie dottrina e giurisprudenza : particolarmente quest'ultima, che si è trovata a decidere spesso in modo contraddittorio specialmente tra Corte Suprema e giudici di merito, una miriade di questioni pratiche, delicate e difficili.
L’art. 489 cod. Comm. moveva dal principio, esatto nelle sue linee fondamentali, che nella conclusione del contratto, per ciò che riguarda la rappresentazione del rischio da assumere, l’assicuratore è quasi completamente nelle mani del contraente, di solito gestor risici, non potendo – per impossibilità o per il loro alto costo – l’assicuratore stesso compiere tutte le indagini necessarie per conoscere, indipendentemente dalle dichiarazioni del contraente, tutte le circostanze relative al rischio.
Le norme generali sui vizi di consenso (errore, dolo) non parvero sufficienti per tutelare l’assicuratore e venne così creata la speciale disciplina dell’art. 429. Questa presentava delle linee schematiche apparentemente semplici: qualunque dichiarazione falsa o erronea, e qualunque reticenza di circostanze conosciute dall’assicurato relative al rischio anche se non sono state influenti sul sinistro, tali che l’assicuratore non avrebbe concluso il contratto o non lo avrebbe concluso alle stesse condizioni se avesse conosciuto il vero stato delle cose, è causa di annullamento (il codice diceva nullità): in caso di malafede dell’assicurato, l’assicuratore ha diritto al premio.
Questioni sul suo fondamento
Ma sotto il velo lineare, ecco sorgere gravi problemi : ed è opportuno darvi uno sguardo per cogliere appieno il significato delta norme del nuovo codice. Tra i problemi sta, in primo piano, quello del fondamento della norma. Secondo la teoria tradizionale, con l’art. 429, eravamo in pieno nel campo del vizio di consenso : ma mentre in origine ci si adagiava nella semplicistica formula che qualificava l’art. 429 come una norma di applicazione all'assicurazione delle norme generali sui vizi di consenso. in tempi pia recenti si chiarito che tale applicazione non era ne totalitaria, ne priva di deroghe notevoli.
E si è osservato : a) che la norma riguardava soltanto i vizi del consenso dell'assicuratore e non anche quelli del contraente, al quale si dovevano applicare le norme comuni ; b
) che l'art. 429 non si limitava ad applicare rischio le norme relative ai vizi di consenso sulla cosa, oggetto del contratto, ma in deroga alle norme comuni elevava a causa di annullamento anche : a) il
dolus e
l'error incidens (tale che l'assicuratore non avrebbe concluso il contratto alle stesse condizioni, accanto al dolo
causam dans e all'errore in
substantia res) ; b) l'errore non scusabile, accanto a quello scusabile, il solo che, secondo un'autorevole dottrina, darebbe luogo ad annullamento, c
) inoltre stabiliva in caso di malafede del contraente che l'assicuratore aveva diritto al premio a titolo di risarcimento dei danni.
Anche così precisata, la dottrina che riconduceva la norma dell'articolo 429 nel quadro più generale delle norme sui vizi del consenso, ha però negli ultimi tempi incontrato opposizione sempre crescente : si é parlato di sanzione contro il contraente per
culpa in
contrahendo da parte sua, o di sanzione per l'inadempimento da parte del contraente di un suo obbligo (legale o convenzionale) di dichiarazione pre-contrattuale, ovvero di inefficacia come risultato del mancata verificarsi dell’onere di dichiarazione o come effetto di una garanzia da parte del contraente di rispondenza tra rischio vero e rischio dichiarato.
Nel regime del vecchio codice, però, la teoria tradizionale con le dovute precisazioni era ancora preferibile a queste ultime tendenze che, non prive di influsso di leggi straniere diverse dall’art. 429, sono più vicine al vero nell’odierno codice.
Questioni pratiche
Oltre al problema del suo fondamento, l’art, 429 ha sollevato una infinità di questioni circa le norme da esso stabilite. Ci si limita a ricordare:
a) Sul concetto di dichiarazione falsa o erronea e si è molto discusso : l'orientamento predominante è che si abbia dichiarazione erronea o reticenza in buona fede qualora il contraente riferisca inesattamente o taccia una circostanza a lui nota, senza intenzione o coscienza di trarre in inganno rassicuratore – che si abbia invece dichiarazione falsa o reticenza in mala fede quando il contraente riferisce inesattamente o taccia una circostanza a lii nota con l’ intenzione e la coscienza di trarre in inganno l’assicuratore.
Si è stati però molto riluttanti ad ammettere una reticenza in buona fede e d'altro canto la giurisprudenza delta Corte supreme ha sempre richiesto per la mala fede ai sensi dell'ultimo cpv. e delle clausole di incontestabilità (infra) resistenza dei raggiri dell'art. 1155 cod. civ. a costituire i quali, secondo la Corte suprema, non basterebbe lo stato soggettivo di coscienza o di intenzione di trarre in inganno. Naturalmente il determinare se e quando si abbia o l'una o l’altra forma 6
quaestio Nell'ass. per conto altrui e per conto di chi spetta la dottrina più attenta ha equiparato alla conoscenza del contraente quella dell'assicurato.
Dato il principio su cui si impostava l'art. 429, l'assicuratore non era tenuto a controllare l'esattezza e la completezza delle dichiarazioni del contraente. Dottrina e giurisprudenza erano però costanti fermare che non vi ha luogo ad annullamento a) se, malgrado la dichiarazione falsa o la reticenza del contraente, l'assicuratore (sono direttamente o un suo agente fornito di rappresentanza anche soltanto passiva) fosse a conoscenza del vero stato delle cose : perché in tal caso non vi e vizio di consenso ; 2) se la dichiarazione falsa od erronea o
reticenza fosse dovuta a fatto dell'agente dell'assicuratore (istigazione. errore di scrittura), perché il preponente risponde per i fatti dei preposti.
b) Se la circostanza dichiarata erroneamente o falsamente o taciuta sia o meno influente sul rischio è questione da affrontare caso per caso. Dottrina e giurisprudenza però hanno attribuito notevole portata al riguardo al questionario predisposto dalle Compagnie elevando a presunzione
(hominis) di influenza le circostanze su le quali il questionario l'attenzione del contraente.
Per l’ irrilevanza del fatto che la circostanza non, o non esattamente, dichiarata abbia o meno influito sul sinistro, si era rimasti fedeli al principio che il vizio di consenso intorno all'equilibrio (matematico) delle prestazioni si ha riguardo al momento della conclusione del contratto, non ad un momento successivo. La norma del cpv. art. 429 è stata così rispettata, anche se qualche legge straniera ha seguito opposto indirizzo e se qualche scrittore ha manifestato almeno
de iure condendo delle perplessità.
c) Il codice parlava di nullità, ma la teoria che ha posto l’articolo 429 nel quadro delle norme sui vizi del consenso ha avvertito trattarsi di annullamento. Conseguenza di questa posizione fondamentale è che l’azione si prescriva in cinque anni (anziché in uno: art. 924) a norma dell’art. 1305 cod. civ. 1865 e che il termine di prescrizione decorreva dalla scoperta del vizio. Un così lungo tempo di impugnabilità del contratto era di ostacolo allo sviluppo della previdenza. Nel porvi rimedio, inserendo nelle polizze la clausola di incontestabilità secondo la quale (pur essendo varie le formule) decorso un anno (o sei mesi) dalla conclusione del contratto l’assicuratore non poteva più impugnarlo per dichiarazioni inesatte o reticenti dell’assicurato salvo il caso di mala fede (o frode o dolo).
Con questa clausola le compagnie hanno inteso salvare il contratto decorso un termine non solo breve ma che per di più decorreva dalla conclusione del contratto e non già dalla scoperta del vizio. Ma hanno inteso salvarlo solo in caso di buona fede del contraente, cioè di sue dichiarazioni erronee o reticenze in mala fede. Invece questa clausola, bene colta nella sua esatta portata e approvata dalla dottrina e dalla giurisprudenza di merito, è stata frustrata dalla Corte suprema che, richiedendo per la mala fede (o frode o dolo) i raggiri e le macchinazioni complesse, ha finito col salvare il contratto anche in caso di dichiarazioni false o reticenza in mala fede.
Le norme degli artt. 1892 e segg. e quelle generali sui vizi del consenso. Fondamento giuridico della norma: teorie da respingersi
Il sistema del nuovo codice viene dunque impostato nel modo seguente. In caso di dichiarazioni inesatte e di reticenze del contraente (e nell’assicurazione in nome o per conto di terzi in caso di conoscenza di questi) relative a circostanze tali che se avesse conosciuto il vero stato delle cose l'assicuratore non avrebbe dato il suo consenso o non lo avrebbe dato alle medesime condizioni :
a) se vi è dolo o colpa grave del contraente, l'assicuratore può chiedere l'annullamento del contratto. L'assicuratore deve comunicare al contraente la sua intenzione di impugnare il contratto entro tre mesi dal giorno in cui ha conosciuto l'inesattezza della dichiarazione o della reticenza. Per tutto il periodo in corso ha diritto al premio. In caso di sinistro prima della decorrenza del termine non è tenuto alla prestazione. Se l’assicurazione copre più cose o persone il contratto rimane valido ed efficace rispetto a quelle persone o cose alle quali non si riferisce la dichiarazione inesatta o la reticenza ;
b) se non vi è dolo o colpa del contraente, l'assicuratore può recedere dal contratto mediante dichiarazione dell’assicurato entro tre mesi dal giorno in cui ha conosciuto l'inesattezza della dichiarandone o della reticenza. Se il sinistro si verifica prima del recesso, la prestazione dell’assicuratore è ridotta in proporzione della differenza tra il premio convenuto e quello che sarebbe stato applicato se si fosse conosciuto il vero stato delle cose.
Per quanti sforzi si vogliano fare, non sembra che la disciplina stabilita dagli artt. 1892, 1893, possa più ricondursi, come quella dell’art. 429 cod. comm., nel quadro delle norme generali sui vizi del consenso.
Infatti, a differenza di tali norme generali:
A) Nell'ipotesi dell'art. 1892 :
- sono causa di annullamento, non solo il
dolus causam dans ma anche il
dolus incidens in contrasto con l’art. 1440 e la colpa grave,
- l'assicuratore decade dall'azione di impugnativa se non dichiara entro tre mesi dalla scoperta del vizio al contraente di volerla esercitare,
- finché non è annullato il contratto, l'assicuratore è liberato se il sinistro si verifica prima della scoperta del vizio del termine di decadenza, mentre, secondo i principi generali, a contratto annullabile produce tutti i suoi effetti finché non è annullato.
B) Nell'ipotesi dell'art. 1893 :
- non soltanto, come per l’art. 429 cod. comm., si ha debilitazione del contratto in caso di errore non
in substantia e non scusabile, ma soprattutto
- conseguenza dell'errore dell'assicuratore è non già l’annullamento del contratto bensì il recesso,
- finché non vi è recesso se si verifica il sinistro l’assicuratore è tenuto ad una prestazione minore.
D'altro canto, ritengo possano eliminarsi anche le teorie che fanno capo alla sanzione per
culpa in contrahendo o inadempimento ad un obbligo di dichiarazione precontrattuale, giacché la debilitazione del contratto si ha anche nell'ipotesi di dichiarazione inesatta o di reticenza senza dolo o colpa nella quale non si può parlare nè di
culpa in contrahendo, ne di inadempimento. Più esatta appare perciò la formula che dalla natura e dal sinallagma del contratto di assicurazione discenda la necessita di una identità tra il rischio che l'assicuratore crede di assumere e quello che realmente assume. Mancata l'identità per effetto delle dichiarazioni inesatte o delle reticenze, viene meno il presupposto per la validità ed efficacia del contratto quando si è in ipotesi di dichiarazione inesatta o di reticenza. Questa formulazione deve essere chiarita e ricondotta nel quadro più generale.
(segue) Teoria da accogliersi
Il principio fondamentale che ispira tutta la disciplina giuridica dei contratti è che, nei limiti da esso posti, l’ordinamento giuridico si preoccupa che l’intento pratico che le parti perseguono sia, per quanta possibile. con equità raggiunto e tutelato. A tale scopo sono dettate norme per la fase genetica e per la fase funzionale del contratto stesso. Tra le prime, sono le norme che si preoccupano che il contenuto del contratto corrisponda a quello effettivamente e con capacità voluto dalle parti (capacità, stato di necessità, consenso e suoi vizi) stabilendo l’annullamento o la rescissione quando non vi è tale corrispondenza.
Tra le seconde sono le norme che si preoccupano che il contenuto voluto si attui, stabilendo la risoluzione o il recesso, qualora l’equa attuazione voluta non si possa verificare. A queste norme generali si aggiungono, secondo i tipi contrattuali, delle norme speciali che servono ad attuare meglio, o in concorrenza con quelle generali, la tutela: così ad es. nella compravendita la garanzia per vizi della cosa, ecc.
Nel settore dell’assicurazione le norme generali sul vizio di consumo non sono sufficienti ad attuare la corrispondenza tra il contenuto reale e quello voluto. dato che le circostanze qualificative sono per lo più a conoscenza di una sola paste. L’ordinamento giuridico poteva quindi o adattarvi tali norme generali ovvero imporre accanto a quelle delle norme specifiche che elevino tale rispondenza a presupposto de la pima efficacia del contratto. Nell’uno e nell’altro caso si rientra nel quadro delle norme di tutela della rispondenza tra contenuto voluto e contenuto effettivo nella base genetica del rapporto.
Conseguenza: gli artt. 1892-1894 non escludono l’applicazione delle norme generali sui vizi del consenso
Dal principio sopra affermato discende che le norme degli artt. 1892 e 1893 del cod. non esauriscono tutto il campo della tutela della corrispondenza tra voluto e reale, ma lasciano spazio di azione alle norme generali sul vizio di consenso le quali concorrono, e precisamente :
a) le norme generali sui vizi di consenso : a) si applicano in pieno al consenso del contraente qualunque sia il vizi, b) si applicano all'assicuratore, c) nella ipotesi, peraltro teorica, della violenza
2) nell’ipotesi di errore non dipendente da dichiarazione inesatta o da reticenze del contraente (nel qual caso l'errore deve presentare tutti i requisiti posti dagli artt. 1427 e segg.) ;
3) norme speciali degli artt. 1892, 1893 si applicano invece in caso di errore provocato da dichiarazioni inesatte o reticenze del contaminate. abbia questi agito o meno con dolo o colpa grave.
Rinviando alle trattazioni generali sul negozio giuridico la disciplina delle ipotesi sub a) vediamo qui la disciplina specifica delle ipotesi sub b).
Le norme degli artt. 1892-1894. Il presupposto: contegno del contraente
Il presupposto per l'applicazione degli artt. 1892, 1893 è che l’inesatta rappresentazione del rischio da parte dell'assicuratore sia provocata dal contegno del contraente. Tale contegno deve presentare i seguenti requisiti :
a) deve consistere in una dichiarazione inesatta o in una reticenza. Dichiarazione inesatta è una dichiarazione di contenuto non rispondente al vero, reticenza è il silenzio in una circostanza nota al contraente.
Nell’uno e nell’altro caso vi può essere in buona fede senza grave negligenza da parte del contraente, ovvero grave negligenza (colpa grave), ovvero, infine, coscienza e intenzione di ingannare l’assicuratore (dolo). In quest’ultimo caso alla falsità della dichiarazione o alla reticenza si può accompagnare qualche forma di più grave raggiro.
La dichiarazione inesatta o reticenza deve derivare dal contraente: nell’assicurazione in nome per conto di terzi vale anche la conoscenza da parte di quest’ultimo dell’inesattezza della dichiarazione o delle reticenze del contraente. Se muove dall’agente dell’assicuratore per inesatta trascrizione della proposta, non vi è dichiarazione inesatta o reticenza.
b) Deve vertere su una circostanza tale che l’assicuratore non avrebbe concluso il contratto o non lo avrebbe concluso alle stesse condizioni se l’avesse conosciuta. Deve cioè vertere su una circostanza influente sul rischio. A differenza delle principali leggi straniere e di tutti i progetti italiani, il codice non ha stabilito la presunzione
iuris tantum delle circostanze sulle quali l’assicuratore richiama l’attenzione del contraente mediante il questionario.
c) La circostanza taciuta o inesattamente dichiarata non deve essere a conoscenza dell’assicuratore. Se vi è conoscenza non v’è inesatta rappresentazione: rischio vero e rischio rappresentato coincidono: il contratto è salvo. L’assicuratore non è tenuto a compiere il controllo della dichiarazione del contraente, e se lo compie ciò non esime il contraente dell’osservanza dell’onere della dichiarazione. Alla conoscenza effettiva della compagnia viene di solito comparata la conoscenza presunta per fatto notorio. Naturalmente la conoscenza dell’agente fornito di rappresentanza (anche soltanto passiva) equivale a quella dell’assicuratore.
L’onere della prova dei fatti costitutivi dell’azione di annullamento o del diritto di recesso e precisamente dei requisiti sub a) e sub b) incombono sull’assicurator: quella del fatto estintivo (sub c) incombono invece sull’assicurato.
Esistendo i requisiti sopra delineati le conseguenze sono diverse a seconda che il contraente abbia o meno agito con dolo o colpa grave.
Quid iuris se vi è dolo o colpa grave (art. 1892 del c.c.): annullamento del contratto (natura, legittimazione, prescrizione e decadenza, effetti)
Nel caso in cui il contraente abbia agito con dolo o colpa grave l'assicuratore può chiedere l'annullamento del contratto.
a) Si tratta, come correttamente si esprime la legge, di annullamento in senso tecnico. E precisamente non è nullità assoluta (art. 1418) perché non mance nessun requisito essenziale del negozio (artt. 1325, im6). Nè questo urta direttamente per il contenuto contro la legge proibitiva perfetta. Non è inefficacia in senso stretto, perché si tratta di an vizio del negozio e non della mancanza di un elemento estrinseco elevato a requisito di efficacia. Non è risolubilità, perché non vi è alcun inadempimento ad obblighi del sinallagma discendente dal contratto.
È dunque la sanzione per un vizio soggettivo del negozio (vizio del consenso di una parte provocato da dolo o colpa grave
) posta dalla legge a tutela della parte per la quale vizio si verifica.
Come tale non avviene
de iure bensì
ope iudicis. Legittimato attivo o l’assicuratore, legittimato passivo è il contraente ; nell'assicurazione per conto altrui ritengo legittimato passivo anche l'assicurato. La sentenza di accoglimento ha la natura di sentenza costitutiva con efficacia
ex tunc.
b) Come ogni azione di annullamento, quella dell'art. 1852 e prescrittibile. Il termine decorre dal momento in cui l'assicuratore ha scoperto l'inesattezza della dichiarazione o la reticenza. Trattandosi di azione di annullamento per vizio di consenso dell'assicuratore il termine di cinque anni ai sensi dell'art. 1442. Allo scopo di salvare, ove e possibile, il contratto e di non esporre il contraente all'incertezza derivante da acquiescenza durante il periodo di prescrizione, la legge stabilisce però una decadenza all'azione : essa non è più esperibile se l’assicuratore non dichiara al contraente tale sua intenzione entro tre mesi dalla scoperta del vizio. Se non effettua tale dichiarazione nel termine l'assicuratore decade dall'azione di impugnativa. Se però effettua la dichiarazione entro tale termine, può esercitare l'azione entro il termine di prescrizione. Dalla decadenza legale discende che nel nostro caso viene meno il principio
quae temporanea ad agendum partetua ad excipiendum.
La strana situazione, peraltro non inconcepibile, del concorso di una decadenza con la prescrizione è dovuta alla volontà espressa dalla legge, la quale però meglio avrebbe fatto a stabilire un unico termine di prescrizione breve o di decadenza, esigendo che l’azione di annullamento venisse esercitata entro tre mesi dalla scoperta del vizio.
Il negozio annullabile produce, come è noto, tutti i suoi effetti finché non viene annullato. L'annullamento ha però efficacia
ex tunc.
Nel nostro caso la legge statuisce che :
1) L'assicuratore ha diritto al premio per tutto il periodo in corso (ordinariamente l'anno) al momento in cui ha proposto l'azione di annullamento ; se questa viene proposta nei primi tempi di vita del contratto ha diritto ad un anno di premio anche se d periodo di rateazione del premio stabilito in polizza sia inferiore ad un anno. Tale diritto non può discendere dal contratto, una volta annullato con efficacia
ex tunc. Come dottrina e giurisprudenza hanno giustamente ritenuto per l'analoga e pari sintetica norma dell'art. 429 ult. cpv., si tratta di un diritto di risarcimento danni voluto e fondato sull'azione dolosa o gravemente colposa del contraente al momento della conclusione del contratto e giustificato dalle spese effettuate dall'assicuratore e dal pericolo da lui corso di non scoprire il dolo o la colpa grave.
2) Se il sinistro si verifica prima che sia iniziato o decorso il termine di decadenza l'assicuratore non è tenuto a pagare la somma assicurata. Secondo l'applicazione rigorosa del principio per cui il contratto ha efficacia provvisoria finché non viene annullato, l'assicuratore sarebbe tenuto a pagare salvo ripetere in caso di sentenza di annullamento ; nel nostro caso è invece espressamente chiarito che basta che l’assicuratore invochi (in via di azione o di eccezione o con dichiarazione alla controparte) il dolo o la colpa grave del contraente, perché egli non sia tenuto ad effettuare la sua prestazione fino alla sentenza che chiude il processo di annullamento.
Quid iuris se non vi è dolo o colpa grave (art. 1893 del c.c.): recesso (natura, decadenza, effetti)
Nel caso in cui il contraente abbia agito senza dolo o colpa grave l’assicuratore può recedere dal contratto.
a) Si tratta di un vero e proprio recesso unilaterale in senso tecnico, in conformità dell’art. 1373, cioè di una risoluzione del contratto mediante semplice dichiarazione unilaterale di una delle parti contraenti all’altra parte. In tal caos il codice, per determinare gli effetti della non corrispondenza tra rischio realmente assunto e rischio che l’assicuratore si era rappresentato in base alle dichiarazioni del contraente, si distacca nettamente dai principi sul vizio del consenso da lui seguiti, sia pure con adattamenti, per il caso di dolo (o colpa grave equiparata al dolo) del contraente.
b) Il diritto di recesso è per legge sottoposto a decadenza in senso tecnico, cioè deve essere infatti esercitato entro tre mesi dal momento in cui l'assicuratore ha conosciuto l'inesattezza della dichiarazione o la reticenza. Spetta all'assicurato che vuole invocare la decadenza dell'assicuratore dal diritto di recesso dimostrare che quest'ultimo era a conoscenza del vizio oltre tre mesi prima della dichiarazione.
c) Ai sensi dell'art. 1373 cod. civ., nei contratti di durata il recesso ha efficacia
ex tunc. Nel nostro caso però avendo sostituito
- favore contractus - l'annullamento
ex tunc con un recesso
ex nunc, il
legislatore non poteva lasciare completamente esposto l'assicuratore, quando non scoprisse tempestivamente l’inesattezza della dichiarazione o la reticenza. Applicando perciò un principio adottato da leggi straniere che, per l'ipotesi di dichiarazione inesatta o reticenza senza dolo, escludono del tutto il recesso, è adottato in tema generale di errore, dall'art. 1432. Il legislatore ha stabilito che, controparte volente, se iI sinistro si verifichi prima della scoperta del vizio o prima o scadere del termine di decadenza, la prestazione dell'assicuratore venga ridotta in proporzione della differenza tra il premio convenuto e quello che sarebbe stato applicato se si fosse conosciuto il vero stato delle cose.
Secondo l'ultimo cpv. dell'art. 527 prog. 1940, è da ritenersi che, secondo il nuovo codice, anziché la liberazione dell'assicuratore, abbia luogo la riduzione della prestazione anche nel caso in cui, se avesse conosciuto il vero stato delle cose, non avrebbe concluso il contratto.
Eventuali deroghe convenzionali agli artt. 1892-1894: in particolare della clausola di incontestabilità
Le norme contenute negli artt. 1892-4894 cod. civ. sono derogabili soltanto in favore dell'assicurato (art. 1932).
Un rilievo merita la clausola di incontestabilità sopra ricordata. L'art. 1893 — l'ipotesi alla quale le clausole volevano riferirsi — dispose una disciplina molto più favorevole per l'assicurato di quel che fosse la disciplina dell'art. 429: giacché il termine per l'impugnativa per l’art. 429 doveva stabilirsi nel normale termine quinquennale delle azioni di annullamento (art. 1300 codice civ. 1865) viene ora dall’attuale codice sostituito da un termine di recesso di soli tre mesi. Ma l'uno e l'altro termine decorrono dalla scoperta del vizio, che importa la possibilità di un’impugnativa per un tempo che può essere assai lungo.
È quindi possibile che per favorire lo sviluppo della previdenza nell’assic. vita gli assicuratori vogliano conservare la clausola stabilendo ad es. che nel caso che il contraente abbia agito con dolo o colpa grave. L’assicuratore non può recedere dal contratto decorsi tre mesi dalla scoperta della inesattezza della dichiarazione o della reticenza. (art. 1893) e in ogni caso decorso un anno (o sei mesi) dalla conclusione del contratto stesso (clausola di incontestabilità).