La norma in esame descrive essenzialmente gli
elementi soggettivi del reato, la cui presenza è necessaria al fine di poter valutare la colpevolezza, e quindi la rimproverabilità, di un soggetto.
Il dolo rappresenta la forma massima di colpevolezza, oltre ad essere il
criterio generale di imputazione soggettiva. Infatti, tutti i reati, per essere addebitati al colpevole, devono essere stati commessi con coscienza e volontà, tranne i casi in cui la legge espressamente punisce anche chi abbia agito con colpa o con
preterintenzione (oltre l'intenzione). I vari delitti presenti nella parte speciale del codice non accennano minimamente alla necessaria presenza del dolo, dandola per scontato.
Mentre il dolo, la colpa e la preterintenzione sono descritti nei loro caratteri essenziali nell'art.
43, la
responsabilità oggettiva accennata dal terzo comma (“
la legge determina i casi nei quali l'evento è posto altrimenti a carico dell'agente come conseguenza della sua azione od omissione”) non ha goduto di altrettanta specificazione da parte del legislatore. Tale forma di imputazione è connotata dall'
assenza di un rimprovero per dolo o colpa in relazione all'evento, e l'agente ne risponde solamente in base all'apporto causale (art.
40 da lui fornito.
Nel corso degli anni la responsabilità oggettiva è stata via via guardata
sempre con maggior sfavore dagli operatori del diritto, essendo
incompatibile con il principio di personalità della responsabilità penale di cui all'art.
27 della Carta fondamentale, il quale vieta la responsabilità senza colpa.
Residua cionondimeno una ristretta area in cui la responsabilità oggettiva può risiedere. La
Corte Costituzionale, sin dagli anni '80, ha sancito che l'attribuzione di un reato su base meramente oggettiva contrasta con i valori della Costituzione
solamente quando riguarda gli elementi più significativi della fattispecie, quali quelli direttamente fondanti l'offesa al bene giuridico tutelato dalle singole norme (senza i quali viene dunque meno la natura illecita del fatto).
La responsabilità oggettiva può allora trovare applicazione solo quando non riguarda gli elementi più significativi, e ricomprenderebbe unicamente le
condizioni di punibilità estranee all'offesa.
Esemplificando, nel reato di
incendio di cosa propria ex art.
423, comma 2, il soggetto viene punito perché ha messo in pericolo la pubblica incolumità, anche se egli in realtà voleva solo liberarsi di un suo bene personale. Al soggetto viene dunque attribuita la lesione del bene giuridico tutelato (la pubblica incolumità) anche se ciò non era assolutamente sua intenzione.
///SPIEGAZIONE ESTESA
I concetti di "coscienza e volontà" indicati nel primo comma della disposizione in oggetto non vanno confusi con la nozione di imputabilità, contemplata dall'art.
85, e con quella di colpevolezza, disciplinata dal successivo art.
43.
Con "coscienza e volontà" il legislatore del
Codice Penale ha voluto intendere una sorta di pre-requisito dell'imputabilità e della colpevolezza. Si parla in dottrina di "
suitas" per indicare la riconducibilità di una certa azione al suo autore, intendendo con tale nozione qualcosa di diverso e di antecedente rispetto alla imputabilità, che mira già ad accertare un requisito ulteriore: la capacità dell'autore di
comprendere il valore sociale dell'atto posto in essere.
Così, sono venuti in rilievo i c.d. atti "
automatici" i quali, trovando la loro origine al di sotto della sfera di coscienza del soggetto, non sono per questo da lui voluti. Lo stesso dicasi per gli atti "
riflessi" (tosse, starnuto) e "
istintivi". In tutti questi casi, sarebbe da escludere la coscienza e volontà di tali atti in capo all'agente.
Per fare un esempio concreto, si può pensare al caso di sinistro stradale mortale cagionato da un colpo di sonno del conducente. Se si è trattato sonno fisiologico conseguente ad un pasto abbondante non si esclude la configurabilità del reato, mentre se il sonno è dovuto a cause patologiche come un improvviso e non prevedibile malore, non si potrà parlare di reato.
Va poi precisato che la "
suitas" assume connotati diversi a seconda dell'elemento soggettivo del reato.
Quindi, nelle fattispecie dolose (così come in quelle punite a titolo di colpa cosciente) la "
suitas" consisterebbe in una coscienza e volontà reali, connotandosi sulla base di aspetti psicologico-naturalistici. Viceversa, nel caso di reati puniti a titolo di colpa, la "
suitas" andrebbe identificata con una coscienza e volontà solo potenziali, avendo un contenuto ipotetico-normativo.
Sono da considerare riferibili al loro agente gli atti automatici o abituali
dominabili con uno sforzo di volontà, poiché questi atti sono frutto sì di un impulso dell'agente, ma non riflesso o automatico, bensì dominabile dallo stesso.
Per esemplificare ulteriormente, la giurisprudenza ritiene che tipiche cause di esclusione della "
suitas" siano, oltreché la forza maggiore e il costringimento fisico, gli stati di
delirio febbrile, il
sonnambulismo e i
malori improvvisi in generale.
Tuttavia, l'agente non andrà esente da responsabilità allorquando, pur avendo commesso il fatto di reato durante un episodio di sonnambulismo, fosse a conoscenza di tale sua patologia, per essersi la stessa già verificata diverse volte in precedenza.
Oltre alla "
suitas", anche l'
imputabilità e la
colpevolezza esprimono concetti diversi, che operano su piani distinti.
In generale, si ritiene che l'imputabilità vada accertata con precedenza rispetto alla colpevolezza, poiché ne costituirebbe un presupposto naturalistico. Tuttavia, altra parte della giurisprudenza ritiene che l'imputabilità costituirebbe solamente il presupposto per affermare la responsabilità dell'agente. Per questo motivo, il rapporto tra le due figure risulterebbe invertito e la colpevolezza andrebbe comunque accertata anche nei confronti di un soggetto non imputabile.
Da ultimo, la norma precisa che nelle contravvenzioni il colpevole è punito indifferentemente dal suo agire colposo o doloso (v. art.
art. 39 del c.p.).
Tuttavia, bisogna rilevare come una giurisprudenza risalente ritenesse che il giudice, nel caso di contravvenzioni, sarebbe stato esentato dal compiere l'accertamento della sussistenza dell'elemento psicologico poiché sussisterebbe una "
presunzione di colpa".
Tale presunzione, ritenuta priva di fondamento da attenta dottrina, è stata sconfessata anche dalla giurisprudenza più recente, la quale attualmente ritiene che l'ultimo comma della norma in esame non contenga una presunzione di colpa, affermando più semplicemente l'indifferenza rispetto all'elemento soggettivo riscontrato in capo all'autore, restando comunque necessario l'accertamento almeno della colpa.
Per quanto attiene poi al ruolo rivestito dalla
buona fede, si ritiene che essa possa acquistare giuridica rilevanza solamente se derivi da un elemento estraneo all'agente che non gli permetta di avere consapevolezza intorno all'illiceità del fatto. Tale elemento deve essere provato dall'agente, che deve oltretutto dimostrare di avere tenuto una condotta diligente ai fini di una corretta informazione rispetto all'azione posta in essere.
Per esemplificare, si può pensare al caso del comportamento antigiuridico di colui che trasgredisce alla normativa in materia di rifiuti, in seguito ad un fatto positivo dell'autorità amministrativa, che sia valso in concreto a produrre un errore scusabile circa la condotta posta in essere.
Per quanto riguarda infine la possibilità di attribuire un determinato fatto al suo agente sulla base di una responsabilità "
oggettiva", si è affermato come tale criterio di imputazione, previsto dal legislatore penale del 1930, contrasti oggi apertamente con il disposto di cui all'
art. 27 Cost..
Il principio di personalità della responsabilità penale, infatti, vieta l'imputazione di un reato per fatto altrui o comunque non riconducibile all'imputato. La responsabilità penale, infatti, è "
responsabilità per fatto proprio colpevole".
Ciononostante, residuano dei casi in cui emerge l'attribuzione di un fatto in virtù di una responsabilità di tipo oggettivo.
Si pensi al caso dell'
aberratio ictus mono e plurioffensiva; all'
aberratio delicti; al concorso nel reato proprio in ipotesi di mutamento del titolo del reato
ex art.
117; alla finzione legale d'imputabilità sottesa all'ubriachezza non derivata da caso fortuito o forza maggiore
ex art.
92.
Tuttavia, la dottrina ritiene che, anche in queste ipotesi in cui residua una forma di responsabilità oggettiva, sia necessario
rivisitare le fattispecie alla luce di una responsabilità "
per colpa", sanzionando il soggetto solamente se lo stesso si sia venuto a trovare in una situazione in cui non abbia utilizzato quei criteri di diligenza media che avrebbero scongiurato la realizzazione del fatto di reato.
///FINE SPIEGAZIONE ESTESA