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Articolo 15 Testo unico edilizia

(D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380)

[Aggiornato al 10/10/2024]

Efficacia temporale e decadenza del permesso di costruire

Dispositivo dell'art. 15 Testo unico edilizia

1. (1)(3)Nel permesso di costruire sono indicati i termini di inizio e di ultimazione dei lavori.

2. Salvo quanto previsto dal quarto periodo, il termine per l'inizio dei lavori non può essere superiore ad un anno dal rilascio del titolo; quello di ultimazione, entro il quale l'opera deve essere completata, non può superare tre anni dall'inizio dei lavori. Decorsi tali termini il permesso decade di diritto per la parte non eseguita, tranne che, anteriormente alla scadenza, venga richiesta una proroga. La proroga può essere accordata, con provvedimento motivato, per fatti sopravvenuti, estranei alla volontà del titolare del permesso, oppure in considerazione della mole dell'opera da realizzare, delle sue particolari caratteristiche tecnico-costruttive, o di difficoltà tecnico-esecutive emerse successivamente all'inizio dei lavori, ovvero quando si tratti di opere pubbliche il cui finanziamento sia previsto in più esercizi finanziari. Per gli interventi realizzati in forza di un titolo abilitativo rilasciato ai sensi dell'articolo 12 del decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387, il termine per l'inizio dei lavori è fissato in tre anni dal rilascio del titolo(2).

2-bis. La proroga dei termini per l'inizio e l'ultimazione dei lavori è comunque accordata qualora i lavori non possano essere iniziati o conclusi per iniziative dell'amministrazione o dell'autorità giudiziaria rivelatesi poi infondate.

3. La realizzazione della parte dell'intervento non ultimata nel termine stabilito è subordinata al rilascio di nuovo permesso per le opere ancora da eseguire, salvo che le stesse non rientrino tra quelle realizzabili mediante segnalazione certificata di inizio attività ai sensi dell'articolo 22. Si procede altresì, ove necessario, al ricalcolo del contributo di costruzione.

4. Il permesso decade con l'entrata in vigore di contrastanti previsioni urbanistiche, salvo che i lavori siano già iniziati e vengano completati entro il termine di tre anni dalla data di inizio.

Note

(1) Il D.L. 21 marzo 2022, n. 21, convertito con modificazioni dalla L. 20 maggio 2022, n. 51, come modificato dal D.L. 29 dicembre 2022, n. 198, convertito con modificazioni dalla L. 24 febbraio 2023, n. 14, ha disposto (con l'art. 10-septies, comma 1, lettera a)) che "In considerazione delle conseguenze derivanti dalle difficoltà di approvvigionamento dei materiali nonché dagli incrementi eccezionali dei loro prezzi, sono prorogati di due anni: a) i termini di inizio e di ultimazione dei lavori, di cui all'articolo 15 del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, relativi ai permessi di costruire rilasciati o formatisi fino al 31 dicembre 2023, purché i suddetti termini non siano già decorsi al momento della comunicazione dell'interessato di volersi avvalere della presente proroga e sempre che i titoli abilitativi non risultino in contrasto, al momento della comunicazione del soggetto medesimo, con nuovi strumenti urbanistici approvati nonché con piani o provvedimenti di tutela dei beni culturali o del paesaggio, ai sensi del codice di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42. La disposizione di cui al periodo precedente si applica anche ai termini relativi alle segnalazioni certificate di inizio attività (SCIA), nonché delle autorizzazioni paesaggistiche e alle dichiarazioni e autorizzazioni ambientali comunque denominate. Le medesime disposizioni si applicano anche ai permessi di costruire e alle SCIA per i quali l'amministrazione competente abbia accordato una proroga ai sensi dell'articolo 15, comma 2, del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, o ai sensi dell'articolo 10, comma 4, del decreto-legge 16 luglio 2020, n. 76, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 settembre 2020, n. 120, e dell'articolo 103, comma 2, del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 aprile 2020, n. 27".

Inoltre Il D.L. 24 febbraio 2023, n. 13, convertito con modificazioni dalla L. 21 aprile 2023, n. 41, ha disposto (con l'art. 18, comma 4) che "Al fine di consentire il tempestivo raggiungimento degli obiettivi di trasformazione digitale di cui al regolamento (UE) 2021/240 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 10 febbraio 2021, e al regolamento (UE) 2021/241 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 febbraio 2021, per gli interventi relativi alla realizzazione di infrastrutture di rete a banda ultra larga fissa e mobile, sono prorogati di ventiquattro mesi i termini relativi a tutti i certificati, gli attestati, i permessi, le concessioni, le autorizzazioni e gli atti abilitativi comunque denominati, ivi compresi i termini di inizio e di ultimazione dei lavori di cui all'articolo 15 del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, rilasciati o formatisi alla data di entrata in vigore del presente decreto. La disposizione di cui al primo periodo si applica anche ai termini relativi alle segnalazioni certificate di inizio attività (SCIA), nonché alle autorizzazioni paesaggistiche e alle dichiarazioni e autorizzazioni ambientali comunque denominate. Le medesime disposizioni si applicano anche ai permessi di costruire e alle SCIA per i quali l'amministrazione competente abbia accordato una proroga ai sensi dell'articolo 15, comma 2, del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, o ai sensi dell'articolo 10, comma 4, del decreto-legge 16 luglio 2020, n. 76, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 settembre 2020, n. 120, dell'articolo 103, comma 2, del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 aprile 2020, n. 27, e dell'articolo 10-septies del decreto-legge 21 marzo 2022, n. 21, convertito, con modificazioni, dalla legge 20 maggio 2022, n. 51, nonché alle autorizzazioni paesaggistiche e alle dichiarazioni e autorizzazioni ambientali comunque denominate e prorogate ai sensi del citato articolo 10-septies".
(2) Comma modificato dal D. L. 17 maggio 2022, n. 50, convertito con modificazioni dalla L. 15 luglio 2022, n. 91.
(3) Il D.L. 21 marzo 2022, n. 21, convertito con modificazioni dalla L. 20 maggio 2022, n. 51, come modificato dal D.L. 9 dicembre 2023, n. 181, convertito con modificazioni dalla L. 2 febbraio 2024, n. 11, ha disposto (con l'art. 10-septies, comma 1, lettera a)) che "In considerazione delle conseguenze derivanti dalle difficoltà di approvvigionamento dei materiali nonché dagli incrementi eccezionali dei loro prezzi, sono prorogati di trenta mesi: a) i termini di inizio e di ultimazione dei lavori, di cui all'articolo 15 del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, relativi ai permessi di costruire rilasciati o formatisi fino al 30 giugno 2024, purché i suddetti termini non siano già decorsi al momento della comunicazione dell'interessato di volersi avvalere della presente proroga e sempre che i titoli abilitativi non risultino in contrasto, al momento della comunicazione del soggetto medesimo, con nuovi strumenti urbanistici approvati nonché con piani o provvedimenti di tutela dei beni culturali o del paesaggio, ai sensi del codice di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42. La disposizione di cui al periodo precedente si applica anche ai termini relativi alle segnalazioni certificate di inizio attività (SCIA), nonché delle autorizzazioni paesaggistiche e alle dichiarazioni e autorizzazioni ambientali comunque denominate. Le medesime disposizioni si applicano anche ai permessi di costruire e alle SCIA per i quali l'amministrazione competente abbia accordato una proroga ai sensi dell'articolo 15, comma 2, del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, o ai sensi dell'articolo 10, comma 4, del decreto-legge 16 luglio 2020, n. 76, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 settembre 2020, n. 120, e dell'articolo 103, comma 2, del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 aprile 2020, n. 27".

Spiegazione dell'art. 15 Testo unico edilizia

L’articolo in commento stabilisce i termini di durata del permesso di costruire, attuando la delegificazione delle precedenti norme di rango legislativo che disciplinavano tale aspetto procedimentale.

La finalità della norma è quella di dare un limite certo alle attività edilizie di trasformazione del territorio, fissando due diverse scadenze temporali:
- un termine annuale per l’inizio dei lavori, decorrente dal rilascio del titolo abilitativo;
- un termine triennale per il completamento dell’opera, decorrente dall’avvio dei lavori.

Quanto al primo dei suddetti termini, va segnalato un orientamento dottrinale secondo cui il Testo Unico individuerebbe quale dies a quo non l’effettiva conoscenza del permesso da parte del richiedente, bensì il suo mero rilascio.
Secondo tale interpretazione, dunque, graverebbe sull’interessato l’onere di attivarsi presso l’Amministrazione, al fine di verificare se e quando il titolo sia stato rilasciato e di evitare che il termine annuale inizi a decorrere senza che il titolare del permesso ne sia a conoscenza.

Tuttavia, la giurisprudenza prevalente segue un opposto orientamento, sviluppatosi già nel vigore della precedente disciplina, che intende il termine rilascio quale sinonimo di materiale consegna del permesso di costruire, argomentando tale tesi sulla considerazione che, se il Legislatore avesse voluto indicare la data di emanazione dell'atto, avrebbe usato espressioni diverse e più precise, quali ad esempio "data dell'atto" o "data di adozione".

L’effettivo inizio dei lavori deve essere valutato in concreto dalla P.A., alla luce della presenza di un serio intento costruttivo del titolare del permesso e della effettiva volontà di eseguire le opere autorizzate.
Gli indici ai quali è necessario avere riguardo sono -ad esempio- l’organizzazione del cantiere, l’innalzamento di elementi portanti, l'elevazione di muri o l’esecuzione di scavi preordinati al gettito delle fondazioni del fabbricato (ma su tale ultima fattispecie non vi è un’opinione giurisprudenziale unanime).
Non sono ritenuti idonei elementi quali il semplice sbancamento del terreno, la mera posa dei materiali da costruzione, la sola picchettatura dell’area di cantiere.

Quanto alla nozione di ultimazione dei lavori, a differenza che sotto la previgente disciplina, non si richiede più la sussistenza delle condizioni affinché il fabbricato ottenga l’agibilità, ma è sufficiente il completamento dell’opera secondo un criterio strutturale o funzionale.
Il mancato rispetto dei suddetti termini determina la decadenza del permesso di costruire, la quale ha natura dichiarativa e vincolata e non è perciò soggetta ad alcun apprezzamento discrezionale da parte della P.A..
Tale decadenza, però, non si verifica in via automatica, ma deve essere accertata e dichiarata a mezzo di formale provvedimento, all’esito di apposita istruttoria volta alla verifica della sussistenza delle condizioni previste dall’articolo in esame.
È prevista la possibilità per l’interessato di formulare un’istanza di proroga dell’efficacia del titolo edilizio, da proporre prima della decorrenza del termine ultimo per la fine dei lavori, che viene concessa qualora ricorrano i presupposti dai commi 2 e 2 bis.
Nelle particolari ipotesi previste dal comma 2 bis, che riguardano fatti dipendenti da condotte ed iniziative imputabili all'Ente amministrativo o all’Autorità giudiziaria, si parla di una proroga cosiddetta “vincolata”, in relazione alla quale non residua alcuno spazio discrezionale per l’Amministrazione.
Si tratta, comunque, di fattispecie non applicabili estensivamente, con la conseguenza che vengono ritenute illegittime le proroghe concesse per motivi diversi da quelli contemplati dalla norma in esame, come ad esempio le sopravvenute difficoltà economiche.
In caso di mancata ultimazione delle opere nel termine triennale, è ammessa la possibilità di ottenere per la parte non eseguita un nuovo titolo abilitativo, adeguato all’entità ed alla natura delle opere da realizzare, con eventuale ricalcolo e conguaglio del contributo di costruzione.

L’ultimo comma dell’articolo in commento disciplina la decadenza del permesso di costruire già rilasciato per sopravvenienze urbanistiche contrastanti, qualora l’opera non sia iniziata o conclusa nei termini previsti dal comma 4.
Si tratta di una decadenza che non può essere evitata mediante proroga o rinnovo del titolo, in quanto è determinata dal superiore interesse pubblico alla corretta e uniforme attuazione delle nuove previsioni urbanistiche.

Massime relative all'art. 15 Testo unico edilizia

Cons. Stato n. 1977/2018

L'art. 77, co. 4, L. Reg. Toscana 3 gennaio 2005 n. 1, prevede che "l'entrata in vigore di nuove previsioni urbanistiche comporta la decadenza dei permessi in contrasto con le previsioni stesse, salvo che i relativi lavori siano stati iniziati e vengano completati entro il termine di tre anni dalla data d'inizio." Ciò comporta che se un nuovo fabbricato, legittimamente assentito sulla base della previgente destinazione urbanistica, viene completato, potrà anche essere utilizzato in conformità alla preesistente destinazione (che aveva consentito il rilascio del titolo); altrimenti, diversamente opinando, risulterebbe frustrata per così dire "a valle", quella valutazione di contemperamento tra interessi contrapposti che, a monte, la norma ha ragionevolmente effettuato.

Cons. Stato n. 7/2007

La Plenaria n. 7/2007 rappresenta l'ultimo approdo di una lunga evoluzione giurisprudenziale e normativa in tema di varianti urbanistiche generali reiterative di vincoli a contenuto espropriativo ed in particolare in ordine all'ambito motivazionale delle stesse. Il Supremo Consesso ricostruisce i principi generali operanti per la particolare fattispecie, anche attraverso la disamina dei contenuti normativi T.U. espropriazioni cui è riconosciuto valore ricognitivo di principi previgenti, e restituisce innegabilmente margini di certezza all'interprete declinando il quomodo della motivazione con riferimento ad una serie di profili tra i quali il tempo trascorso e la sovrapponibilità, o meno, della reiterazione con i vincoli decaduti. Per l'effetto sembra stabilire un'area di sostanziale franchigia motivazionale per l'amministrazione (prima reiterazione) che finisce per dilatare surrettiziamente la durata normale dei vincoli, impregiudicato restando il diritto all'indennizzo, e residualmente indirizzare alla stessa una conseguente moratoria per le reiterazioni successive alla prima. Il favor per l'amministrazione (in sede di prima reiterazione) è amplificato da giustificazioni di carattere economico e trova un temperamento solo nell'esigenza di evitare disparità di trattamento nel caso di reiterazione avvenuta "non in blocco". Infine la previsione dell'indennizzo, a differenza di quanto affermato dalla Plenaria n. 24/99 ed in linea con l'evoluzione normativa, è considerato aspetto non incidente, neppure "in parte qua", sulla legittimità dell'atto, costituendo questione patrimoniale da regolarsi eventualmente dinanzi al giudice civile.

Cons. Stato n. 5648/2003

L'esistenza dei presupposti indispensabili per configurare un effettivo inizio dei lavori, al fine di scongiurare la decadenza dell'autorizzazione edilizia, non va valutata in via generale ed astratta, ma con specifico e puntuale riferimento all'entità ed alle dimensioni dell'intervento edificatorio autorizzato (Cons. Stato, V, 16 novembre 1998, n. 1615); il tutto, ovviamente, in ossequio anche all'esigenza di evitare che il termine prescritto possa essere eluso con ricorso a lavori fittizi e simbolici.

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Consulenze legali
relative all'articolo 15 Testo unico edilizia

Seguono tutti i quesiti posti dagli utenti del sito che hanno ricevuto una risposta da parte della redazione giuridica di Brocardi.it usufruendo del servizio di consulenza legale. Si precisa che l'elenco non è completo, poiché non risultano pubblicati i pareri legali resi a tutti quei clienti che, per varie ragioni, hanno espressamente richiesto la riservatezza.

Maria G. M. chiede
lunedì 18/05/2020 - Calabria
“Sono comproprietaria di un immobile sito in omissis, autorizzato con concessione edilizia del settembre 1974 e successiva concessione in variante del maggio 1977. La licenza è stata rilasciata unitamente con l'altro proprietario per la realizzazione di un unico corpo di fabbrica a 3 livelli fuori terra diviso da terra a cielo secondo i diritti che si vantavano sui propri rispettivi lotti di terreno.Ogni proprietario ha un accesso indipendente . L’ immobile è in una strada privata quindi non potrebbe provocare danni a nessuno ed è una abitazione estiva nella quale attualmente non ci abita nessuno.La parte del mio immobile è rifinita ed arredata mentre quella del confinante è allo stato rustico
-In data 3/04/2007 sono state denunciate su tale edificio delle irregolarità edilizie,
- in data 10/03/2008 è stato fatta un relazione di sopralluogo da parte del tecnico del comune di cui allego copia.In tale sopralluogo uno dei proprietari dichiara di essere anche il costruttore dell’ immobile.
- in data 25/07/2017 è stata rilasciata dal comune il permesso a costruire in
Sanatoria.
- In data 6/04/2020 il mio avvocato mi ha consigliato di comunicare l’ inizio lavori.( allego copia).
I quesiti che le pongo sono i seguenti:
- Posso rinviare i lavori per motivi economici (in base all’ art 15 del testo unico dell’ edilizia DPR 380/2001) poiché realmente non posso affrontare attualmente un costo di € 50.000 (tra l'altro su questo immobile grava un mutuo )?
- - può l'altro comproprietario dare inizio ai lavori pure essendo la licenza edilizia unica?
- Posso fare gravare il costo dell’ opera sul costruttore che ha commesso questi abusi edilizi e li ha dichiarati in sede di sopralluogo?

L’ immobile faccio presente che è in una strada privata quindi non potrebbe provocare danni a nessuno ed è una abitazione estiva nella quale attualmente non ci abita nessuno.La parte del mio immobile è rifinita ed aredata mentre quella del confinante è allo stato rustico”
Consulenza legale i 27/05/2020
Prima di entrare nel merito della questione, è opportuno riepilogare sinteticamente alcuni dati di fatto importanti per dare una risposta esauriente al quesito.

Il presente caso riguarda un immobile realizzato negli anni ’70, previo rilascio ai due comproprietari –uno dei quali era anche il costruttore- dei relativi titoli edilizi.
Nel 2007 il Comune ha svolto un sopralluogo nel corso del quale ha accertato la presenza di alcuni abusi edilizi che interessavano sia la sola parte di proprietà del costruttore, sia l’intero edificio.
Trattandosi di irregolarità sanabili, i comproprietari (che erano nel frattempo aumentati a cinque) nel 2017 ottenevano il rilascio dell’accertamento di conformità ex art. 36, D.P.R. n. 380/2001, che veniva però accordato con prescrizioni.
In particolare, il Comune esigeva la rimozione degli abusi presenti nell’edificio, nonché il suo adeguamento sismico, disponendo altresì che fino all’esecuzione di tali lavori il fabbricato non venga abitato o, comunque, utilizzato.

Da quanto sopra esposto derivano diverse conseguenze.
In primo luogo, nei confronti del Comune i due comproprietari originari sono entrambi da qualificare come responsabili dell’abuso in base all’art. 29, D.P.R. n. 380/2001, in quanto entrambi erano titolari del permesso di costruire originario.
Pertanto, eventuali richieste o contestazioni possono essere eventualmente sollevate nei confronti del costruttore soltanto sotto il profilo privatistico (sul punto v. oltre).
In secondo luogo, l’esecuzione dei lavori indicati nel titolo abilitativo in sanatoria emesso nel 2017 è una condizione posta dal Comune per la validità del provvedimento stesso.
In disparte le valutazioni circa la legittimità di tale atto (che è ormai definitivo), si sottolinea che, in mancanza di tali lavori, non è possibile né utilizzare l’immobile, né trasferirne la proprietà, in quanto il fabbricato è da considerarsi abusivo.
Presumibilmente questo è uno dei motivi che hanno spinto il legale interpellato a consigliare ai proprietari di comunicare al Comune l’inizio del lavori.
L’altro probabile motivo è quello di agire prima che l’Ente contesti la decadenza del titolo edilizio per il mancato rispetto del termine fissato dall’art. 15, D.P.R. n. 380/2001.
Infatti, tale norma stabilisce che il permesso decade di diritto se i lavori non sono iniziati entro il termine di un anno dal rilascio del titolo, nel nostro caso già ampiamente scaduto, e se l’opera non viene ultimata entro tre anni dall’inizio dei lavori.

Tanto premesso, la risposta al primo quesito sulla possibilità di chiedere al Comune una proroga per motivi economici è, purtroppo, negativa.
Per quanto qui ci occupa, infatti, la proroga può essere accordata, con provvedimento motivato, solo per fatti sopravvenuti, estranei alla volontà del titolare del permesso, oppure in considerazione della mole dell'opera da realizzare, delle sue particolari caratteristiche tecnico-costruttive, o di difficoltà tecnico-esecutive emerse successivamente all'inizio dei lavori, ovvero quando si tratti di opere pubbliche il cui finanziamento sia previsto in più esercizi finanziari.
La giurisprudenza ritiene che tali ipotesi siano tassative e, di conseguenza, dichiara in modo concorde l’illegittimità delle proroghe motivate sulla base di sopravvenute difficoltà di natura economica (Consiglio di Stato, sez. IV, 06 ottobre 2014, n.4975; T.A.R. Venezia, sez. II, 05 luglio 2017, n.652; T.A.R. Milano, sez. II, 21 febbraio 2012, n.580).
Ad oggi, l’unica sospensione di cui è possibile beneficiare è quella disposta a causa dell’emergenza sanitaria per tutti i procedimenti amministrativi (applicabile per espressa previsione normativa anche ai termini di inizio e fine lavori), ai sensi dell’art. 103, D.L. n. 18/2020, convertito in L. n. 27/2020, e dell’art. 37, D.L. n. 23/2020, che però ha avuto termine lo scorso 15 maggio 2020.
Nel caso di specie, comunque, non è consigliabile attendere oltre ad adeguarsi alle prescrizioni imposte dal Comune, in quanto i titolari del permesso sono già esposti al serio rischio di vedersi dichiarare decaduto il titolo edilizio in sanatoria ottenuto nel 2017.

In ogni caso, le norme del T.U. Edilizia sembrano dare importanza soprattutto alla circostanza concreta che i lavori vengano avviati, senza interessarsi dei rapporti interni tra i vari titolari del titolo abilitativo.
Pertanto, potrebbe essere utile lasciare che i proprietari che ne hanno la possibilità diano inizio ai lavori, in modo da evitare conseguenze più gravi nei confronti del Comune, accordandosi con loro in via bonaria per una ripartizione dei costi sostenibile che tenga conto delle attuali difficoltà economiche.

Per quanto riguarda le eventuali responsabilità di tipo civilistico del costruttore, si nota che anche in questo caso il trascorrere del tempo costituisce un'importante preclusione alle attuali possibilità di azione.
Costituisce un principio consolidato che l'appaltatore deve assolvere con diligenza al proprio dovere di osservare i criteri generali della tecnica relativi al particolare lavoro affidatogli, controllando -nei limiti delle sue cognizioni- la bontà del progetto o delle istruzioni impartite dal committente (ex multis, Cassazione civile, sez. II, 18 novembre 2019, n.29864).
A tale dovere è correlata la responsabilità risarcitoria gravante sull’appaltatore nei confronti del committente per i vizi dell’opera appaltata prevista dagli artt. 1667 e ss., c.c., che però prevedono termini di decadenza dell’azione molto brevi.
Nel caso di specie, peraltro, si nota che l’edificio risale agli anni settanta e che l’esistenza degli abusi è nota o, comunque, conoscibile dai comproprietari diversi dal costruttore almeno dall’aprile 2007, data nella quale si è svolto il sopralluogo da parte del Comune, che -per di più- è stato sollecitato da uno dei comproprietari stessi.
Pertanto, sembra ormai inutilmente trascorso anche il termine ordinario decennale di prescrizione, che decorre dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere (art. 2935 c.c.) e che costituisce un limite insuperabile per pressoché tutte le azioni in astratto ipotizzabili nei confronti del costruttore.
In conclusione, sulla base della documentazione in possesso dello scrivente, che non fornisce approfondite indicazioni circa il rapporto contrattuale a suo tempo instaurato con il costruttore, pare che l’unica strada percorribile sia quella di tentare di arrivare a un equo componimento bonario della situazione con gli altri soggetti coinvolti.

Emilio R. chiede
mercoledì 27/11/2019 - Puglia
“Buonasera siamo in possesso dal marzo 1966 di una licenza edilizia per la costruzione di un albergo-ristorante in un'area classificata dal vecchio PRG come turistico-residenziale. Poi però il titolare nel costruirla si è fermato solo alla costruzione di una sala ristorante con annesse cucine, bagni, ecc senza costruire il resto della struttura che è stata utilizzata per 30 anni come sala ricevimenti. Oggi l'immobile esistente con il nuovo PUG si trova in una invariante strutturale che però salvaguardia l'attuale destinazione d'uso; di recente l'immobile è stato acquistato da un imprenditore che vuole realizzare un albergo così come originariamente previsto non in termini di volumetrie iniziali ma solo come destinazione d'uso alberghiera dovendo fare una ristrutturazione edilizia. La domanda è la seguente: è corretta l'interpretazione che un immobile conserva la sua originaria destinazione d'uso rinveniente dal titolo edilizio originario anche se è stato utilizzato solo in parte rispetto ad esso. Considerate che la classificazione catastale è ovviamente stata armonizzata in base all'uso e cioè uso commerciale, deposito e residenziale. Vorrei poi allegare la licenza originale o altra documentazione che dovreste ritenere utile”
Consulenza legale i 09/12/2019
I dati rilevanti per rispondere al presente quesito sono l’anno di rilascio della licenza ed il suo oggetto, le caratteristiche dell’intervento edilizio da realizzare, nonché le specifiche previsioni delle NTA relative al vigente PUG (Piano Urbanistico Generale) approvato dal Comune ai sensi della Legge Regionale Puglia n.20/2001.

Anzitutto, risulta che la licenza originaria con la quale è stata assentita la costruzione del fabbricato (unico titolo edilizio -a quanto noto- rilasciato dal Comune) risale al 29.01.1966 con collaudo nel marzo 1967, mentre la domanda era stata presentata il 10.12.65.
Essa prevedeva la doppia destinazione a ristorante-albergo, ma il titolare della licenza ha costruito soltanto una sala ristorante con annesse cucine, bagni, ecc., per poi utilizzare l’immobile come sala ricevimenti.
Il procedimento si è svolto per tutta la sua durata sotto la vigenza dell’art.31, L. n.1150/42, che a quel tempo così recitava “Chiunque intenda eseguire nuove costruzioni edilizie ovvero ampliare quelle esistenti o modificarne la struttura o l'aspetto nei centri abitati ed ove esista il piano regolatore comunale, anche dentro le zone di espansione di cui al n. 2 dell'art. 7, deve chiedere apposita licenza al podestà del comune.
Le determinazioni del podestà sulle domande di licenza di costruzioni devono essere notificate all'interessato non oltre il sessantesimo giorno della ricezione delle domande stesse.
Il committente titolare della licenza e l'assuntore dei lavori di costruzioni responsabili di ogni inosservanza così delle norme generali di legge e di regolamento come delle modalità esecutive che siano fissate nella licenza di costruzione”.
La normativa ratione temporis applicabile, perciò, sanciva allora l’obbligatorietà della licenza edilizia soltanto per le costruzioni nei centri abitati o nelle aree per le quali era già stato approvato il Piano Regolatore comunale (TAR Campobasso, sez. I, 04 maggio 2015, n.182), ma senza imporre decadenze temporali di sorta.

Esse sono state, infatti, introdotte solo qualche anno più tardi, con l’entrata in vigore della Legge n.765 del 06 agosto del 1967 che ha modificato l’art.31, L. n.1150/42, la quale ha previsto che la licenza edilizia non possa avere validità superiore ad un anno, limite massimo entro il quale il titolare doveva dare inizio ai lavori.
Secondo la giurisprudenza, l'inizio dei lavori può ritenersi sussistente quando le opere intraprese siano tali da manifestare un'effettiva volontà da parte del soggetto che ha ottenuto la licenza edilizia di realizzare il manufatto assentito (Consiglio di Stato, sez. IV, 15 aprile 2013, n.2027).
In seguito, la Legge n.10/77 ha stabilito anche un termine finale di tre anni per il completamento dell’opera, pena la decadenza del diritto a costruire per la parte non eseguita, ed oggi gli stessi limiti di inizio e fine lavori sono stati recepiti nell’art.15, T.U. Edilizia.
Pur ritenendo in ipotesi applicabile tale ultimo limite, sembra che possa considerarsi avvenuta soltanto la decadenza dalla possibilità di completare i lavori relativi alla parte "albergo" in forza della licenza edilizia del 1966, ma non da quella di sfruttare/attuare la destinazione turistico-alberghiera dell'area, dato che anche sotto il vecchio PRG, come si legge nel quesito, essa veniva classificata come turistico-residenziale e che si trattava perciò di una destinazione ammessa dalle norme edilizie locali.

Tanto chiarito, si rileva che, secondo quanto illustrato nella Relazione tecnica, l’intervento edilizio da realizzare è qualificato come ristrutturazione edilizia ex artt.3, c.1, lettera c) e 10, T.U. edilizia, ed è finalizzato ad adeguare il fabbricato esistente sotto l’aspetto sismico, tecnico-funzionale e igienico-sanitario, trasformando l’edificio attuale in un resort di lusso.
Gli unici ampliamenti non hanno lo scopo di completare la volumetria inizialmente assentita con la licenza del 1966 e non sfruttata appieno dal precedente titolare, ma riguardano soltanto il piano rialzato della struttura principale per la costruzione di servizi igienici, vani per contatori ed autoclave e due ulteriori vani tecnici al primo piano per centrale idrica e termica, oltre alla risistemazione dello spazio esterno, ma senza la creazione di nuovi accessi o di ingressi diversi o aggiuntivi rispetto a quelli esistenti.
Sembra, quindi, che la consistenza originaria dell’edificio esistente, pur con tutte le modificazioni ammesse nell’ambito di una ristrutturazione edilizia, venga fondamentalmente mantenuta anche nell’intervento futuro.

Passando al contenuto delle norme attuative del PUG, si nota che l’immobile oggi è compreso nelle “invarianti strutturali a prevalente valore paesistico-ambientale”, nelle quali le destinazioni d’uso ammesse sono quelle dei “Contesti rurali a prevalente funzione agricola da tutelare e rafforzare”.
Comunque, le attività produttive esistenti vengono salvaguardate e “conservano la loro attuale destinazione d’uso, con le possibilità di ampliamento già previste dalle rispettive norme vigenti”.
In breve, ciò che era attività produttiva, comprese espressamente anche le attività turistiche, rimane attività produttiva anche sotto il nuovo regime.

Secondo le NTA sono tre i criteri fondamentali ed alternativi per individuare la “destinazione d’uso legittimamente in atto di un edificio” e cioè, in primo luogo, quella risultante dal relativo titolo abilitativo; solo in mancanza di questo si considera la classificazione catastale, mentre in totale assenza di tali documenti è possibile procedere mediante autocertificazione.
La norma, quindi, sembra guardare più al dato formale di quanto indicato nel titolo edilizio originario, che nel caso di specie è rimasto la licenza edilizia del 1966 che autorizzava la duplice destinazione del fabbricato, identificando la classificazione catastale e l’autocertificazione solo come criteri sussidiari da utilizzare nell’eventualità di assenza di titoli edilizi.
Per tali ragioni, dovrebbe essere irrilevante ai fini che qui ci occupano la circostanza che non siano state realizzate tutte le opere previste nella licenza originaria o che la classificazione catastale sia quella relativa all’uso commerciale, deposito e residenziale, considerato anche che tali classificazioni hanno preponderante finalità di tipo fiscale e assumono una rilevanza molto relativa in ambito edilizio.
Ciò che rileva è che la licenza edilizia autorizzasse la presenza di un'attività produttiva, che in quanto pre-esistente può quindi essere ammessa e mantenuta anche sotto la vigente disciplina edilizio-urbanistica comunale.

Peraltro, secondo quanto stabilito dalle NTA, gli edifici esistenti possono essere soggetti ad interventi di recupero, senza aumento della superficie utile lorda e con modifica della destinazione d’uso.
La nozione di “intervento di recupero” non viene chiarita nello stralcio delle norme inviate unitamente al quesito, ma pare che possa farvisi rientrare anche la ristrutturazione promossa nel presente caso, posto che si tratta di opere edilizie destinate non a sostituire completamente il fabbricato preesistente, bensì ad adeguarlo e a mantenerlo funzionale, notando anche che nella Relazione tecnica non si menzionano aumenti della superficie utile lorda.
L'intervento in parola, dunque, sembra ammissibile, posto che rispetta sia la destinazione d’uso originaria e sia le finalità di conservazione alle quali sembra ispirarsi il vigente PUG.