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Il mancato guadagno deve essere provato altrimenti non c'è risarcimento

Il mancato guadagno deve essere provato altrimenti non c'è risarcimento
Nel caso in cui un soggetto non esegua le prestazioni previste in un contratto, è sempre dovuto il risarcimento del danno?

A questo quesito ha recentemente risposto la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 24632 del 3 dicembre 2015.

Nel caso all’esame della Corte, una società agiva in giudizio nei confronti di un’altra società adducendo che quest’ultima non aveva correttamente eseguito le prestazioni previste dal contratto che tra le stesse era stato stipulato e chiedendo, pertanto, il risarcimento del danno derivante dall’inadempimento stesso.

In sede di giudizio di secondo grado, tuttavia, la Corte d’Appello rigettava la domanda risarcitoria, in quanto, secondo i giudici, la società non aveva fornito la prova del danno che la stessa sosteneva di aver subito.

Giunti al terzo grado del giudizio, la società che aveva agito in giudizio rilevava come la Corte d’Appello non avesse, nel caso di specie, tenuto conto del fatto che si era pronunciato in senso favorevole alla domanda risarcitoria anche il consulente tecnico nominato dal giudice. In sostanza non avrebbe tenuto in conto “l’unico strumento conoscitivo possibile, in nessun altro modo potendo provare il danno”, dal momento che il giudice non poteva avere le competenze tecnico-contabili necessarie per quantificare autonomamente il danno stesso.
Di conseguenza, secondo la società, risultava del tutto provato il danno subito.

La Corte di Cassazione, chiamata a pronunciarsi sul punto, osserva, innanzitutto, come “in tema di responsabilità contrattuale trova applicazione il principio della presunzione della colpa, spettando all’attore/creditore solo l’onere della prova dell’inadempimento e dell’entità del danno, mentre, di converso, al debitore spetta, per sottrarsi all’obbligo risarcitorio, dimostrare l’impossibilità sopravvenuta della prestazione per cause a lui non imputabili”.

In altri termini, ciò significa che, per ottenere il risarcimento, il creditore deve provare solo l’inadempimento della controparte e il pregiudizio subito; alla controparte spetterà, al contrario, di provare di aver eseguito correttamente la prestazione o che l’inadempimento è stato dovuto ad una causa a lui non riconducibile.

Precisa la Corte, richiamando altra e più risalente sentenza sempre sul tema, come, ai sensi dell’art. 1223 c.c., “sia in riferimento alla perdita subita dal creditore (danno emergente) che al mancato guadagno (lucro cessante) in quanto ne siano conseguenza immediata e diretta (nesso di causalità fra inadempimento e danno), per il sorgere del diritto al ristoro dei danni ed alla reintegrazione patrimoniale, in tema di responsabilità civile da inadempimento di contratto, non è sufficiente la prova dell’inadempimento del debitore, ma deve altresì esser provato il pregiudizio effettivo e reale incidente nella sfera patrimoniale del contraente danneggiato e la sua entità (Cass., 5 marzo 1973, n. 608)”.

Secondo la Corte poi, quando viene chiesto il risarcimento del danno da mancato guadagno (quindi oltre al "lucro cessante" anche il cosiddetto "danno emergente"), è necessario che sia fornita la “prova, sia pure indiziaria, dell’utilità patrimoniale che, secondo un rigoroso giudizio di probabilità (e non di mera possibilità) il creditore avrebbe conseguito se l’obbligazione fosse stata adempiuta, e deve pertanto escludersi per i mancati guadagni meramente ipotetici, dipendenti da condizioni incerte” (Cass., 20 maggio 2011, n. 11254)..
Quindi, per ottenere il risarcimento per il mancato guadagno causato dall’inadempimento, è necessario provare, almeno per indizi, che se il contratto fosse stato correttamente adempiuto, il soggetto avrebbe percepito dei guadagni che, invece, l’inadempimento ha impedito di realizzare.


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