Cass. civ. n. 25877/2013
In tema di liquidazione coatta amministrativa, il giudizio di opposizione allo stato passivo ha ad oggetto il diritto del creditore di partecipare al concorso, per cui i vizi del provvedimento di esclusione, o della sua comunicazione (nel caso di specie, l'erronea indicazione del termine di impugnazione), non rilevano di per se stessi e non possono assurgere a specifiche "causae petendi" dell'opposizione con la conseguenza che, rispetto ad essi, non è configurabile un'omessa pronunzia da parte del giudice.
Cass. civ. n. 17337/2010
Il termine per la proposizione dell'opposizione allo stato passivo, nella liquidazione coatta amministrativa è di trenta giorni, come nella procedura fallimentare, anche nel periodo intermedio di vigenza del d.l.vo n. 5 del 2006, anteriore all'entrata in vigore del d.l.vo n. 169 del 2007, dovendosi ritenere, in tale segmento temporale, secondo un'interpretazione costituzionalmente orientata, implicitamente abrogato per incompatibilità con il nuovo regime improntato all'omogeneità dei termini per impugnare, il secondo comma dell'art. 209 legge fall., successivamente espressamente espunto dalla disciplina normativa delle procedure concorsuali.
Cass. civ. n. 18013/2009
In tema di liquidazione coatta amministrativa degli enti creditizi, qualora il giudice di appello abbia qualificato la domanda proposta dal creditore come opposizione allo stato passivo, riformando la sentenza di primo grado che l'aveva invece qualificata come insinuazione tardiva, è inammissibile, ai sensi dell'art. 325 c.p.c. e dell'art. 88, secondo comma, del D.L.vo n. 385 del 1993, il ricorso per cassazione proposto oltre il termine ridotto di trenta giorni dalla notifica della sentenza di appello, ancorché il ricorrente censuri la qualificazione della domanda risultante da tale sentenza, trovando applicazione il principio dell'ultrattività del rito e quello secondo cui l'individuazione del mezzo d'impugnazione esperibile contro un provvedimento giurisdizionale va effettuata sulla base della qualificazione giuridica del rapporto controverso adottata nel provvedimento impugnato.
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In tema di opposizione allo stato passivo nella liquidazione coatta amministrativa degli enti creditizi, è manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 88 del D.L.vo n. 385 del 1993, nella parte in cui, prevedendo la riduzione alla metà del termine per proporre ricorso per cassazione e la decorrenza dello stesso dalla notifica della sentenza d'appello, detta una disciplina differenziata rispetto a quella dell'insinuazione tardiva, per la quale vale invece il termine ordinario di impugnazione. Si tratta infatti di situazioni non omogenee, in quanto nel primo caso il giudizio ha carattere "lato sensu" impugnatorio dell'accertamento compiuto in sede di formazione dello stato passivo, mentre nel secondo ancora non è intervenuta alcuna pronuncia sulla domanda, e, sul piano sostanziale, solo il creditore tardivo sopporta, se non privilegiato e salva la non imputabilità del ritardo, le conseguenze della non tempestività della domanda, concorrendo solo sui riparti futuri e non avendo alcun diritto ad accantonamenti, nè ad opporsi alla chiusura della procedura. Solo per l'opposizione trova quindi giustificazione la scelta del legislatore di prevedere termini di impugnazione dimidiati, al fine assicurare una rapida definizione della controversia, che può produrre conseguenze nei confronti degli altri creditori concorrenti.
Cass. civ. n. 17295/2009
Nella procedura di liquidazione coatta amministrativa, è inammissibile la dichiarazione tardiva di credito avanzata all'udienza di trattazione di altra insinuazione tardiva in precedenza proposta, sottraendosi altrimenti al commissario liquidatore lo "spatium deliberandi", intercorrente tra la notifica del ricorso e l'udienza stessa, per esaminare la domanda e stabilire se contestarla o meno; tale giudizio è infatti caratterizzato da una prima fase, avente natura amministrativa, che può culminare, se il commissario non si oppone ed il giudice lo ritiene, nell'ammissione al passivo del credito con semplice decreto di tale giudice, mentre se insorgono contestazioni il giudice designato assume le vesti di giudice istruttore ed il giudizio prosegue con le forme del rito ordinario, per cui lo stesso credito non può più essere ammesso con decreto, dovendo su di esso pronunciarsi con sentenza il collegio. Né la predetta inammissibilità è esclusa quando, come nella specie, il commissario abbia omesso di opporsi ad un rinvio dell'udienza per valutare se contestare o meno l'ammissione del credito, essendo anche un'ipotetica non contestazione irrilevante nel giudizio contenzioso, poiché in quest'ultimo ogni attività processuale è riservata al difensore tecnico, che non potrebbe peraltro interloquire riguardo ad un credito non ricompreso nel mandato alle liti ricevuto.
Cass. civ. n. 25174/2008
La liquidazione coatta amministrativa costituisce un procedimento avente natura amministrativa e, con il deposito in cancelleria, lo stato passivo formato dal commissario liquidatore non acquista carattere giurisdizionale, ma assolve ad una mera funzione di pubblicità e segna il momento a partire dal quale può aprirsi una fase giurisdizionale in caso di proposizione di uno dei ricorsi previsti dall'art. 209 legge fall.; pertanto, all'opposizione allo stato passivo della liquidazione coatta amministrativa non si applica, in difetto di qualsiasi richiamo esplicito od implicito, il termine annuale previsto dall'art. 327 cod. proc. civ., che ha sì valenza generale, ma nell'ambito delle impugnazioni di provvedimenti giurisdizionali, e non anche quando si tratti di far valere per la prima volta dinanzi ad un giudice diritti asseritamente lesi, o comunque non riconosciuti nell'ambito di un precedente procedimento amministrativo.
Cass. civ. n. 20475/2008
In tema di opposizione allo stato passivo nella procedura di liquidazione coatta amministrativa, per la proposizione dell'appello avverso le sentenze del tribunale si applica il termine abbreviato previsto dall'art. 99, comma 5, legge fall. (nel testo, applicabile "ratione temporis", vigente anteriormente al d.lgs. n. 5 del 2006), atteso che l'art. 209 richiama tutte le norme dall'art. 98 all'art. 103 legge fall., e senza che possa distinguersi a seconda che la sentenza abbia statuito in ordine al merito della controversia o solo con riguardo al rito osservabile, in quanto un eventuale sdoppiamento del termine per l'impugnazione, oltre a non essere previsto dall'ordinamento processuale, contrasterebbe con le esigenze di certezza del processo e di razionalità della sua disciplina.
Cass. civ. n. 3380/2008
In tema di domanda di rivendica, proposta da una cassa di previdenza degli agenti verso la compagnia assicuratrice in liquidazione coatta amministrativa, per la restituzione delle somme dei conti individuali riferibili agli agenti e costituenti il patrimonio della cassa e già depositate presso la compagnia, trova applicazione il principio di carattere generale, ricavabile dalla disciplina speciale delle società fiduciarie e di investimento finanziario, per cui il diritto del depositante a rivendicare le cose fungibili depositate sussiste solo in quanto sia stato rispettato l'obbligo della cosiddetta doppia separazione patrimoniale (separazione del patrimonio della società da quello gestito per conto e nell'interesse dei clienti, nonché, all'interno di quest'ultimo, reciproca separazione dei beni e dei valori riferibili individualmente a ciascun cliente), ispirato allo scopo di garantire un'efficace tutela degli investitori, soprattutto nel caso di crisi dell'intermediario, attraverso la sottrazione dei beni alla liquidazione concorsuale e l'attribuzione all'investitore della possibilità di recuperare immediatamente e completamente quelli riconducibili al proprio patrimonio; ne deriva che questa tutela è garantita appieno soltanto nel caso in cui il regime di separazione sia stato effettivamente rispettato, con la conseguenza che, qualora ciò non sia accaduto, l'investitore è titolare esclusivamente, come effetto della ricorrenza della disciplina del deposito irregolare
ex art. 1782 c.c., di un diritto di credito nei confronti del depositario, che concorre con gli altri crediti vantati dai terzi nei confronti di quest'ultimo. (Principio affermato dalla S.C. che, cassando con rinvio la sentenza impugnata, ha negato che l'appostazione in bilancio delle predette somme fosse di per sé indiziante della autonomia patrimoniale e di gestione separata dei fondi depositati, nemmeno essendo stato accertato un vincolo legale o contrattuale di destinazione delle stesse ed invece sussistendo un mero obbligo di garantire la pronta liquidità solo per le somme da retrocedersi in caso di trasferimento degli agenti ad altra cassa o di definitiva cessazione del rapporto di agenzia).
Cass. civ. n. 18313/2007
Per il principio secondo cui l'individuazione del mezzo di impugnazione esperibile contro un provvedimento giurisdizionale va effettuata sulla base della qualificazione giuridica del rapporto controverso adottata dal giudice che detto provvedimento ha pronunciato, a prescindere dall'esattezza o meno di tale qualificazione, e per il principio di ultrattività del rito (in forza del quale gli atti processuali compiuti con le modalità proprie del rito adottato dal giudice, conservano piena efficacia e ne conservano gli effetti nelle fasi successive), è soggetto al termine di decadenza di quindici giorni, ai sensi dell'art. 99 legge fall., l'appello avverso la sentenza di primo grado pronunciata su domanda che in primo grado sia stata qualificata (nella specie, sia dall'attore, sia dal giudice) come opposizione a stato passivo di liquidazione coatta amministrativa e trattata secondo il relativo rito, senza che rilevino, in contrario, eventuali errori nell'applicazione di quest'ultimo, quali (come nella specie) la proposizione dell'opposizione prima del deposito dello stato passivo ovvero la pronuncia di una sentenza di condanna «in prededuzione» (e non di modifica dello stato passivo), non determinanti una irriconoscibilità del rito applicato e sempreché non soccorra l'espressa qualificazione data dal giudice.
Cass. civ. n. 7878/2006
La conversione di una procedura concorsuale in un'altra, pur implicando che la procedura debba proseguire secondo le regole di quella in cui si è mutata, non equivale ad una revoca della precedente in coerenza con l'esigenza di conservazione degli effetti degli atti già compiuti e con il generale principio di economia processuale. In riferimento alla conversione del fallimento in liquidazione coatta amministrativa, prevista dall'art. 3 del decreto — legge n. 233 del 1986, (convertito in legge n. 430 del 1986), ciò comporta che, anche quando la vicenda sia dipesa da circostanze presenti fin dall'origine, e per le quali si sarebbe potuto dar subito corso alla liquidazione coatta in luogo della dichiarazione di fallimento, gli effetti degli atti legalmente compiuti nell'ambito della procedura fallimentare sono destinati a restar fermi pur dopo la conversione in liquidazione coatta. Tale principio, espressamente sancito dall'art. 3 cit., si applica anche al decreto con cui il giudice delegato abbia dichiarato esecutivo lo stato passivo, ai sensi dell'art. 97 della legge fall., nonché ai provvedimenti con i quali, ai sensi del successivo art. 103, il medesimo giudice abbia deciso sulle domande di rivendicazione, restituzione e separazione di beni mobili posseduti dal fallito. La diversa natura del procedimento di verifica del passivo e le differenti funzioni degli organi delle due procedure non esclude infatti una sostanziale equivalenza di effetti tra questi provvedimenti e quelli previsti dall'art. 209 della legge fall., con la conseguenza che essi non sono più modificabili se non in quanto, a seguito di opposizione ex art. 98, di impugnazione ex art. 100 o di istanza di revocazione ex art. 102 della legge fall., ed all'esito di un giudizio contenzioso instaurato nelle forme previste da detti articoli, si sia pervenuti ad una sentenza definitiva in proposito.
Cass. civ. n. 1817/2005
In tema di liquidazione coatta amministrativa, la formazione dello stato passivo da parte del commissario liquidatore ha natura di procedimento amministrativo e, pertanto, non avendo la domanda di inserimento nel relativo elenco natura di domanda giudiziale, nel giudizio di opposizione instaurato ex art. 209, secondo comma, legge fall., dal creditore escluso, il commissario liquidatore può contrastare la domanda anche per ragioni diverse e nuove rispetto a quelle addotte nella fase amministrativa per non accogliere la domanda.
Cass. civ. n. 18579/2004
In tema di liquidazione coatta amministrativa, mentre la verificazione dei crediti da parte del commissario liquidatore ha natura di procedimento amministrativo, con il successivo deposito in cancelleria dello stato passivo, che costituisce il presupposto per le contestazioni davanti al giudice ordinario, sopravviene la connotazione giurisdizionale del medesimo, in base alla quale sono consentite le opposizioni e le impugnazioni di cui agli artt. 98 e 100 legge fall. (richiamati dall'art. 209 della legge stessa), e trova, pertanto, applicazione la disciplina in materia di termini processuali di cui agli artt. 326 e 327 c.p.c., in virtù del carattere di lex generalis del codice di rito rispetto al procedimento di opposizione allo stato passivo.
Cass. civ. n. 4938/2004
Nella procedura di liquidazione coatta amministrativa, qualora il creditore (nella specie lavoratore subordinato) abbia proposto domanda di ammissione al commissario liquidatore e la stessa sia stata respinta, con conseguente non ammissione allo stato passivo, il creditore non ha altro rimedio che l'opposizione ai sensi dell'art. 98 legge fall., con conseguente verificarsi della preclusione endofallimentare nell'ipotesi in cui sia avanzata domanda di accertamento dello stesso credito dinanzi al giudice del lavoro. (Nella specie la Corte ha cassato senza rinvio la sentenza del merito che aveva accolto la domanda di accertamento del diritto del lavoratore ad un inquadramento superiore).
Cass. civ. n. 17526/2003
L'ammissione di crediti con riserva, pur configurabile in via di principio anche nello stato passivo della liquidazione coatta amministrativa, è consentita solo entro i medesimi limiti operanti nella formazione dello stato passivo del fallimento; di tal che, stante la tassatività delle riserve apponibili allo stato passivo, le eventuali riserve atipiche (o comunque anomale) sono da ritenersi come non apposte, e per la loro eliminazione non è necessario proporre opposizione ai sensi dell'art. 98 l. fall., con conseguente inoperatività dei rigorosi termini di decadenza da cui quella procedura è caratterizzata.
Cass. civ. n. 11216/1997
Nella liquidazione coatta amministrativa la verificazione dei crediti consiste in un procedimento amministrativo, mentre il deposito dello stato passivo costituisce il presupposto per le contestazioni da parte dei creditori innanzi al giudice ordinario. Consegue che in ordine alla richiesta di annullamento di un atto di tale procedimento posto in essere dal commissario liquidatore sussiste la giurisdizione del giudice amministrativo, al quale spetta anche stabilire se l'interesse dedotto in controversia sia o meno qualificabile come interesse legittimo ovvero come interesse di mero fatto (nella specie la società sottoposta a liquidazione coatta amministrativa aveva impugnato dinanzi al giudice amministrativo l'atto di formazione dello stato passivo con il quale il commissario liquidatore aveva negato al presidente della società di essere sentito sulle singole situazioni creditorie concorsuali).