Cass. civ. n. 12248/2002
La questione relativa all'assoggettabilità o meno al fallimento di un imprenditore attiene al merito e non alla giurisdizione, non potendo essa implicare un ipotetico difetto di giurisdizione del tribunale fallimentare adito nemmeno nel caso in cui si prospetti l'assoggettabilità dell'imprenditore stesso a liquidazione coatta amministrativa, poiché l'eventuale fondatezza di tale ipotesi sarebbe destinata ad incidere soltanto sul contenuto della pronuncia del tribunale - che, anziché di fallimento, sarebbe dichiarativa, sic et simpliciter, dello stato di insolvenza della società, ex art. 195 legge fall. -. A tanto consegue, da un canto, l'inammissibilità dell'istanza di regolamento preventivo di giurisdizione in tali termini proposti, dall'altro, la condanna, per responsabilità processuale aggravata ex art. 96 c.p.c., dell'istante, atteso il principio secondo cui costituisce causa di responsabilità ex art. 96 cit. la proposizione di un regolamento di giurisdizione privo del riscontro preventivo (nell'esercizio di un minimo di elementare diligenza) dell'erroneità della propria tesi alla stregua della disciplina positiva e dello stato della giurisprudenza, integrando tale difetto di diligenza gli estremi di un comportamento processuale tanto funzionale ad un uso distorto del regolamento - evidentemente introdotto a fini meramente dilatori - quanto gravido di conseguenze pregiudizievoli per la controparte.
Cass. civ. n. 1976/1996
Il decreto con il quale il tribunale, a norma dell'art. 195, comma 1, L. fall., dopo aver dichiarato l'insolvenza di una impresa soggetta a liquidazione coatta amministrativa, adotta i provvedimenti conservativi che ritenga opportuni, avendo la funzione di assicurare provvisoriamente la conservazione del patrimonio dell'impresa insolvente, ed essendo sempre revocabile e modificabile, è sprovvisto dei caratteri della definitività della decisorietà e pertanto non può essere impugnato con ricorso per cassazione ai sensi dell'art. 111 Cost.
Cass. civ. n. 12156/1993
Nell'espressione «cause relative alla dichiarazione ed alla revoca dei fallimenti», contenuta nell'art. 92 dell'ordinamento giudiziario di cui al R.D. 30 gennaio 1941, n. 12, richiamato dall'art. 3 della L. 7 ottobre 1969, n. 742, che indica gli affari esclusi dalla sospensione dei termini processuali in periodo feriale disposta dall'art. 1 della stessa L. n. 742 del 1969, sono comprese anche le cause relative alla dichiarazione ed alla revoca della dichiarazione dello stato di insolvenza per le imprese assoggettabili o assoggettate a liquidazione coatta amministrativa, alle quali perciò non si applica la predetta sospensione.
Cass. civ. n. 2801/1993
Con riguardo alla posizione delle imprese escluse dal fallimento perché soggette al regime della liquidazione coatta amministrativa, sono devolute alla giurisdizione amministrativa le controversie aventi ad oggetto il decreto ministeriale che ordina la liquidazione stessa oppure — salva la necessità del preventivo ricorso all'autorità di vigilanza — gli atti posti in essere dal commissario liquidatore, i quali siano, al pari di detto decreto, caratterizzati dal contenuto autoritativo e strumentale alla cura di sovraordinati interessi pubblici; requisiti, questi, che non sono ravvisabili relativamente ad atti che incidano sulla situazione di terzi estranei alla procedura liquidatoria, configurandosi, in tal caso, rapporti tra parti in posizione di parità, titolari di diritti soggettivi tutelabili davanti al giudice ordinario. Ne consegue che, nei confronti del terzo estraneo alla liquidazione, il quale, avendo subito gli effetti dell'azione revocatoria (ordinaria o fallimentare) proposta dal liquidatore, faccia valere in giudizio la propria perdurante qualità di proprietario o di titolare di altro diritto reale sul bene restituito alla massa, sussiste la giurisdizione ordinaria anche se la pretesa sia diretta ad ottenere la posticipazione della liquidazione del bene in contestazione a quella delle altre attività provenienti dal patrimonio dell'impresa in liquidazione.
Cass. civ. n. 11848/1992
Con riguardo alla posizione delle imprese escluse dal fallimento perché soggette al regime della liquidazione coatta amministrativa, spetta alla giurisdizione amministrativa la tutela rispetto sia al decreto ministeriale che ordina la liquidazione stessa, sia — salva la necessità del preventivo ricorso all'autorità di vigilanza — ai successivi atti posti in essere dal commissario liquidatore, essendo l'uno e gli altri caratterizzati da contenuto autoritativo e strumentali alla cura di pubblici interessi, così da fondare soltanto situazioni di interesse legittimo, e sopravvenendo soltanto al deposito in cancelleria dello stato passivo la connotazione giurisdizionale del medesimo, che consente le opposizioni ed impugnazioni previste dagli artt. 98 e 100 l. fall. Appartengono, invece, ab origine al giudice ordinario, ai sensi degli artt. 195 e 202 l. fall. i procedimenti diretti alla dichiarazione giudiziale dello stato di insolvenza delle imprese suddette, anche quando la domanda sia stata proposta dal commissario liquidatore ed il provvedimento amministrativo di liquidazione sia stato impugnato davanti al giudice amministrativo.
Cass. civ. n. 11360/1990
La giurisdizione del giudice ordinario, ai sensi degli artt. 195 e 202 della l. fall., con riguardo all'accertamento giudiziale dello stato d'insolvenza di impresa assoggettabile od assoggettata a liquidazione coatta amministrativa, deve essere affermata, per le imprese assicuratrici, pure dopo la L. 12 agosto 1982, n. 576, istitutiva dell'Isvap — istituto di vigilanza sulle assicurazioni private — considerato che le innovazioni introdotte dalla legge medesima attengono alle funzioni amministrative (ripartite fra il Ministro dell'industria e detto istituto), ma non introducono alcuna deroga alle attribuzioni devolute al giudice ordinario dalle citate norme della legge fallimentare.
Cass. civ. n. 8363/1990
In relazione ad istanza di fallimento di una società cooperativa, le questioni inerenti all'esercizio da parte della medesima di attività commerciale, con il conseguenziale assoggettamento a tale procedura anziché a liquidazione coatta amministrativa, ovvero, in caso di cooperativa edilizia per la costruzione di alloggi economici e popolari, le questioni inerenti all'esistenza del preventivo nulla-osta ministeriale richiesto per le azioni esecutive dei creditori (art. 80 del R.D. 28 aprile 1938 n. 1165), attengono alla sussistenza dei presupposti per detta dichiarazione, quindi al merito, non alla giurisdizione, e, pertanto, non sono deducibili con istanza di regolamento preventivo.
Cass. civ. n. 8069/1990
In pendenza di istanza di fallimento proposta nei confronti di una società cooperativa, la deduzione circa il carattere non commerciale dell'attività di tale cooperativa, con la conseguenza della sua assoggettabilità a liquidazione coatta amministrativa, non attiene alla giurisdizione, e non può essere quindi fatta valere con istanza di regolamento preventivo, ma riguarda il merito, atteso che, ove fondata, comporta che il tribunale adito deve dichiarare, anziché il fallimento, lo stato d'insolvenza della società medesima, ai sensi dell'art. 195 del R.D. 16 marzo 1942, n. 267
Cass. civ. n. 5396/1988
Qualora una pluralità di creditori abbiano domandato il fallimento di una società assoggettata a liquidazione coatta amministrativa, e le Sezioni unite della Suprema Corte, in sede di regolamento preventivo proposto in relazione all'istanza di uno di detti creditori, abbiano statuito sulla giurisdizione (nella specie, affermando quella del giudice ordinario, salvo il dovere di tale giudice di provvedere al limitato fine della dichiarazione dello stato di insolvenza), deve negarsi l'ammissibilità di ulteriori ricorsi per regolamento preventivo della giurisdizione, in relazione ad istanze proposte da altri creditori, in considerazione della convergenza delle iniziative di tutti i creditori in unico procedimento e del conseguente effetto vincolante di quella precedente pronuncia regolatrice della giurisdizione.
Cass. civ. n. 6178/1985
Qualora il tribunale, in relazione ad istanza di dichiarazione dello stato d'insolvenza a carico d'imprenditore che si assuma soggetto a liquidazione coatta amministrativa, convochi detto imprenditore in Camera di Consiglio, a norma dell'art. 195 della legge fallimentare (nel testo fissato dalla sentenza della Corte costituzionale n. 110 del 1972), si deve escludere che il tribunale medesimo, al fine della dichiarazione d'ufficio del fallimento, per effetto dell'accertamento dello stato d'insolvenza ma del difetto dei requisiti per la suddetta procedura, debba nuovamente convocare il debitore, atteso che la precedente convocazione, ancorché rimasta senza esito, è idonea a porre il debitore stesso in grado di esercitare il diritto di difesa in ordine al contestato stato di dissesto (presupposto comune ad entrambe le procedure), sicché deve ritenersi osservato quanto in proposito prescritto dall'art. 15 della citata legge (nel testo risultante dalla sentenza della Corte costituzionale n. 141 del 1970).
Cass. civ. n. 2178/1985
Con riguardo alle imprese soggette a liquidazione coatta amministrativa, ivi comprese quelle autorizzate all'esercizio dell'assicurazione della responsabilità civile a norma dell'art. 57 della L. 10 giugno 1978, n. 295, le attribuzioni del giudice ordinario, ai sensi degli artt. 195-202 della legge fallimentare, circa la dichiarazione dello stato d'insolvenza e la definizione delle opposizioni proposte contro la dichiarazione medesima, non restano limitate od escluse per il fatto che, contro il provvedimento di messa in liquidazione, in precedenza reso dall'autorità amministrativa, sia pendente l'impugnazione davanti al giudice amministrativo, in considerazione del carattere autonomo ed indipendente dei rispettivi procedimenti, pur se possano implicare l'accertamento e l'esame di elementi comuni o connessi.