(massima n. 1)
In materia contravvenzionale — pur avendo il vigente codice penale accolto una concezione naturalistica dell'elemento soggettivo del reato, non esigendo né la coscienza dell'antigiuridicità della condotta né l'intenzione di violare la legge — non è sufficiente la semplice volontarietà dell'azione, essendo pur sempre necessaria quantomeno la colpa. In tale ambito la buona fede acquista giuridica rilevanza solo se si traduce, a causa di un elemento positivo estraneo all'agente, in uno stato soggettivo che esclude anche la colpa. Ad escludere la colpa non è sufficiente l'errore dipeso da ignoranza non scusabile, nella quale rientra l'erronea interpretazione o l'ignoranza della legge penale. Va tuttavia valutata l'attività della pubblica amministrazione, capace di determinare l'erroneo convincimento della regolarità e completezza degli adempimenti a questa spettanti, e quindi la buona fede per fatto estraneo all'agente, che incide sulle stesse condizioni sulle quali fondare la necessaria rimproverabilità della violazione ritenuta. (Fattispecie in materia di contravvenzioni di cui all'art. 663, comma terzo, TULPS per aver tenuto il registro delle pratiche non vidimato in ogni singolo foglio. Il pretore aveva ritenuto sussistente a carico dell'imputato un difetto di diligenza, sufficiente ad integrare l'elemento soggettivo del reato. La Corte di cassazione ha annullato la sentenza, rinviando al giudice di merito per nuovo giudizio, rilevando la necessità di valutare la possibile incidenza del fatto altrui [sindaco del comune a cui era stato presentato il registro per la vidimazione] nel determinare la buona fede dell'agente).