Cass. pen. n. 4417/2018
In tema d'esecuzione, qualora nei confronti della stessa persona per il medesimo fatto storico siano state pronunciate una sentenza di patteggiamento ed una di condanna, ben può la prima, ricorrendone i presupposti, essere in tutto o in parte revocata in applicazione della disciplina dettata dall'art. 669, commi 1 e 6, cod. proc. pen. per il caso di pluralità di pronunce di condanna, attesa l'equiparazione della sentenza di patteggiamento ad una sentenza di condanna ex art. 445 cod. proc. pen.
Cass. pen. n. 17197/2016
In tema di esecuzione, il disposto di cui all'art. 669, comma otto, cod. proc. pen., relativo al caso che vi sia stata pluralità di sentenze per il medesimo fatto contro la stessa persona, può trovare applicazione qualora la questione del "ne bis in idem" sia stata risolta, solo in via incidentale, negativamente da parte del giudice della cognizione, non assumendo tale decisione efficacia formale di giudicato. (La S.C. ha annullato, con rinvio, l'ordinanza con cui il giudice dell'esecuzione aveva ritenuto non più deducibile davanti a sè, perchè coperta da giudicato, la questione del "ne bis in idem" relativa alla pronuncia del giudice della cognizione che aveva, solo incidentalmente, affermato che il decreto di archiviazione per prescrizione non poteva essere considerato "irrevocabile" ai sensi e per gli effetti dell'art. 649 cod. proc. pen.).
Cass. pen. n. 12590/2015
Nell'ipotesi di conflitto tra due provvedimenti sanzionatori di natura amministrativa, emessi a carico della stessa persona e per il medesimo fatto, rispettivamente dall'autorità amministrativa e dal giudice penale, ove il provvedimento giurisdizionale risulti essere maggiormente gravoso per l'entità della sanzione irrogata, il giudice, in applicazione analogica dell'art. 669, comma primo, cod. proc. pen., ne deve ordinare la revoca, ma non può disporre l'esecuzione dell'atto amministrativo irrogativo della sanzione, esulando tale potere dall'ambito della giurisdizione attribuita dalla legge al giudice ordinario. (Fattispecie, nella quale in relazione alla medesima infrazione al codice della strada, l'imputato aveva subito una ingiunzione prefettizia di pagamento e una più gravosa sanzione applicata con la sentenza di condanna del giudice penale)
Cass. pen. n. 42858/2014
Il giudice dell'esecuzione, per effetto della sentenza della Corte costituzionale n. 251 del 2012, che ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 69, quarto comma, cod. pen., nella parte in cui vietava di valutare prevalente la circostanza attenuante di cui all'art. 73, comma quinto, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, sulla recidiva di cui all'art. 99, quarto comma, cod. pen., può affermare la prevalenza dell'attenuante anche compiendo attività di accertamento, sempre che tale valutazione non sia stata esclusa dal giudice della cognizione in applicazione di norme diverse da quelle dichiarate incostituzionali; tuttavia, nel rideterminare la pena, deve attenersi ai limiti derivanti dai principi in materia di successione di leggi penali nel tempo, che inibiscono l'applicazione di norme più favorevoli eventualmente "medio tempore" approvate dal legislatore.
Cass. pen. n. 39538/2013
All'imputato nei cui confronti sia divenuta irrevocabile sentenza di condanna o di estinzione del reato per prescrizione non può essere estesa, a norma dell'art. 669 c.p.p., l'assoluzione definitiva intervenuta in autonomo giudizio nei confronti del coimputato del medesimo reato, ma gli è consentita solo la possibilità di conseguire, qualora ne ricorrano i presupposti, la revisione della sentenza, ai sensi dell'art. 630 comma primo lett. a) c.p.p., per inconciliabilità dei giudicati.
Cass. pen. n. 26031/2005
La regola di cui all'art. 669 c.p.p., pur se concepita con riguardo alle decisioni irrevocabili intervenute nel processo di cognizione, allo scopo di superare, con l'applicazione del criterio del favor rei, l'anomalia costituita dal contrasto di giudicati, deve trovare applicazione anche nel caso di contrasto fra decisioni definitive emesse da distinti giudici dell'esecuzione sull'identico oggetto nei confronti dello stesso imputato. (Nella specie, in applicazione di tale principio, essendo stata rilevata la presenza di due distinte ordinanze con la prima delle quali era stata respinta la richiesta di applicazione della continuazione in sede esecutiva, accolta invece con la seconda, ed essendo stata quest'ultima revocata, con provvedimento poi oggetto di ricorso per cassazione da parte dell'interessato, la Corte di cassazione ha annullato senza rinvio tanto il provvedimento di revoca quanto quello originario di diniego del beneficio). (Mass. redaz.).
Cass. pen. n. 32307/2003
Il disposto di cui all'art. 669, comma 8, c.p.p., in base al quale, qualora nei confronti della stessa persona e per lo stesso fatto, siano state pronunciate una sentenza di condanna ed una di assoluzione, va eseguita quest'ultima, con revoca della prima, non trova applicazione nel caso in cui la pronuncia assolutoria abbia fatto seguito ad una sentenza di applicazione della pena su richiesta, la quale costituisce un effetto della definizione negoziale del procedimento e non può, pertanto, essere revocata.
Cass. pen. n. 39337/2002
La regola, stabilita dall'art. 669, comma 8, prima parte c.p.p., per cui, se nei confronti della stessa persona sono state pronunciate per il medesimo fatto una sentenza di proscioglimento e una decisione di condanna, il giudice ordina l'esecuzione della prima, non trova applicazione qualora la prima di identifichi in una sentenza di non luogo a procedere, prevalendo, in tal caso, il disposto del comma 9 dello stesso articolo che privilegia, anziché la decisione più favorevole, quella dotata del carattere dell'irrevocabilità.
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Qualora nei confronti della stessa persona e per lo stesso fatto siano state pronunciate una sentenza di non luogo a procedere e una sentenza di applicazione della pena su richiesta, è quest'ultima quella che deve essere eseguita, avuto riguardo, per un verso, alla regola dettata dall'art. 669, comma 9, c.p.p. (che privilegia l'esecuzione delle pronunce dotate del carattere dell'irrevocabilità rispetto a quelle che ne sono prive); per altro verso al fatto che la sentenza di applicazione della pena su richiesta è equiparata ad una sentenza di condanna, nella quale è insita l'irrevocabilità.
Cass. pen. n. 21/2000
Chi ha pagato quanto dovuto in esecuzione di una pena pecuniaria non può ottenere la restituzione delle somme versate qualora, con successiva sentenza, i fatti di cui alla prima condanna siano ritenuti episodi di un unico reato continuato e sia per essi applicato, a titolo di continuazione, un aumento della pena pecuniaria inferiore alla somma già versata.
Cass. pen. n. 2455/1999
La sentenza con cui il Gip dichiara l'estinzione del reato per oblazione non è una decisione di non luogo a procedere, ma va considerata come sentenza di proscioglimento dell'imputato e, come tale, deve essere eseguita in luogo della sentenza di condanna, in applicazione della regola dettata dall'art. 669, comma 8, c.p.p. Infatti tale tipo di decisione non è revocabile in quanto emessa non per ragioni attinenti al merito dell'imputazione, ma per una accertata causa di estinzione del reato. (Nella specie la Corte ha revocato il decreto penale di condanna emesso, per lo stesso fatto, successivamente a sentenza di non doversi procedere per intervenuta oblazione).
Cass. pen. n. 2188/1998
Al giudice dell'esecuzione, in ossequio al principio di intangibilità del giudicato, è preclusa la rivalutazione dei fatti oggetto del giudizio al fine di modificare il giudizio stesso. In deroga a tale principio egli può solo, a norma dell'art. 669, comma primo, c.p.p., in caso di pluralità di giudicati relativi allo stesso fatto ed alla stessa persona, ordinare l'esecuzione del giudicato meno afflittivo e revocare i giudicati più afflittivi per il condannato: solo a questo fine limitato egli può valutare i fatti oggetto del giudicato. Ma anche in tal caso i giudicati più gravi sono caducati, non modificati nel loro contenuto. Peraltro il presupposto della medesimezza del fatto non ricorre quando questo è solo parzialmente identico.
Cass. pen. n. 3025/1996
Deve essere qualificata come incidente di esecuzione l'istanza di revisione con cui venga chiesta la revoca della sentenza applicativa della pena su richiesta in quanto i fatti stabiliti a fondamento della stessa sarebbero inconciliabili con i fatti stabiliti nella sentenza dibattimentale con cui lo stesso giudice abbia assolto perché il fatto non sussiste — nella specie sancita la legittimità della concessione edilizia — dai medesimi reati tutti i coimputati, i quali non avevano chiesto di patteggiare la pena. Infatti, si deve rinvenire la soluzione del problema — legato ad una evidente ed insopprimibile esigenza di giustizia sostanziale — nel sistema di interventi attribuiti al giudice dell'esecuzione dagli artt. 665-676 c.p.p., in particolare nell'applicazione analogica dell'art. 669, comma ottavo stesso codice («salvo quanto previsto dagli artt. 69 e 345 se si tratta di una sentenza di proscioglimento e di una sentenza di condanna. . ., il giudice ordina l'esecuzione della sentenza di proscioglimento revocando la sentenza di condanna»).
Cass. pen. n. 5036/1994
La disciplina contenuta nell'art. 669 c.p.p. in tanto è applicabile in quanto la pluralità di sentenze, oltre che lo stesso imputato, concernano lo «stesso fatto», inteso quest'ultimo come coincidenza fra tutte le componenti delle concrete fattispecie. Pertanto diversi episodi di maltrattamenti in famiglia, circoscritti nel tempo, per i quali siano intervenute separate pronunce di proscioglimento, ben possono inserirsi, quali segmenti di un più ampio comportamento vessatorio, in un'articolata condotta criminosa, come quella richiesta dall'art. 572 c.p., la quale, non esaurendosi in essi, si connota di autonomia propria che la diversifica, così escludendo la coincidenza che costituisce il presupposto dell'applicazione del predetto art. 669 c.p.p.
Cass. pen. n. 758/1993
Il giudice dell'esecuzione, nell'ipotesi prevista dall'art. 669 comma settimo c.p.p., per decidere quale sia la più favorevole tra le sentenze di proscioglimento emesse contro la stessa persona per il medesimo fatto, deve avere riguardo alle formule di proscioglimento tassativamente stabilite dall'ordinamento e agli effetti tipici che da ciascuna di esse discendono. Ne consegue che il predetto giudice è legittimato a procedere contestualmente alla rettifica delle formule di proscioglimento bandite dal nuovo codice di rito, quando la rettificazione si ponga come antecedente logico necessario alla sua decisione, come si verifica nel caso di assoluzione pronunciata con formula dubitativa (art. 254 att. c.p.p.).
Cass. pen. n. 701/1992
L'art. 579 c.p.p. (1930), al pari dell'art. 669 c.p.p. vigente, presuppone l'intervenuta irrevocabilità ed eseguibilità di più sentenze pronunciate per lo stesso fatto nei confronti della stessa persona. Esso non è quindi operante, per difetto di detto presupposto, nell'ipotesi in cui una prima sentenza di condanna, non impugnata da uno dei coimputati, sia stata poi annullata su ricorso di altri e l'annullamento, a cagione dell'effetto estensivo, abbia comportato la caducazione della pronuncia anche nei confronti dell'imputato non impugnante, successivamente di nuovo condannato per lo stesso fatto.
Cass. pen. n. 3457/1990
In base ai criteri dettati dal nuovo codice di rito, in caso di più sentenze irrevocabili di condanna pronunciate contro lo stesso soggetto per il medesimo fatto, competente a conoscere dell'esecuzione è il giudice che ha emesso il provvedimento divenuto irrevocabile per ultimo ovvero se i provvedimenti sono stati emessi dal pretore e da altro giudice ordinario, competente è in ogni caso quest'ultimo.